Leonardo da Vinci
Leonardo (Vinci 1452 - Amboise 1519), è una delle figure più note nella storia della civiltà umana: il suo nome è, per antonomasia, sinonimo di genio, non solo in italiano, ma in molte altre lingue del mondo. La fama di genio, meritata ma anche ingigantita, ha favorito l’attenzione per le sue invenzioni e per le sue realizzazioni artistiche, ma ha spesso costituito un ostacolo all’analisi profonda del suo sistema scientifico e artistico, delle tradizioni in cui si innesta, dell’ambiente culturale in cui matura.
Fra gli elementi a lungo trascurati va considerata la costante attenzione di Leonardo per la lingua, un ambito in cui è stato anche inventore, appoggiandosi, come per molte sue invenzioni, sulla solida base di partenza costituita da quell’ambiente fertile di artisti-ingegneri che operarono nella Toscana della seconda metà del Quattrocento, tra i quali spiccano ➔ Leon Battista Alberti e Francesco di Giorgio Martini.
Lo studio dei testi leonardiani è reso difficile dalla particolare natura degli scritti, riconducibili a una stratificazione di appunti convergenti in un unico grande libro (Vecce 1993: 109-110). La produzione scritta di Leonardo si caratterizza da un lato come forma di registrazione, propria delle scritture private, e dall’altro come forma testuale di tradizione artistico-ingegneresca, propria dei taccuini e dei codici di appunti diffusi tra Quattro e Cinquecento. Solo con gli anni Leonardo sembra porsi in modo più netto il problema del destinatario, lasciando tracce di una sua progettualità nella direzione del trattato, del libro per usare le sue parole: di pittura, delle acque, di meccanica, di anatomia, ecc.
In questa opera unica, le pagine tecnico-scientifiche si mescolano a quelle letterarie (spesso legate alla tradizione popolare, ma anche a quella letteraria, da Luigi Pulci a Benedetto Dei, in forma di favole, facezie, dialoghi, discorsi), filosofiche, autobiografiche (con brevi note che assimilano ancora di più la natura degli scritti leonardiani ai libri di ricordi di ambito mercantesco; ➔ mercanti e lingua). L’eterogeneità di questa opera aperta è tale che vi si mescolano termini tecnici provenienti dalle più svariate discipline (matematica, geometria, architettura, meccanica, anatomia, geografia, cosmografia, idraulica, fisica, ecc.; e poi pittura, scultura, ecc.). Risulta quindi difficile analizzarne a fondo la lingua, perché è necessario conoscere bene i molteplici sottocodici e i registri pertinenti (Altieri Biagi 1998: 75 e 81).
Va poi considerata la particolare collocazione sociolinguistica di Leonardo. Come hanno osservato Marinoni (1944-1952: vol. 1°, 74-75) e Altieri Biagi (1998: 79), Leonardo appartiene alla classe culturale che ➔ Benedetto Varchi definì dei «non idioti», vale a dire le persone colte, ma non ‘letterate’ di professione. Leonardo fa parte infatti di quello «strato culturale intermedio» (Maccagni 1996) di esponenti del mondo della tecnica, della scienza e delle arti, che, formati e plasmati al tramonto delle artes mechanicae medievali, si assumono il difficile compito di iniziare una nuova forma di cultura in volgare e testimoniano il vigore di lingue speciali ancora fluide, fondate sul linguaggio delle botteghe artistiche e artigiane, ma consolidate con il recupero (almeno parziale) della componente dotta complementare e necessaria, utilizzata sia per il contenuto che per la forma.
Leonardo ha lasciato tracce della sua riflessione linguistica in varie pagine dei suoi manoscritti. Particolarmente significative sono due note, che corrispondono, secondo lo stile frammentario che lo caratterizza, a rapide pennellate che disegnano il contorno. La prima è quella, celebre, in cui traccia il suo profilo sociolinguistico con chiarezza e precisione estremamente moderne, dichiarando esplicitamente la sua appartenenza alla fascia culturale intermedia: «So bene che per non essere io litterato, che alcuno presuntuoso gli parrà ragionevolmente potermi biasimare coll’allegare io essere omo sanza lettere» (Leonardo da Vinci 1975-1980: c. 327v).
La seconda è quella in cui descrive il volgare evidenziando la sua potenzialità come strumento di comunicazione tecnico-scientifica:
I’ ho tanti vocavoli nella mia lingua materna, ch’io m’ho piuttosto da doler del bene intendere le cose che del mancamento delle parole colle quali io possa bene esprimere il concetto della mente mia (Leonardo da Vinci 1980-1985: c. 62v).
La consapevolezza delle potenzialità del volgare è però affiancata dall’esigenza di estendere la propria competenza anche alla lingua dotta. Di questo recupero Leonardo lascia traccia nella costellazione di materiali linguistici che testimoniano lo sforzo autodidattico di acquisire i rudimenti della grammatica latina e di ampliare il repertorio lessicale di registro alto (Marinoni 1944-1952; Altieri Biagi 1998). Particolarmente interessanti sono le liste di latinismi presenti nel codice Trivulziano (circa 8000 parole) e in alcune carte dell’Atlantico (con rarissime tracce in altri manoscritti), che servono a Leonardo per assimilare la componente lessicale dotta che manca alla sua formazione e che integra e completa il repertorio volgare, soprattutto per quanto riguarda gli astratti (come emisperio, equinozio, molla cocleale; cfr. Biffi 2008: 134-135).
In piena sintonia con quanto emerge dalle riflessioni metalinguistiche sparse nelle carte, la lingua di Leonardo coincide con il fiorentino del suo tempo (Manni 2008b: 16; Manni 2008a: 7-8), anche se non mancano intromissioni settentrionali legate al suo soggiorno milanese. Da un punto di vista sintattico si riscontrano alcune caratteristiche vicine all’oralità e un andamento spesso dialogico della trattazione, che si inserisce pienamente nella tradizione di questa tipologia di scrittura tecnica. I settori più interessanti sono però senza dubbio quelli del lessico e dell’organizzazione testuale.
Nel campo artistico e tecnico, il volgare materno di Leonardo può avvalersi della ricca ed espressiva terminologia delle botteghe artigiane dove egli si è formato, ma, in altri settori, a questo serbatoio lessicale si affianca quello della tradizione medievale, di derivazione greca e latina, ma anche araba, come nel caso dei termini dell’anatomia (come parte silvestra «parte esterna», meri «esofago», fucili «coppia di ossa della gamba o del braccio», ecc.; cfr. Altieri Biagi 1998: 81-85).
Ma il volgare materno può anche essere plasmato a piacimento per riempire i vuoti lessicali, con l’invenzione di termini precisi sulla base del più antico e universale metodo di creazione di nomenclature tecniche: la metafora, l’attribuzione di un nuovo significato a una parola d’uso comune, sulla base dell’analogia di funzione o di forma, seguendo il metodo che sarebbe poi stato sistematizzato da ➔ Galileo Galilei per la lingua scientifica. Prendendo come esempio il campo della meccanica, si hanno così la maestra (che indica un congegno, o parte di un congegno sperimentale, per misurare l’attrito tra vite e madrevite e anche un utensile per la filettatura delle viti), il servitore (un dispositivo di bloccaggio di una ruota dentata), la serpe (un elemento di forma ricurva del meccanismo di carica di un’arma da fuoco).
Per la maggior parte il lessico tecnico di Leonardo è del resto costituito da un numero ristretto di termini, molti dei quali comuni: una sorta di ‘lessico di base’ formato da mattoni semplici, che costituiscono l’ossatura della sua lingua tecnico-scientifica. Per la meccanica si hanno, per es.: manico, polo, canale, anello, ferro (inteso come «asta di ferro»), legno («pezzo di legno»), rota / ruota, carrello, corda, rocca, rocchetta, rocchetto, molla, vite, lieva, catena.
L’efficacia di questo lessico è a volte garantita dall’aggiunta di un aggettivo che qualifica l’elemento meccanico in modo più specifico, creando quella che diviene una vera e propria polirematica: lieva falcata, lieva materiale, lieva spirituale. Ma nella maggior parte dei casi è resa funzionale dalla presenza del disegno: quasi mai, infatti, si tratta di una lieva, di un legno o di una rota, ma della lieva k, del legno a o della rota n, con quegli specifici lieva, legno, rota individuati in modo sicuro dalle lettere di richiamo nella figura relativa al brano più o meno esteso che la descrive (Biffi 2008: 132-134).
Il punto centrale e nodale dell’esposizione di Leonardo è infatti il disegno, di cui non si può non tener conto nel descrivere e analizzare la sua lingua tecnico-scientifica: quasi sempre si parte dal disegno, e il testo non è che una spiegazione funzionale di quanto l’immagine rappresenta (e questo vale soprattutto per le sezioni tecniche e pratiche).
Anche nei casi in cui il testo verbale rappresenti la parte preponderante del suo linguaggio (nelle sezioni più scientifiche, teoriche), Leonardo tende comunque ad appoggiarsi all’immagine (una tendenza, questa, condivisa da tutta la trattatistica tecnico-scientifica coeva). Per questo le scelte lessicali sono anche collegate alla struttura testuale: i testi leonardiani sono sempre tarati sulla pagina, ed è difficilissimo che si estendano da una carta all’altra; se lo fanno, si tratta quasi sempre di un passaggio dal verso al recto della successiva (e quindi di un semplice allargamento dello specchio di scrittura). Se lo spazio della pagina non basta, Leonardo infittisce le sue note, aggiungendo ‘finestre’ di testo su parti della pagina rimaste libere, nelle più svariate direzioni. Il testo di Leonardo si presenta quindi come quello che, in termini contemporanei e con le opportune approssimazioni, si potrebbe definire un ipertesto multimediale.
Naturalmente questi ingredienti sono mescolati in proporzioni diverse a seconda degli specifici ambiti disciplinari: maggiore è la presenza del lessico della tradizione delle botteghe all’interno di quei settori con più forte tradizione (architettura, pittura), mentre maggiore è il peso specifico del lessico innovativo là dove la tradizione è meno consolidata o maggiori sono le innovazioni tecniche e concettuali apportate da Leonardo: in certi settori della meccanica, nello studio del moto delle acque (Altieri Biagi 1998: 92-95), ma anche nella pittura, quando la speculazione teorica e tecnica approda a scoperte fortemente radicali e innovative (si pensi alla prospettiva aerea «restituzione corporea della profondità dello spazio realizzata con lo sfumato», che Leonardo pone alla base del suo sistema pittorico).
Un discorso a parte merita la fortuna della lingua tecnica di Leonardo, condizionata certamente dalla limitata diffusione dei suoi testi (a parte il Libro di pittura, ‘ricostruito’ però a posteriori da Francesco Melzi – l’allievo a cui Leonardo aveva lasciato per testamento, insieme ai disegni, anche «tutti et ciascheduno li libri» – e pubblicato nel 1651, a Parigi, con il titolo Trattato della pittura di Lionardo da Vinci, per cura di Raphael du Fresne). I sondaggi fin qui effettuati sul lessico tecnico leonardiano mostrano un’interessante linea di continuità con il lessico delle botteghe tecnico-artigiane di tradizione medievale, che si prolunga fino agli artisti e scienziati cinque-seicenteschi, da Giorgio Vasari a Cosimo Bartoli, da Galileo Galilei e Filippo Baldinucci; mentre scompare la lingua più innovativa, per la quale le attestazioni leonardiane risultano pressoché uniche nella stragrande maggioranza dei casi (Manni & Biffi 2010).
e-Leo. Archivio digitale per la consultazione dei manoscritti rinascimentali di storia della tecnica e della scienza (‹http://www.leonardodigitale.com›), banca dati realizzata dalla Biblioteca Leonardiana di Vinci.
Leonardo da Vinci (1975-1980), Il Codice Atlantico della Biblioteca Ambrosiana di Milano, trascrizione diplomatica e critica di A. Marinoni, Firenze, Giunti Barbèra, 12 voll.
Leonardo da Vinci (1980-1985), Corpus degli studi anatomici nella Collezione di Sua Maestà la Regina Elisabetta II nel Castello di Wind-sor, a cura di K.D. Keele & C. Pedretti, trascrizione critica di P.C. Marani, Firenze, Giunti, 3 voll.
Altieri Biagi, Maria Luisa (1998), Sulla lingua di Leonardo, in Ead., Fra lingua scientifica e lingua letteraria, Pisa, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, pp. 75-95.
Biffi, Marco (2008), La lingua tecnico-scientifica di Leonardo da Vinci, in Prospettive nello studio del lessico italiano. Atti del IX congresso della Società Internazionale di Linguistica e Filologia Italiana (Firenze, 14-17 giugno 2006), a cura di E. Cresti, Firenze, Firenze University Press, 2 voll., vol. 1º, pp. 129-136.
Maccagni, Carlo (1996), Cultura e sapere dei tecnici nel Rinascimento, in Piero della Francesca tra arte e scienza. Atti del Convegno internazionale di studi (Arezzo, 8-11 ottobre 1992; Sansepolcro, 12 ottobre 1992), a cura di M. Dalai Emiliani & V. Curzi, Venezia, Marsilio, pp. 279-292.
Manni, Paola (2008a), Percorsi nella lingua di Leonardo: grafie, forme, parole. XLVIII lettura Vinciana (Città di Vinci, 12 aprile 2008), Vinci, Comune; Firenze, Giunti.
Manni, Paola (2008b), Riconsiderando la lingua di Leonardo. Nuove indagini e nuove prospettive di studio, «Studi linguistici italiani» 34, pp. 11-51.
Manni, Paola & Biffi, Marco (2010), Glossario leonardiano. Nomenclatura delle macchine nei codici di Madrid e Atlantico, Firenze, Olschki.
Marinoni, Augusto (1944-1952), Gli appunti grammaticali e lessicali di Leonardo da Vinci. Milano, Castello Sforzesco, 2 voll. (vol. 1º, L’educazione letteraria di Leonardo; vol. 2º, Testo critico).
Vecce, Carlo (1993), Scritti di Leonardo da Vinci, in Letteratura Italiana. Le opere, diretta da A. Asor Rosa, Torino, Einaudi, 4 voll., vol. 2º (Dal Cinquecento al Settecento), pp. 95-124.