LEONE
Nacque probabilmente intorno agli anni Sessanta del secolo X. Divergenti i pareri in merito alle sue origini.
Tra Otto e Novecento si suppose che L. fosse tedesco e che avesse trascorso la giovinezza nei dintorni di Hildesheim, città dove, secondo alcuni storici, era nato. L'ipotesi era suffragata dall'analisi filologica di termini impiegati da L. in alcune sue lettere, da cui si desumevano presunti collegamenti con il dialetto della cittadina sassone, che nel X secolo era sede di diocesi e strategico centro politico-amministrativo imperiale. Studi recenti propendono invece per una nascita italiana di L. adducendo che la sua grafia, ampiamente testimoniata, denuncerebbe una mano sicuramente italica.
È da identificare con L. quel Leone "episcopus palacii", presente a Magonza nel settembre 996, segnalato da Bruno di Querfurt. È ancora Bruno a lodarne, senza mezzi termini, le doti: "Leo, cui vivax ingenium natura dedit, et pulchra facundia insignem fecit". D'altra parte sappiamo che fu proprio Ottone III a intuire e a valorizzare le capacità di Leone.
Nel 998, negli anni della cosiddetta Renovatio Imperii, fu L. a comporre le dodici strofe inneggianti al raggiunto potere comune di Papato e Impero con Gregorio V e Ottone III. Si tratta non solo di un canto trionfale ed encomiastico nei confronti delle due supreme auctoritates, ma di uno scritto che rispecchia un chiaro progetto politico in cui, pur nell'eletto connubio regnum-sacerdotium, è comunque l'imperatore ad avere una netta superiorità e responsabilità nei confronti di ogni altra potestas terrena, compresa quella papale: motivi e consonanze che ritorneranno, come vedremo, nei dibattuti diplomi imperiali a favore di L., redatti nella primavera del 999 (I Versus de Gregorio papa et Ottone augusto sono editi a cura di K. Strecker - A. Eickermann, in Mon. Germ. Hist., Poetae Latini Medii Aevi, V, Die Ottonenzeit, 2, Berolini 1939, pp. 477-480).
Dallo scorcio del X secolo L. figura come dictator della Cancelleria imperiale, compito che prevedeva anche il prestigioso incarico di consiliarius di Ottone III. Fino al 998 L. presenziò, quale archidiaconus o con il titolo di iudex palatii o di missus imperialis, anche a diversi placiti tenutisi in area italica negli anni di Ottone III; mentre, dopo l'elezione episcopale a Vercelli e durante il regno di Enrico II il Santo, nella documentazione viene menzionato con l'appellativo di "fortis" e anche quale logotheta e protoscriniarius della Chiesa di Roma (Placiti, ed. Manaresi, ad nomen; Volpini, ad nomen). Una Chiesa, quella romana, che L. non aveva mancato di attaccare durante il processo contro Giovanni Filagato, l'antipapa Giovanni XVI, insediato sul trono pontificio per volere di Crescenzio Nomentano.
L. fu in contatto anche con taluni esponenti dell'episcopato teutonico, tra i quali Adalberto di Praga, Enrico di Würzburg, Bruno di Querfurt, Gerberto di Reims, poi papa Silvestro II (la cui amicizia doveva essere fraterna se Gerberto lo chiama "noster Leo": Gandino, p. 257), Eriberto di Colonia e, soprattutto, Bernward di Hildesheim, con il quale i rapporti si mantennero eccellenti, tanto che questi si recò a visitare L. nella primavera 1001.
Nel 998 L. salì alla cattedra episcopale di Vercelli, elezione fortemente voluta e probabilmente "pilotata" da Ottone stesso.
Per la dinastia imperiale ottoniana la piccola ma vivace località del Piemonte orientale appariva, negli anni a cavallo tra il X e l'XI secolo, di primissimo piano nel quadro della sua complessa, travagliata politica e di alto interesse strategico, in quanto civitas "di confine": confine non geografico ma politico, specie nei confronti della dinastia marchionale Anscarica di Ivrea, bellicosa e, dal punto di vista imperiale, ribelle. Alla morte di Ottone III, e soprattutto negli anni che seguirono, quando pervenne al trono Enrico II, avere in quell'area un alleato sicuro, sagace e della levatura di L. doveva essere una garanzia di equilibrio nell'inaudita confusio del Regno italico in quegli anni. Proprio Wipone - biografo dell'imperatore Corrado II il Salico - che ben descrive il caos istituzionale italico, ammira il profondo sapere di L. che gli appare, oltre che fedele alleato del suo sovrano, quale "vir multum sapiens" (p. 33).
Pochi anni dopo l'elezione di L. alla cattedra episcopale vercellese la situazione politica locale vide il rapido, progressivo inasprimento dei rapporti tra il marchese di Ivrea Arduino, uno dei più potenti signori feudali del Regno italico occidentale, e il nuovo sovrano, Enrico II, l'ultimo della dinastia sassone. Il dissenso politico di Arduino, poco dopo il Mille, si era manifestato anche nei confronti dell'aristocrazia padana filoimperiale, laica ed ecclesiastica: come nel caso del marchese Tedaldo di Canossa, del vescovo di Novara e, appunto, di quello di Vercelli. Le mire espansionistiche arduiniche proprio verso le circoscrizioni comitali "senza conti" di Novara e Vercelli si erano scontrate con l'abile politica di accorpamento territoriale degli agguerriti e accorti presuli locali, sostenuta dalla diplomazia imperiale già negli ultimi anni di regno di Ottone III. L., grazie a un'azione abilmente concertata e costruita con la Cancelleria imperiale, riuscì ad ampliare e ad arricchire la diocesi vercellese inglobando vaste aree territoriali che, nel complesso mosaico geopolitico e amministrativo del Regno italico, risultavano di livello e denominazione comitale.
Si trattava tuttavia di comitati senza conti: di circoscrizioni per molti aspetti anomale rispetto ad altre, talvolta a esse limitrofe, in cui erano presenti e attive più e meno rampanti dinastie signorili che, a seguito del crollo dell'Impero carolingio, si erano progressivamente trasformate arroccandosi sui beni allodiali e razziandone altri. I poteri di controllo e di districtus di derivazione pubblica, un tempo delegati dal sovrano, divennero privati e, in molti casi, le famiglie signorili si radicarono sulle terre di loro proprietà legando alla dinastia poteri prima revocabili dall'alto, ridistribuendo e ridisegnando il loro potere in un magmatico e articolato mosaico di circoscrizioni signorili. Non mancavano, però, distretti comitali o vicecomitali cui non corrispondeva una famiglia signorile di riferimento, come nel caso di Vercelli e Santhià; si trattava di zone che, nonostante fossero politicamente rilevanti, erano prive di un diretto controllo comitale locale, risultando così assai appetibili per la bellicosa aristocrazia laica ed ecclesiastica, tra l'attuale Piemonte e la Lombardia. L. si muoveva allora, sullo scorcio del X secolo e nei primi due decenni del secolo successivo, in un panorama territoriale caratterizzato dal reticolo di possedimenti di stirpi marchionali quali l'Arduinica, l'Anscarica e l'Obertenga, di dinastie comitali come quelle di Pombia o del Seprio e dove non mancavano neppure, nelle aspre, violentissime contese, altre figure di ecclesiastici di rango, come gli arcivescovi di Milano, i vescovi di Novara e gli abati di svariati monasteri padani.
L'ampliamento della diocesi cui mirava L. coincideva con la linea politica di Enrico II, che intendeva non solo abbattere il pericoloso rivale al trono italico, Arduino d'Ivrea, ma anche servire da esempio per gli altri insofferenti signori del Regno italico, i cui progetti espansionistici a danno della Chiesa e di un'autorità centrale fumosa e lontana l'imperatore era risoluto a ridimensionare drasticamente.
I diplomi del 7 maggio 999 con cui a L. venivano concessi il "comitatus Vercellensis" e il "comitatus Sancte Agathe" - l'attuale territorio facente capo a Santhià - sono stati a lungo oggetto di studio da parte di storici e diplomatisti. Pare quasi certo che si tratti di documenti confezionati appositamente per L. e su suo espresso suggerimento, in sintonia con la politica e quindi con la Cancelleria imperiale: in essi si precisava che nei due comitati era proibita qualsiasi interferenza di ufficiali pubblici e, in special modo, del marchese d'Ivrea.
La politica espansionistica di L. proseguì, in quei primissimi anni dell'XI secolo, a danno della Chiesa eporediese. Per il Chronicon Novaliciense (pp. 298-300), L. "usurpare vellet" sia l'abbazia di Breme, dove avevano trovato nuova sede i monaci della Novalesa, sia l'episcopato d'Ivrea, retto da Ottobiano. Va sottolineato che sulla cattedra episcopale di Vercelli L. succedeva a una serie di presuli che - perseguendo una linea politica di ampio respiro, non solo in ambito locale - si erano dedicati con passione e determinazione all'ampliamento della mensa vescovile, specie dopo le distruzioni ungariche dei primi decenni del X secolo. Ai tempi di L. tale politica, che si era sempre rifatta all'alta tutela regia-imperiale, urtava contro il disordine provocato proprio dai vicini, potenti dinasti della schiatta marchionale eporediese. Il sistematico accorpamento fondiario posto in essere da L. si inserisce infatti nel quadro dei torbidi provocati dalla lotta tra il marchese Arduino d'Ivrea ed Enrico II. L., nei momenti successivi alla morte del giovane Ottone III, nel gennaio 1002, seppe rapidamente riprendersi appoggiando senza riserve il successore al trono, Enrico II.
Si poneva così in netto contrasto con i vescovi di Novara, Verona, Parma e, più duramente e direttamente, con Arduino d'Ivrea, la cui effervescenza politica non aveva mancato, peraltro, di entusiasmare una fitta schiera di battaglieri presuli italici: dal vescovo di Como a quelli di Asti, Tortona, Lodi, Cremona, Modena, Bergamo, Vicenza; più sfumata e guardinga era la posizione dell'arcivescovo di Milano, Arnolfo (II).
L. pare avesse approfittato, per impadronirsi del cenobio di Breme, del periodo di vacanza intercorso tra la morte dell'abate Gezone e l'elezione del suo successore, Gotofredo. Riguardo alla Chiesa eporediese, invece, è facilmente intuibile come L., decisamente filoimperiale, tentasse di sbarazzarsi del vescovo di Ivrea Ottobiano, per i suoi evidenti legami con Arduino. Nel 1004-05 (le fasi e la cronologia dell'assedio risultano molto incerte) L. fu costretto a ritirarsi dalla sede diocesana vercellese per la vicinanza delle bellicose truppe arduiniche; solo dopo il vittorioso combattimento di Sparone, non distante da Ivrea, e l'aiuto di truppe imperiali, egli riuscì a rientrare nella sua diocesi, facendosi riconfermare dall'imperatore, a Ratisbona nel 1007, i beni della sua Chiesa, già concessi da Carlo III e da Ottone III. Tuttavia, fino al 1014 - anno in cui Arduino abbandonò definitivamente la corsa al trono - in ambito italico e ancor più in area vercellese il pericolo di nuove congiure accompagnò l'esistenza di L.: fu insidiato dal filoarduinico conte di Pombia, Uberto detto "Rufus", che L. non esitò a fulminare, per le violenze da costui perpetrate - con l'appoggio di Olderico Manfredi marchese di Torino - a danno della Chiesa, specie in territorio vercellese, con durissime formule di maledizione (Le carte dell'Archivio capitolare di Vercelli, nn. 33, 35, 37). Il panorama che affiora dalle lettere di L. a Enrico II offre un quadro drammatico della confusio in cui si trovava il Regno italico di quegli anni e specie in diocesi e comitatus di Vercelli. L. fu deluso e sconcertato per l'atteggiamento ambiguo, quando non palesemente contrario, di taluni vescovi teutonici (per esempio quelli di Colonia e di Würzburg) che fino ad allora (1015-16) erano sembrati appoggiare la sua politica; egli quindi, nell'incerto clima politico che si era creato, non esitò a dichiarare apertamente a Enrico II i propri crediti, reclamando con forza e schiettamente quella considerazione che a corte gli pareva stesse scemando (ibid., n. 36). Il sovrano confermò la sua stima a L., che nel 1019 partecipò a una Dieta imperiale a Strasburgo. Successivamente, nella terza discesa di Enrico II in Italia (1021), egli non fece mancare il suo appoggio all'imperatore accompagnandolo e partecipando a diverse assemblee giudiziarie e al concilio di Pavia del 1° ag. 1022.
A Pavia L. trattò del tema, a lui non nuovo, dello status servile e dei doveri di chi a esso afferiva, specie di coloro che dipendevano da domini ecclesiastici ed erano pertanto impiegati su terre appartenenti alla Chiesa.
L., nonostante i suoi prevalenti impegni politico-diplomatici e militari a fianco degli imperatori, ebbe un proprio ruolo anche quale pastore della diocesi vercellese, occupandosi di ampliare la biblioteca capitolare e favorendo la trascrizione di testi sacri. Le numerose, chiare annotazioni in margine ai testi, spirituali, filosofici, giuridici e letterari, letti e studiati da L. sono state e sono tuttora oggetto di studi, in particolare di carattere paleografico e filologico (Ferrari, pp. 526 s.; Dormeier, 1999, pp. 66-70; Gavinelli, pp. 233-262).
Oltre ai ricordati Versus de Gregorio papa et Ottone augusto, L. compose: Elegia supra Petro, in occasione della morte di Pietro vescovo di Vercelli (997), edita in modo frammentario da H. Bloch, Beiträge zur Geschichte des Bischofs Leo von Vercelli und seiner Zeit, in Neues Archiv für ältere deutsche Geschichtskunde, XXII (1897), p. 109; Metrum Leonis, poema allegorico di 450 versi, dedicato probabilmente al marchese Ugo di Toscana (morto nel 1001), edito da K. Strecker - N. Fickermann, in Mon. Germ. Hist., Poetae Latini Medii Aevi, V, Die Ottonenzeit, 2, Berolini 1939, pp. 483-489; Versus de Ottone et Henrico, che contengono il lamento funebre in onore di Ottone III e il panegirico per l'ascesa al trono di Enric0 II (editi ibid., pp. 480-483). Una lettera di L. a Fulberto di Chartres è edita in J.-P. Migne, Patr. Lat., CXLI, col. 129.
Gli ultimi anni di vita di L. non furono privi di insidie: alla morte di Enrico II (1024) la lotta per la successione al trono imperiale lo vide a fianco del potente arcivescovo milanese Ariberto d'Intimiano, a favore di Corrado II il Salico e contro le mire del duca Guglielmo d'Aquitania. L'immutata fedeltà all'Impero valse a L. la visita, nell'aprile 1026, del nuovo sovrano, Corrado II il Salico.
Probabilmente L. morì proprio nell'aprile 1026, ma la data è del tutto incerta.
L'essere stato fidelis Imperii e bellicoso protagonista della politica del suo tempo suscitò commenti diversi: se a Rodolfo il Glabro apparve "crudelissimus" e "sine Deo" (pp. 657 s.), per Benzone d'Alba, fiero sostenitore degli ideali imperiali, gli appellativi ideali per L. sono ovviamente di senso opposto: "magnus, fortis, admirabilis" (p. 386).
Fonti e Bibl.: Rodulphus Glaber, Vita sancti Willelmi Divisionensis, a cura di G.H. Pertz, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, IV, Hannoverae 1841, pp. 657 s.; Bruno Querfurtensis, Vita secunda sancti Adalberti episcopi, a cura di G.H. Pertz, ibid., p. 605; Thangmarus, Vita Bernwardi episcopi Hildesheimensis, a cura di G.H. Pertz, ibid., p. 771; Benzo Albensis, Ad Heinricum IV imperatorem libri IV, a cura di G.H. Pertz, ibid., XI, ibid. 1854, p. 386; Ottonis III diplomata, a cura di T. Sickel, ibid., Diplomata regum et imperatorum Germaniae, II, ibid. 1893, n. 827 pp. 39 s.; Heinrici II diplomata, a cura di H. Bloch - H. Bresslau, ibid., III, ibid. 1900-03, n. 322b p. 404 e passim; Wipo, Gesta Chuonradi, a cura di H. Bresslau, ibid., Scriptores rerum Germanicarum in usum scholarum, LXI, ibid. 1915, p. 33; G.D. Mansi, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, IX, Venetiis 1759, coll. 343-358; Le carte dell'Archivio capitolare di Vercelli, a cura di D. Arnoldi et al., Pinerolo 1912, nn. 33, 35-37; P.F. Kehr, Italia pontificia, VI, 2, Berolini 1914, p. 12 nn. 18 s.; I placiti del "Regnum Italiae", a cura di C. Manaresi, II, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], XCVI, 1, Roma 1957, n. 232; R. Volpini, Placiti del "Regnum Italiae" (secc. IX-XI). Primi contributi per un nuovo censimento, Milano 1975, ad ind.; Chronicon Novaliciense, a cura di G.C. Alessio, Torino 1982, pp. 298-300, 346; H. Bresslau, Manuale di diplomatica per la Germania e l'Italia, Roma 1998, pp. 414 s., 985; H. Bloch, Beiträge zur Geschichte des Bischofs Leo von Vercelli, in Neues Archiv für ältere deutsche Geschichtskunde, XXII (1897), pp. 13-136; F. Savio, Gli antichi vescovi d'Italia dalle origini al 1300 descritti per regioni, Torino 1899, p. 199; G. Schwartz, Die Besetzung der Bistümer Reichsitaliens…, Leipzig-Berlin 1913, p. 117; C. Violante, La società milanese nell'età precomunale, Bari 1953, pp. 196 s., 214 s., 217; J. Fleckenstein, Die Hofkapelleder deutschen Könige, II, Stuttgart 1966, passim; F. Cognasso, Il Piemonte nell'età sveva, Torino 1968, pp. 85-88; C. Violante, Aspetti della politica italiana di Enrico III, in Id., Studi sulla cristianità medievale, Milano 1975, pp. 281, 297; R. Pauler, Das Regnum Italiae in ottonischer Zeit. Markgrafen, Grafen und Bischöfe als politische Kräfte, Tübingen 1982, pp. 33-45; G. Sergi, Le città come luoghi di continuità di nozioni pubbliche del potere. Le aree delle Marche di Ivrea e di Torino, in Piemonte medievale. Forme di potere e della società. Studi per Giovanni Tabacco, Torino 1985, pp. 18 s.; R. Pauler, I conti di Lomello, in Formazione e strutture dei ceti dominanti nel Medioevo. Marchesi, conti e visconti nel Regno italico (secc. IX-XII), in Atti del I Convegno, Pisa… 1983, Roma 1988, pp. 193 s.; G. Andenna, Grandi patrimoni, funzioni pubbliche e famiglie su di un territorio: il "comitatus Plumbiensis" e i suoi conti dal IX all'XI secolo, ibid., pp. 202, 213, 216, 219 s.; F. Panero, Servi e rustici, Vercelli 1990, pp. 135-137; H. Dormeier, Kaiser und Bischofherrschaft in Italien: Leo von Vercelli, in Bernward von Hildesheim und das Zeitalter der Ottonen, I, Hildesheim-Mainz a.R. 1993, pp. 103-112; G. Sergi, I confini del potere. Marche e signorie fra due Regni medievali, Torino 1995, pp. 84, 123, 148, 157, 160 s., 163, 168, 187 s., 193, 295, 323, 326; G. Gandino, Orizzonti politici ed esperienze culturali dei vescovi di Vercelli tra i secoli IX e XI, in Boll. storico-bibliografico subalpino, XCVI (1998), pp. 255-263; A. Lucioni, Da Warmondo a Ogerio, in Storia della Chiesa di Ivrea dalle origini al XV secolo, a cura di G. Cracco, Roma 1998, pp. 129, 131-133, 138-144, 146, 152 s., 160; M. Ferrari, Libri e testi prima del Mille, ibid., pp. 526 s.; H. Dormeier, Un vescovo in Italia alle soglie del Mille: L. di Vercelli "episcopus Imperii, servus sancti Eusebii", in Boll. stor. vercellese, LIII (1999), pp. 62 s., 66-70; A. Bedina, Robbio e dintorni tra concorrenze politiche e riassetto circoscrizionale, in Nuova Riv. storica, LXXXIV (2000), 1, pp. 110-112; S. Gavinelli, L. di Vercelli postillatore di codici, in Aevum, LXXV (2001), 1, pp. 233-262; N. D'Acunto, Nostrum Italicum Regnum. Aspetti della politica italiana di Ottone III, Milano 2002, pp. 65 s., 73, 94, 102, 111, 116, 124 s., 132, 136, 139, 142, 145-147, 150 s., 156, 158; Id., Ottone III e il Regnum Italiae, in Ottone III e Romualdo di Ravenna. Impero monasteri e santi asceti. Atti del XXIV Convegno del Centro Studi Avellaniti… 2002, Negarine 2003, pp. 63-65, 70 s.; Lexikon des Mittelalters, V, coll. 1881 s.; Repertorium fontium historiae Medii Aevi, VII, p. 182.