Bruni, Leonardo
Nato ad Arezzo tra il 1370 e il 1375 e morto a Firenze nel 1444, fu insigne umanista, artefice di nuove ed eleganti traduzioni latine dal greco (tra le maggiori: da Platone, Aristotele, Senofonte, Plutarco), autore di un ricco epistolario e di numerose e significative opere per la maggior parte in lingua latina, di genere biografico, dialogico, retorico-politico, trattatistico e storico. Tra queste ultime, gli Historiarum Florentini populi libri XII (iniziati nel 1415 e terminati nel 1442) costituiscono l’atto fondativo della nuova storiografia umanistica e si impongono per novità di impostazione, metodo filologico e uso di fonti documentarie, come anche per finalità politico-ideologiche e celebrative. B., accolto nella cerchia del cancelliere Coluccio Salutati, ne raccolse a partire dalla Laudatio Florentinae urbis (1403-1404) l’eredità di alfiere del cosiddetto Umanesimo civile fiorentino, rivendicante il primato di Firenze quale erede moderna della Roma repubblicana, la Florentina libertas e le pretese di legittimazione e sovranità su cui si fondava il nuovo Stato territoriale. Tra il 1405 e il 1415 (con un breve intervallo nel 1410-11) con l’incarico di segretario apostolico fu a Roma e presso la curia pontificia; tornato a Firenze ottenne la cittadinanza fiorentina nel 1416. Intellettuale autorevole e organico vicino all’oligarchia dominante nel primo Quattrocento, fu nominato cancelliere nel 1427, incarico che mantenne con grande prestigio fino alla morte; abile uomo di governo, tanto da poter passare senza danno dalla Firenze albizzesca al nuovo regime di Cosimo nel 1434, ricoprì negli ultimi anni anche alcune importanti cariche cittadine. Gli Historiarum Florentini populi libri XII di B. ebbero un crisma di solenne ufficialità: l’opera venne conservata nel Palazzo della Signoria, insieme con le Pandette, e per consentirne una più ampia ricezione fu disposta per pubblica commissione fin dal 1442 la traduzione in volgare. Quest’ultima venne realizzata solo dopo la morte di B. a opera di Donato Acciaiuoli. M. dovette senz’altro avvalersi del volgarizzamento (a stampa dal 1476) di cui rimangono nelle Istorie fiorentine documentabili riprese, mentre non ci sono riscontri per la redazione latina, rimasta manoscritta fino al 1610.
Il nome di B., unitamente a quello di Poggio Bracciolini, è fatto a chiare lettere nel proemio delle Istorie con una duplice funzione, programmatica e polemica.È infatti sulla base dell’insoddisfazione procuratagli dalla lettura dei due «eccellentissimi istorici» (§ 1), come li definisce con ironia, che M. dichiara di aver mutato l’iniziale proposito di cominciare la narrazione dal 1434, cioè dalla progressiva ascesa al potere dei Medici. Volendo infatti procedere imitandone «ordini e modi» per ottenere maggiormente l’approvazione di coloro che l’avrebbero letto, li aveva trovati «diligentissimi» solo nella descrizione delle guerre dei fiorentini; al contrario
delle civili discordie e delle intrinseche nimicizie, e degli effetti che da quelle sono nati, averne una parte al tutto taciuta e quell’altra in modo brevemente descritta, che ai leggenti non puote arrecare utile o piacere alcuno (§ 2).
L’ex Segretario colpisce così non soltanto l’opera storiografica, con le relative connotazioni di ufficialità, dei due famosi cancellieri che l’avevano preceduto, ma la stessa eredità della loro autorevole immagine: accusandoli di avere fatto questo
o perché parvono loro quelle azioni sì deboli che le giudicorono indegne d’essere mandate alla memoria delle lettere, o perché temessero di non offendere i discesi di coloro i quali, per quelle narrazioni, si avessero a calunniare. Le quali due cagioni […] paiono al tutto indegne di uomini grandi: perché, se niuna cosa diletta o insegna, nella istoria, è quella che particularmente si descrive; se niuna lezione è utile a cittadini che governono le repubbliche, è quella che dimostra le cagioni delli odi e delle divisioni delle città, acciò che possino, con il pericolo d’altri diventati savi, mantenersi uniti (§§ 3-4).
Se, in termini generali, l’accusa appare più motivata nei confronti dell’opera di Bracciolini, il vero e maggior bersaglio è costituito dalla storia bruniana. Questo è dimostrato anche da un duplice riecheggiamento polemicamente allusivo: da un lato per quanto concerne l’utilità della storia per coloro che governano, che smentisce quanto affermato da Acciaiuoli riguardo all’opera di B. nella dedica alla signoria, dall’altro in relazione al proemio dello stesso B. in rapporto a ciò che è degno o no di memoria da parte degli scrittori. Alle presunte grandi gesta dei fiorentini – culminanti nel primo Quattrocento nell’acquisto di Pisa, definita allusivamente da B. nel proemio una ‘nuova Cartagine’ – e alla loro memorabilità, si contrappone in M. il tema cruciale delle lotte civili, che, lungi dal fare di Firenze la seconda Roma, mette a nudo l’anomalia della città patria, non «contenta» come «la maggior parte delle altre repubbliche delle quali si ha qualche notizia» (§ 6) d’una sola divisione, ma affetta da molte e continue disunioni, generantesi le une dalle altre. Tema cardine della sua riflessione politica, le lotte civili nella peculiarità assunta nell’ambito della storia fiorentina e le loro conseguenze – tanto incisive nei «tanti mali» quanto rivelatrici, come mezzo di contrasto, della potenza reale e virtuale della città – sono poste da M. come fondamento essenziale della materia dell’opera, dunque come fulcro della memorabilità della storia narrata e punto focale della polemica con i predecessori: «Non so io pertanto cognoscere quale cagione faccia che queste divisioni non sieno degne di essere particularmente descritte» (§ 13). Così, risolto il primo corno del dilemma in merito al comportamento di «quegli nobilissimi scrittori», M. ritorna sul secondo, liquidando con un giudizio sferzante il loro agire, nel caso fosse stato causato dal non voler «offendere la memoria di coloro di chi eglino avevono a ragionare» (§ 14). M. dichiara dunque di avere, per le ragioni suddette, mutato proposito e deciso di iniziare la narrazione «dal principio della nostra città» (§ 15). Il cruciale anno 1434 viene così fatto apparire come lo spartiacque non della storia di Firenze, ma del modo di narrarla: prima di tale data l’autore si sarebbe dedicato solo alle «cose seguite drento alla città», non essendo sua intenzione «occupare i luoghi d’altri», come sottolinea ironicamente; dal 1434 avrebbe invece scritto «particularmente l’una e l’altra parte» (§ 16). La polemica contro i due predecessori risulta dunque funzionale anche a evitare che la dominazione medicea divenisse l’oggetto privilegiato della nuova storia di Firenze, da cui la narrazione di M. dovesse prendere inizio: cosa che avrebbe posto l’autore in una situazione non facile nei confronti della committenza. Le ragioni soggettive di opportunità si vengono così a saldare con le ben più rilevanti motivazioni concettuali, che individuano nel tema delle civili discordie, cui è strettamente correlato quello degli «ordini», la chiave interpretativa con cui vagliare l’intera storia fiorentina fino alla crisi della Repubblica e all’ascesa dei Medici. Come più volte osservato, il giudizio di M. sulla scarna presenza riservata da B. alle interne disunioni corrisponde solo in parte alla realtà del testo dell’umanista. A partire dai rimbrotti di Gaetano Salvemini (Magnati e popolani in Firenze dal 1280 al 1295, 1899, pp. 197-98), si è posta la questione del reciso disconoscimento machiavelliano e dell’ingeneroso abbinamento, in ciò, a Bracciolini (cfr., anche per i principali riferimenti bibliografici, Sasso 1993). A parte la radicalità del giudizio, certo non insolita in M., e le ragioni polemiche relative all’impianto e alle prospettive generali dell’opera di B., ciò che emerge dalla sua denuncia è la sottrazione del significato concretamente individuato degli eventi (il non narrare «particularmente»), nella loro realtà effettuale e nell’identità dei soggetti agenti (il non fare memoria dei «nomi»): una scelta ideologica (antitradizionalistica) e politica da parte di B. (cfr. R. Fubini, Storiografia dell’Umanesimo in Italia da Leonardo Bruni ad Annio da Viterbo, 2003, pp. 93-207 e Ianziti 2012) entro una chiave interpretativa per M. tanto inattuale nella distanza cronologica quanto non condivisibile sul piano storico-politico. Tra le motivazioni di fondo del giudizio è stata avanzata (Najemy 1978) la voluta sottrazione da parte di B. del ruolo determinante svolto dalle Arti nella dinamica sociale della storia fiorentina: snodo cruciale nel III libro delle Istorie.
Dopo quanto detto nel proemio, il nome dei due predecessori non ricorre più. Mentre per Bracciolini ciò corrisponde a un’effettiva e quasi totale assenza, le cose stanno molto diversamente per quanto concerne Bruni. Il confronto analitico con il citato volgarizzamento dell’opera bruniana evidenzia che la riscrittura ex novo della storia di Firenze nei libri II e III delle Istorie ha specificamente nell’opera di B. sia il contraltare antagonistico sia l’effettivo punto di riferimento, nel ruolo di fonte o in quello, tutt’altro che secondario, di costruzione del racconto e traccia narrativa. Proprio quest’ultimo elemento, emergente anche quando la materia sia tratta da altra fonte, testimonia che M. ha scritto questa parte delle Istorie muovendo dal testo di B. e operando su di esso per la propria riscrittura, che si attua, a seconda dei contesti, in diversi modi: per opposizione, integrazione o rielaborata ripresa. Le modalità del procedimento machiavelliano non sono le stesse nel II e nel III libro, ma mutano in relazione alla materia oggetto di narrazione e alle differenti connotazioni, nelle sue diverse parti, della storia bruniana. Il denominatore comune ai due libri delle Istorie è dato dalle funzioni assunte dall’opera dell’umanista come elemento prezioso di riorganizzazione in un contesto unitario del frammentato racconto cronachistico, di una o più cronache, a loro volta fonti in tutto o in parte anche di M.: contesto, oltre che interamente secolarizzato, sottoposto al vaglio di una disamina critica delle motivazioni e dei rapporti di causalità tra gli eventi, fungendo anche in questo da filtro rispetto al racconto dei cronisti e da terreno di riflessione e discussione. Inoltre dal punto di vista formale e letterario l’opera di B. fornisce il termine di confronto della scrittura umanistica della storia esemplata sui modelli classici e volta a una funzione retorico-politica, di cui l’oratio ficta è uno dei moduli ricorrenti: una lezione ben presente a M., che scarta invece l’andamento annalistico, adottato da B. a partire dal II libro, nel quale ha inizio la vera e propria narrazione della storia fiorentina, aperta programmaticamente nel I dalla fondazione romana in età repubblicana.
M. disloca interamente nel II libro le fasi iniziali della storia di Firenze dalla fondazione (sui mutati presupposti cfr. Cabrini 2001, anche per la bibliografia pregressa) e ne narra per significativi nuclei, tra loro correlati, i successivi sviluppi fino al termine della guerra contro l’arcivescovo di Milano (1353). Tranne che per quest’ultima vicenda si tratta del-l’arco cronologico compreso nella storia di B. dal libro II alla prima parte del VII: libri che, a loro volta, avevano avuto l’intento di ripercorrere con una radicale riscrittura e una mirata selezione la Cronica di Giovanni Villani, monumentale caposaldo della tradizione cittadina. La cronaca del mercante fiorentino (insieme con quella, successiva, di Marchionne di Coppo Stefani) torna a essere per M. fonte indispensabile per trarne la viva e dettagliata materia della storia cittadina, le cui connotazioni, soprattutto per i fatti più tumultuosi o scabrosi, sono nell’opera di B. intenzionalmente sfumate e scorciate, più di una volta rimosse o, come nel caso più clamoroso, quello dell’omicidio di Buondelmonte nel 1215 – primo e grave inizio delle discordie civili, secondo la concorde tradizione fiorentina –, altrove dislocate in modo da circoscriverne del tutto la portata. Il ripristino dunque dell’ordine cronologico per tale evento, posto anzi da M. come inizio del racconto vero e proprio della storia fiorentina (che per B. si incardinava invece nel 1250, con la costituzione di primo popolo, posta a fondamento della Florentina libertas), non solo sigla nelle Istorie il percorso che l’autore intende compiere e il cui filo rosso sono, come affermato nel proemio, le civili discordie, ma ha un indubbio significato oppositivo nei confronti dell’umanista (cfr. Sasso 1993). La riscrittura di M. è condotta nel II libro mediante una lettura parallela dell’opera di B. e delle cronache: realizzata tramite una complessa ricomposizione e rielaborazione a intarsio, richiede un esame analitico perché ne vengano individuate e valutate le componenti. Tra alcuni dei più significativi punti di riscontro con B. in relazione ai fatti interni o alle loro ripercussioni si possono citare la costituzione di primo popolo (iv-vi), l’istituzione del gonfaloniere di giustizia (xii-xiii), le contese tra Cerchi e Donati (xviii), le azioni dei fuorusciti durante la guerra contro Castruccio (xxvii) e, per quanto riguarda i personaggi, Farinata, Giano e Corso Donati. Inoltre l’indubbia semplificazione adottata da B. nel riscrivere il complesso quadro sociale della Firenze due-trecentesca presentato dai cronisti, dallo storiografo umanista sostanzialmente ricondotto alla polarizzazione tra nobili e popolo, può avere in qualche misura inciso come tramite anche sulla lettura machiavelliana delle stesse cronache. Per quanto concerne il III libro delle Istorie, la divaricazione si fa più vistosa rispetto ai corrispondenti ultimi cinque libri del testo bruniano, in misura prevalente dedicati alla politica estera e culminanti nell’epico affresco della lotta contro Gian Galeazzo Visconti, mentre parallelamente si riducono e assumono un crescente tasso di reticenza e ambiguità i resoconti delle vicende interne. A B. rimane qui soprattutto, oltre che la funzione di contraltare polemico, il ruolo di riferimento per quanto concerne l’assetto unitario entro il quale nella sua opera sono ricomposte le fila della narrazione a fronte di un ulteriore e rilevante segmentarsi della tradizione cronachistica. Tra gli elementi più interessanti di riscontro si rilevano: l’impostazione relativa alla guerra degli Otto Santi (vii), il giudizio sull’azione di Salvestro de’ Medici (x), la rappresentazione della figura di Michele di Lando (xvi-xvii) e aspetti salienti del racconto relativo al regime di Giorgio Scali e Tommaso Strozzi (xix-xx).
Se, in relazione alle Istorie, il confronto con il B. storiografo consente di rilevarne e valutarne, in positivo e in negativo, la presenza in M., meno chiaramente definibile è la consistenza del lascito della complessiva eredità di B. nella Firenze repubblicana di fine Quattrocento-inizio Cinquecento e nell’ambito della cerchia degli Orti Oricellari. Su questi aspetti, anche in relazione a M., l’esito del dibattito, che ha investito soprattutto le molto discusse tesi di Hans Baron (cfr. in partic. Baron 1988), rimane ancora aperto.
Bibliografia: J.M. Najemy, Arti and Ordini in Machiavelli’s Istorie fiorentine, in Essays presented to Myron P. Gilmore, ed. S. Bertelli, G. Ramakus, 1° vol., Firenze 1978, pp. 161-91; G.M. Anselmi, Ricerche sul Machiavelli storico, Pisa 1979; A.M. Cabrini, Per una valutazione delle Istorie fiorentine. Note sulle fonti del secondo libro, Firenze 1985; N. Rubinstein, Machiavelli storico, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia», 1987, 17, pp. 695-733; H. Baron, In search of Florentine civic Humanism. Essays on the transition from medieval to modern thought, Princeton 1988; A.M. Cabrini, Interpretazione e stile in Machiavelli. Il terzo libro delle Istorie, Roma 1990; G. Sasso, Niccolò Machiavelli, 2° vol., La storiografia, Bologna 1993; Renaissance civic Humanism: reappraisals and reflections, ed. J. Hankins, Cambridge 2000; A.M. Cabrini, Un’idea di Firenze. Da Villani a Guicciardini, Roma 2001; R. Fubini, Politica e pensiero politico nell’italia del Rinascimento. Dallo Stato territoriale al Machiavelli, Firenze 2009; G. Ianziti, Writing history in Renaissance Italy: Leonardo Bruni and the uses of the past, Cambridge (Mass.) 2012.