FIBONACCI, Leonardo (Leonardo Pisano)
Nacque a Pisa, nel quartiere di mezzo, verso il 1170, da Guglielmo della famiglia Pisana del Bonacci.
Tale famiglia risulta presente nella città fin dal sec. XI e aveva forse come capostipite un Bonito, morto ai primi del 1100, da quanto si desume da una carta di vendita dell'11 genn. 1109 (pubblicata da G. B. Mittarelli-A. Costadoni, Annales Camaldulenses Ordini sancti Benedicti, III Venetiis 1755-1760, col. 212, App., n. CXLVI). Bonito fu padre di Giovanni e di Bonaccio, che ebbe come figli Alberto, Guglielmo, padre del F., e quel "Mattheus de Bonaccis" che fece parte dei mille cittadini pisani scelti per giurare solenne pace ai Genovesi per ordine di Clemente III il 13 febbr. 1188 (F. Dal Borgo, Raccolta di scelti diplomi pisani, Pisa 1765, p. 125, col. 2). I primi biografi, come il Boncompagni, basandosi sull'incipit di codici contenenti opere del F., ritennero che il padre si chiamasse Bonaccio, finché G. Milanesi sulla base di uno strumento di compera, datato 28 ag. 1226, dimostrò che il nome del padre del F. era propriamente Guglielmo, e che questi aveva un altro figlio a nome Bonaccingo per conto del quale appunto, come suo procuratore, il F. comprò da Bartolomeo di Alberto di Bonaccio la dodicesima parte di un pezzo di terra con una torre ed altri edifici su di essa situati, posto un po' fuori della città di Pisa (Documento inedito sconosciuto intorno a Lionardo F., in Giornale arcadico, n.s. LII [1867] pp. 3-10). All'epoca del F. la cognominizzazione del nome dell'avo era definitivamente avvenuta.
Pochissimo sappiamo della vita del F. e quel poco si desume quasi unicamente dalle sue opere: nel proemio del Liber abaci egli stesso narra come nella fanciullezza il padre fosse stato inviato in qualità di "publicus scriba" (ufficio ragguardevole, interpretabile sia come cancelliere, sia come notaio sia come rappresentante del potere pisano nei porti di maggior rilievo commerciale) nella dogana della città di Bugia in Africa, e come qui si fosse fatto raggiungere dal figlio. A Bugia il F. era stato messo a studio di abbaco per alcuni giorni e aveva imparato a conoscere "le nove figure dei numeri usati dagli Indiani", e cioè le cifre arabiche. Dallo stesso proemio apprendiamo inoltre che, probabilmente per esercitare il commercio, egli si trovò a viaggiare in vari paesi: Egitto, Siria, Grecia, Sicilia e Provenza.
In tali viaggi egli accrebbe le sue conoscenze matematiche, arrivando a impossessarsi di tutto quanto si insegnava nelle diverse scuole di quei paesi. Sul finire del sec. XII fu anche a Costantinopoli, dove tenne dibattiti coi matematici del luogo; ciò è dimostrato da una quaestio contenuta nel cod. L. IV. 20 della Biblioteca comunale di Siena a c. 85, propostagli da un maestro costantinopolitano. Il F. fu anche in contatto con matematici e studiosi della corte di Sicilia, e nel luglio 1226 ebbe occasione di incontrare a Pisa Federico II, allorché l'imperatore fece sosta nella città salendo dalla Sicilia verso l'Italia centrale.
Nell'incontro l'imperatore avrebbe posto al matematico, attraverso il suo filosofo di corte maestro Giovanni da Palermo, problemi assai difficili a cui il F. avrebbe presentato, con ammirata meraviglia del sovrano, la soluzione in un suo libro. Certo è comunque che - al di là di quest'episodio - il F. rimase in contatto con i dotti della corte fridericiana: nelle sue opere vengono ricordati un maestro Teodoro, destinatario di una sua "epistola scientifica", e, soprattutto, Michele Scoto, astronomo ed astrologo di origine scozzese che nel secondo decennio del sec. XIII operava alla corte di Sicilia. E fu dietro invito ed incitamento dello Scoto che il F. pose mano alla rielaborazione del Liber abaci. Il F. ebbe anche rapporti con alti prelati della Curia pontificia, come è testimoniato dalla dedica del trattatello intitolato Flos al cardinale diacono di S. Maria in Cosmedin, Raniero Capocci, che, cultore di matematiche, gli aveva chiesto di raccogliere una serie di soluzioni di problemi concernenti l'aritmetica e la geometria. Alla stima e all'apprezzamento di personaggi di altissimo livello politico e sociale si affiancò la considerazione dei suoi stessi concittadini, al servizio dei quali, come si ricava da una memoria pubblicata da F. Bonaini (Memoria unica sincrona di L. F., Pisa 1858, pp. III-XIV), egli aveva svolto, sembra, compiti amministrativi. Nel documento conservato nell'Archivio di Stato di Firenze unitamente al Constitutum Pisanum legis et usus (secondo la revisione ordinatane nel 1233), al quale fu aggiunto nel 1241, quando era podestà del comune Ugolino di Ugone Rossi di Parma, si dispone una ricompensa di 20 libbre di denari annue per il lavoro che il F. sosteneva "in abbacandis estimationibus et rationibus" della sua città, servizio stimato altamente utile alla cittadinanza. La memoria ha altresì portato luce sul significato del soprannome "Bigollone" o "Bigollo" o "Bigolloso" con cui il nome del F. appare accompagnato in vari documenti, nonché negli incipit di alcune sue opere: esso non significa "bighellone", "sciocco", "scimunito", bensì, come hanno accertato il Bonaini e il Milanesi, "viaggiatore". Con ciò si spiegherebbe dunque la presenza dell'appellativo nel documento onorifico e negli incipit delle opere del Fibonacci.
Tali opere ci sono pervenute in numerosi manoscritti, individuati e pubblicati da B. Boncompagni. Il Liber abaci, che sembra essere la prima, è contenuto in molti codici attentamente descritti dal Boncompagni (Della vitae delle opere di L. Pisano, matematico del secolo decimoterzo, Roma 1852; Intorno ad alcune opere di L. Pisano matematico del secolo decimoterzo, ibid. 1854), e fu da questo studioso pubblicato secondo la lezione del codice Magliabechiano C.I., 2616, Badia Fiorentina, n. 73 (Scritti di L. Pisano matematico del secolo decimoterzo, I, Roma 1857, pp. 1-459). Nell'incipit si fa riferimento all'anno 1202 come data di composizione dell'opera, ma in realtà tutti i codici contengono una sua stesura riveduta posteriormente a questa data e, tutto sommato, nulla si sa della stesura originaria. Certo è tuttavia che essa fu conosciuta dai matematici dell'epoca, e molti anni dopo se ne conservava ancora il ricordo se, come lo stesso F. afferma nel proemio diretto a Michele Scoto, questi gliene aveva richiesto un rifacimento e se, proprio accogliendo la sua preghiera, il F. aveva provveduto nel 1228 a fare una revisione dell'opera. In essa, aggiunto il necessario che mancava e tolto il superfluo, egli offriva finalmente "plenain numeroruni doctrinam" seguendo il "modo" degli Indi che aveva riscontrato essere il migliore per la trattazione di questa scienza. Alla scienza dei numeri il F. affiancava poi quella geometrica, poiché appunto "arismetrica et geometria scientie sunt connexe, et suffragatorie sibi ad invicem". E citava in proposito la sua opera "de practica geometrie" composta precedentemente a questa revisione, nella quale aveva trattato della geometria in modo specifico e con un orientamento pratico, diverso dunque da quello eminentemente teorico del Liber. Il F. non manca tuttavia di sottolineare la necessità di unire alla conoscenza teorica la pratica del disegno geometrico per un completo possesso della disciplina matematica. Poiché, infatti, attraverso l'esercizio pratico si trasforma in habitus la scientia, e la memoria e l'intelletto concordano a tal Punto con le "mani" e le "figure" che quasi con un solo impulso e respiro, in un solo e medesimo istante, naturaliter concorrono in ogni caso verso un unico fine.
Il Liber abaci è suddiviso in quindici capitoli nei quali in primo luogo si offre una esposizione della numerazione posizionale araba (o indiana, come egli preferisce chiamarla). Si spiega poi il modo di eseguire le quattro operazioni sia con i numeri interi sia con quelli frazionari. Alcuni capitoli sono significativamente dedicati alla soluzione di problemi commerciali relativi alla vendita e acquisto di merci, al baratto, alle società, alle monete; altri illustrano il metodo di estrazione di radici quadrate e cubiche, le progressioni, le regole del tre ed altre ancora. Nel capitolo quindicesimo, considerato il più importante per la storia della matematica, il F. espone il suo "trattato di algebra".
Con il termine "algebra" egli traduceva l'espressione araba di al-giabr wa I- muqābala "restaurazione e opposizione", indicandosi con ciò le operazioni del trasporto di un termine da un membro all'altro di un'uguaglianza e della riduzione dei termini simili. Di particolare rilievo per la storia della matematica sono state considerate le formule per la soluzione delle equazioni di secondo grado dimostrate, secondo il metodo degli antichi, con costruzioni geometriche, e tutta una serie di problemi risolvibili attraverso equazioni e sistemi di equazioni riducibili al secondo grado. Le accurate ricerche del Boncompagni sull'Arismetrica Leonardi portano a ritenere che quest'opera sia da identificarsi con il Liber abaci. La seconda delle opere del F. in ordine cronologico reca il titolo Pratica geometriae ed è stata pubblicata dal Boncompagni secondo la lezione del codice Urbinate 292 della Biblioteca apostolica Vaticana a Roma nel 1862 (B. Boncompagni, La Pratica geometriae di L. Pisano secondo la lezione del codice Urbinate nº 292 della Biblioteca Vaticana, in Scritti..., II, pp. 1-224). Secondo l'incipit l'opera è stata composta nel 1220, ed è dedicata a Domenico Ispano, l'amico astrologo, coetaneo di Guido Bonatti. Con essa il F. intende fornire un completo insegnamento ("perfectum documentum") a tutti coloro che desiderino trovare le dimensioni dei corpi, sia attraverso dimostrazioni geometriche sia secondo l'uso volgare ("laicali more"). Divisa in otto parti, l'opera offre le regole della misurazione, con anche indagini algebriche. In particolare essa inizia con definizioni di concetti geometrici, come punto, superficie, angolo, triangolo, quadrangolo, per poi procedere con la trattazione delle radici, tanto quadrate che cubiche, accompagnate dalle relative operazioni; tratta poi delle regole di misurazione di lunghezze, aree, volumi e angoli delle figure piane, senza tuttavia trascurare il "modus vulgaris" che l'agrimensore deve seguire per effettuare le sue misurazioni delle altezze, delle profondità e delle longitudini dei vari tipi di superfici. Anche qui infine emerge il valore pratico e commerciale che il F. attribuiva alla scienza matematica e si trovano risolti o, per lo meno, impostati, come già nel Liber abaci, un gran numero di problemi "curiosi": sono indicati rapporti di misure e monete in uso presso i diversi popoli e vi si trova una chiara menzione delle lettere di cambio. Della Pratica geometriae venne fatto un volgarizzamento nella prima metà del sec. XIV col titolo Savasorra, libro di geometria che abbracciava le prime quattro parti dell'opera, con evidente orientamento pratico. Del 1225 è un altro degli scritti del F. intitolato Liber quadratorum, rimasto incompiuto e a lungo dato per perduto, fino a che non fu scoperto e pubblicato dal Boncompagni insieme con altri due opuscoli (Opuscoli di L. Pisano secondo la lezione di un codice della Biblioteca Ambrosiana di Milano contrassegnato E- 75- Parte Superiore, in Scritti..., II, pp. 227-283). Occasione alla stesura del Liber quadratorum, composto secondo la testimonianza dell'incipit nel 1225, fu una quaestio sul numero quadrato postagli da Giovanni Panormita alla presenza di Federico II nel palazzo di Pisa (la circostanza è indicata dallo stesso F. nell'introduzione rivolta al sovrano). Poiché Federico passò nella città toscana nel mese di luglio del 1226, l'indicazione del 1225 contenuta nell'incipit si lascia comprendere con riferimento al calendario pisano. L'opuscolo trae origine dal problema di trovare un numero quadrato tale che, aggiungendovi o togliendovi 5, rimanga sempre un quadrato, problema che il F. risolve, diffondendosi poi nella trattazione delle molte proprietà dei numeri quadrati e fra i numeri quadrati. Un'altra opera del F., pure pubblicata dal Boncompagni, reca il titolo Flos super solutionibus quarundam questionum ad numerum et ad geometriam vel ad utrumque pertinentium. L'opuscolo, dedicato a Raniero Capocci, cardinale diacono di S. Maria in Cosmedin, risolve una serie di problemi anch'essi in parte proposti al F. da Giovanni Panormita, in Pisa, alla presenza dell'imperatore. In esso sono sostanzialmente raccolti una serie di problemi e relative soluzioni di cui l'autore si era occupato in tempi diversi. Le questioni principali sono le seguenti: se si trova un numero cubico che con i suoi due quadrati e dieci radici dà il numero 20, questione che il F. considera come la più difficile e la cui soluzione ritiene fondata sul libro X di Euclide che egli appunto commenta; "De tribus hominibus pecuniam communem habentibus"; "De quinque numeris reperiendis ex proportionibus datis"; "Da quatuor hominibus et bursa ab eis reperta"; "De quatuor hominibus bizantios habentibus"; "De quatuor hominibus qui invenerunt bizantios"; "Quaestio similis suprascripte de tribus hominibus". Segue ancora un'epistola a un "Magistrum Theodorum phylosophum domini Imperatoris", De avibus emendis secundum proportionem datam, in cui, secondo il Lazzarini, sono contenute prime tracce dell'analisi indeterminata; una "quaestio", De compositione pentagonjs equilateri in triangulum equicrurium datum, e varie altre. Nella soluzione di questi problemi l'autore mostra un grande acume nell'esprimerli in forma di equazione ed usa numerosi artifici per dedurre da tali relazioni i numeri richiesti; per le eliminazioni adotta metodi di sostituzione e di paragone e distingue con nomi diversi le varie incognite, introducendo talora incognite ausiliari. Il F. escogita altresì regole per risolvere equazioni a qualsivoglia numero di incognite e non trascura di arrivare al suo scopo utilizzando soluzioni negative; particolarmente importante è stata considerata dagli storici della matematica la soluzione offerta al primo quesito relativo al reperimento di un numero cubico, esprimibile in forma di una equazione completa di terzo grado, che dimostra una profonda conoscenza delle proprietà e del calcolo delle quantità irrazionali. Al F. spetta, infine, di avere per primo, in quest'opera, ottenuta la risoluzione approssimata di equazioni complete di grado superiore al secondo. A questa stessa materia è dedicato anche l'ultimo degli opuscoli pubblicati dal Boncompagni, Questio mihi proposita a magistro Theodoro domini Imperatoris phylosopho (in Scritti..., II, pp. 279-283).
Null'altro sappiamo, allo stato attuale delle ricerche, della vita del Fibonacci. Il luogo e la data di morte non sono noti. Ma si può presumere che il F., ancora contabile del Comune attorno al 1240 con un salario annuo di 20 libbre e vitto (Bonaini), sia morto a Pisa dopo questa data, onorato e vecchio.
Fonti e Bibl.: Oltre ai testi citati nel corso della voce, si vedano: Ricordi di ser Perizolo da Pisa, dall'anno 1422 fino al 1510, a cura di F. Bonaini, in Arch. stor. italiano, VI (1845), pp. 385-396; G. B. Guglielmini, Elogio di L. Pisano, Bologna 1813, pp. 34, 37, 224-227; P. Cossali, Origine, trasporto in Italia, primi progressi in essa dell'algebra, I, Parma 1797-99, pp. 125-145; G. Libri, Histoire des sciences mathématiques en Italie, II, Paris 1838, pp. 29-44; B. Boncompagni, Della vita e delle opere di L. Pisano matematico del secolo decimo terzo..., in Atti dell'Accad. Pont. de' nuovi Lincei, V (1852), pp. 1-91, 208-246; Id., Tre scritti inediti di L. Pisano..., Firenze 1854; Id., Intorno alla risoluzione delle equazioni simultanee..., in Ann. di scienze mat. e fisiche..., VI, 1855, pp. 135-155; A. Genocchi, Intorno a tre scritti inediti di L. Pisano..., ibid., pp. 115-120; Id., Intorno ad alcuni problemi trattati da L. Pisano nel suo Liber quadratorum..., ibid., pp. 186-209, 251-259; Id., Sopra tre scritti inediti di L. Pisano pubblicati da B. Boncompagni, ibid., pp. 161-185, 218-251, 173-320, 345-362; M. Lebesque, Sur un probléme traité par Léonard de Pise dans son Flos, et relatif à une équation de troisième degré…, ibid., VI, pp. 155-160; B. Boncompagni, Opuscoli di L. Pisano, Firenze 1856; M. F. Woepke, Recherches sur plusieurs ouvrages de Léonard de Pise..., in Atti dell'Accad. Pont. de' nuovi Lincei, X (1857), p. 237; M. Steinschneider, Les ouvrages du Prince Boncompagni concernant l'histoire des sciences mathém. Notice bibliogr., Roma 1859, p. 4; M. Cantor, Vorlesungen über Geschichte der Mathematik, II, Leipzig 1899, pp. 3-53; É. Lucas, Recherches sur plusieurs ouvrages de Léonard de Pise..., in Bull. di bibl. e di storia delle scienze mat. e fisiche, X (1877), pp. 129-193; M. Cantor, Mathematische Beitraege zum Kulturleben der Voelker, Halle 1863, pp. 341 ss.; M. Lazzarini, L. F., le sue opere e la sua famiglia, in Bull. di bibl. e di storia delle scienze mat. e fisiche, n.s., VI (1903), pp. 98-102; VII (1904), pp. 1-7; S. Günther, Geschichte der Mathematik, I, Leipzig 1908, pp. 268 ss.; G. Loria, Guida allo studio della storia delle matematiche, Milano 1916, pp. 51, 63, 97; L. Thorndike, Vatican Latin Manuscripts in the History of Science and Medicine, in Isis, XIII (1929-30), p. 93; Id., History of magic and experimental science, New York 1931, II, pp. 148, 315; E. Kantorowicz, Kaiser Friedrich der Zweite, Berlin 1931, 13 pp. 1483 315; 113 pp. 623 81, 149 ss.; I. Baldelli, Di un volgarizzamento pisano della Practica Geometrie, in Riv. di cultura class. e medioevale, VII (1965), pp. 74-92; G. Arrighi, La matematica del Rinascimento in Firenze. L'eredità di L. Pisano e le "Botteghe d'Abaco", in Cultura e scuola, V (1966), 18, pp. 287-294; P. Freguglia, Osservazioni sul procedimento di L. Pisano per la determinazione di π, ibid., XIII (1974), pp. 209-221; A. Bausani, F. e gli "arabi", ibid, XXII (1985), pp. 254-262.