PANCALDO, Leone
PANCALDO (Pancado), Leone (Leonino). – Nacque probabilmente a Savona nel 1481 o nel 1482 da Manfrino e da Battina (Battistina) da Repossano.
La famiglia risulta presente nel territorio savonese dal XII secolo. Il nonno paterno, Giovanni, era di Stella (Albisola); inurbandosi, i Pancaldo si inserirono nelle attività artigianali (cuoio, lana) che fecero della Savona del Quattrocento un emporio internazionale. Risulta anche che avesse una sorella (Noberasco, 1929, p. 17).
Figlio di un negoziante, poi tessitore, infine mensurator olei, Leone mise a frutto le nuove opportunità fiorite nell’ambiente ligure con le scoperte geografiche. I rapporti tra i Pancaldo e l’entourage colombiano riguardarono questo contesto. Il 9 aprile 1485 Manfrino acquistò da Michele da Cuneo – noto per la sua relazione del secondo viaggio di Colombo – una casa nel quartiere di Scarzeria; un secondo documento (7 novembre 1491: Noberasco, 1921, pp. 13 s.) registra la presenza in casa di Manfrino di Domenico Colombo, pure tessitore e padre di Cristoforo. Anche il giovane Leone entrò in questa rete di rapporti: Diego, figlio di Cristoforo, gli rilasciò procura con atto rogato a San Domingo (14 gennaio 1514) e registrato a Savona (30 marzo 1515: Ciciliot, 2012, p. 34). All’epoca, in affari con il padre, si impratichì delle rotte mediterranee: il 6 luglio 1513 i due si impegnarono a saldare una partita di berretti entro 18 mesi, «cum dictus Leo redierit ex partibus Ispanie ad quas est de proxime navigaturus» (ibid., p. 47). Al ritorno, forse a fine 1514, Leone sposò Selvaggia Romana: a quanto consta, non ne ebbe eredi.
Pur se nessun documento attesta sue precoci esperienze atlantiche, come spesso ipotizzato, nel 1519 Leone partì con la spedizione che segnò a fondo la sua vita: fu arruolato sulla Trinidad, l’ammiraglia di Magellano, con qualifica di marinero («natural de Saona»), e paga mensile di 1200 maravedís (Avonto, 1992, p. 57). Ma durante il viaggio fu promosso pilota, probabilmente a seguito del riordino della catena di comando attuato da Magellano dopo l’ammutinamento (aprile 1520) avvenuto nel porto di S. Julián (Noberasco, 1921, p. 22).
Pancaldo divise con i compagni la scoperta dello stretto (21 ottobre-28 novembre 1520), la traversata del Pacifico (conclusa con l’arrivo a Guam, 6 marzo 1521), l’approdo alle Filippine (15 marzo). Qui, la decisione di Magellano di sostenere le ambizioni di un capo locale segnò il destino della spedizione: in una serie di scontri perirono 30 marinai, tra cui lo stesso ammiraglio (Mactan, 27 aprile). La riduzione degli equipaggi impose il sacrificio della Concepción, arsa in mare; dopo il naufragio della Santiago sulle coste patagoniche e la diserzione della San Antonio durante la ricognizione dello Stretto, restarono la Trinidade la Victoria, che giunsero a Tidore, nelle Molucche, l’8 novembre 1521, caricandovi gran quantità di chiodi di garofano: tra 800 e 1000 quintali sulla sola Trinidad, secondo le deposizioni rese a Valladolid da Gómez de Espinosa e Pancaldo (Fernández de Navarrete, 1837, pp. 379, 383); 235 per il capitano portoghese Antonio de Brito (Peragallo, 1894, p. 282).
Una falla nella stiva della Trinidad portò alla decisione di separarsi: il 21 dicembre la Victoria fece vela a Ovest giungendo a Sanlúcar de Barrameda il 6 settembre 1522; l’ammiraglia, riparato il guasto, risolse di tentare la traversata del Pacifico fino al Darién. Partita da Tidore il 6 aprile 1522, la nave toccò le Marianne; proseguì fino a 42° latitudine Nord, quando gravi difficoltà indussero a riguadagnare le Molucche, forse nel novembre, se è vero quanto dichiarato da Pancaldo «quando allegamos a las dichas tierras [de los reyes de Maluco] avía siete meses que andávamos por la mar» (Peragallo, 1894, p. 284).
Gli stremati superstiti rivolsero richiesta d’aiuto alle navi del capitano portoghese de Brito, che fece trainare la malconcia Trinidad a Ternate, ma solo per impadronirsi di tutto il contenuto, tra cui il diario di bordo, usato per comporre la Navegaçam e vyagem que fez Fernando de Magalhaes de Sevilha pera Maluco no anno de 1519 (nota come Roteiro del pilota genovese).
Il testo è prezioso non solo per essere – con la Relazione di Pigafetta e il Derrotero di Francisco Albo – una delle tre testimonianze dirette del viaggio di Magellano, ma altresì per la sua natura tecnica (rotta seguita, posizioni, distanze); si tratta, inoltre, dell’unica fonte relativa alle peripezie della Trinidad dopo la separazione dalla Victoria. La nota che chiude il testo ne attesta la dipendenza dal diario di bordo: «E isto foi tresladado de hum quaderno de hum piloto genoés, que vinha na dita nao, que espreveo toda a viage como aqui está» (cit. in Avonto, 1992, p. 335).
In passato, autore del diario fu spesso ritenuto Giovan Battista Ponzoroni, compagno di viaggio di Pancaldo, ma oggi sussistono pochi dubbi circa l’attribuzione al savonese, in primis perché a lui spetta la qualifica di «pilota», mentre Ponzoroni era e si firmava «maestre» (Avonto, 1992, pp. 266-272). Fu dopo la cattura della Trinidad e il sequestro di «los libros que habian hecho de derrotear, [...] los quales libros hizo este declarante en italiano» (cit. in Fernández de Navarrete, 1837, pp. 383 s.) che, sulla scorta del diario e per attingerne senza difficoltà i contenuti, venne redatta la Navegaçam, di certo in Oriente, da parte di un portoghese che dovette limitarsi a un transunto, più che impegnarsi in una traduzione fedele.
I documenti pubblicati da Fernández de Navarrete (1837) e Peragallo (1894) danno conto delle peripezie di Pancaldo fino al suo ritorno in Europa. I pochi superstiti (17 uomini), trattenuti a Ternate per quattro mesi, furono tradotti alle isole Banda, poi per cinque mesi a Malacca, infine, per altri dieci mesi, a Cochin, in India, in condizioni difficili: «muriéramos de hambre», scrisse Pancaldo (cit. in Peragallo, 1894, p. 288), che con Ponzoroni tentò la fuga su di una nave portoghese diretta a Ovest. Scoperti e scaricati in Mozambico, vi trascorsero due inverni. Di lì inviarono a Carlo V e a un ignoto ecclesiastico due lettere assai simili, datate 20 e 25 ottobre 1525, a firma «Batista da Ponçoron y León Pançado, maestre y piloto» (Peragallo, 1894, pp. 284-289), in cui narravano la propria vicenda chiedendo che la Spagna ne reclamasse la restituzione.
Morto Ponzoroni a fine 1525-inizio 1526, Pancaldo, nascostosi su di un’altra nave portoghese, approdò a Lisbona nel 1526; incarcerato, fu liberato per intervento di Carlo V e giunse in Spagna forse quell’anno stesso. Nell’agosto 1527 il Consiglio delle Indie lo convocò a Valladolid con due compagni di viaggio, Ginés de Mafra e Gonzalo Gómez de Espinosa; le dichiarazioni giurate da loro rilasciate (Fernández de Navarrete,1837, pp. 378-388) ricostruiscono gli eventi, sottolineando i danni patiti dalla Corona e i suoi diritti sulle Molucche, allora contese al Portogallo.
Forse già a fine 1527 Pancaldo giunse in una Savona profondamente mutata a seguito dei gravi danni recati dai genovesi al porto e ai moli (1525). Vi era ancora a inizio 1529, come prova un primo testamento (29 aprile); ma il 17 dicembre risulta essere a Parigi (Belloro, 1873, p. 222), ove stipulò una convenzione (i cui contenuti non si conoscono) con il diplomatico portoghese João da Silveira. Documenti successivi (Peragallo, 1894, pp. 290-296) chiariscono il contesto: avuta notizia dei contatti tra Pancaldo e influenti personaggi della corte francese, tra cui Jean Ango, già finanziatore dei viaggi di Verrazzano – da poco scomparso – e il grande ammiraglio Philippe de Chabot, che intendevano coinvolgerlo in progetti di viaggi orientali, gli agenti portoghesi si mobilitarono per impedire che ciò avvenisse.
Le trattative approdarono a un contratto tra Pancaldo e Gaspar Palha (Savona, tra il 30 settembre e il 3 ottobre 1531), le cui pedanti clausole si riassumono in breve: versando a Pancaldo 1600 ducati d’oro, re Giovanni III ne otteneva l’impegno a non diffondere le proprie conoscenze e a non farsi coinvolgere in viaggi verso le isole delle spezie. In una lettera al legato Antonio de Athayde, il re esprimeva altresì il desiderio che Pancaldo si trasferisse in Portogallo. Nella risposta, probabilmente insincera, Pancaldo si schermiva: «yo soi ya viejo y no tengo hijos ni hijas, y queria ya repozar y estar en tierra», anche perché «mi postrera voluntad es de nom poner mas el pie en la mar» (Peragallo, 1894, p. 303).
Tra il 1532 e l’aprile 1535, vari documenti provano la presenza di Pancaldo a Savona: alcuni (23 dicembre 1533; 3 gennaio e 3 febbraio 1534) attestano continuità di rapporti con ambienti lusitani, dato che Leone vi figura come mediatore d’affari tra elementi locali e agenti portoghesi. Forse acquistò allora, a Lavagnola, la villa con torre detta ‘Pancalda’. Testò altre due volte, il 23 aprile 1534 e il 6 aprile 1535. Se, in assenza di prove, va rigettata l’ipotesi che il testamento del 1534 fosse provocato da un viaggio per mare (Noberasco, 1929, p. 52), è certo che il seguente fu rogato nell’imminenza della spedizione organizzata da mercanti genovesi attivi a Valencia (Urbano Centurione, Francesco Pozzobonello), al fine di portare un carico di merci sulle coste del Perù, recentemente conquistato, attraverso lo stretto di Magellano. Ne ebbe il comando Pancaldo, sulla Santa Maria (forse già utilizzata da Sebastiano Caboto nel viaggio del 1526); il genovese Giovan Pietro Vivaldi seguiva sulla Concepción. Partite da Cadice nel settembre 1536, le navi giunsero in prossimità dello stretto a fine novembre 1537, ma una manovra avventata di Vivaldi provocò il naufragio della Concepción. La spedizione ripiegò allora sul Rio de la Plata, per vendere le merci a Buenos Aires, appena fondata (1536) dagli spagnoli di Pedro de Mendoza.
Quanto avvenne poi è noto grazie agli atti relativi a tre cause che Pancaldo affrontò davanti alle autorità spagnole. La principale trasse origine dalla denuncia del capitano di mare Antón López de Aguiar, che reclamava un esoso compenso per aver guidato Pancaldo dall’isola di San Gabriel, entro l’estuario del Rio, fino a destinazione. Di qui si apprende che la Santa Maria si incagliò nei bassi fondali del porto di Buenos Aires e che le merci tratte in salvo furono vendute a credito, senza garanzie, anche per le pressioni delle autorità spagnole (Avonto, 1992, p. 96).
È probabile che queste difficoltà, oltre al clima e all’atmosfera difficile della società coloniale, influissero sulla salute di Pancaldo. Certo è che il conquistador spagnolo Pero Hernández ne registrò la morte (ibid. pp. 96 s.), avvenuta probabilmente a fine agosto 1540 a Buenos Aires.
Fonti e Bibl.: M. Fernández de Navarrete, Colección de los viages y descubrimientos que hicieron por mar los españoles desde fine del siglo XV, IV, Expediciones al Maluco. Viaje de Magallanes y de Elcano, Madrid 1837, pp. 370, 378-388 (con importanti documenti); P. Peragallo, Sussidi documentari per una monografia su L. P., in Raccolta di documenti e studi pubblicati dalla R. Commissione Colombiana, V, 2, Roma 1894, pp. 263-306; J. Toribio Medina, Algunas noticias de L. P., Santiago de Chile 1908; E. De Gandia-M. Fernández Reyna, L. P. y la primera expedición genovesa al Río de la Plata, Buenos Aires 1937. Per la ricostruzione biografica, oltre al cronista G.V. Verzellino, Delle memorie particolari e specialmente degli uomini illustri della città di Savona, Savona 1885-91, II, pp. 37-40, e al pionieristico G.B. Belloro, L. P., Genova 1846, poi ripubblicato in L. Grillo, Elogi di liguri illustri. Appendice, Genova 1873, pp. 221-228, si vedano gli studi di G. Jachino, L. P.: Saggio storico critico, Savona 1900; F. Noberasco, Un compagno savonesedi F. Magellano, Savona 1921; Id., Un compagno di Magellano: L. P. savonese, Savona 1929; F. Ciciliot, L. P. Da Magellano a Buenos Aires, Savona 2012. Sul Roteiro, attribuito a G.B. Ponzoroni ancora da P.L. Crovetto, G.B. da Poncevera, in Nuovo Mondo. Gli Italiani, a cura di P. Collo - P.L. Crovetto, Torino 1991, pp. 343-347, è oggi fondamentale L. Avonto, I compagni italiani di Magellano, Montevideo 1992, passim.