LEONE IV, papa, santo
Figlio di Radualdo, nacque a Roma nel primo decennio del IX secolo.
Dal nome del padre si potrebbe dedurre l'appartenenza a una famiglia di origine longobarda trasferitasi in città, ma l'onomastica non può comunque essere accettata come prova dirimente rispetto a una specifica "etnicità" del pontefice.
Il futuro papa fu educato nel monastero di S. Martino al Vaticano, adiacente alla basilica di S. Pietro, e intraprese la carriera ecclesiastica divenendo cardinale prete del titolo dei Ss. Quattro Coronati, al Celio. L'elezione di Leone a papa nell'847 si sarebbe svolta in un clima di generale consenso all'interno della Chiesa romana, favorito dal drammatico frangente dell'assalto saraceno a S. Pietro e S. Paolo, avvenuto pochi mesi prima, e dal diffuso riconoscimento delle sue qualità personali, sulle quali il biografo del Liber pontificalis insiste, qualità che evidentemente aiutarono a identificarlo come la persona giusta per ricoprire la massima carica ecclesiastica romana in un così delicato momento. Il fatto che la sua scelta fosse avvenuta ancor prima della celebrazione delle esequie del predecessore Sergio II sembra confermare questa lettura degli eventi.
Le difficili circostanze dell'elezione di L. IV determinano una rottura nella prassi stabilita nell'844 per la consacrazione del nuovo pontefice. Per poter essere consacrato, l'eletto, in forza di una nuova ordinanza di Lotario I, che inaspriva il vincolo imposto al Papato, al clero e al laicato romani dalla Constitutio dell'824, avrebbe dovuto attendere una iussio dell'imperatore e la consacrazione aver luogo alla presenza di messi da lui inviati. Sergio II era morto il 27 genn. 847 e i Romani esitarono a consacrare il nuovo eletto "sine auctoritate imperiali" (Liber pontificalis, p. 107) ma, vista la situazione di pericolo in cui si trovavano, il 10 aprile, giorno di Pasqua, procedettero comunque alla consacrazione di L. IV "sine permisso principis" (ibid.). Il biografo però si dà cura di precisare che, così facendo, non si era inteso venir meno agli obblighi di fedeltà all'imperatore.
Il pontificato di L. IV è tradizionalmente collocato dalla critica storica tra quelli che, nel corso del IX secolo, sono caratterizzati da una costante iniziativa del papa volta sia ad affermare la centralità del proprio potere all'interno della società romana, sia a estendere l'esercizio del ruolo politico-spirituale proprio della Sede romana sul più vasto scenario dei rapporti con le altre istituzioni del mondo occidentale e anche con l'Impero di Bisanzio.
Il pontificato di L. IV viene in genere contrapposto, per queste ragioni, a quello di Sergio II, di cui invece si è sottolineato (non del tutto a ragione) il carattere di quasi anticipazione di tratti che divennero tipici nel secolo successivo, quali la sottomissione dell'azione del papa a interessi familiari e, in conseguenza di ciò, una sorta di ripiegamento degli orizzonti politici entro più anguste prospettive e quindi l'incapacità di incidere efficacemente nel dialogo con gli altri poteri.
La Vita di L. IV contenuta nel Liber pontificalis riporta in effetti una grande quantità di notizie relative a interventi del papa sulla città di Roma, le sue infrastrutture, le sue chiese. Essa si pone sulla scia, insomma, delle biografie di pontefici come Leone III, Pasquale I e Gregorio IV. In particolare, con quella di quest'ultimo la Vita ha in comune la realizzazione di imprese che mostrano il dispiegamento, da parte dei pontefici, di una capacità di azione sul territorio romano e laziale, che si spiega alla luce di un'ormai matura e sostanzialmente incontrastata sovranità - almeno sul piano giurisdizionale - su questi ambiti geografici. In particolare, ciò appare evidente negli episodi di fondazione di "città nuove" che, avviati, appunto, sotto Gregorio IV con la ristrutturazione e la fortificazione del nucleo insediativo esistente intorno al santuario della martire Aurea a Ostia antica (e la sua ridenominazione in "Gregoriopolis"), conobbe un'accelerazione e, si può dire, raggiunse il culmine proprio sotto Leone IV. L'insicurezza determinatasi nel Lazio, soprattutto lungo la costa, con l'intensificarsi della presenza saracena aveva determinato già da alcuni decenni la necessità di rafforzare le difese passive - le strutture di fortificazione e avvistamento - lungo la costa stessa. La riorganizzazione del nucleo fortificato ostiense da parte di Gregorio IV si era mossa esattamente in questa direzione, per porre un ostacolo a eventuali scorrerie che intendessero utilizzare il corso del Tevere come via di penetrazione, verso Roma in primo luogo. Il saccheggio delle basiliche di S. Pietro e S. Paolo dell'846 aveva dimostrato l'insufficienza di quanto realizzato sino allora sul territorio. In quell'occasione era soprattutto emersa l'estrema pericolosità dell'assenza di strutture di difesa passiva a protezione del nucleo vaticano, esterno alle mura aureliane.
L'azione di L. IV in questo ambito si dispiegò su più fronti, e con grande rapidità. Egli, infatti, nel giro di cinque anni (fra l'847 e l'852) realizzò il rafforzamento delle difese costiere, ristrutturando le fortificazioni di Porto e, come afferma il Liber pontificalis, insediandovi una colonia di abitanti della Corsica e facendo costruire ex novo un insediamento fortificato nell'entroterra di Centumcellae (Civitavecchia), che era stata devastata proprio dai Saraceni nell'812; intervenne inoltre sul sistema difensivo di Roma, facendo restaurare le mura aureliane e soprattutto provvedendo alla realizzazione di un sistema di fortificazioni intorno al Vaticano.
Qui il pontefice fortificò una realtà insediativa già esistente, formatasi intorno al santuario di S. Pietro; le nuove mura partivano da Castel Sant'Angelo ed erano difese da ben quarantaquattro torri. Nella cinta si aprivano solo due posterulae e una porta; sulla posterula detta "Sancti Angeli", presso Castel Sant'Angelo, erano murate due iscrizioni in esametri di cui una ricordava anche l'imperatore Lotario (Inscriptiones Christianae urbis Romae, pp. 324 n. 6, 347 n. 4). Alla detta posterula seguiva un tratto di mura lungo 800 m che costituisce ancora oggi il residuo più significativo della cinta leonina. Su questo tratto si apriva l'unica porta vera e propria delle mura: la porta Viridaria (detta anche Sancti Petri e Sancti Peregrini), attraverso la quale i pellegrini che percorrevano la ruga Francigena e la via Trionfale giungevano al santuario vaticano. Anche sulla porta Viridaria L. IV pose una iscrizione metrica, visibile fino al XV secolo e trascritta in varie sillogi, in cui si menzionava la "civitas ha〈e>c a conditoris sui nomine Leonina vocatur" (ibid., p. 325 n. 7); in base a recenti studi, al di sopra di questa stessa porta sarebbe da collocare un'altra iscrizione di cui sono venuti alla luce, durante i restauri curati da A. Prandi, alcuni frammenti riadoperati come materiale da costruzione (cfr. A. Prandi; Mura e porte di Roma antica). Dopo la porta Viridaria le mura continuavano nell'area dell'attuale palazzo Vaticano e nei giardini. La seconda posterula di cui fu fornita la cinta leonina è quella detta Saxonum, che metteva in collegamento Trastevere e il Vaticano. Infine, L. IV intervenne anche nelle aree più interne del Lazio, sostenendo il riattamento delle fortificazioni di Horta (Orte) e Ameria (Amelia), centri strategici per il controllo della valle del Tevere.
L. IV non fu il primo pontefice a intraprendere iniziative di miglioria dei sistemi di difesa urbana e territoriale fra VIII e IX secolo; fu però sicuramente quello sotto il quale questa attività assunse il sembiante di un'affermazione, su vasto raggio, di un esercizio di effettive prerogative di sovranità. Il recinto fortificato intorno al Vaticano e la costruzione del nuovo insediamento fortificato nei pressi di Civitavecchia si materializzano infatti come centri di cui il papa appare come eponimo ("Civitas Leoniana" il primo e "Leopolis" il secondo) e ai quali viene conferito rango urbano, come indica il recinto murario che le circonda.
Sia per il primo sia per il secondo aspetto vengono seguite prassi tipiche delle fondazioni imperiali tardoromane e protobizantine, che vedono nel sovrano l'unica autorità cui è concesso creare insediamenti fortificati che, nella loro qualifica di "città", si propongono come elementi ordinatori del territorio, ovvero come presenze attraverso le quali sul territorio si manifesta l'azione ordinatrice dell'autorità sovrana. Va tra l'altro considerato che, anche nei rituali di fondazione delle due civitates suddette, vengono riproposti schemi che trovano fortissimi punti di contatto con quanto si conosce, per esempio, delle cerimonie che vennero organizzate in occasione della fondazione di Costantinopoli, tra cui la limitatio del circuito murario da parte dell'autorità sovrana (nell'un caso il papa, nell'altro l'imperatore), la ricognizione del circuito stesso, una volta ultimato, da parte dell'autorità sovrana, seguita dagli optimates di rango più alto e, infine, la distribuzione agli stessi di congiaria in denaro e in beni di lusso. La realizzazione delle mura vaticane si distingue anche per la vastità della mobilitazione delle forze che vennero chiamate a fornire manodopera: furono infatti coinvolte le civitates, le massae publicae e i monasteria esistenti nei territori in cui era riconosciuta l'autorità del pontefice.
Le fondazioni di "città nuove" e gli interventi di restauro alle fortificazioni non costituiscono l'unico segno dell'intervento di L. IV sul territorio romano e laziale. Sopravvive, infatti, del periodo del suo pontificato, una bolla indirizzata al vescovo Virbonus di Tuscania con la quale il papa ridefinisce dettagliatamente i confini di questa diocesi. Il documento, oltre a essere una preziosissima testimonianza sotto il profilo della storia della struttura del territorio della Tuscia romana, è anche considerato come il segno del riemergere del ruolo di inquadramento territoriale delle sedi episcopali nel Lazio (cfr. Sennis), cui potrebbe non essere estraneo pure l'intento di precisare, per mezzo dell'ordinamento diocesano, suddivisioni amministrative dei territori sottoposti alla sovranità dei pontefici.
Il rilancio dell'iniziativa politica pontificia nel Lazio può essere collegato a un altro aspetto importante dell'azione di L. IV, in quanto signore territoriale: le relazioni politiche con le entità statuali presenti nell'area geografica più vicina, vale a dire le città formalmente bizantine, ma in realtà ormai autonome, di Gaeta, Napoli e Amalfi, e il Ducato di Spoleto. Per quanto concerne le prime tre città, va considerata a parte la posizione di Gaeta, in quanto nel suo territorio e nell'area circostante la Chiesa romana serbava ancora interessi patrimoniali rilevanti.
Non si hanno dati sulla situazione del "Patrimonium Caietanum" riferibili al periodo di L. IV, ma un documento del Codex diplomaticus Caietanus (n. 9, datato all'851) offre la prima testimonianza dell'esistenza di un Patrimonium. Localizzato nella parte più meridionale del territorio gaetano, in prossimità del Garigliano, la sua apparizione sembrerebbe essere il risultato di uno smembramento del "Caietanum", del quale, negli anni Settanta, risulta rector l'ipato Docibile, uomo forte di Gaeta per tutti i decenni finali del IX secolo e quelli iniziali del X.
Non è del tutto peregrino ipotizzare un nesso tra la prima menzione del "Patrimonium Traiectanum" e la politica svolta da L. IV verso le città campane per garantirsene il sostegno nella cruciale circostanza della formazione della lega antiaraba che portò alla vittoria navale di Ostia (849). In altre parole, come avvenne più tardi, al tempo di Giovanni VIII e poi di Giovanni X, si potrebbe ipotizzare che, proprio sotto L. IV, sia avvenuta la partizione del "Patrimonium Caietanum", originariamente unitario, con l'affidamento della parte più prossima a Gaeta alla gestione di persone influenti in Gaeta stessa (forse lo stesso gruppo familiare di Docibile), per assicurarsene l'appoggio politico-militare.
In ogni caso, la formazione della lega navale mirante a contrastare il crescere del predominio islamico nel Tirreno può considerarsi come uno dei primi episodi di una politica pontificia attiva nel complesso scacchiere del Meridione d'Italia, all'interno della quale il papa cercava di svolgere un ruolo, se non di capo, quanto meno di coordinatore. L'alleanza antisaracena dell'849 si caratterizza, infatti, stando alle parole del biografo di L. IV nel Liber pontificalis, come un'impresa della quale il papa fu l'animatore.
Che il terreno per l'avvio di una cooperazione fra Romani e Napoletani fosse in parte ancora da preparare lo dimostra il fatto che l'entrata in azione della flotta napoletana e degli alleati campani al largo di Ostia fu preceduta da una visita a L. IV di Cesario, figlio del duca di Napoli Sergio (I), presso il palazzo Lateranense, nel corso della quale i Napoletani dichiararono l'intento di intervenire in armi presso Roma esclusivamente per combattere i Saraceni. L. IV, ricevute le opportune rassicurazioni, si recò a Ostia a ispezionare le forze comandate da Cesario. In questa circostanza, i Napoletani fecero atto di omaggio al pontefice e ricevettero da lui la comunione nel corso di una funzione svoltasi nella chiesa di S. Aurea, nella cittadella fortificata di Gregoriopoli. La vittoria riportata dai cristiani può essere così presentata come frutto della protezione di Pietro e Paolo e il ruolo avuto dal papa nel suo conseguimento viene in un certo senso sottolineato dalla consegna a lui dei nemici sopravvissuti alla battaglia, dei quali alcuni furono impiccati e altri vennero utilizzati come manodopera per la costruzione delle mura della costruenda "civitas Leoniana".
Sul fronte opposto, dal punto di vista geografico, L. IV incontrò evidenti difficoltà nel mantenere il controllo su Ravenna e il territorio circostante. Il problema della concorrenza tra l'arcivescovo di Ravenna e l'autorità papale in Romagna e nella Pentapoli si era posto in modo rilevante almeno sin dai tempi di Adriano I. In particolare, L. IV intervenne per denunciare pressioni esercitate dall'arcivescovo Giovanni di Ravenna per ostacolare l'azione dei delegati pontifici incaricati dell'amministrazione dei patrimoni papali nell'Esarcato: questi beni fondiari erano tra i maggiori motivi di frizione tra Roma e Ravenna, poiché costituivano non solo concentrazioni rilevanti di proprietà, ma anche perché rappresentavano lo strumento che offriva ai papi maggiori possibilità di controllo sull'Esarcato, anche attraverso il personale amministrativo impiegato, secondo una prassi risalente almeno a Gregorio Magno (Leonis IV papae epistolae, n. 8). Inoltre, fra l'852 e l'853, in ambienti molto vicini all'arcivescovo di Ravenna maturò l'assassinio di un legato inviato da L. IV a incontrare l'imperatore Lotario. Il papa si recò a Ravenna per catturare gli autori dell'omicidio, tra cui il fratello dell'arcivescovo (Regesta pontificum Romanorum, nn. 2627 s.), e trascinarli a Roma, davanti a un tribunale, dove vennero condannati a morte, pena alla quale furono sottratti solo grazie all'intervento personale dell'imperatore Lotario.
Proprio i rapporti con l'autorità imperiale - come quest'ultimo episodio lascia intravedere - durante il pontificato di L. IV sono stati "plutôt correctes que amicales", come ebbe a dire Duchesne (p. 220) e, anche se non si sono mai verificate vere e proprie crisi, il Liber pontificalis (Davis) si rivela reticente nei riguardi delle relazioni intrattenute dal pontefice con gli imperatori, in particolare con Ludovico II che, dall'aprile dell'850, venne associato al padre e consacrato proprio a Roma da Leone IV. Il Liber pontificalis curiosamente omette perfino di menzionare questa circostanza. È invece ricordato il sostegno, politico e finanziario, fornito dall'imperatore Lotario nella costruzione delle mura intorno al Vaticano, nonché la parte che egli ebbe nella decisione di installare una colonia di corsi a Porto. Tuttavia, da parte di alcuni (A. Settia, Castelli e villaggi nella regione padana. Popolamento, potere e sicurezza fra IX e XIII secolo, Napoli 1984, pp. 45-47) si è considerato che, dal punto di vista della politica imperiale, il concorso all'erezione delle mura vaticane doveva avere un senso più vasto che un semplice contributo disinteressato alle spese.
Il Liber pontificalis ricorda come nell'estate dell'855, poco prima che L. IV morisse, papa e imperatore avessero tenuto insieme in Roma un'assise giudiziaria per valutare la posizione di alcuni funzionari papali accusati di trame filobizantine. D'altra parte - e sono sempre fonti altre dal Liber pontificalis a dare un'idea più articolata e complessa dei rapporti fra L. IV e l'autorità imperiale -, il lungo e defatigante scontro a distanza fra L. IV e Anastasio, cardinale presbitero di S. Marco (Anastasio Bibliotecario), più o meno apertamente sostenuto da Ludovico II negli anni successivi alla fuga di questo da Roma (nell'848) e sino alla morte di L. IV stesso, quando l'imperatore cercò di imporre Anastasio sul soglio pontificio, lascia intravedere una possibile spaccatura nel clero locale (e forse, più in generale, nella società romana) tra una fazione più pronta ad accettare un diretto influsso imperiale negli affari romani e un'altra, al centro della quale sarebbe stato ovviamente L. IV stesso, più gelosa della propria sfera di autonomia.
Un altro motivo di frizione tra L. IV e l'autorità imperiale fu costituito dal caso di Incmaro, arcivescovo di Reims (845-882).
Nell'847 L. IV gli concedette il privilegio di indossare il pallio in una serie di circostanze. Su richiesta di Lotario, nell'851, il numero di queste circostanze venne accresciuto, ma il papa rifiutò recisamente di conferirgli un vicariato papale nelle Gallie che lo autorizzasse a emettere giudizi canonici su altri arcivescovi, vescovi e abati. Lo scontro fra L. IV e Incmaro si protrasse per tutta la durata del pontificato e appare sostanzialmente come una prova di forza tra le tendenze autonomistiche delle potenti Chiese locali dell'Impero carolingio e la volontà opposta di Roma di esercitare su di esse un forte controllo.
Sui rapporti di L. IV con Costantinopoli si è proporzionalmente meno informati. Il Liber pontificalis tace del tutto, per esempio, su una serie di contrasti fra L. IV e il patriarca Ignazio, generati da interventi compiuti da quest'ultimo come la deposizione del vescovo di Siracusa e altri vescovi siciliani senza preventive consultazioni con Roma. La Vita tuttavia informa del fatto che, quasi alla conclusione del pontificato, un funzionario del palazzo papale, Daniele, ne accusò un altro, tale Graziano, "superista" (cioè comandante militare del Laterano) di tessere trame filobizantine all'interno del palazzo stesso. L. IV immediatamente convocò una corte per esaminare il caso, alla quale chiese di partecipare l'imperatore Ludovico II, forse al fine di allontanare eventuali sospetti di doppio gioco da parte sua. Il processo si concluse con l'assoluzione del sospettato.
Questo avvenimento introduce un altro aspetto della vita dell'istituzione papale per la quale il pontificato di L. IV può apparire quasi un punto d'arrivo delle trasformazioni avviatesi dopo la caduta del dominio bizantino su Roma: si tratta della struttura e del funzionamento della residenza pontificia del Laterano. Al tempo di L. IV, essa era ormai abitualmente definita dalle fonti come "palatium" e la vita di L. IV offre al riguardo il maggior numero di esempi di uso di questo termine tra le biografie relative al IX secolo del Liber pontificalis.
L'impronta del pontefice si estese su tutta la città. Pur se non può essere considerato uno dei grandi papi "costruttori" del IX secolo, L. IV è stato, per quantità di donativi di preziosi alle chiese, secondo solo a Leone III e, per quantità di tessuti donati, terzo dopo Leone III e Adriano I.
La chiesa dei Ss. Quattro Coronati, di cui L. IV era stato presbitero, ricevette in assoluto il più elevato numero di donativi pontifici. Considerando che il radicale ampliamento della chiesa in età carolingia - che ne fece uno dei monumenti più rilevanti della Roma del IX secolo - è abitualmente attribuito al pontificato di Gregorio IV, si può dedurre che L. IV deve essere stato direttamente coinvolto nei lavori. In particolare, L. IV si preoccupò di risistemare la cripta e le reliquie sotto il ciborio, come ricorda anche un'iscrizione del XII secolo posta nell'altare maggiore da Pasquale II (Liber pontificalis, II, p. 127). Inoltre il pontefice restaurò l'abside della basilica di S. Maria in Trastevere che fu poi ricostruita integralmente dal suo successore Benedetto III (ibid., p. 120). A S. Martino ai Monti L. IV continuò il progetto decorativo iniziato da Sergio II con mosaici, pitture murali e pannelli d'argento per l'altare (ibid., p. 131). Da segnalare anche il restauro e l'istituzione, da parte di L. IV, di un convento di monache in un monastero preesistente detto "Corsarum" (ibid., p. 112). Un altro degli interventi rilevanti del suo pontificato - di certo direttamente connesso alla creazione della "civitas Leoniana" - è il potenziamento dei due monasteri di S. Martino e di S. Stefano siti presso S. Pietro. Le dotazioni fondiarie ricevute da queste due istituzioni - si conserva il testo originario della carta emessa per S. Martino, mentre quella per S. Stefano ci è giunta nella redazione di Leone IX, che può conservare elementi del testo di L. IV - sembrano farne dei veri e propri centri di coordinamento per la gestione delle aree interne alla civitas. Nella basilica di S. Pietro L. IV restaurò la navata laterale sinistra (ibid., p. 127). Rilevanti i suoi interventi anche nei luoghi di culto del territorio circostante Roma. Le sedi suburbicarie (in particolare Porto e Silva Candida, più strettamente legate a quella romana) ebbero, come è logico, preminenza nella sollecitudine pontificia; ma sono ricordati provvedimenti anche per il monastero di S. Scolastica di Subiaco e per quello di S. Silvestro al Soratte, per le cattedrali di Anagni, di Fondi e di Terracina. Restano, a segno tangibile dell'attività di L. IV per l'abbellimento delle chiese romane, rilevanti parti di un ciclo di affreschi da lui fatto eseguire nella chiesa di S. Clemente (attuale chiesa inferiore), all'interno del quale si conserva anche un suo ritratto.
L. IV morì a Roma il 17 luglio 855, poco dopo la partenza di Ludovico II, e fu sepolto in S. Pietro, nella cappella dove riposava papa Leone I e che lo stesso L. IV fece restaurare (ibid., p. 113; erano lì tumulati anche i corpi dei papi Leone II e III).
La festa di L. IV, ora soppressa, veniva celebrata il 17 luglio.
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