LEONE IX, papa, santo
Brunone nacque il 21 giugno 1002 dal conte Ugo d'Egisheim e da Helvide (di Dabo?), in Alsazia. I genitori parlavano principalmente il tedesco pur essendo, secondo l'agiografo, bilingui poiché si esprimevano anche in lingua romanza. La data di nascita di Brunone è nota con tanta precisione in quanto una sua biografia fu iniziata quand'era ancora in vita: egli stesso dovette fornire quest'indicazione all'autore della Vita, attribuita all'arcivescovo di Toul, Wiberto (Guiberto; cfr. Bibliotheca hagiographica Latina, Novum supplementum, n. 4818).
Brunone era il terzogenito della coppia, dopo Ugo e Gerardo: gli fu dato il nome di alcuni brillanti chierici, come l'arcivescovo di Colonia, fratello di Ottone I, e papa Gregorio V. Si trattava di un nome portato dal clero: in qualità di terzogenito, infatti, era destinato alla carriera ecclesiastica. Ricevette dunque il tipo di formazione che questa scelta imponeva; abbandonò presto l'ambiente femminile della madre e a cinque anni venne mandato al capitolo della cattedrale di Toul, città per cui avevano optato, in questo periodo, anche altri membri dell'alta nobiltà della Lotaringia per l'educazione dei propri figli.
Brunone rimase all'ombra del capitolo fino a oltre vent'anni: qui percorse le prime tappe della carriera ecclesiastica e divenne diacono. Fece il suo ingresso nella vita pubblica solo dopo la morte dell'imperatore Enrico II, quando nel 1024 fu eletto re dei Romani Corrado II il Salico, suo lontano cugino. Brunone era già conosciuto: il vescovo di Toul lo aveva nominato suo rappresentante presso la corte reale ed egli aveva saputo farsi apprezzare tanto da essere inserito nella cappella, ossia nel gruppo di chierici che circondavano il sovrano, dove veniva loro impartita un'educazione di impronta fortemente ecclesiastica e politica, essendo destinati a occupare le sedi episcopali dell'Impero.
Le sue qualità erano dunque già riconosciute quando, il 1° apr. 1026, morì il vescovo di Toul Hermann. A detta della Vita, unica fonte su questo avvenimento, il clero della città, anche a nome della popolazione, inviò immediatamente in Italia due corrieri muniti di lettere destinate l'una a re Corrado II e l'altra a Brunone.
Nelle missive venivano sviluppate le seguenti argomentazioni: Toul, modesta città situata sul confine occidentale dell'Impero, era minacciata dalle ambizioni dei conti di Champagne; di conseguenza aveva bisogno di un vescovo capace e Brunone rispondeva a questi requisiti. A lui il popolo di Toul - che aveva chiesto al sovrano di non frapporre ostacoli alla richiesta - chiedeva di rinunciare a una carica più prestigiosa. Le lettere furono recapitate mentre i loro destinatari erano occupati in operazioni militari. Il re dapprima si mostrò reticente, poi cedette, consentendo così a Brunone di abbandonare il comando del contingente militare per prendere possesso della sua sede episcopale. Brunone partì quindi senza indugio; per ragioni sconosciute fu inseguito da nemici, riuscendo a stento a salvarsi. Una volta raggiunta Toul, giovedì 19 maggio, giorno dell'Ascensione, fu accolto da suo cugino, Thierry (II), arcivescovo di Metz, che lo introdusse solennemente nella cattedrale. Brunone si mise allora in contatto con l'arcivescovo di Treviri per ottenere la consacrazione. Questo prelato manifestò però delle pretese eccessive, chiedendo che il futuro vescovo non prendesse alcuna decisione senza riferirgliela. Brunone rifiutò la condizione e la consacrazione episcopale fu rinviata finché l'imperatore Corrado II non fu in condizione di intervenire personalmente.
Il sovrano convocò entrambe le parti a Worms nel settembre del 1027 e dispose che Brunone fosse consacrato senza alcuna condizione. Le fonti non rivelano se la cerimonia si svolse a Worms o a Toul, ma la consacrazione si fa risalire in genere al 9 sett. 1027.
Il resoconto di questa elezione, nei termini in cui è proposto dalla Vita, non può essere accettato senza riserve. Il lasso di tempo che intercorre fra il 1° aprile, data di morte di Hermann, e il 19 maggio, giorno in cui Brunone entrò a Toul, è troppo breve se commisurato a tutte le operazioni che furono messe in atto. Hermann era morto lontano dalla sua città, a Colonia, e bisogna considerare il tempo di trasmissione della notizia dalla metropoli renana a Toul e quello necessario per effettuare un'elezione, inviare le lettere in Italia, rintracciare i destinatari, compiere il viaggio di ritorno. Le distanze sono lunghe e le date molto ravvicinate. La Vita si preoccupa di far apparire la scelta di Brunone rispettosa delle regole canoniche, "clero et populo". In realtà sembra che sia stato il sovrano a decidere senza indugio, designando il cugino Brunone alla sede episcopale di Toul non appena ebbe notizia della sua vacanza. Quando Brunone fu nominato vescovo, infatti, la prassi della Chiesa imperiale lasciava al sovrano un'assoluta libertà d'azione nella scelta dei vescovi. Corrado II conosceva la difficile situazione di Toul e aveva bisogno di un uomo forte: Brunone fu designato malgrado la giovane età, ventiquattro anni, ed è opinabile che il clero e il popolo abbiano avuto voce in capitolo nella decisione. Ma quando fu avviata la stesura della Vita di L. IX, il papa non poteva consentire che la sua elezione apparisse di natura simoniaca e fece redigere una versione che poneva l'accento sull'elezione canonica.
L'attività diocesana di Brunone è poco nota: ha lasciato poche carte, alcune delle quali sono inficiate di falsità. Riguardano soprattutto la fondazione di priorati, come quello di Deuilly, nel sud della diocesi, affidato all'abbazia di St-Evre di Toul. A Brunone viene attribuito inevitabilmente un ruolo decisivo nella restaurazione della regola benedettina. Il vescovo in effetti, al momento della sua elezione, fece appello all'abate di St-Bénigne di Digione, Guglielmo da Volpiano, e gli assegnò la carica abbaziale di St-Evre e di St-Mansuy, entrambe a Toul, e lo mise a capo del monastero di Moyenmoutier nei Vosgi. Dopo qualche tempo la carica fu trasmessa da Guglielmo ai suoi discepoli. Il rilancio della vita monastica fu comunque fortemente rallentato dalla minaccia che gravava su Toul a causa delle ambizioni politiche del conte di Blois, Eudes (Ottone), il quale rivendicava la successione del Regno di Borgogna. Un'incursione di Eudes procurò gravi danni a Toul e dintorni, in particolare fu bruciata l'abbazia di St-Evre. Brunone dovette occuparsi della difesa militare della città, del rafforzamento dei bastioni, e in seguito della ricostruzione dell'abbazia. Durante questo periodo, Brunone nel 1031 fu inviato con un'ambasceria presso il re di Francia.
Non è possibile avere notizie più dettagliate sull'attività episcopale di Brunone nel corso dei suoi 25 anni di governo (1026-51). Il solo fatto significativo da sottolineare fu lo stretto legame fra Brunone e un monaco di Moyenmoutier, di nome Umberto, che lo accompagnò a Roma ove intraprese una brillante carriera come cardinale di Silva Candida. Brunone frequentava regolarmente la corte imperiale e fu appunto durante un suo soggiorno a corte nel dicembre 1048 che si vide designare da Enrico III di Franconia alla dignità pontificia.
Per la terza volta un membro della Chiesa imperiale veniva scelto per occupare la cattedra di S. Pietro; come i prelati che lo avevano preceduto anche L. IX mantenne la sede episcopale di Toul fino al febbraio del 1051. Dopo aver protestato la propria incompetenza e indegnità, L. IX si mise in viaggio alla volta dell'Italia, passando per Besançon, in compagnia dell'amico arcivescovo Ugo di Salins. In questa città sembra aver incontrato Ildebrando, diacono della Chiesa romana e futuro papa con il nome di Gregorio VII. Ildebrando mise in guardia il neoeletto dai misfatti della simonia e lo esortò a farsi eleggere regolarmente dal clero e dal popolo di Roma. Brunone gli diede ascolto, si spogliò delle sue vesti sfarzose e si recò nella città come un pellegrino. Fu eletto regolarmente, o se si preferisce confermato, il 2 febbr. 1049 e consacrato il 12 febbraio successivo. La scelta del nome faceva indubbiamente riferimento a Leone I, il cui lungo pontificato aveva lasciato un vivido ricordo.
L. IX era giunto a Roma con una cerchia di compatrioti che influenzò i suoi orientamenti politici: prelati come Helinard e Ugo, arcivescovi di Lione e di Besançon, canonici come l'arcidiacono Federico di Liegi, Udone primicerio di Toul, Ugo Candido di Remiremont, monaci come Umberto di Moyenmoutier. L'esistenza di un gruppo di ecclesiastici provenienti dalla Lotaringia non è irrilevante per gli sviluppi futuri del pontificato, perché spiega l'equilibrio che L. IX riuscì a mantenere fra la Chiesa della quale era a capo e l'Impero di cui faceva parte. Un costante spirito di riforma e un accentuato pragmatismo animavano il Paese d'origine del papa: queste caratteristiche furono all'origine dei viaggi intrapresi da L. IX e dell'attenzione con cui vigilò sull'applicazione delle decisioni sinodali.
Divenuto papa, L. IX celebrò la Pasqua a Roma e riunì un sinodo, una consuetudine che mantenne negli anni seguenti. Si scagliò contro l'eresia ed emanò le sue prime bolle, di cui la Chiesa di Treviri fu una delle principali destinatarie. Dopo due mesi lasciò Roma: convocò un sinodo a Pavia (14-20 maggio), poi proseguì verso Nord, valicò le Alpi al Gran San Bernardo, percorse la valle del Reno e forse discese il fiume per raggiungere Enrico III a Colonia. Da qui si recò ad Aquisgrana, Liegi, Treviri e infine a Toul. Il pontefice lanciò un ampio appello per il sinodo da riunire a Reims in occasione della consacrazione della nuova chiesa abbaziale di St-Rémi.
Questo sinodo, di cui Anselmo di Reims, monaco di St-Rémi, diede un circostanziato resoconto (cfr. Bibliotheca hagiographica Latina, II, p. 717 n. 4825), segnò fortemente gli spiriti per il vigore dimostrato dal papa nella sua azione contro i vescovi simoniaci (3-5 ott. 1049). Numerose bolle furono indirizzate a destinatari francesi e lotaringi.
L. IX passò da Verdun e Metz per raggiungere Magonza e il 19 riunì un sinodo cui parteciparono quasi quaranta vescovi; presiedendo l'assemblea al fianco dell'imperatore, il comportamento del papa fu analogo a quello tenuto a Reims. L'autunno lo vide spostarsi in Alsazia, ad Altdorf e Andlau. In dicembre raggiunse la valle del Danubio, per poi proseguire verso Sud e sostare a Verona in occasione del Natale. All'inizio del 1050, dopo essere disceso lungo la costa italiana, giunse a Capua e Salerno, poi in aprile toccò Melfi, Benevento, il Gargano e, infine, Siponto, dove fu riunito un grande concilio contro i simoniaci. In aprile, a Roma, venne celebrata la Pasqua e si tenne un altro sinodo. Il primo anno di pontificato di L. IX fu dunque contrassegnato da un'intensa attività e dalla novità rappresentata dal lungo spostamento del papa e della Curia verso due importanti paesi della Cristianità, la Francia e la Germania.
Il secondo anno di pontificato non fu molto dissimile dal primo, perché L. IX si mise nuovamente in viaggio verso il Nord, diretto nella regione fra la Mosa e il Reno; in settembre riunì un concilio a Vercelli, attraversò il Giura per recarsi a Besançon e Langres, poi a Toul. Soggiornò a lungo nella città di cui continuava a essere vescovo titolare e di cui proclamò santo il vescovo Gerardo, suo predecessore. Qui celebrò anche il Natale e in seguito rientrò rapidamente a Roma. Il terzo anno di pontificato fu consacrato interamente all'Italia centromeridionale, soprattutto a Benevento e a Salerno, Subiaco, Narni. L. IX riprese le sue visite in questa parte della penisola nel 1052, prima di essere richiamato al Nord. In ottobre si riunì di nuovo con Enrico III a Bratislava, in Slovacchia, lo seguì a Ratisbona, Bamberga e nei paesi renani; celebrò il Natale a Worms, poi raggiunse Roma all'inizio del 1053. La lotta contro i Normanni e la prigionia del papa occuparono interamente il periodo compreso tra la metà del 1053 e il marzo del 1054. L. IX rientrò a Roma solo per morirvi.
Dall'esame dei viaggi del pontefice si possono ricavare due osservazioni: da un lato, egli risiedette raramente a Roma, sia che ritenesse suo dovere essere presente in altri luoghi della Cristianità sia che non amasse soggiornare in una città in cui era straniero: complessivamente trascorse a Roma circa nove mesi dei sessantuno di pontificato, non sostandovi mai per oltre tre mesi. Non si mostrò generoso di bolle nei confronti dell'Italia centrale: non si sentiva certamente romano e neppure italiano. Quanto ai suoi viaggi, si limitarono principalmente a due regioni, la Lotaringia, suo paese d'origine, con visite in Lorena e Alsazia, a due riprese, e soggiorni abbastanza lunghi, e l'Italia centrale, ma soprattutto meridionale, con una predilezione per Benevento, dove si sviluppò un culto particolare in suo onore.
L'attività della Cancelleria di L. IX fu nettamente superiore a quella dei suoi predecessori e immediati successori. Si contano circa 124 bolle a suo nome, tra cui alcuni falsi, ma alle quali si devono aggiungere i "deperdita". Con una media di tre bolle mensili, la produzione di L. IX appare ragguardevole, seppur distribuita in modo diseguale nel tempo. Quasi una cinquantina di bolle risalgono al primo anno di pontificato, mentre gli ultimi dodici mesi furono improduttivi. Si può già constatare che le bolle erano per la maggior parte destinate alla Francia e alla Lotaringia, e poi all'Italia e al resto della Cristianità. Vi sono comprese poche abbazie dell'Impero (Fulda, Lorsch, Gernrode) e alcune città (Treviri, Colonia, Magonza, Bamberga, Amburgo), mentre la Spagna ne è esclusa. Il territorio francese è il più favorito: non stupisce constatare che le regioni visitate dal papa siano state dotate di bolle, come nel caso dell'Alsazia e dell'Italia meridionale. Oggetto degli atti era soprattutto la conferma dettagliata di beni e privilegi, che fino a quel momento era stata sporadica. Al di fuori delle Chiese, i destinatari specifici furono pochi: Edoardo III re d'Inghilterra, il re di Francia Enrico I, i conti di Nevers, d'Angiò e di Bretagna. È indubbio che l'imperatore Enrico III sia stato in costante rapporto epistolare con il papa che lui stesso aveva scelto, ma in questo campo, vista la mancanza di documenti, la curiosità riguardante il loro rapporto deve restare insoddisfatta.
Dall'analisi del contenuto delle bolle si possono ricavare indicazioni sulle prese di posizione del pontefice. Esaminando con attenzione i testi destinati all'Alsazia e alla Lorena, emerge per esempio un forte attaccamento per le antiche usanze ancora in vigore. L. IX non esita in particolare a mantenere la pratica della confessione imposta ai monaci, nonché la scelta dei prelati nella ristretta cerchia della famiglia fondatrice a discapito della "libertas Ecclesiae". Si nota nel papa il rispetto per le situazioni consolidate, e non sembra che egli abbia concepito l'idea di mettere in discussione certi aspetti della Chiesa imperiale, anche perché L. IX riteneva che la salda alleanza della Chiesa con lo Stato germanico contribuisse a garantire ai chierici e ai monaci una protezione più efficace. Le peculiarità delle Chiese regionali francesi, germaniche e italiane non erano d'ostacolo al loro corretto funzionamento. L. IX preferì impegnarsi a fondo nella lotta contro tare quali la simonia, il nicolaismo, l'eresia. Per quanto riguarda i primi due abusi, denunciati da sempre dai papi e con rinnovato vigore a partire dall'inizio dell'XI secolo, L. IX agì avvalendosi della mediazione dei sinodi. Le iniziative prese a Reims appaiono indicative: convocazione dei prelati sospetti, interrogazione, richiesta di confessioni, condanna risoluta e immediata nel caso di errori accertati, eventuale deposizione o perdono. L'abitudine del pontefice di spostarsi e di agire in loco dovette destare un profondo stupore tra i fedeli e i prelati e rappresentò la vera novità nell'azione di Leone IX. Nell'ambito della repressione dell'eresia, le tesi sostenute da Berengario di Tours furono condannate con fermezza.
Il pontificato di L. IX costituì, sotto un certo aspetto, un'intrusione della Chiesa imperiale al vertice della Cristianità. Avendo fatto parte della cappella di Corrado II prima di occupare la sede di Toul, Brunone aveva acquistato dimestichezza con le pratiche della redazione di diplomi, ed è verosimile che questi contatti abbiano avuto un'influenza sulle modifiche apportate alle bolle per sua iniziativa.
Nell'incipit il nome del papa viene messo in risalto, a grandi lettere, e la prima riga è sempre più spesso in lettere capitali. La fine dell'atto include il "Benevalete", ma vi aggiunge il "comma", a forma di punto e virgola; a sinistra dell'atto e su un diametro di solito corrispondente all'altezza del "Benevalete" comparirà, da questo momento, un disegno a forma di ruota ("rota"): lungo il bordo esterno figura il motto pontificio, e fu L. IX a comporre il suo di proprio pugno con abbreviazioni stereotipate: "Misericordia Domini plena est terra". Il cerchio interno è suddiviso in quattro parti da una croce e in ogni quarto compare una lettera del nome L-E-O-IX. In basso nel testo della bolla è tracciata la lunga riga che riporta il luogo e la data di redazione dell'atto, con la menzione del nome del diacono bibliotecario.
Nel corso del suo pontificato tre uomini si susseguirono nella funzione di bibliotecario: Pietro (26 febbr. 1049 - 7 sett. 1050), Udone, primicerio di Toul (22 ott. 1050 - 16 genn. 1051), Federico (12 marzo 1051 - 21 dic. 1053). Pietro continuò a svolgere un compito già iniziato sotto i predecessori di L. IX; dopo la sua morte fu subito sostituito da Udone, decano della cattedrale di Toul, nonché braccio destro di L. IX, ruolo che mantenne in seguito anche a Roma finché ottenne la sede vescovile di Toul (febbraio 1051). Una falsa bolla datata 25 genn. 1051 e destinata a Udone in qualità di vescovo di Toul precede di poco il momento in cui L. IX ritenne opportuno abbandonare definitivamente la sede lorenese - mantenuta, come già ricordato, al momento della sua ascesa al soglio pontificio - che affidò al suo bibliotecario. Essendosi dunque resa vacante, la carica di bibliotecario fu occupata da Federico delle Ardenne, fratello del duca di Lotaringia Goffredo il Barbuto e arcidiacono di Liegi, di cui L. IX conosceva bene la famiglia, con la quale aveva lontani legami di parentela. L'ingresso di Federico nella cerchia dei consiglieri del papa è legato al trasferimento in Italia di Goffredo, divenuto nel 1054 marito di Beatrice di Lorena, marchesa di Toscana: veniva così a rafforzarsi intorno al papa il "clan" lotaringio. Al di sopra del bibliotecario e cancelliere Federico, futuro papa con il nome di Stefano IX, comparve anche un arcicancelliere nella persona dell'arcivescovo di Colonia Hermann. Da questo momento la Cancelleria di L. IX apparve più sicura e lasciò in eredità ai suoi successori pratiche più definite. Questo rigore avrebbe dovuto scoraggiare i numerosi falsari che riconducevano all'autorità del pontefice le loro produzioni, e smascherarne l'invenzione risulta tanto più facile in quanto i loro artefici non erano in grado di rispettare le nuove regole.
La fine del pontificato di L. IX fu profondamente segnata da due questioni che lasciarono tracce durature: lo scisma con Bisanzio e la lotta, già ricordata, contro i Normanni. Da lungo tempo i dibattiti sul dogma e le pratiche di culto contrapponevano le Chiese romana e bizantina. Il patriarca Fozio aveva denunciato gli errori di Roma: digiuno del sabato, proibizione del matrimonio dei preti, conferma del battesimo, introduzione del Filioque nel Credo di Nicea. Per due secoli la disputa era stata soffocata, ma un'iniziativa di Michele Cerulario, patriarca di Costantinopoli, la fece nuovamente divampare.
Leone di Ocrida, su disposizione del patriarca, inviò al vescovo italiano Giovanni da Trani una lettera, da diffondere tra l'episcopato latino e a Roma, nella quale si invitavano i Latini ad abbandonare pratiche qualificate come giudaiche, in particolare la comunione con il pane azzimo: le Chiese latine che avessero mantenuto l'uso del pane non lievitato in territorio bizantino sarebbero state chiuse. Il papa preparò una risposta con l'aiuto dell'amico cardinale Umberto, che seppur ellenista non era un eccelso traduttore. La lettera risoluta di L. IX, che è datata all'inizio del 1053, fu seguita da altre due missive indirizzate rispettivamente all'imperatore Costantino Monomaco e a Michele Cerulario: il papa, pur mostrandosi severo nei confronti del patriarca, assumeva invece un tono conciliante nei confronti dell'imperatore, rammaricandosi della persecuzione di cui erano oggetto i Latini e denunciando l'atteggiamento di Michele. L. IX preannunciava inoltre l'invio di legati; nel gennaio 1054 partirono infatti il cardinale Umberto, il cancelliere Federico e l'arcivescovo di Amalfi Pietro. I tre ambasciatori furono accolti benevolmente dall'imperatore, ma entrarono in conflitto con Cerulario; in particolare, Umberto si mostrò intransigente e del tutto sprovvisto di senso diplomatico, rispose con estrema durezza al trattato dai toni sfumati di Niceta Stetato e il patriarca, a sua volta, rifiutò qualsiasi accordo. Il 16 luglio, quando la morte di L. IX aveva tolto validità all'ambasceria, i legati disposero sull'altare maggiore di S. Sofia una bolla di scomunica contro Cerulario e lasciarono il Paese sotto la protezione dell'imperatore. Dopo la loro partenza il patriarca sobillò la popolazione contro i Romani, consumando così lo scisma delle due Chiese. Questo evento è rimasto legato al nome di L. IX, la cui volontà tuttavia fu certamente scavalcata dal comportamento dell'amico e legato Umberto.
La separazione da Bisanzio era tanto più deplorevole in quanto il papa si trovava contemporaneamente ad affrontare una difficile situazione con i Normanni dell'Italia meridionale. Costoro avevano ricevuto in un primo tempo il sostegno del Papato, che li considerava alleati nella lotta contro i musulmani e i Bizantini; a queste forze si aggiungeva anche l'apporto recato dai principi longobardi dell'Italia meridionale. Per il loro dinamismo e le qualità guerriere i Normanni si erano imposti sempre più e avevano conquistato titoli (conti di Puglia), finendo col diventare un pericolo per i loro antichi alleati. L. IX, vicino ai principi longobardi fin dalla sua ascesa al soglio, accettò dunque l'idea di sottomettere i Normanni con le armi. Quando si incontrò con l'imperatore Enrico III alla fine del 1052, si adoperò per convincerlo a scendere in Italia con le sue truppe, ma questi, memore degli insuccessi dei suoi predecessori, rifiutò di seguire L. IX e si limitò a inviare soldati. L'operazione militare, avviata a metà del 1053, doveva riunire i conti latini e i tedeschi alle truppe bizantine. L'estrema rapidità dei Normanni impedì però che gli alleati si ricongiungessero a Civitate, il 16 giugno 1053: questi ultimi andarono così incontro a una grave disfatta, con pesanti perdite per l'armata voluta da Leone IX. Il pontefice fu fatto prigioniero e condotto a Benevento (23 giugno) dai Normanni, che si comportarono tuttavia in modo deferente nei confronti di Leone IX. Fu liberato il 12 marzo 1054; ritornato a Roma poco tempo dopo, L. IX vi morì il 19 apr. 1054.
La bruciante sconfitta contro i Normanni, aggiunta al fallimento di Umberto a Costantinopoli, offuscò la fine del pontificato di L. IX la cui importanza risiede nella sua fama di papa riformatore, che preannuncia l'azione di Gregorio VII: tale reputazione è dovuta ai rapporti intrattenuti con Umberto di Moyenmoutier, strenuo avversario dell'eresia "simoniaca", e con Ildebrando, futuro Gregorio VII, nonché alla memoria della sua figura diffusa dalle fonti agiografiche, in particolare dalla già ricordata Vita attribuita a Wiberto di Toul. Il culto di L. IX, sviluppatosi soprattutto a Benevento, fu riconosciuto da Vittore III nel 1087, quando ne furono traslate le reliquie; a L. IX nel 1091 venne infine consacrata una chiesa a Toul. La sua memoria liturgica è celebrata il 19 aprile.
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