BRUNI, Leonardo
Figlio di Francesco, fu detto Aretino, dalla sua patria, Arezzo, dove nacque nel 1370. Trasferitosi a Firenze, con i suoi, non dopo il 1396, ivi iniziò lo studio del greco col Crisolora e frequentò le lezioni del Malpaghini. Per la sua dottrina letteraria e giuridica e le amichevoli raccomandazioni di Coluccio Salutati e di Poggio Bracciolini fu eletto nel 1405 segretario apostolico, ufficio che tenne anche sotto i successori di Innocenzo VII, rimanendo così addetto alla Curia per un decennio, eccetto una breve interruzione dal 29 dicembre 1410 al 4 aprile 1411, quando, pur non essendo notaio, fu eletto cancelliere della Repubblica fiorentina, e qualche altro più breve soggiorno in Firenze stessa, dove si trasferì definitivamente il 14 marzo 1415, ottenendovi poi, nel giugno del 1416, la cittadinanza. Nel 1426 fu inviato ambasciatore a Martino V insieme con Francesco Tornabuoni. Il 3 dicembre del 1427, fu eletto cancelliere a succedere a Paolo Fortini, nella quale carica rimase sino alla morte, avvenuta il 9 marzo 1444. Aveva tenuto anche altri uffici pubblici; nei consigli della Signoria godeva di così grande autorità che raramente si trovava chi lo contraddicesse. Vigore di argomentazione, squisito tatto politico, brevità, chiarezza, non disgiunta talvolta da sottile ironia, sono i caratteri più spiccati della sua eloquenza, manifestati in molte e solenni occasioni. Nella Cancelleria introdusse notevoli riforme, adeguate all'accresciuta potenza della sua patria adottiva, la quale, quando egli morì, volle tributargli solenni funerali, incoronandolo d'alloro e seppellendolo in S. Croce, dove ancora oggi si ammira il mausoleo che per lui scolpì Bernardo Rossellino.
Oltre a essere uno dei più illustri cancellieri della Signoria fiorentina, continuatore della gloriosa tradizione, iniziatasi con Coluccio Salutati, dei letterati che mettevano la loro cultura classica a servizio dell'arte del governo, il Bruni è anche una delle più importanti figure dell'Umanesimo nell'età di Cosimo de' Medici, come divulgatore della letteratura classica, soprattutto greca, come scrittore in latino, come difensore e cultore del volgare, come storico famoso. Ricercò e studiò codici di antichi scrittori, specialmente greci, li corresse, li tradusse e le traduzioni di Demostene, di Eschine, di Senofonte, di Plutarco, di Basilio, di Platone, di Aristotele, furono accolte con molto favore, perché tutte intese a far rivivere il pensiero antico nell'esattezza originaria e nell'eleganza della veste latina. Il suo epistolario latino (L. Bruni Arretini Epistolarum libri VIII, Firenze 1741; M. Lehnerdt, Zu den Briefen des L. Bruni von Arezzo, in Zeitschr. f. vergleich. Literat., n. s., V, 1892) è uno dei più interessanti del tempo, anche perché permette di valutare le sue relazioni di umanista coi principali letterati e con personaggi cospicui. La sua filosofia è un eclettismo, inteso a conciliare, smussando gli angoli delle proposizioni antitetiche, le dottrine dei filosofi greci sotto il predominio di un blando aristotelismo (cfr. specialmente l'Isagogicon moralis disciplinae). Il suo culto per il volgare e per i grandi trecentisti è dimostrato dai Dialogi ad P. Histrum, che rappresentano una giusta e solenne ritrattazione dei disprezzatori di quello e di questi, modellata sullo schema del De Oratore di Cicerone; dalle vite di Dante e del Petrarca, dalle orazioni e da minori composizioni in volgare. La Vita di Dante è notevole per alcune nuove informazioni storiche cui la critica dantesca, anche recentissima, mostra di fare buon viso. Il suo volgare, libero da preconcetti umanistici è di sapore trecentesco e vi confluiscono, senza sforzo, l'elemento classico e il popolareggiante.
Il B. esplicò la sua maggiore attività nelle opere storiche. Sono rimaneggiamenti di opere greche: a) il Commentarius de bello punico, pubblicato nel 1421, pedissequa imitazione, criticatagli dai contemporanei, di Polibio, importante solo per essere il primo tentativo di completare la narrazione liviana; b) il Commentarius rerum graecarum, dove diluisce i fatti più notevoli delle Elleniche di Senofonte; c) il De bello italico adversus Gothos, inviato nel 1442 ad Alfonso d'Aragona, che è riduzione libera della Guerra gotica di Procopio. Hanno importanza storica di gran lunga maggiore: il Commentarius rerum suo tempore gestarum, pubblicato la prima volta a Venezia nel 1475 e più volte ristampato (ultimamente nella nuova ediz. dei Rerum Italicarum Scriptores del Muratori, per cura di C. di Pierro, XIX, III, Bologna 1926), e gli Historiarum Florentini populi libri XII, pubblicati la prima volta a Strasburgo nel 1610, ristampati a Firenze nel 1856-60, e criticamente nella nuova edizione dei Rerum Italicarum Scriptores del Muratori (per cura di E. Santini, XIX, 111, Città di Castello 1914, con l'indice alfabetico e cronologico a cura di L. Fanti, Bologna 1926). Nel Commentarius il Bruni narra i fatti principali della sua vita trascorsa in mezzo alle occupazioni politiche, sullo sfondo degli avvenimenti d'Italia dal 1378 al 1440, abilmente collegati fra loro in un latino elegante, anche se non sempre perspicuo, con calore e vivacità di rappresentazione. Le Historiae Florentini populi tengono conto degli avvenimenti esterni, ma anche dei fatti riguardanti la costituzione interna della città, dalle origini al 1404, e sono la prima opera che meriti il nome di storia fiorentina. Il Bruni vi si dimostra ricercatore paziente di ricordi, di memorie, di cronache, alcune non giunte sino a noi, critico oculato quanto nessun altro prima di lui. La lingua è la latina, elegante e chiara, senza vane sovrabbondanze, ma non sempre l'autore riesce, nonostante la sua abilità, a ritrarre con essa l'intimo colorito del tempo. La Signoria diede l'incarico della traduzione in italiano a Donato Acciaiuoli e in questa veste la storia del Bruni ebbe larga diffusione nel Rinascimento (Venezia 1473, 1476, 1485, Firenze 1492, Venezia 1561).
Bibl.: C. Monzani, Di L. Bruni Aretino, in Archivio Storico Italiano, n. s., V (1857), parte 1ª e 2ª; A. Gherardi, Alcune notizie intorno al L. B. e alle sue Storie Fiorentine, s. 4ª, XV (1885); G. Monteleone, Di L. B. Aretino e le sue opere, Sora 1901 (di scarso valore); D. Marzi, La cancelleria della Repubblica fiorentina, Rocca S. Casciano 1910, pp. 188-98 e passim; F. Beck, Studien zu L. B., Berlino e Lipsia 1912, nel fasc. 36 delle Abhandl. z. mittleren u. neueren Gesch.; K. Wotke, Beiträge zu L. B. aus A., in Wiener Studien, XI (1889); F. P. Luiso, Commento a una lettera di L. B. e cronologia di alcune sue opere, in Raccolta di studi critici in onore di A. D'Ancona, Firenze 1901; E. Santini, Firenze e i suoi oratori nel Quattrocento, Palermo 1922, p. 176 segg. I Dialogi ad Petrum Histrum furono quasi nello stesso tempo pubblicati da G. Kirner, Livorno 1889, da Th. Klette, Greifswald 1889 (nel secondo dei Beiträge zur Gesch. u. Literatur der ital. Gelehrtenrenaissance) e da K. Wotke, Praga-Vienna-Lipsia 1889; cfr. V. Rossi, nel vol. misc. Dante e l'Italia, Roma 1921; P. Toynbee, G. Manetti, L. B. and Dante's Letter to the Florentine, in Modern Languages Review, XVI (1919). Per la filosofia del B., F. Tocco, L'"Isagogicon moralis disciplinae" di L. B. aretino, in Archiv. f. Gesch. der Philosophie, I (1892); G. Gentile, La filosofia, in Storia dei generi letterari, Milano, pp. 225-29, 239-56; J. Freudenthal, L.B. als Philosoph, in Neue Jahrbucher f. das klass. Altertum, XXVIII (1911); A. Birkenmajer, Der Streit des Alfonso von Cartagena mit L. B. Aretino, in Beiträge zur Gesch. der Philosophie des Mittelalters, XX, Münster in W. 1922; E. Santini, L. Bruni Aretino e i suoi "Historiarum florentini populi libri XII", in Annali della R. Scuola Normale Sup. di Pisa, XXII (1910), pp. 1-174; id., La fortuna della Storia Fiorentina di L.B. nel Rinascimento, in Studi storici, XX (1891), pp. 177-195; id., La produzione volgare di L. B. e il suo culto per le tre corone fiorentine, in Giorn. Stor. della Lett. italiana, LX (1912), pp. 289 segg.