COMICI, Leonardo Emilio
Nato a Trieste da Antonio, operaio in un cantiere navale, e da Regina Cartago il 21 febbr. 1901, subito dopo gli studi medi, nel 1916, era entrato a lavorare come impiegato nei magazzini generali del porto. Appassionato fin dall'adolescenza di pratica sportiva, si dedicò alla esplorazione speleologica, segnalandosi tra quei giovani che dall'inizio degli anni '20 conducevano, destinandovi il tempo libero, una sistematica indagine del sottosuolo carsico, nelle file della Associazione XXX Ottobre e della Società alpina delle Giulie.
Il C. era stato assiduo del ricreatorio Pitteri, promosso dalla Lega nazionale a organizzazione e difesa di italianità tra i giovani, e lì aveva avuto modo di fare attività fisica. Poiché era vietata la frequenza dopo il compimento dei 15 anni, con altri "vecchi" aveva fondato il 2 dic. 1918, con sede nel ricreatorio stesso, l'Associazione sportiva XXX Ottobre (il 30 ott. 1918 Trieste si era proclamata libera dall'Austria). L'anno dopo, in seno all'associazione, si era costituito un gruppo speleologico, attrezzatosi col contributo dei soci stessi e qualche aiuto del Governo militare italiano. Nel libro sezionale il programma è di mano del C.: "Da oggi la nostra attività non avrà più carattere sportivo; uniremo alle nostre esplorazioni i rilievi planimetrici, contribuiremo al coordinamento del catasto grotte, provvederemo a dare relazione delle osservazioni che faremo sui fenomeni carsici. La "XXX Ottobre" dunque, farà vera speleologia..." (in Durissirni, in Alpinismo eroico, p. 173). In queste righe era già tutto il C.: la costante tensione a vedere nello sport non l'aspetto agonistico, ma la base per un impegno alla indagine e conoscenza della realtà, oggettiva e soggettiva. Oltre alla rilevazione di c. ottocento abissi e inghiottitoi, si deve al C. e ai suoi compagni il primato di profondità del tempo, il fondo a m. 500 del Bus de la Lume, una grotta dell'altipiano del Cansiglio, raggiunto il 12-13 ott. 1926, dopo un'esplorazione iniziata in aprile.
Prestava intanto servizio militare: chiamato nel 1922, era congedato l'anno dopo, soldato nel genio radiotelegrafisti. Rarefece ben presto, per abbandonarla nel 1928, l'esplorazione sotterranea e di profondità - che all'interesse sportivo del C. dovette configurarsi quasi come un alpinismo alla rovescia - per l'arrampicamento all'aria aperta e d'altezza. Se la montagna, con la suggestione paesaggistica e l'effetto di luci e colori, offriva ora al C. un fascino irreversibile, fu però l'esplorazione sotterranea, con le ricerche pazienti e faticose e lo snervante e cauto procedere nelle tenebre, a sviluppargli la calma e la padronanza assoluta di sé.
Nella nuova attività aveva compiuto la prima ascensione di rilievo il 5 ag. 1925, con Giulio Benedetti, sulla parete est del Campanile Villaco, che riteneva inviolata, aprendo in realtà una variante al primo tracciato del 1921. Due sue prime ascensioni sul versante nord del Jof Fuart, alla cima Innominata per la gola nord-est con Gino Razza il 17 agosto del 1927, e per. la parete nord alla cima di Riofreddo con Giordano Bruno Fabjan l'8 ag. 1928, lo collocarono tra i protagonisti dell'alpinismo giuliano. Sempre nel Jof Fuart apriva altre due nuove vie, anch'esse di quinto grado: il 29 giugno 1929 con Fabjan alla cima di Riofreddo per lo spigolo nord, e il 7 sett. 1930 con Mario Cesca percorrendo la Cengia degli Dei lungo i versanti del gruppo. Il 6 luglio precedente, con Fabjan, Riccardo Deffar e Mario Orsini, aveva compiuto la spettacolare ascensione della parete ovest del Cimon del Montasio.
Aveva esteso la sua attività anche sulle Dolomiti venete. Con Domenico Rudatis il 4 ag. 1928 aveva compiuto due prime ascensioni, alla Cima degli Aghi e alla Cima del Bancon, nel gruppo del Civetta. L'anno seguente aveva poi risolto diversi problemi ascensionistici del gruppo del Sorapis: il 9 giugno, con Giorgio Brunner, il canalone ghiacciato nord; il 16 agosto, con Fabjan, lo Zurlon con nuovo accesso al circo; il 24 agosto, sempre con Fabjan, il Dito di Dio per la parete nord-ovest; il 25 agosto, con Sevenno Casara, Fabjan, Emmy Hartwich e Mario Salvadori, la Croda del Valico; per culminare, il 26-27 agosto, con Fabjan, nelle due nuove vie, una in salita e l'altra in discesa, sulla parete nord delle Tre Sorelle, che fu la prima scalata italiana di sesto grado, e raccolse la stima dell'alpinismo internazionale.
Nello stesso 1929 fondava con altri il Gruppo alpinisti rocciatori sciatori (GA RS), sezione triestina del Club alpino italiano, e all'interno di questo, la Scuola di roccia della Val Rosandra. Altre fondamentali prime ascensioni furono, il 2-3 ag. 1930, con Fabjan e Piero Slocovich, la parete nord-ovest della Cima di Mezzo della Croda dei Toni; notevole per l'eleganza del tracciato e le difficoltà di sesto grado, il 4-5 ag. 1931 la direttissima sulla parete nord-ovest del Civetta, con Benedetti; e il 29 luglio 1932, con Salvadori, la Torre del Diavolo nei Cadini di Misurina in diretta dal Vallone della Neve.
In questo periodo, dopo esitazioni dovute ai suoi limitati mezzi economici, il C. maturò la decisione di lasciare l'impiego cittadino, trasferirsi in montagna e intraprendere il mestiere di guida. Dai primi del 1932 si stabilì così a Misurina (Belluno), dove rimase fino alla fine del '38, poi a Selva di Val Gardena (Bolzano), dove comprò il terreno per la casa.
Alla base c'era la sua concezione dell'attività alpinistica non come dilettantismo o competizione, ma come una scelta di vita e di cultura, come professione e vocazione. C'era, inoltre, il suo atteggiamento morale, improntato a serietà e coerenza, a spirito più meditativo che fattivo, alla disponibilità e solidarietà umana, del tutto alieno da quella passione ed esaltazione del rischio e del pericolo che erano allora negli anni del fascismo la retorica ufficiale, e che erano state ed erano l'etica dell'alpinismo acrobatico germanico. C'era però anche una inconciliabile contraddizione tra il suo rapporto di lavoro dipendente e l'impegno alpinistico. I rigidi vincoli di orario e frequenza al lavoro, nel quadro del basso livello delle paghe e degli stipendi dell'epoca, e degli scarsi collegamenti e infrastrutture, oltre a limitare l'attività ascensionistica alle sole pause libere e festive ed a contenuti tempi di trasferimento, rendevano troppo diretta la dipendenza dai contrattempi meteorologici della montagna. L'alpinismo, e specie l'arrampicamento, erano ancora squisitamente elitari, ristretti non tanto e solo a persone e categorie economicamente abbienti, ma che avessero autonomia di gestione del proprio tempo.
Come guida - fu la prima d'origine cittadina - era poco interessato al lato venale del mestiere, e permissivo con la concorrenza: il nuovo lavoro era occasione a fare - cosa a lui.connaturale - l'insegnante e l'educatore. Unanimemente apprezzato per il carattere tranquillo, modesto, equilibrato, e la perfetta gentilezza e grande dignità, ebbe straordinaria prudenza e cura instancabile per i clienti, verso i quali la sua disponibilità arrivò a coinvolgerne molti nelle sue prime ascensioni. Oltre che ovviamente nelle Dolomitì, fece scalate nel gruppo del monte Bianco, nelle montagne di Zermatt e del Delfinato, nel gruppo della Jungfrau, nelle Alpi di Stein, nei Tauri; tra il 1934 e il '37, sempre come guida, fece prime ascensioni, in montagne della Iugoslavia, Francia, Spagna, Grecia, Egitto. Dal 1935 al '39 - i corsi furono sospesi con lo scoppio della guerra - fu chiamato, da una settimana ad un mese e più l'anno, come istruttore della Scuola centrale militare di alpinismo di Aosta in varie zone delle Alpi, dalle Tre Cime di Lavaredo al Brenta, dal Sassolungo al Gran Paradiso.
A quella di guida affiancava l'attività di maestro di sci, ottimo tecnicamente, paziente, perseverante, metodico, che esercitò oltre che a Misurina, a San Martino di Castrozza (Trento), a Sestriere ed a Claviere (Torino), a Limone Piemonte (Cuneo), nell'Arlbérg (Tirolo). Proprio per questa seconda attività si era stabilito a Selva di Val Gardena, dove alla fine del '38 gli era stata affidata la direzione della Scuola nazionale di sci, e del cui Comune dal 10 gennaio del 1940 (Comune di Selva, Anagrafe) egli fu podestà amato e rispettato.
Il 13-14 ag. 1933 il C. compì una prima ascensione che ebbe vastissima risonanza ed enorme ammirazione per le difficoltà al limite del possibile, ma anche ridestò le ultime polemiche per l'uso di mezzi artificiali: quella della parete nord della Cima Grande di Lavaredo, con le guide cortinesi Angelo e Giuseppe Dimai. A questa seguì, iniziato il 2 e ripreso il 7 settembre, l'altro sesto grado, con Mary Varale e Renato Zanutti, dello Spigolo Giallo nel lato sud della Cima Piccola. Il lato nord di questa Cima fu poi affrontato dal C. con Piero Mazzorana il 17-18 ag. 1936, per la via di sesto grado dello spigolo nord-ovest.
Con Mazzorana e Sandro Del Torso 1'8-9 sett. 1936 saliva sul Dito di Dio, nel gruppo del Sorapis, per la parete nord. Il 28 giugno 1937, con Casara, saliva la Cima d'Auronzo, nel gruppo della Croda dei Toni, per la parete sud. Ma l'impresa che destò un vero e proprio stupore nell'ambiente alpinistico dell'epoca fu la ripetizione, il 2 settembre di quell'anno, in solitaria e impiegando l'inverosimile tempo di tre ore e tre quarti, della parete nord della Cima Grande di Lavaredo. Il 28-29 agosto del 1940, con Casara, compì dalla parete nord la prima ascensione di un torrione (il Salame, poi Campanile Comici) di circa 400 metri di eccezionale difficoltà, nel gruppo del Sassolungo. Morì il successivo 19 ott. 1940, mentre stava istruendo nella Scuola di roccia in Vallunga di Gardena, presso Selva (Bolzano): precipitò per il cedimento del cordino causato da un difetto interno. Il 16 marzo 1941 gli veniva concessa - alla memoria - la medaglia d'oro al valore atletico del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), la cui proposta era rimasta bloccata tre anni.
Nei quindici anni di attività il C. fu, con R. Cassin, G. Gervasutti, C. Giliberti e pochi altri, tra quei protagonisti di valore internazionale che in modo determinante permisero l'acquisizione e lo sviluppo in Italia del grande livello cui era arrivato, proprio nell'area dolomitica, l'alpinismo acrobatico tedesco a ridosso della prima guerra mondiale, nell'arrampicamento libero con Paul Preuss, e nell'arrampicamento con mezzi artificiali con Hans Dülfer e poi, dopo la parentesi della guerra, con Emil Solleder (primi sesti gradi, nel 1925, con la parete nord della Furchetta e la parete nord-ovest del Civetta). Il C. partiva da una preparazione ginnastica e attrezzistica di grande livello e curata fin da ragazzo, e da un allenamento fisico e psichico di vari anni nell'arrampicamento in grotta al chiuso e al buio; possedeva, inoltre, eccezionali doti di autoperfezionamento. Se ebbe una estrema padronanza della tecnica dell'arrampicamento libero, riscoprendo istintivamente lo stile leggero ed elastico di Preuss al quale fu infatti paragonato, in realtà si mosse, anche qui però riscoprendole e sviluppandole, nell'area della lezione e della cultura di Dülfer.
Nell'ambito di quella che possiamo chiamare fase di arrampicamento libero o, meglio, fase di arrampicamento senza l'uso di mezzi artificiali, il C. sviluppò in modo estremo la tecnica "per contrasto". Intanto nell'uso delle gambe, introdusse spaccate di grande ampiezza. Poi, nell'arrampicamento per fessura, accanto al "sistema Dülfer" (corpo di fianco al monte, mani in trazione su un bordo della fessura, piedi in spinta sull'altro bordo) introdusse il suo sistema (corpo frontale, staccato dal monte e arcuato, gambe in ampia spaccata, mani ciascuna su un bordo in trazione laterale e contraria), che permetteva l'utilizzazione di fessure minime. Infine, derivandolo da questo, sviluppò l'arrampicamento "per pressione": posizione frontale e molto staccata dal monte, per ottenere, mediante l'impostazione ad arco del corpo, la pressione e l'aderenza delle punte dei piedi su appigli inclinati e del tutto minimi o sulla sola rugosità della roccia; accentuando l'arcuamento del corpo e contemporaneamente la spinta in fuori e in alto di piedi e gambe, era possibile utilizzare per le mani o le dita anche appigli rovesci, afferrandoli dal di sotto. Diventavano così percorribili passaggi prima insuperabili. In seguito, questa sua tipica impostazione del corpo avrà molte critiche. In realtà, sarà resa inutile dall'abbandono della convenzione morale a limitare il più possibile l'uso dei chiodi di progressione, e dalla comparsa di nuovi mezzi (chiodi a espansione e a pressione, perforatore).
Nella fase di arrampicamento con l'uso di mezzi artificiali il C. curò come base l'impiego razionale dei chiodi e delle corde per l'assicurazione, e la connessa tecnica del "saper cadere" dall'appiglio. Nell'uso in discesa della corda doppia, al "sistema Dülfer" o "a bretella" sostituì la più semplice corda doppia con cordino e moschettone alla gamba e traversa semplice di frenaggio alla spalla, altrettanto sicura della prima ma molto più veloce. Per lo spostamento laterale e diagonale, in parete, al "sistema Dülfer" (o "traversata alla corda") preferì la traversata a due corde manovrate in trazione alterna nei chiodi e moschettoni, ed eventuali staffe. Da questa tecnica sviluppò quella per il superamento dei "soffitti", fino allora ostacolo insormontabile: chiodi di sostegno e progressione, spinta dei piedi e trazione delle mani sugli appigli (quindi corpo aderente orizzontalmente al soffitto) per diminuire il carico sul chiodo, manovra di progressione a trazione alterna delle due corde nei moschettoni, staffe di spinta e raddrizzamento in uscita, cordino di servizio e di ritorno.
Questa continua ricerca tecnica fu svolta dal C. in oltre seicento scalate, un centinaio delle quali prime ascensioni o vie nuove o varianti. A quelli già ricordati, si possono aggiungere alcuni altri momenti importanti del suo arrampicamento. Il Montasio, per la gola del Vert Montasio il 10 giugno 1928 con Bruimer e Deffar, e in invernale per la cresta il 6 marzo 1929 con Brunner; il Piz Popera per la parete ovest il 31 ag. 1929 con Fabjan; la Torre Mazzeni l'8 sett. 1029 con Orsini; l'invernale da sud del Cridola il 15 febbr. 1930 con Brunner; la Cima dei Tre Scarperi per il canalone ovest con Brunner e Fabian il 15 apr. 1930, e il Campanile Innominato del gruppo del Rinaldo nelle Dolomiti di Sappada, con Fabjan e Ovidio Opiglia, il 29 successivo; la Torre nord dell'Alberghetto il 6 luglio 1931, la Torre Armena in variante per la parete nord l'11 seguente, e la Cima della Beta il 14, tutte nelle Pale di S. Martino e con Brunner; lo Zuccone Campelli (Prealpi Bergamasche) per fessura il 28 maggio 1931 con la Varale, Mario Dell'Oro e Cassin; la Torre Grigna il 2 giugno successivo ed il 4 la Torre per la parete est, nelle Grigne, con la Varale e Augusto Corti; il Corno d'Angolo del Popera per lo spigolo nord con Del Torso il 20 sett. 1933; la parete sud della Punta di Frida della Cima Piccola di Lavaredo il 2 ag. 1934 con Fabjan, Vittorio Cottafavi e Gianfranco Pompei; la Torre Grande di Falzarego per la parete sud il 26 luglio 1934 con Del Torso e Tutino Steel, e la Torre Piccola di Falzarego per lo spigolo sud-ovest con la Varale e Del Torso il 10 agosto; la Torre Comici in Val di Suola nelle Alpi Carniche con Del Torso e Zanutti il 13 luglio 1936; la parete nord del Secondo Campanile di Popera, con Arturo Dalmartello, il 24 ag. 1939.
L'insieme delle norme su cui per il C. doveva fondarsi la pratica dell'arrampicamento si realizzava compiutamente nel suo stile, che era caratterizzato da una progressione ritmica e fluida, di pausa e di scatto senza strappi, con movimenti mai violenti ma armoniosi ed elastici: una continua ideazione critica trasformata in movimento. "La prima cosa che si deve curare nell'arrampicamento, è lo stile" (in Alpinismo eroico, p. 138). Del C. fu spesso osservato che arrampicava come se danzasse. "Io intendo l'alpinismo soprattutto come arte... come, per esempio, la danza o, se vuoi, l'arte del violino... Perché se sei padrone assoluto della tecnica dell'arrampicare, puoi facilmente dare espressione ai tuoi sentimenti, proprio come nella musica e nella danza" (in Joza Lipovec, in Alpinismo eroico p. 213); "... saper ideare la via più logica e elegante per attingere una vetta... è una vera e qualche volta stupenda opera d'arte..." (in Casara, L'arte..., p. 6). Nel C. sono espressioni ricorrenti. Importante, non era raggiungere la vetta ad ogni costo, ma raggiungerla secondo un tracciato ideale - la via della goccia cadente - e arrampicandosi in modo elegante e sicuro. E questa sua concezione dell'arrampicamento come interpretazione e creazione artistica si finalizzava nella elaborazione di modi e di esperienza da comunicare. Ciò che rende, infatti, dominante e isolata la figura del C. nella storia dell'alpinismo italiano tra le due guerre "è il netto distacco della sua attività alpinistica dall'arrampicamento puramente atletico" (Berti, p. 43), è l'inscindibilità della sua attività dalla funzione didattica. Che si esplicò, oltre che nelle stesse ascensioni, e nell'opera di guida, di istruttore, di animatore di scuole e palestre di roccia, in un agile manuale per maestri di sci dal livello didattico e psicopedagogico notevole per l'epoca, negli articoli e relazioni, e specialmente nelle conferenze alle quali faceva da supporto una vasta e sistematica sequenza di fotografie (poi anche cortometraggi) a studio ed esemplificazione di problemi ascensionistici. E in questo il C. è veramente un personaggio chiave. Se con pochi altri impersonò la conclusione del classico arrampicamento libero e l'inizio del moderno arrampicamento artificiale, fu però il primo ad attuare, nel periodo dell'avviato e qualitativamente predominante alpinismo senza guida, la trasformazione del mestiere di guida in quello nuovo di istruttore e maestro di alpinismo.
Fonti e Bibl.: Importanza primaria ha B. Comici, Alpinismo eroico, 2 ediz. aggiornata, Bologna 1961.La prima parte raccoglie relaz., artic., confer. e l'incompiuto Manuale dell'arrampicatore del C., le cui pagine, unitamente alla conferenza sulla Tecnica e psicologia dell'arrampicamento, sono fondamentali per capire la sua concez. dell'alpinismo. La seconda parte raccoglie articoli di saggio e commem., e, in fine, l'elenco delle Prime ascensioni note di E. C., con la relativa bibl. alpinistica. Sostituisce la precedente edizione (Milano 1942), curata da una Commissione naz. per le onoranze a E.C. del C.A.I. (cui risale il titolo alla Cozzani), per distruzione bellica non più nel catalogo Hoepli, dalla quale differisce nella parte commemorativa: non dà testimonianze sul C. maestro di sci, né sulla sua passione e cultura musicale. Il manuale per maestri di sci si veda nell'ediz., prefata da E. Fasana e da questo titolata E. Comici Con me, a scuola di sci (con cinquantuno esercizi e VIII tavv.), Milano 1945, anch'essa non più nel catal. Hoepli. Si v. anche E. Comici, Berge, Klettern. Ein Leben, eine Kunst, München 1963. Notevole importanza hanno, di S. Casara, L'arte di arrampicare di E. C., Milano 1957, con centoventiquattro lettere del C. e del Casara, e 342 tavv. quasi tutte document. ed esemplificazione fotografica della tecnica del C., e Il vero arrampicatore, Milano 1972. Notizie sul C. e sue scalate anche, sempre di S. Casara, in Arrampicate libere sulle Dolomiti, Milano 1950, e Al sole delle Dolomiti, ibid. 1955. Notizie come il presunto passaggio nel corpo degli alpini, richiami militari, ecc., non risultano né dal Foglio matricolare del Distretto militare di Trieste, né dall'Archivio della Scuola centrale militare di alpinismo di Aosta, dove non risultano neppure i servizi come istruttore, per i quali è fonte attendibile l'articolo del gen. G. Inaudi, E. C. e la Scuola centr. milit. di alpinismo di Aosta, in Alpinismo eroico, pp. 206 ss. Per la medaglia d'oro al valore atletico (n. 207), si veda il relativo registro presso la Bibl. sportiva nazionale del CONI a Roma. Molti articoli sul C. in vita, apporsi in quotidiani e periodici a larga diffusione, sono in genere a sensazione; se hanno contribuito alla sua fama, ma anche a nette ostilità, ne crearono però una immagine distorta, incentrati sul tecnicismo acrobatico e sul rischio, aderenti all'ideologia sportiva del fascismo, della quale in realtà e non del C. sono documento. Per un essenziale quadro dell'alpinismo di quegli anni si v., tra gli altri, C.-E. Engel, Storia dell'alpinismo (in app. M. Mila, Cento anni di alpinismo ital.), Torino 1965, ad Ind.; e nella Storia dell'alpinismo e dello sci, dell'Istituto geografico De Agostini, vol. I di G. P. Motti, Novara s. a. [1977], pp. 252-60 e passim. Per una inform. essenziale sul C. si vedano anche P. A. Sagramora, E. C., in Alpi Giulie [ed. dalla Soc. alpina delle Giulie], gennaio-luglio 1941; A. Berti, Le Dolomiti orientali, I, Milano 1950, pp. 42-46; E. Castiglioni, Guide ital. sui monti d'Africa, in Alpinismo ital. nel mondo, Milano 1953, p. 231; A. Garobbio, Uomini del sesta grado, Milano 1956, specie il cap. IV, La scalata come arte; T.Piaz, A tu per tu con le Alpi, Bologna 1966, pp. 197 ss.; M. Fantini, Italiani sulle montagne del mondo, Bologna 1967, pp. 298 s.