Leonardo da Vinci
Pittore, architetto, scienziato (Vinci, Firenze, 1452 - castello di Cloux, presso Amboise, 1519).
Figlio illegittimo del notaio ser Piero, di Vinci, si stabilì dal 1469 a Firenze, dove nel 1472 era già iscritto alla Compagnia dei pittori. Nel 1482-83 è a Milano alla corte di Ludovico il Moro. Qui egli svolse intensa attività di pittore, e di ingegnere militare. Questo periodo fu il più fecondo di opere compiutamente realizzate e di altre riprese in seguito. In partic. L. poté approfondire i propri studi scientifici e intraprenderne di nuovi, nel campo sia della fisica sia delle scienze naturali. La sconfitta di Ludovico il Moro (16 marzo 1500) costrinse L. a lasciare Milano. Partì per Venezia, fermandosi lungo il viaggio a Mantova, alla corte di Isabella d’Este, dove venne accolto con grande favore e ricevette richieste di opere di pittura. Nell’apr. del 1500 lasciò Venezia, dove aveva compiuto studi per apprestamenti difensivi, e ritornò a Firenze, dove si dedicò alla pittura, ma più spesso dette «opra forte ad la geometria». Dal maggio 1502 al maggio 1503 rimase lontano da Firenze, quasi sempre al servizio del duca Valentino (Cesare Borgia). Vari appunti di L. di questo periodo testimoniano suoi viaggi a Urbino, a Rimini, a Cesena, a Pesaro, a Cesenatico e in altre città delle Marche e della Romagna, dove egli studiò porti, problemi di idraulica, fortificazioni. A questo periodo appartengono gli originalissimi contributi di L. alla cartografia, al rilievo e alla descrizione dei luoghi. Ritornato a Firenze si occupò ancora, per P. Soderini, di pittura, di questioni militari e di canalizzazioni, a scopo sia pacifico sia militare (alcuni progetti arditi e utopistici sono tuttavia impressionanti per la lucidità della progettazione), e incominciò a studiare il volo degli uccelli e le leggi dell’idraulica; ordinò i suoi appunti secondo quella che sempre più si precisa come una visione d’insieme, in una concezione altamente originale delle «forze prime» attive nella natura. Amareggiato per l’incomprensione degli artisti e dei mecenati fiorentini verso il suo impegno di ricercatore, L. nel 1505 tornò di nuovo a Milano, nel marzo del 1508 a Firenze, e di nuovo a Milano nel sett. dello stesso anno. A questo periodo risalgono studi sulla navigazione fluviale, ricerche anatomiche e botaniche. Nel 1513 fu chiamato a Roma da Giuliano de’ Medici, ma si vide escluso dalle grandi opere (i progetti per S. Pietro e la decorazione del Vaticano). Nel 1517 si rifugiò in Francia presso Francesco I, che gli diede residenza nel castello di Cloux presso Amboise e gli elargì una pensione annua come premier peintre, architecte et mechanicien du roi. L. aveva con sé alcuni quadri, una «infinità di volumi» di appunti e, benché impedito da paralisi alla mano destra, attendeva con passione agli studi di anatomia e a progetti di architettura. Impressionanti testimonianze di quest’ultimo periodo sono i disegni in cui è immaginata la fine del mondo, evento fantastico in cui operano con terribile bellezza le forze della natura.
L. non ha lasciato opere sistematiche, ma una larga messe di appunti, che contengono intuizioni geniali nei più vari campi scientifici (dall’anatomia all’ottica, dalla geologia all’astronomia, dall’idraulica alla meccanica), e che hanno grandissima importanza sul piano filosofico-epistemologico. Dalle riflessioni di L. risulta chiaramente che egli anticipa concezioni elaborate successivamente da Galileo, da Bacone e da Cartesio. In primo luogo, nell’indagine scientifica egli rifiuta il principio di autorità («Chi disputa allegando l’autorità, non adopra l’ingegno ma piuttosto la memoria»); qualunque ricerca deve incominciare con l’esperienza, per cercare di tradurre in termini di necessità ciò che nell’esperienza appare come contingente («Prima farò alcuna esperienza, avanti ch’io oltre proceda, perché la mia intenzione è allegare prima l’esperienza, e poi con la ragione dimostrare perché tale esperienza è costretta in tal modo ad operare»). L’indagine scientifica procede quindi in questo modo: l’esperienza offre la materia dell’indagine, la ragione rileva in essa quella necessità «che è freno e regola eterna della natura», la matematica è lo strumento che ci permette di esprimere le ragioni, ossia le leggi, che governano la natura («Nessuna umana investigazione può dimandarsi vera s’essa non passa per le matematiche dimostrazioni»). L. stabilisce così un nesso essenziale tra esperienza sensibile e conoscenza matematica, e concepisce quest’ultima come la sola disciplina capace di rappresentare la «necessità», ossia le leggi degli accadimenti naturali.
Biografia