LEODOINO
Di probabile stirpe longobarda, succedette come vescovo di Modena a Valperto, di cui si ha notizia fino all'869. La prima attestazione certa dell'elevazione di L. alla cattedra modenese è dell'anno 871, quando in questa veste compare in un atto di concessione di terreni nel territorio di Savignano.
Il primo periodo d'episcopato di L. coincise con i frenetici cambi di alleanze che determinarono la rapida successione di diversi candidati al ruolo di re d'Italia e di imperatore: prima Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo, poi Carlomanno e Bosone re di Provenza. Proprio per appoggiare l'ascesa politica di quest'ultimo, nell'875 papa Giovanni VIII tentò di radunare a Pavia numerosi vescovi del Regnum e tra i presuli emiliani fu convocato anche L., insieme con Vibodo di Parma. Ma né questi né molti altri presenziarono alla riunione: non si sa quale fu la reazione del pontefice al loro diniego, visto che nel Registrum di Giovanni VIII furono annotate unicamente le aspre rampogne contro l'arcivescovo di Milano. L. dovette comunque mantenere con Vibodo di Parma un rapporto significativo, se questi estese l'invito ad assistere alla fondazione della sua canonica nell'877 solo a lui e al vescovo di Reggio. Nello stesso periodo - come si evince da un diploma di Ugo e Lotario del 934 - L. confermò ai canonici di Modena le donazioni già concesse da un suo predecessore, Geminiano (IV).
Rimangono pochi altri documenti che attestano la conduzione amministrativa della diocesi da parte di un presule che, favorito anche dalla congiuntura politica degli ultimi decenni del secolo, si rivelò come il principale autore del consolidamento patrimoniale e giurisdizionale della Chiesa modenese altomedievale. Tra questi documenti il più rilevante è un patto di livello datato 12 giugno 876 che, stipulato tra lo stesso L. e Adelburga, vedova del conte di Cittanova Autramno, segna l'ultima tappa del progressivo impossessamento da parte dell'autorità ecclesiastica modenese del territorio pubblico di Cittanova.
Il contratto riguardava l'oratorio di S. Desiderio e alcune terre "inter Ramo et Fredo nec non et Sicla" (a 3 km da Modena) che, da proprietà allodiali dei conti di Cittanova, passarono nelle mani del vescovo, il quale a sua volta si avvalse dell'ex famiglia comitale per la loro efficace conduzione (Regesto della chiesa cattedrale di Modena, I).
Qualche anno dopo L. parve preoccupato di tenere a bada, anche sotto il profilo squisitamente pastorale, il territorio della sua giurisdizione. In questa prospettiva si possono leggere due episodi registrati dalla documentazione. Nell'aprile 882 L. nominò un tal Giorgio - probabilmente un canonico della cattedrale modenese - arciprete di Rubbiano e lo incaricò di importanti lavori di ristrutturazione della pieve, che era rovinata e cadente. Giorgio avrebbe dovuto non solo eseguire le necessarie opere di riparazione, ma anche tenere scuola per l'educazione dei fanciulli; sembrerebbe tuttavia che il nuovo arciprete non avesse eseguito gli ordini del suo vescovo, visto che la chiesa fu completamente riedificata nel X secolo. Si accese, poi, intorno agli stessi anni, una disputa tra L. e l'abate di Nonantola Teoderico. Quest'ultimo venne minacciato di scomunica se avesse persistito nei suoi comportamenti e ripetutamente accusato di essere un pessimo amministratore del monastero e di dissiparne i beni, di arrogarsi il diritto di consacrare e ordinare sacerdoti, di aver concesso cariche ecclesiastiche a monaci già precedentemente scomunicati dal vescovo, di distruggere ed edificare a suo piacimento chiese nel territorio di pertinenza del monastero e della diocesi modenese.
Quando nell'885 l'imperatrice vedova Engelberga espresse l'intenzione di donare numerose sue proprietà terriere al monastero di S. Sisto di Piacenza, L. fu chiamato a Roma per consentire la donazione della corte di Migliarina, che era formalmente sotto la sua giurisdizione.
Non è chiaro se, nella lotta che vide Berengario del Friuli e Guido di Spoleto contendersi il Regno italico, L. abbia parteggiato per Guido fin dalla prima ora, visto che non è nominato dall'anonimo autore dei Gesta Berengarii nella rassegna degli aderenti al partito di Guido ordinatamente schierati prima della battaglia della Trebbia (gennaio 889); certo è che militò decisamente dalla sua parte quando, per le alterne vicende di quella contesa, Guido non solo venne eletto re d'Italia (16 febbr. 889) e imperatore (21 febbr. 891), ma si trovò anche a controllare saldamente il territorio modenese, incluso nella nuova Marca di Lombardia. Per meglio affrontare i pericoli che incombevano sui beni e sugli abitanti della diocesi nel momento di più acuto scontro tra le due fazioni, L. si preoccupò di avviare alcune importanti opere di fortificazione. In un codice della Biblioteca capitolare di Modena (Ord., I n. 4: si tratta dello stesso codice che riporta il Canto delle scolte modenesi) due annotazioni, datate al 26 ag. 881 e di pugno dello stesso vescovo o di un suo amanuense, riferiscono dell'avviata costruzione di tumuli difensivi (probabilmente terrapieni protetti da fossati e palizzate) sia in una non ben identificata località chiamata Habrica (forse Verica, sull'Appennino frignanese), sia nel centro cittadino, ancora privo di una cerchia di mura.
L'appoggio di L. alla fazione di Guido fu ampiamente ricompensato: con un diploma del 22 nov. 891, su intervento del conte palatino Maginfredo, Guido concesse a L., oltre ai soliti privilegi di immunità, anche il mundeburdio regio: "ubicumque vias, pontes, portas in sua terra habuerit, nostra vice liberam capiendi debitum ex eis censum habeat potestatem" (I diplomi di Guido e di Lamberto).
L'atto di Guido si configura come la concessione di una vera e propria "immunità maggiore", cioè un'esplicita delegazione di poteri e di attribuzioni statuali. Il diploma certifica un trattamento speciale rispetto agli altri personaggi cui gli Spoletini si rivolgono per cementare il loro radicamento nella zona emiliana: se in favore del presule di Modena vengono alienati diritti pubblici, agli altri si confermano antiche donazioni o, tutt'al più, si concedono beni fondiari e fiscali. L. con quest'importante documento ottenne, insomma, il pieno controllo della città, con garanzie e diritti che "sanci[rono] la concreta separazione giurisdizionale tra Modena e il suo comitato" (Bonacini, 1988, p. 597).
Il diploma è importante anche come fonte per la storia urbanistica. Con la concessione, infatti, da parte di Guido del diritto di erigere mura e porte, di scavare canali e fossati e, soprattutto, di fortificare la zona attorno alla cattedrale per la distanza di un miglio, L. riuscì a proseguire e consolidare quell'opera di munizione e difesa del nucleo urbano già avviata, qualche anno prima, con la semplice erezione di un tumulus. Era evidente, infatti, che la città abbisognava di un riparo sia dalla violenza delle acque, non più arginate nei secoli postimperiali, sia - soprattutto - dagli eventuali ritorni offensivi dei berengariani. Recenti riscontri archeologici hanno constatato che sia lo scavo del Canalgrande (noto oggi come canale di S. Pietro) e del canal Chiaro sia la prima cinta muraria cittadina furono opere di questo periodo o di poco posteriori.
Il diploma di Guido è l'ultima traccia documentaria che riguardi Leodoino. Il suo successore, Gamenolfo, è citato per la prima volta in un documento dell'anno 898. Tra queste due date deve essere pertanto collocata la morte di Leodoino.
Fonti e Bibl.: Registrum Iohannis VIII papae, a cura di E. Caspar, in Mon. Germ. Hist., Epistolae, VII, Berolini 1928, ad indices; I diplomi di Guido e di Lamberto, a cura di L. Schiaparelli, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], XXXVI, Roma 1906, n. XI pp. 27-32; I diplomi di Ugo e di Lotario, di Berengario II e di Adalberto (I), a cura di L. Schiaparelli, ibid., XXXVIII, ibid. 1924, n. XXXVI p. 110; Regesto della chiesa cattedrale di Modena, a cura di E.P. Vicini, I, Roma 1931, p. 41; II, ibid. 1936, pp. 51 s.; A. Roncaglia, Il "Canto" delle scolte modenesi, in Cultura neolatina, VIII (1948), pp. 12, 15; C. Campori, L. vescovo di Modena, in Memorie della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Modena, IX (1868), pp. 3-14; P. Borghi, Studio sul perimetro di Modena leodoiniana, secolo IX, in Studi e documenti della R. Deputazione di storia patria per l'Emilia e la Romagna - Sezione di Modena, n.s., II (1943), pp. 78-89; C. Manaresi, Alle origini del potere dei vescovi sul territorio esterno alla città, in Bull. dell'Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano, LVIII (1944), p. 225 n. 1; C.G. Mor, L'età feudale, I, Milano 1952, pp. 27, 36; E. Hlawitschka, Franken, Alemannen, Bayern und Burgunder in Oberitalien, Freiburg i.Br. 1960, pp. 145, 175; A.A. Settia, Castelli e villaggi nell'Italia padana. Popolamento, potere e sicurezza fra IX e XIII secolo, Napoli 1984, pp. 52-57; P. Bonacini, Autorità e potere episcopale a Cittanova tra l'VIII e il X secolo. Formazione e sviluppo dell'insediamento nell'Alto Medioevo, in Modena dalle origini all'anno Mille (catal.), I, Modena 1988, pp. 597 s.; S. Gelichi, Modena e il suo territorio nell'Alto Medioevo, ibid., pp. 569 s.; R. Rinaldi, Sulle tracce di un fedele imperiale in età carolingia. Autramno, conte di Cittanova, ibid., p. 601; P. Bonacini, Conti, vescovi, abati. Potere civile e immunità ecclesiastiche nel territorio modenese dell'Alto Medioevo, in Studi medievali, s. 3, XXX (1989), 2, pp. 826 n. 10, 835 s.; Id., Relazioni e conflitti del monastero di Nonantola con i vescovi di Modena (secc. VIII-XII), in Il monachesimo italiano dall'età longobarda all'età ottoniana. Atti del VII Convegno di studi storici sull'Italia benedettina. Nonantola… 2003, in corso di stampa.