LAZARA, Leone
Nacque nel 1397, probabilmente nel Padovano, da Francesco e da una Simona di cui si ignora il casato. Dopo la morte prematura del padre fu affidato alla tutela del prozio, Nicolò Lazara, figura decisiva non solo per il giovane L., ma anche per le sorti dell'intera famiglia, quando, agli inizi del XV secolo, si verificarono il crollo della signoria carrarese e l'affermarsi in Padova del dominio veneziano. Nicolò possedeva una casa in città, in contrada S. Margherita, ma dimorava più spesso a Conselve, dove sorvegliava con agio i poderi del suo feudo. Egli avviò alla carriera ecclesiastica il L., che sin dal 1406 è annoverato tra i canonici della cattedrale di Padova e nel 1413 ricevette gli ordini minori dal vescovo Pietro Marcello. Intraprese gli studi di diritto canonico, ma non conseguì in tale disciplina i gradi accademici. La morte della madre nel 1421 e quella del tutore nel 1423 determinarono un significativo cambiamento della sua vita. Il L. abbandonò lo stato canonicale e si dedicò agli studi di diritto civile, alla conclusione dei quali, il 27 sett. 1424, ottenne l'alloro accademico; nello stesso giorno prese in moglie la nobile padovana Lucia, figlia di Palamino Vitaliani e di Benedetta Calza.
Anche il L. apparteneva alla cerchia della nobiltà cittadina soprattutto per le benemerenze politiche e militari acquisite nel corso del Trecento, presso i Carraresi, da Bernardo Lazara (morto nel 1399) e da suo figlio Leone, nonno del Lazara. In precedenza gli antenati del L. erano appartenuti a un ceto subordinato a quello dirigente: erano stati soldati, giudici e notai. In questo contesto si erano distinti solo Giacomo, dottore in arti, scomparso agli inizi del XIV secolo e Pietro, fratello di Bernardo, abate del monastero di S. Michele di Candiana.
Il L. abitava a Padova in contrada Calfura. Negli anni trasformò, per le necessità familiari, la sua dimora in una domus magna, acquistando a un prezzo favorevole alcune abitazioni adiacenti, dagli eredi di Ugolino Scrovegni, perseguiti come congiurati e ribelli dall'autorità veneziana. All'epoca del matrimonio egli aveva già due figlie naturali (una terza era morta ancora infante), alle quali si aggiunsero poi i nove figli legittimi (quattro dei quali scomparvero in età pupillare). Inoltre, altre persone erano considerate parte integrante del suo nucleo familiare, come il fratello uterino Taddeo Lenguazzi, un certo numero di domestici e servitori, un maestro privato, uno scrittore di codici, qualche dozzinante. Il L. possedeva cospicui beni immobili sia nel territorio padovano (a Monselice, Merlara, Valle dell'Abate, Faedo, Calaone, Torreglia, Bosco di Piove di Sacco), sia in città - una porzione consistente delle Beccherie vecchie -, che deteneva in virtù dell'eredità paterna, della permuta dei benefici canonicali, della dote della moglie e dei vantaggiosi acquisti che egli fece nel corso degli anni. Per le numerose affittanze riscuoteva emolumenti non solo in denaro, ma anche in quantità di frumento, olio, vino e legna. Attento amministratore delle proprie ricchezze, egli annotava con metodica puntualità sui propri registri contabili tutte le variazioni, anche minime, riguardanti il capitale. Tra i beni di cui faceva commercio ve ne erano di pregiati come i libri, che il L. vendeva, faceva trascrivere, scambiava o prestava.
Nel 1424 lo Studio patavino gli affidò la cattedra di Lectura notarie, con il salario di 20 ducati annui, in sostituzione di Padovano Pizzacomini; ma la sua docenza fu di breve durata, perché nel frattempo dall'autorità politica veneziana era stato destinato ad assolvere al ruolo di vicario podestarile.
Nel suo primo incarico, che ebbe inizio il 7 ott. 1425, fu chiamato ad affiancare Alvise Storlato, rettore di Feltre. Questa attività pubblica, che si protrasse per circa un ventennio, allontanò il L. dalle aule universitarie e conferì alla sua preparazione giuridica un evidente e definitivo taglio pratico. Fu chiamato a prestare la sua consulenza in grandi città come Vicenza, Udine, Bergamo e a sostenere l'operato di importanti rettori veneziani, tra i quali spicca Francesco Barbaro, nel corso del suo mandato podestarile a Verona nel 1434.
Dopo la morte della moglie, il 3 giugno 1448, il L. sposò nell'agosto dello stesso anno Pantasilea, figlia di Prosdocimo Braziolo (o Brazolo), sorella del dottore in leggi Francesco e vedova del dottore in arti e medicina Cristoforo Barzizza.
In memoria della prima moglie fondò una cappella dedicata a S. Girolamo nella chiesa padovana dei Carmini, ordinando a Francesco Squarcione di dipingere tale cappella un'ancona in cinque comparti, in cui erano rappresentati i ss. Lucia, Giovanni Battista, Girolamo, Antonio abate e Giustina. L'opera fu realizzata dall'artista padovano tra il 1449 e il 1452.
Due suoi figli di primo letto, Francesco e Bianca, sposarono rispettivamente Antonia e Giovanni Battista, figli di Pantasilea, stabilendo così vincoli ancora più stretti tra i Lazara e i Barzizza. Francesco, poi, il 27 genn. 1459, conseguì la laurea in diritto civile, proponendosi in tal modo come l'erede più accreditato della tradizione giuridica paterna.
Nell'ambito della società padovana, il L. svolse anche il ruolo di rettore dell'arte della lana e di deputato ad utilia per conto del Comune. Inoltre fu confermato nei gradi della nobiltà e nominato cavaliere il 16 genn. 1452 dall'imperatore Federico III insieme con il genero, il conte palatino Francesco Santacroce, marito della figlia primogenita Simona. Di onori analoghi fu investito il 23 sett. 1455 dal re di Cipro.
Venduta ad Antonio Frigimelica la sua abitazione in via Calfura, ne acquistò un'altra in via Borgo dei Rogati dove vivevano i figli di primo letto, i nipoti e gli altri figli che Pantasilea gli diede. Dopo aver testato il 13 sett. 1456, morì anche la seconda moglie; il L. si sposò allora una terza volta con la veneziana Franceschina, figlia di Gabriele Bello, vedova di Bartolomeo Pusterla da Piacenza.
Negli ultimi anni della sua vita dovette piangere la perdita del figlio prediletto Francesco, morto di peste nel 1466, e le angherie dell'altro, Nicolò, che dilapidò il patrimonio paterno, indebitandosi per una cifra enorme, superiore a 5000 ducati. Nel frattempo la figlia illegittima Elisabetta, con il nome di suor Giustina, era divenuta badessa del monastero di S. Prosdocimo di Padova.
Il L. stese il suo testamento il 3 nov. 1469, gravato dagli anni e immerso nelle preoccupazioni familiari. Morì a Padova il 14 dic. 1471 e le sue spoglie ebbero sepoltura nella chiesa di S. Maria in Vanzo.
Dopo la sua scomparsa, come afferma Scardeone, alta rimase la sua fama, anche se i suoi scritti a distanza di un secolo erano già dispersi o perduti. Sappiamo, tuttavia, che, oltre ai numerosi consilia, egli emendò nel 1438, in qualità di vicario podestarile di Bergamo e del suo territorio, gli statuti della Val Seriana superiore. Nel 1454, poi, rinnovò e corresse quelli di Padova.
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