BELLANTI, Leonardo
Nacque a Siena poco dopo la metà del sec. XV, da antica e potente famiglia del Monte dei Nove. Nulla sappiamo dei suoi primi anni; certo presto egli dovette penetrare nello spirito delle lotte interne cittadine, che lo avrebbero visto, sulla fine del secolo e ancora al principio del successivo, svolgervi un ruolo cospicuo, seguendo una vocazione già presente nella tradizione della sua famiglia.
Il padre del B., Battista, aveva avuto nel 1472 una qualche parte nei tumulti cittadini contro Firenze per la questione di Volterra. Ma la figura di maggiore rìlievo, in questi anni, tra i Bellanti è certamente lo zio del B., Antonio. Fu questi a capeggiare i noveschi negli anni tra il 1479 e il 1481, quando essi, forti dell'appoggio aragonese, tentarono di prendere in mano le redini dei governo senese. Nel marzo del 1479 troviamo infatti Antonio a Poggio Imperiale, presso il campo di Alfonso d'Aragona duca di Calabria; dovette in quell'occasione stringere con il duca, a nome della sua parte, quegli accordi che pochi mesi più tardi consentirono ai noveschi di prendere in Siena il sopravvento sulle altre fazioni cittadine (giugno 1479).
Già in questo episodio è possibile riscontrare tutti i limiti della politica novesca, fondata da un lato sulla limitata coesione di un gruppo di famiglie cittadine, tra le quali primeggiavano i Bellantì, dall'altro sul favore di esterne alleanze via via stabilite: bastava che uno di questi due elementi si incrinasse perché il predominio, di quel Monte, all'interno delle mura cittadine, venisse meno.
La fragilità di tale disegno politico ebbe del resto ben presto a palesarsi, quando, venuto meno l'appoggio aragonese (settembre 1481), Antonio e la sua parte dovettero fronteggiare da soli il rimanente complesso delle fazioni cittadine.
Nel giro di pochi mesi la situazione precipitò a loro sfavore (giugno 1482), fino a sfociare in un aperto conflitto armato all'interno della città che vide la completa rotta, dei noveschi. Antonio, che si era rifugiato nel monastero degli Esiliati, venne in seguito fatto prigioniero. Il B., il cui nome per la prima volta in queste vicende troviamo segnato nelle cronache cittadine accanto a quello dello zio Antonio, dovette invece salvarsi con la fuga (luglio 1483).
Dal 1483 fino al 1487 le notizie riguardo al B. e ai suoi familiari si riferiscono a una serie continua di tentativi per riguadagnare in Siena il terreno perduto. Dall'episodio di Monteriggioni, dovuto ad un colpo di mano di Lucio ed Ugo Bellanti (febbraio 1483), al processo istruito contro Antonio Bellanti, Placido Placidi e Leonardo Guidi di parte novesca (23 marzo), cui seguì la, decapitazione del primo nella Rocca di Radicofani (14 aprile), fino al bando definitivo dei noveschi da Siena (16 giugno 1483), vediamo snodarsi una catena ininterrotta di insuccessi da parte di questi ultimi, a cui seguì, nei mesi successivi, un capovolgimento della loro tradizionale linea di alleanze, col riaccostamento ai Fiorentini, donde il tentativo di forzare le mura di Siena, con l'aiuto di questi; tale tentativo, a cui non fu estraneo il B., fu soffocato sul nascere a Pitigliano il, 18 agosto di quello stesso anno.
Fu per altre vie che, quattro anni più tardi, i noveschi poterono riacquistare in Siena il prestigio perduto, approfittando del progressivo interno sgretolarsi. del Monte del Popolo. A tener le fila di questo nuovo disegno v'era la mano di Pandolfo Petrucci, l'unico tra i fuorusciti noveschi che seppe mostrare di aver inteso il senso degli avvenimenti passati, e la cui azione tendeva, già agli inizi, ad uscire dai limiti d'una stretta politica di parte, per raggiungere un più largo raggio di alleanze cittadine e per assumere a volta a volta il compito di mediare o di tagliare netto i rinnovatisi conflitti interni, così da costituire sempre il centro d'equilibrio della vita pubblica senese e da fondare sulla propria crescente potenza lo svolgersi ordinato di questa.
All'esecuzione di questo progetto, sebbene molto al di qua delle intenzioni del Petrucci, ebbe tuttavia una parte preminente il Bellanti. Nella notte dal 21 al 22 luglio 1487, in cui i noveschi rientrarono in Siena, lo vediamo, assieme al fratello Lucio, alla testa dei fuorusciti. Il 30 agosto la nuova Balia gli concedeva, assieme al Petrucci, il singolare privilegio "di seminare in corte di Montauto in Maremma per 6 aratri, durante lo spazio di otto anni, senza alcuna gabella di tratta, per ricompensa dei danni sofferti nel tempo dell'esilio" (Mondolfo, p. 12).
Il segno del prestigio che in questo periodo il B. godeva in Siena ci è dato del resto dai molteplici favori ed incarichi pubblici di cui fu investito. Dalla questione di Montauto (gennaio 1488), all'incarico di dirimere assieme a Iacopo Tolomei la controversia di confini sortain Maremma tra le comunità di Prato e, di Montieri (marzo 1489), all'ambasceria per l'elezione di Alessandro VI (ottobre 1492) ed, infine, al peso che le opinionidel B. avevano in Balìa, tutto lascia intendere la posizione preminente da lui acquisita nella vita pubblica senese, né ci è dato di individuare, fino a questa data, i segni della sua futura inimicizia col Petrucci.
Il contrasto, che tra i due di lì a poco doveva profilarsi, non fu, del resto, come da più parti si è preteso (Pecci, Mondolfo Zdekauer), dettato, almeno agli inizi, da rivalità personale, ma aveva le sue origini in un diverso modo di guardare alle vicende cittadine, e di garantirsi in esse la preminenza; di fronte alla posizione più matura del Petrucci, il B. opponeva tutti i vizi d'una antica e limitata politica di parte. A conferma di ciò è il lento maturare di questa inimicizia, e il suo prendere corpo dalle vicende stesse della vita pubblica senese che richiedevano una costante ed accorta ponderazione di atteggiamenti. Fu proprio un nuovo tentativo di riforma della Balìa nel febbraio del 1493, promosso dal B. e da Nicolò Borghesi, ad aprire le prime crepe. Ottenendo di precludere per sempre l'ingresso in Balìa a tutti i discendenti di quelle famiglie che nell'87 si erano trovate dalla parte soccombente, essi intendevano infatti stringere ancor di più le fila della preminenza novesca. Non fu tuttavia questa iniziativa senza contraccolpi, tanto che la risoluzione già presa tornò in discussione e, invano si opposero a ciò Pietrino (professore di diritto canonico nello Studio cittadino) e Lucio Bellanti, ponendo innanzi tra l'altro la difficoltà di decidere per l'assenza momentanea del B.; per questa via i problemi in contestazione dalla riforma della Bafia si allargarono a quello dell'attribuzione degli uffizi, delle rocche, delle podestarie, coinvolgendo così l'intera amministrazione cittadina.
Delineatosi il contrasto, nei mesi successivi, mentre una parte del Monte dei Nove, stretta intorno al B. e a Nicolò Borghesi, teneva fermo nella via intrapresa, un'altra, facente capo a Pandolfa Petrucci, preparava una più vasta intesa cittadina che coinvolgesse in larga misura il Monte del Popolo, sulla base di una più articolata distribuzione degli uffici pubblici, ad esclusione però delle più estreme propaggini antinovesche. Fu questa linea a prevalere nella riforma-della Balla del 9 marzo 1494, donde il primo concreto affacciarsi del dissidio tra il B. e Nicolò Borghesi da un lato e il Petrucci dall'altro. Ed è significativo che mentre questi cercava in Siena stessa i presupposti politici del suo crescente potere, il B. e quelli della sua parte battessero invece l'antica e consueta strada delle esterne alleanze stringendo accordi con Piero de' Medici, i ma la caduta di quest'ultimo nel novembre del 1494fece sentire le sue ripercussioni in Siena, risollevando negli avversari dei noveschi desideri di mutamenti.
È nella situazione così creatasi che va collocata l'azione di Lucio Bellanti, penetrato improvvisamente in, Siena alla testa dei trecento armigeri già posti a guardia di Montepulciano e di cui egli aveva il comando (28 luglio 1495). Questo tentativo compiuto da Lucio, non senza l'appoggio e la complicità del B., anche se sulle prime doveva rafforzare la precaria situazione dell'estrema ala novesca, portando ad un bando definito degli elementi riformatori, dall'altra non restava privo di conseguenze per le reazioni che suscitava nel rimanente schieramento delle fazioni senesi. Le vicende che seguirono, coll'ulteriore rafforzamento delle posizioni del Petrucci, la congiura contro di lui preparata da Lucio Bellanti, e infine l'esilio di questo (15 sett. 1495), non fecero che approfondire le inimicizie già manifestatesi. Il B. ricopriva in quel momento la carica di capitano del popolo: non poté tuttavia intervenire a favore del fratello ed ancora un anno più tardi cercò senza successo di farlo tornare in Siena. Sebbene compromessa, come abbiamo visto, da questi avvenimenti, la sua posizione personale rimaneva tuttavia solida, anche se ne diminuiva costantemente il peso nella vita cittadina. Vediamo infatti in questi anni, fino al 1498, come il B., e il figlio Guido, coprissero ancora incarichi pubblici di rilievo; ma l'influenza e il prestigio raggiunti dal Petrucci costringevano ad una continua ritirata. Per far fronte a ciò egli, accordatosi con Nicolò Borghesi, attendeva l'occasione per concertare un colpo di mano contro il Petrucci. Ma quest'ultima volle prevenirli: fece assassinare in Firenze Lucio (fine 1499) e di lì a poco il suocero Nicolò Borghesi (15 luglio 1500), indi, al fine di premunirsi da ogni possibile sorpresa, si decise ad attaccare in città le case del B., ponendolo in fuga.
Due anni più tardi, a seguito delle vicende che costrinsero Pandolfo Petrucci ad allontanarsi da Siena, sotto là pressione di Cesare Borgia (Giulio Bellagti, figlio del B., si era messo agli stipendi di questo), il B. dovette farvi il suo reingresso, come ci è provato dal fatto che egli si trovava nel numero dei deputati che stesero a nome della Balìa senese l'accordo, Pon il Valentino del 30 genn. 1503. Negli anni che seguirono, tornato saldamente il governo della città nelle mani di Pandolfo, il B. si trovò ancora costretto a rimanere ai margini della vita pubblica, sulla base di un tacito compromesso. Né mancarono i tentativi di superare la vecchia inimicizia se Pandolfo promise una delle sue figlie, Sulpizia, in sposa a Giulio (1507).
Legato a questa promessa è quell'episodio che viene comunemente ricordato come la "congiura dei Bellanti". Fosse, come narra il Machiavelli nei Discorsi (ove attribuisce erroneamente la congiura a Lucio), che questi si mossero "a congiurare contro Pandolfo, tiranno di Siena, se non per averli quello data e poi tolta per moglie una figliola", o fosse piuttosto questo rifiuto la conseguenza di un rinnovato conflitto, certo è che il B., con i figli Giulio, Ugo, Bartolomeo e Girolamo, progettò di uccidere Pandolfo presso un loro parente, il già ricordato giurista Pietrino, che, vecchio e malato, veniva talvolta visitato dal Petrucci con cui era legato da antica amicizia. Nel giorno prestabilito, quest'ultimo, mentre si recava appunto a casa di Pietrino, messo in guardia da alcuni segni premonitori, da "un amico che lo fermò, e da alcuni di quelli che erano con lui e che vennono a trascorrere innanzi, e veduto e. sentito il romore d'arme, scopersero l'agguato" (Machiavelli, p. 407), poté mettersi in salvo.
Dovette allora il B. con i suoi familiari prendere nuovamente a precipizio la via dell'esilio (1508), venendo in seguito dalla Balìa bandito dalla città, con la conseguente confisca di tutti i suoi beni (2 maggio 1508).
Non si presentò al B. negli anni seguenti alcuna occasione per reinserirsi nella vita cittadina. Sappiamo che il figlio Giulio, recatosi a cercare fortuna in Francia, fece ritorno nel gennaio del 1510, e, ad Orvieto ove si era rifugiato, venne fatto prigioniero per ordine di Giulio II che in tal modo intendeva fare cosa grata al Petrucci. Fosse questo episodio legato alla preparazione di un tentativo contro Pandolfo, certo è che i Bellanti dovettero attendere la morte di questo (maggio. 1512) per potere afferrare una possibile, occasione di tornare nella loro città.
Certamente essi fecero parte di quel partito che preparò l'insediamento di Raffaele Petrucci in Siena a scapito del giovane erede di Pandolfo, Borghese. Nel gennaio del 1515 troviamo Guido Bellanti presso la corte di Leone X tenere le fila dell'opposizione contro Borghese. Di lì a poco il B. stesso con tutti i suoi familiari prendeva parte alle prime operazioni militari, occupando Montalcino. Abbandonata Borghese la città (9 marzo 1515), quello stesso giorno il B. vi fece il suo reingresso a fianco del vescovo castellano Raffaele. I favori da parte di quest'ultimo non mancarono: Giulio Bellanti venne subito aggregato alla Balìa; a ricompensa dei danni sofferti nell'esilio e delle confische subite, il B. venne investito nel castello di Selva "con tutto il territorio, ragioni, pertinenze, corte, fortilizi e bestiami" (Pecci, II, p. 52), che in passato erano appartenuti a Borghese.
Il riacquistato prestigio non trattenne tuttavia il B. e i figli suoi dal mirare presto più in alto, tornando cosi a percorrere per l'ultima volta la vecchia strada già battuta senza successo contro Pandolfo. Il desiderio di consolidare la propria posizione, fino a riprendere negli antichi termini di parte l'intero predominio nella vita pubblica cittadina, li mosse nel volgere di un anno a fare in Siena i prmi passi contro Raffaele. La trama che andavano così tessendo faceva centro, in Roma, sul cardinale Alfonso Petrucci, figlio di Pandolfo e nemico giurato di Raffaele, e in Siena sulla complicità del Pochintessa, già capitano della guardia della piazza. Fu la sventata congiura dei cardinali contro Leone X, di cui Alfonso era stato uno degli artefici, e a cui erano connessi questi progettati rivolgimenti senesi, che mise in guardia Raffaele. Dagli atti del processo ad Alfonso, di cui il pontefice lo Inise a conoscenza, questi intese chiaramente la responsabilità dei Bellanti.
Vedutisi dunque scoperti, Giulio e Guido Bellanti, che avevano condotto l'impresa, risolsero di chiedere il perdono di Raffaele, ma questi, accoltili nel palazzo ove risiedeva, li fece senza esitazione ammazzare. Il B., avuto, sentore del pericolo, armatosi, "correva frettoloso per soccorrere i figlioli; ma, visto che la situazione precipitava a suo danno, risolse di mettersi al riparo nella casa di Bellisario Bulgarini. Consegnato da questo agli armigeri di Raffaele, venne portato prigioniero nella Rocca di Mont'Acuto e ivi decapitato (giugno 1517), mentre i figli superstiti, Girolamo e Bartolomeo, venivano dalla Balla confinati e tutti i loro beni confiscati.
Fonti e Bibl.: A. Allegretti, Ephemerides Senenses..., in Rerum Italicarum Scriptores, XXIII, Mediolani 1733, coll. 769 s., 783, 801, 805, 809-814, 815, 825, 820-828, 831, 841, 851, 856 s., 858; N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, Milano 1960, pp. 392, 406 s.; G. A. Pecci, Memorie storico-critiche della città di Siena..., Siena 1755, I, pp. 18 s., 21-29, 56, 59, 67-69, 76, 79, 83, 115-119, 139, 151, 163, 187, 232, 234-236, 246, 247; II, pp. 29 s., 46, 52, 55, 62-64; V. Buonsignori, Storia della Repubblica di Siena, I, Siena 1856, pp. 82 ss., 94 ss.; Famiglia Lucarini-Bellanti-Saracini, in Miscell. storica senese, II (1894), p. 171; L. Zdekauer, Lo Studio di Siena nel Rinascimento, Milano 1894, pp. 38, 39 n. 1, 117, 118 n. 1, 120, 122 s.; U. G. Mondolfo, Pandolfo Petrucci, signore di Siena, Siena 1899, pp. 7, 12, 13, 19, 20, 28, 33 s., 39, 43, 51, 58, 68 s., 94, 105, 107, 131-33, 136, 138.