MOGLIACCA, Leonardo
– Nacque, probabilmente a Scarnafigi (presso Cuneo) intorno al 1500. Non è nota l’identità dei genitori, ma rami del lignaggio paterno risultano presenti a Cuneo nelle file dell’élite comunale cinquecentesca.
Scarse e frammentarie sono le informazioni sul primo trentennio della sua vita, verso la fine del quale si stabilì a Borgo San Dalmazzo, un villaggio del distretto di Cuneo. Qui, negli anni immediatamente precedenti l’occupazione francese di gran parte del Piemonte (1536), si erano profilati due schieramenti opposti, filofrancese e filoasburgico, ricalcanti antiche tensioni territoriali e faide tra notabili locali. In questo scenario, il M. appare saldamente inserito nella fazione imperiale di Borgo San Dalmazzo e della vicina Roccavione, una scelta coerentemente mantenuta fino alla restaurazione del Ducato sabaudo nel 1559.
Mentre Cuneo e il suo territorio restavano nominalmente sotto il dominio del duca di Savoia Carlo II al riparo delle truppe spagnole, il M. abbracciò una carriera improntata alla fedeltà personale verso il duca stesso e alla milizia nelle sue armate, intrecciandola con la caparbia costruzione di una preminenza locale per sé e la propria discendenza.
Un raccordo fondamentale di questa strategia fu costituito, nel 1538, dal subentro nel possesso feudale della «torre» o «castello» di Roccavione, avamposto di Cuneo alla confluenza delle Valli Gesso e Vermenagna, ossia, rispettivamente, delle strade per il Colle della Maddalena e per il Col di Tenda. Sebbene l’atto d’acquisto prevedesse una forma di condominio con prestigiosi esponenti della nobiltà locale quali i Meynardi di Roccavione (appartenenti alla clientela del capitano generale imperiale Alfonso d’Avalos, marchese del Vasto), nel 1550 il M. fu autorizzato dal duca di Savoia Carlo II a riscattare le quote in mano agli altri possessori. Nel 1556, a coronamento di un evidente percorso di ascesa sociale, il duca Emanuele Filiberto conferì al M. e al fratello Bernardino la nobiltà trasmissibile ai discendenti, autorizzandoli a fregiarsi di uno stemma gentilizio. Anche se l’anno seguente la fortezza di Roccavione cedette dopo scarsa resistenza all’assalto delle truppe del maresciallo francese Charles de Cossé, conte di Brissac, lo scacco militare non nocque apparentemente al M., che nel 1559, a Bruxelles, ricevette dalle mani di Emanuele Filiberto l’investitura feudale per la torre stessa e per altri suoi possessi in Roccavione, Robilante e Borgo San Dalmazzo.
In sinergia con l’attività militare, il M. esperì un tipo peculiare di imprenditorialità a un tempo economica e politica, sensibile alle molteplici opportunità di incremento patrimoniale e di potere offerte dalla situazione di pluralismo giurisdizionale dell’area cuneese. Essa si concretizzò soprattutto in un ruolo non formale, ma nondimeno effettivo, di protezione, amministrazione, e insieme di tendenziale appropriazione, delle ragioni e dei redditi posseduti nell’area cuneese dall’antica fondazione abbaziale benedettina di San Dalmazzo di Pedona (Borgo San Dalmazzo). L’ente monastico, la cui titolarità era stata trasferita fin dal 1438 al vescovo di Mondovì, pur lontano dalla potenza di un tempo, conservava estesi diritti di proprietà eminente su boschi e pascoli, decime e altre prerogative di natura signorile sui luoghi e sulle attività economiche. Questa presenza patrimoniale frammentava il distretto cittadino, generando contenzioso tra il Comune di Cuneo e la mensa dell’abate-vescovo. In maniera altrettanto inevitabile, ne scaturiva però la necessità di momenti di mediazione e compromesso, all’interno dei quali una figura come il M., forte del suo profilo militare e dei suoi legami con la pur lontana corte ducale, aveva modo di impegnarsi in un’opera remunerativa da un punto di vista sia materiale sia di legittimazione della propria influenza locale.
La volontà di valorizzazione e sfruttamento dei diritti abbaziali si intravede anche dietro l’acquisito della torre di Roccavione, in virtù del pedaggio che esso consentiva di esigere sul transito commerciale transalpino. Non a caso, il possesso della torre da parte del M. diede occasione, nel corso degli anni Quaranta e Cinquanta del secolo, a un conflitto a tratti assai violento con il Comune di Cuneo, intenzionato a sottrargliene il controllo, e con Mondovì, la cui attiva comunità mercantile risentiva dei sequestri di merci operati dalle squadre addette alla riscossione del pedaggio. Come ulteriore esempio della stessa logica, si può menzionare l’affitto di estesissimi pascoli, che, intorno al 1550, oppose il M. alla comunità di Valdieri.
La traiettoria biografica del M. è segnata dall’adesione alla Riforma protestante, una scelta di schieramento ampiamente condivisa, al pari dell’affiliazione politico-militare, con il fronte parentale di appartenenza.
Le nuove dottrine, che si diffondevano in area subalpina anche al di fuori dei luoghi di insediamento valdese, avevano trovato consistente udienza a Cuneo, probabilmente dalla metà del secolo, e nelle vicine terre del Marchesato di Saluzzo (in mano francese dal 1548 al 1598) e della Contea di Tenda. La ricostituzione del dominio sabaudo sotto Emanuele Filiberto segnò l’inizio di una progressiva stretta controriformistica, seppure inframmezzata da temporanei momenti di tregua. In questo clima si inserisce una lista di «ugonotti capi di casa tutti per portar armi in Cuneo» inviata al duca dal governatore Teodoro Roero (o Rovero) nel 1565 (edita in Jalla, pp. 239-242). Vi figurano il M., di cui si denuncia la partecipazione alla messa a puro scopo di dissimulazione («in casa del capitano Leonardo non vanno a Messa eccetto lui, che è il più marcio di tutti», ibid., p. 242), la sua famiglia di Borgo San Dalmazzo e molti altri nuclei dello stesso cognome residenti nella città. Intanto il vescovo Vincenzo Lauro, in stretto contatto con il papa, Pio V, al quale era succeduto sulla cattedra di Mondovì, appuntava la sua attenzione inquisitoriale su alcuni religiosi dell’abbazia di San Dalmazzo e sullo stesso Mogliacca.
Arrestato nell’aprile 1568 e condotto nelle carceri vescovili con l’accusa, tra le altre, di aver contribuito alla diffusione degli scritti di Bernardino Ochino e di altri autori proibiti, il M. protestò dapprima la propria ortodossia, ma riconobbe infine l’adesione alle dottrine protestanti, che datava nella sua deposizione al 1532 circa, piegandosi all’abiura. Questa, accuratamente orchestrata in forme pubbliche e solenni, ebbe luogo nel dicembre 1568. In tal modo, il M. ottenne, dopo circa due mesi, la fine del regime di detenzione, insieme con la piena reintegrazione nel favore ducale.
Tra i suoi figli, avuti con la moglie Anna, Ponzio scelse l’esilio in Francia e la militanza nel partito ugonotto, mentre il più giovane Cesare si allineò con il comportamento paterno. Nulla risulta riguardo agli altri figli presenti in casa nel 1568, cioè Michele e Leonarda. Invece Allasina – moglie dal 1546 di Giovanni Grimaudo (o Grimaldi) di Borgo San Dalmazzo, ricordato nella lista del governatore Roero con termini analoghi a quelli usati per il M. («In casa di Giovanni Grimaudo nessuna va a messa eccetto lui che è più ugonotto di tutti», ibid., p. 242) – abiurò nel 1571. Presentata dalle fonti controriformistiche come esempio di doppiezza e successiva redenzione, la vicenda del M. è piuttosto leggibile alla luce di una fase storica di transizione da un contesto di diffuso eclettismo e sperimentazione religiosa a una rigida confessionalizzazione delle opzioni possibili.
Il M. morì in luogo ignoto e in data imprecisata, ma fra il 1580 e il 1583.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Camerale, art. 852 (2), 25 nov. 1556; Materie politiche per rapporto all’interno, Protocolli dei notai della Corona, Protocolli ducali serie rossa, mm. 182, c. 2; 217, cc. 94, 100; 405, cc. 480, 481, 520r-522v; Ibid., Protocolli camerali serie nera, bb. 162, cc. 101v, 102r; 126, cc. 94v-95v; Ibid., Registri delle lettere della corte, m. 13 (1568), c. 361; Ibid., Lettere di particolari, cc. n.n., s.v. Roero, Teodoro; D. Grasso, Cronaca dal 1484 al 1570, a cura di D.C. Promis, in Miscellanea di storia italiana, XII (1871), pp. 351, 366, 370-373, 392 s.; Le relazioni sull’assedio di Cuneo del 1557 con appendice, a cura di A. Dutto, ibid., s. 3, X (1906), pp. 101, 104; Nunziature di Savoia, a cura di F. Fonzi, Roma 1960, I (15 ottobre 1560 - 29 giugno 1573), pp. 146-148, 151 s.; I consegnamenti d’arme piemontesi, a cura di E. Genta et al., Torino 2000, pp. 53, 65; G. Grassi, Memorie istoriche della Chiesa vescovile di Monteregale in Piemonte …, I, Torino 1789, pp. 84 s., 121 s.; A. Pascal, Storia della Riforma protestante a Cuneo nel secolo XVI, Pinerolo 1913, p. 73; G. Jalla, Storia della Riforma in Piemonte, I, Firenze 1914, pp. 239-242, 282; F. Mellano, La Controriforma nella diocesi di Mondovi (1560-1602), Torino 1955, pp. 155, 295-297 (sentenza e abiura di Allasina Mogliacca); A. Pascal, Una famiglia di riformati cuneesi: i Mogliacca, in Studi di letteratura, storia e filosofia in onore di Bruno Revel, Firenze 1965, pp. 435-442; M. Ristorto, Un signorotto del Cinquecento: L. M., in Bollettino della Società per gli studi storici, archeologici ed artistici della Provincia di Cuneo, n. 53, 1965, 2, pp. 11-35; M. Perotti, Repertorio dei monumenti artistici della Provincia di Cuneo, II/1, Territorio dell’antico Principato di Piemonte, Cuneo 1986, p. 123; A. Manno, Il patriziato subalpino. Diz. genealogico (dattil.), XVIII, s.v.