Alberti, Leon Battista
Umanista e architetto (Genova 1404, da padre bandito da Firenze - Roma 1472). Studiò a Venezia, Padova (dove fu allievo di G. Barzizza) e a Bologna, dove (1428) si addottorò in diritto canonico. Fu alla corte di Eugenio IV, che seguì nelle varie tappe del suo avventuroso pontificato, ricoprendo numerosi incarichi e godendo di benefici ecclesiastici. La sua situazione nella curia migliorò sotto Niccolò V e Pio II, fino al 1464, quando Paolo II soppresse il collegio degli abbreviatori. Nel 1424 scrisse una commedia moraleggiante latina, Philodoxeos; la sua vena di moralista si precisa nelle bizzarre Intercoenales latine, satira disincantata delle discordi e traviate forme della convivenza umana. I temi che compaiono in queste prime opere vengono ripresi e sviluppati negli scritti successivi; il dialogo Pontifex, del 1437, sulla dignità del sacerdozio, e il Momus o De principe (1443 ca.), scritto in cui gli dei sono descritti in forma umana e satireggiati. A. scrisse in lingua volgare opere di grande importanza quali Teogenio (1440 ca.), dialogo in cui è ripreso il motivo della virtù che (come la forza e la libertà) consente all’uomo di opporsi e anche di vincere la fortuna, il dialogo Della tranquillità dell’animo (1442) e il De Iciarchia (1468), dove in tre libri viene ripreso e concluso il discorso sul governo della casa (οἰκεαρχία) intesa come regno autonomo e libero che l’uomo costruisce a sua misura in contrapposizione allo Stato. Ma nell’opera letteraria di A. eccelle il trattato dialogico in quattro libri Della famiglia: i primi tre libri (1433-34) trattano dell’educazione dei figli, della vita coniugale e domestica, giungendo al ritratto dell’uomo virtuoso che accentra e conforma a sé il nucleo familiare; il quarto (1441) tratta dell’amicizia, tema proposto da A. per il certame coronario (gara poetica il cui premio era una corona di lauro). Tale iniziativa, promossa da A. insieme a Piero de’ Medici per dimostrare che il volgare era adatto, non meno del latino, a qualsiasi argomento, aprì la questione di una letteratura volgare che gareggiasse con quella classica. Alla formazione ed esperienza letteraria di A. è strettamente connessa la sua attività di architetto e di teorico della pittura. A. predilesse l’ideazione alla pratica, non dirigendo mai di persona l’esecuzione dei suoi progetti. Egli fu a Roma in qualità di architetto e a Firenze, dove scrisse, prima in latino e poi in volgare, il trattato De pictura (1435), dedicato a Brunelleschi, suo amico già da alcuni anni. Tale scritto può dirsi la teorizzazione della concezione dell’arte del primo Rinascimento fiorentino. L’arte vi viene intesa non più come imitazione, ma come conoscenza della natura, fondata sul nuovo concetto scientifico di prospettiva. L’entusiasmo per l’arte fiorentina si attenuò con il ritorno a Roma dove, nel 1452, A. ultimò il trattato latino De re edificatoria, fortemente ispirato all’insegnamento di Vitruvio.