MARINI, Leonardo
– Nacque nell’isola egea di Chio nel 1509, da Battista, nobile genovese del ramo dei marchesi di Casalmaggiore e Castelnuovo Scrivia nel Ducato di Milano.
Entrato giovanissimo nel convento di S. Domenico di Chio, il M. compì gli studi a Bologna, dove, conseguiti i gradi accademici, si distinse per l’abilità nell’insegnamento e nella gestione di diversi incarichi in seno all’Ordine. Trasferitosi a Genova, fra il 1547 e il 1549 fu priore di S. Maria di Castello. Predicatore eloquente e fine diplomatico, s’impose all’attenzione di Paolo III, che lo avrebbe consacrato vescovo nel 1549 nominandolo coadiutore del vescovo ordinario di Perugia e vescovo in pectore destinato alla successione in quella sede. La morte del pontefice, tuttavia, impedì che la nomina avesse seguito. Le capacità del M. non erano però ignote a Giulio III, che lo nominò vescovo di Laodicea in partibus e suffraganeo a Mantova (5 marzo 1550) su espressa richiesta di Ercole Gonzaga, titolare di quella diocesi, del tutto assorbito, suo malgrado, dagli impegni della corte ducale.
Il Gonzaga nutriva grande stima per il M., con cui forse aveva studiato a Bologna, e lo considerava dotato delle qualità necessarie per svolgere il ministero pastorale e intrattenere relazioni con avveduta disinvoltura con i notabili del Ducato mantovano. Probabilmente fu proprio il M. il suffraganeo che visitò la diocesi tra l’agosto e l’ottobre del 1550, attraversandone il territorio in due riprese. Nel corso delle visite si mostrò indulgente di fronte a inadempienze imputabili all’indigenza dei curati e delle chiese, ma intervenne con rigore di fronte alla mancata applicazione dei decreti dei precedenti visitatori.
Il 29 ott. 1552 giunse a Milano come visitatore apostolico della giovane Congregazione dei chierici regolari di S. Paolo (barnabiti), guardati con sospetto da Roma per le pericolose aderenze alle dottrine di fra Battista da Crema (Battista Carioni) e alle pratiche spiritualistiche dell’angelica Paola Antonia Negri. Dopo aver visitato le due case di S. Paolo Decollato e S. Paolo Converso, nel capitolo generale del 17 novembre il M. riferì gli ordini di Roma, intimandone la stretta osservanza. La docilità mostrata dai barnabiti nell’accogliere le prescrizioni mutò la comprensibile diffidenza iniziale del visitatore verso la Congregazione in un sentimento di cordiale amicizia e stima. Il M. partecipò inoltre alla revisione delle costituzioni dei barnabiti, avviate nel 1551, fino ad approvarle ufficialmente il 19 nov. 1552.
Negli anni del ministero pastorale a Mantova, su incarico del cardinale Gonzaga il M. pose mano al Catecismo, overo Instruttioni delle cose pertinenti alla salute delle anime.
La disposizione degli argomenti dell’opera (Decalogo, Simbolo, Padre Nostro) richiama assai da vicino la celebre triade (Gebot-Glauben-Gebet) seguita da Martin Lutero nei due catechismi di Wittemberg del 1529, che certamente il M. conosceva. Tale struttura e la mancanza di una parte specificamente dedicata ai sacramenti, differenzia il Catecismo da altre opere coeve simili. Sebbene possa ascriversi al M. la stesura di gran parte del testo (il Decalogo, il Simbolo e il Discorso sopra l’orazione), non gli fu invece possibile redigere la parte dedicata al Padre Nostro.
Nuovi incarichi obbligarono il M. a partire dalla diocesi e a lasciare il Catecismo che, completato da Bartolomeo Ghisellino, fu pubblicato nel 1555 a Mantova da V. Ruffinelli. Era stato nominato nunzio apostolico a Madrid da Giulio III, con bolla del 23 marzo 1553 (secondo la corretta interpretazione della data, espressa nello stile dell’Incarnazione fiorentino). Non fu inviato in Spagna, come affermano il Vigna e il Rezzaghi, in sostituzione del «defunto» cardinale Giovanni Poggio, perché questi morì dopo il 1556 e fu richiamato a Roma con breve del 24 marzo 1553, mantenendo la gestione della Collettoria di Spagna almeno fino al 1° sett. 1553, data in cui il M., in virtù della bolla di nomina, gli subentrò anche in quella funzione.
Sede diplomatica di primissimo rilievo, la Nunziatura apostolica a Madrid richiedeva particolare destrezza nel fronteggiare le continue e pesanti ingerenze dello Stato nella giurisdizione ecclesiastica. Particolarmente aspro era il dissidio suscitato dal decreto della VI sessione del concilio di Trento, relativo al diritto dei vescovi di visitare i capitoli esenti di cattedrali e collegiate delle rispettive diocesi. Il Regno di Spagna era favorevole alla rigorosa applicazione del decreto, che sottraeva all’influsso romano la Chiesa nazionale per legarla maggiormente agli episcopati locali; per opposte ragioni, Roma si ergeva a difesa dell’inviolabilità della giurisdizione dei capitoli esenti. Il 20 ott. 1553 il Consejo real ordinò ufficialmente la rigida osservanza dei decreti conciliari, ricorrendo anche alla forza. Una così netta presa di posizione suscitò la reazione della S. Sede che rivendicava al solo pontefice la facoltà di ratificare e interpretare i decreti tridentini, quale presupposto per la loro esecuzione. Il nunzio M., con breve del 27 febbr. 1554, fu incaricato di avviare un’istruttoria, ponendosi come intermediario fra i capitoli e i vescovi e rendendo conto di tutto a Roma. Destreggiatosi con abilità in tale difficile contingenza, fu confermato alla Nunziatura di Spagna da Marcello II, che volle indirizzargli una lettera, che non fu mai spedita a causa della morte del pontefice; la riconoscenza della Sede apostolica pervenne al M. allora dai cardinali riuniti in conclave, che gli inviarono un documento di approvazione per il suo operato (6 maggio 1555). Il nuovo pontefice, Paolo IV, con breve dell’8 luglio 1555 lo riconfermò alla nunziatura apostolica in Spagna. Sotto quel pontificato, tuttavia, il M. conobbe momenti di particolare difficoltà. Consapevole del proprio ruolo di rappresentante della S. Sede, non volle cedere alle ingerenze della corte di Spagna negli interessi della Chiesa di Roma, soprattutto in materia di spogli ecclesiastici, e giunse a chiudere per più di un anno il tribunale della Nunziatura. La sua ferma determinazione, se non mancò di attirargli i malumori del re di Spagna, Filippo II, consigliato da più parti di espellere il nunzio, produsse però l’effetto desiderato, inducendo il re a riconoscere le ragioni del M. e a tornare sui propri passi: il re si offrì di restituire i proventi arretrati spettanti alla Nunziatura e alla Collettoria, ma il M. rifiutò l’offerta, fintanto che il sovrano non avesse ricomposto il dissidio con il pontefice. Ancora agli inizi del 1558 giungevano però al papa le lamentele di Filippo II sul M., accusato di abusare delle proprie facoltà, e di lì a poco il M. fu richiamato a Roma.
Lungo il viaggio di ritorno fece tappa a Ginevra, dove, secondo alcuni autori (Ughelli, Quétif - Échard) avrebbe incontrato Giovanni Calvino e i suoi seguaci Pierre Viret, Teodoro di Beza e Gian Galeazzo Caracciolo, marchese di Vico: con essi, sotto le mentite spoglie di un mercante, avrebbe intavolato una disputa teologica, confutando le loro posizioni contrarie alla fede cattolica.
Sul finire del 1559, Filippo II propose il M. alla sede vescovile di Lanciano in Abruzzo, alla quale fu assegnato il 16 genn. 1560.
Preso possesso della diocesi il 26 gennaio, il M. vi giunse il 7 aprile, incontrando difficili condizioni di governo pastorale. Particolarmente accesi erano gli attriti con la confinante arcidiocesi di Chieti, a cui Lanciano era stata soggetta come suffraganea prima che Leone X, nel 1515, la creasse sede autonoma. Il M. si adoperò con ogni mezzo per porre fine alle controversie, ma incontrò l’intransigente opposizione di Marc’Antonio Maffei, l’arcivescovo di Chieti. Decise dunque di tentare un’altra via: il 29 nov. 1561 partì alla volta di Napoli per conferire con Filippo II, a cui spettava il patronato della chiesa di Lanciano, ed esporgli il suo progetto: ottenere dal papa l’erezione della propria sede in arcidiocesi, guadagnandone così de facto l’esenzione dalla giurisdizione di Chieti. Con il favore del re di Spagna si recò quindi alla corte papale, dove Pio IV acconsentì alla speciale concessione. Lanciano fu così eretta in arcidiocesi il 26 febbr. 1562.
Il consueto zelo che lo aveva animato come suffraganeo di Mantova, impegnò infaticabilmente il M. nelle vesti di ordinario nella formazione del giovane clero e nell’insegnamento della dottrina cristiana ai fanciulli della diocesi di Lanciano. Fece costruire un nuovo palazzo vescovile nella città, nel quartiere di Civitanova, e in sei anni di ministero svolse tre visite pastorali.
Nel febbraio 1561 il M. fu convocato per giudicare alcuni scritti del patriarca di Aquileia, Giovanni Grimani, sospetto di eresia: in tale circostanza si unì alla maggior parte dei consultori nell’esprimere un parere di sostanziale condanna. Nel maggio fu chiamato a far parte della commissione deputata alla causa inquisitoriale contro Pietro Carnesecchi, accusato di eresia: richiesto del proprio parere in qualità di teologo, il M. si espresse per ingiungere all’imputato l’abiura de levi.
Alla ripresa del concilio di Trento, per volontà del cardinale Ercole Gonzaga, cui Pio IV aveva affidato la direzione dell’assise, il M. fu tra i teologi del Regno di Napoli inviati al concilio.
Giunto a Trento il 26 marzo 1562, il M. vi trovò un clima teso, soprattutto all’interno del collegio dei legati e in particolare fra il cardinale Gonzaga e il cardinale Ludovico Simonetta. Si preparava l’apertura della diciannovesima sessione e le questioni in discussione riguardavano il sacrificio della messa, il sacramento dell’ordine e il delicatissimo problema della residenza dei vescovi. Per evitare qualsiasi attrito, il collegio dei legati stabilì uno schema dei lavori che di fatto eludeva la discussione sulla residenza, suscitando dissensi. Il cardinale Gonzaga promise allora, senza l’autorizzazione del papa e con l’aperta opposizione del Simonetta, che l’obbligo di residenza si sarebbe discusso in relazione al sacramento dell’ordine. Il cardinale di Mantova sapeva che la sua iniziativa non avrebbe riscosso l’approvazione di Roma e i padri temettero che il papa volesse sciogliere o trasferire il concilio. Nell’intento di fare chiarezza, si decise di inviare il M. alla corte papale (8 giugno 1562). Nel cordiale incontro avuto con Pio IV, egli ne apprese le vere intenzioni: il pontefice non intendeva sciogliere il concilio, bensì portarlo a conclusione e ratificarne i decreti. Pio IV, inoltre, non mostrò un aperto disappunto per l’iniziativa del Gonzaga, ma istruì verbalmente il M. in merito alle precauzioni da prendere nella definizione dell’obbligo della residenza, che si sarebbe dovuta approvare all’unanimità o almeno con larghissima maggioranza. Il M. fece ritorno a Trento il 10 luglio e nei giorni seguenti rassicurò i legati e i padri tutti sulle intenzioni del pontefice in merito ai lavori conciliari, che, superata la crisi, potevano riprendere in un clima più sereno.
Nell’autunno del 1562 fu affrontata la questione del sacramento dell’Ordine. La posizione espressa dal M. lo poneva fra i sostenitori del primato di giurisdizione del papa, ma la sua indole conciliante lo fece schierare fra quanti non ritenevano opportuno menzionare nel decreto la natura divina del diritto dei vescovi. Quanto al problema della residenza il M. sostenne che fosse sufficiente presupporne senza alcun dubbio l’obbligo per gli ordinari e sancirlo per legge: ci si opponeva alla definizione dell’obbligo della residenza, egli argomentava, perché da troppi vescovi tale dovere era disatteso. Intervenne inoltre contro il cumulo dei benefici curati, denunciando l’abuso compiuto da quanti trasformavano l’episcopato in uno strumento di guadagno. Dopo lunghe discussioni si approvò una redazione del decreto sulla residenza già presentata dal Gonzaga, a cui si vollero però aggiungere alcuni emendamenti: tale compito fu affidato al M. e ad altri quattro padri.
In merito alla dottrina eucaristica il M. si oppose al riconoscimento del valore sacrificale dell’Ultima Cena; si dichiarò invece a favore della concessione della comunione sotto le due specie ai laici, schierandosi con una qualificata minoranza di teologi. Con il domenicano Pedro Guerrero, arcivescovo di Granada, aveva presentato il 6 ag. 1562 un progetto dottrinale sull’eucaristia, sottoposto poi a lunghe discussioni; alla fine, nel settembre, si produsse un nuovo schema di nove capitoli dottrinali e nove canoni, rapidamente approvato: Jedin identifica nel M. l’autore principale del documento definitivo. Ulteriori interventi del M. riguardarono, fra l’altro, lo spinoso decreto sui matrimoni clandestini: a suo parere, la Chiesa poteva dichiararne la nullità intervenendo sulla materia del contratto, non del sacramento matrimoniale. Tale posizione fu accolta nel decreto per decisione della maggioranza dei padri e con il favore dello stesso pontefice.
Nel corso della venticinquesima e ultima sessione conciliare fu emanato un decreto che ordinava la composizione del Catechismo, dell’Indice dei libri proibiti, del Breviario e del Messale, demandandone l’esecuzione alla S. Sede. Il papa chiamò il M. a far parte della commissione per la revisione dell’Indice e di quella deputata alla riforma liturgica.
Nella sua Informazione per la correttione del Missale (scritta secondo Walz prima del 13 ott. 1568), il M. espresse la proposta, già presentata da altri in sede conciliare, di armonizzare le feste del Messale con quelle del Breviario. A questo spirito si conforma il Missale Romanum, compilato dal M. e dai suoi colleghi e approvato con la bolla Quo primum (14 luglio 1570) da Pio V.
Il M. fece parte, inoltre, con Muzio Calini, Egidio Foscarari e Francesco Forreri, della commissione deputata dal papa alla stesura del Catechismus ad parochos. I lavori dovettero iniziare verso l’aprile 1564, e procedettero alacremente, sebbene i membri della commissione fossero al contempo impegnati nella redazione del Messale e del Breviario riformati. Il M. dovette anche occuparsi, con Foscarari e i cardinali Ugo Boncompagni e Gabriele Paleotti, della composizione del De clericorum coelibatu, un trattato commissionato da Pio IV e mai pubblicato in risposta alle richieste dell’imperatore Ferdinando I in favore del matrimonio dei preti. Alla fine del 1564, il cardinale Carlo Borromeo, legato al M. da reciproca stima e amicizia, poteva esprimere il proprio apprezzamento per il Catechismo, ormai pronto e sottoposto alle ultime revisioni. I lavori, tuttavia, subirono una battuta d’arresto e per la pubblicazione si dovette attendere l’iniziativa di Pio V.
Dopo la chiusura del concilio, il M. si affrettò a far ritorno alla sua diocesi, dove fin dall’inizio del 1564 riprese il ministero pastorale, sebbene fosse più volte chiamato a Roma dal papa. Gli apprezzati servigi resi alla S. Sede indussero Pio IV a pensare per il M. la promozione al cardinalato. Ma quando ormai tutto pareva stabilito, egli, accondiscendendo a un desiderio del cardinale Borromeo, rinunciò alla nomina in favore di Guglielmo Sirleto e la promozione del M. fu rinviata.
Il 24 maggio 1565 il M. fu inviato a Vienna con Pietro Guicciardini.
Le condizioni del clero di Germania preoccupavano Ferdinando I: molti sacerdoti avevano preso moglie, incorrendo nelle sospensioni canoniche e lasciando vacanti molte parrocchie, che in alcune regioni erano destinate a rimanere tali per mancanza di curati. Per rimediare alla situazione, l’imperatore aveva chiesto al papa di concedere ai preti sposati di rimanere in tale stato e reintegrarli nelle loro funzioni. Aveva anche proposto di ammettere agli ordini i laici sposati. Morto, il 25 luglio 1564, l’imperatore Ferdinando I, il successore Massimiliano II rinnovò l’istanza e Pio IV decise di inviare suoi legati. Giunti a destinazione, il M. e il Guicciardini furono avvertiti dall’ambasciatore spagnolo a Vienna di non fidarsi del rappresentante pontificio alla corte imperiale, Zaccaria Dolfin (Delfino). Questi, che ricevette la berretta cardinalizia dalle mani dello stesso M. nel giugno 1565, pareva infatti agire più nell’interesse dell’imperatore che a sostegno delle ragioni della Sede apostolica. Non potendo pertanto contare sull’appoggio del Dolfin, il M., a sua insaputa, riuscì a ottenere un’udienza da solo con Massimiliano, il 28 luglio 1565. L’incontro parve sulle prime produrre i frutti sperati e i legati poterono lasciare Vienna l’11 settembre, per apprendere però, giunti a Roma, che Massimiliano era tornato sulle proprie posizioni. Una loro nuova missione il 1° novembre si rivelò senza successo.
La morte di Pio IV (9 dic. 1565) fece sfumare definitivamente la porpora per il M., che decise di lasciare l’arcidiocesi di Lanciano per ritirarsi a vita privata nel Sannio presso il fratello Tommaso: in quel periodo di tranquillità pose mano a un commento alla Sacra Scrittura, che rimase incompiuto.
Non restò lontano dagli incarichi ufficiali che pochi mesi. Il neoeletto Pio V aveva formato un’apposita commissione per la revisione del Catechismo del 1564, presieduta dal cardinale Sirleto, di cui il M. fu chiamato a far parte. Dall’aprile all’agosto 1566 egli rimase pertanto a Roma a preparare il testo del Catechismo romano, che Pio V fece pubblicare in autunno.
Il 7 ottobre il pontefice lo assegnò alla difficile diocesi di Alba, in cui lo stato del culto e della dottrina cattolica versava in gravi condizioni.
Di lì a poco, con breve del 24 ottobre, il M. fu nominato visitatore apostolico nell’Italia settentrionale e centrale, con l’incarico di visitare ben 23 diocesi. Si ha notizia soltanto di alcune delle visite compiute dal M. nel viaggio verso Alba. La visita delle diocesi dovette concludersi entro marzo-aprile del 1567. L’avanzare dell’età e le fatiche affrontate negli anni precedenti cominciavano a fiaccare le energie del M., che si vide rimproverare da Pio V, con breve del 19 ag. 1568, il mancato completamento della visita nella sua diocesi, quella di Alba. D’altra parte, nel dicembre 1568 il M. doveva essere ancora impegnato nella visita pastorale, se il cardinale Borromeo, in una sua lettera, si rammaricò che, proprio per tale ragione, il M. non avrebbe potuto comporre l’omiliario a uso dei curati della diocesi di Milano da lui commissionatogli nell’aprile 1567.
Nel 1572 Gregorio XIII lo chiamò a Roma e il M. rinunciò alla diocesi di Alba in favore del nipote Vincenzo. All’inizio di novembre il timore della dissoluzione della Lega contro i Turchi spinse il papa a inviare il M. presso Filippo II di Spagna in appoggio al nunzio residente a Madrid, Niccolò Ormaneto, con l’incarico di sollecitare il sovrano a continuare al fianco della S. Sede la guerra contro i Turchi, inviando sue flotte per una nuova spedizione.
Il M. giunse a Madrid il 6 genn. 1573 ed ebbe udienza, insieme al nunzio, il 14 e il 25 del mese, ottenendo dal re la promessa di una pronta risposta alle richieste del papa. La decisione reale, parzialmente conforme alle attese di Roma, fu comunicata ai due nunzi il 5 febbraio. Il M. poté così partire da Madrid l’11 febbraio per incontrare ad Évora Sebastiano di Portogallo. Il sovrano lo ricevette il 20 febbraio, ma non si mostrò condiscendente quanto Filippo II, impegnandosi tuttavia a fornire un contributo di 40.000 scudi. Con tale promessa il M. ripartì per Madrid il 16 marzo, per tentare di ottenere qualche concessione in più dal re di Spagna, senza però ricevere risposte certe. Il 15 apr. 1573, pertanto, riprese la via di Roma.
Gregorio XIII aveva intenzione di crearlo finalmente cardinale e di inviarlo in Germania presso Massimiliano II, un incarico a cui già Pio V aveva pensato di destinarlo. Ma giunto a Roma, il M. morì l’11 giugno 1573. Il suo corpo fu sepolto nella chiesa di S. Maria sopra Minerva, di fronte all’altare maggiore.
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