LEONE
Nato in un anno imprecisato della prima metà del secolo XI, L. inizia a essere ricordato nella documentazione intorno al 1050; il padre - del quale si ignora il nome (anche se ipoteticamente gli è stato attribuito quello di Baruch) - era un ebreo convertito al cristianesimo prima del pontificato di Leone IX e prese il nome Benedetto seguito dall'epiteto Cristiano, in ricordo della conversione. Si è supposto che anche L. sia stato battezzato in età adulta, forse dopo il 1049.
Dopo molte polemiche storiografiche, si può escludere che vi fossero rapporti di parentela tra L. e i pontefici Gregorio VI e Gregorio VII.
L., invece, può senza dubbio considerarsi il capostipite della famiglia dei Pierleoni, nonché l'iniziatore della formidabile fortuna di uno dei più potenti casati romani dei secoli centrali del Medioevo, che rappresenta l'esempio forse più significativo di ascesa di forze in grado di integrare l'attività politica al fianco del Papato riformatore con le ricchezze mercantili e finanziarie, e che nel panorama dell'aristocrazia cittadina erano del tutto nuove.
Con evidente riferimento alla sua elevata posizione sociale e alle attività mercantili da lui svolte, L. è ricordato come "vir magnificus et laudabilis negotiator" in un rogito notarile del novembre 1051, tramite il quale egli ottenne in locazione dal monastero romano dei Ss. Cosma e Damiano in Mica Aurea tre orti con olivi, situati fuori porta S. Paolo.
Il 28 apr. 1060 L. era tra un folto gruppo di maggiorenti romani che sottoscrissero un placito del pontefice Niccolò II, occupando nell'elenco una posizione di rilievo. Forte di una grandissima ricchezza, in gran parte fondata sulla pratica del prestito usurario, dopo aver abbracciato la fede cristiana L. assurse ai più elevati gradi della scala sociale.
A valergli tanto prestigio fu soprattutto l'elevatissima quantità di denaro che egli profuse a sostegno della causa del partito riformatore. Benché le testimonianze siano piuttosto scarse, si può senz'altro affermare che L. fu fortemente coinvolto nella vita pubblica romana, soprattutto per essersi schierato apertamente con il partito riformatore e per gli stretti legami con l'arcidiacono Ildebrando di Soana, il futuro Gregorio VII.
L. è messo in relazione con Ildebrando già intorno al 1059, al tempo del conflitto tra il pontefice Niccolò II, sostenuto dal partito riformatore e dall'imperatore, e l'antipapa Benedetto X, eletto a Roma dai fautori dei Tuscolani e da altri esponenti di famiglie nobili romane. Gli Annales Romani ricordano come in quel periodo Ildebrando erogasse somme di denaro a L., affinché questi le elargisse tra il popolo romano per attirare nuovi adepti alla causa del pontefice Niccolò II. Per la designazione del successore di quest'ultimo, morto nel luglio 1061, scoppiò a Roma una grave e pericolosa sedizione, giacché nella città molti si opponevano al partito riformatore, guidato da Ildebrando. Tuttavia grazie al sostegno in Roma di L., di Cencio Frangipane e di Giovanni Bracciuto e all'intervento armato di Riccardo (I) principe di Capua, sollecitato dallo stesso Ildebrando, i riformatori poterono procedere all'elezione del vescovo di Lucca Anselmo da Baggio, consacrato con il nome di Alessandro II. A questa elezione l'imperatore Enrico IV e i suoi sostenitori opposero quella di un altro pontefice, il vescovo di Parma Cadalo, che prese il nome di Onorio II, sostenuto a Roma da personaggi di grande influenza, quali, tra gli altri, Cencio figlio del prefetto Stefano e i Tuscolani.
Quando Onorio II tentò di entrare in Roma per essere consacrato, nonostante la cittadinanza fosse stata opportunamente preparata ad accoglierlo, i sostenitori di Alessandro II gli opposero una durissima resistenza.
Secondo Benzone, strenuo fautore di Onorio II e violentissimo nei suoi attacchi retorici scagliati sia nei confronti di Ildebrando, sia verso L., quest'ultimo, all'arrivo di Onorio II nei pressi di Roma, tentò addirittura di trattare ingannevolmente con la parte avversa, millantando un suo tradimento nei confronti di Alessando II; ma Benzone si rivela un narratore troppo apertamente parziale e schierato per essere considerato attendibile.
In ogni caso, fu proprio L. a guidare le milizie fedeli ad Alessandro II contro gli avversari in uno scontro durissimo e di vaste proporzioni, che il 14 apr. 1062 lasciò sul campo di battaglia una grande quantità di caduti. Stando alle testimonianze, il valore di L. in battaglia fu molto grande, ma non fu sufficiente a contenere l'impeto delle milizie che combattevano per Onorio II, che si aggiudicarono la vittoria e poterono occupare la città leonina e la basilica di S. Pietro. Nonostante il successo sul campo di battaglia, l'intronizzazione di Onorio II fu rimandata, poiché i suoi sostenitori erano intenzionati a farlo "gridare eletto" nella chiesa di S. Pietro in Vincoli, ossia nel luogo dove era avvenuta l'elezione e l'intronizzazione di Alessandro II, cosa che non era stato possibile fare per il calare della notte.
Ildebrando e L. si prepararono allora a un'ulteriore resistenza, traendo dalla loro parte il popolo romano, grazie anche a ingenti elargizioni di denaro. Nei giorni seguenti si verificarono tra le varie fazioni tumulti e violenti combattimenti che impedirono a Onorio II e al suo esercito di entrare in Roma.
Di lì a poco dovette sopraggiungere la morte di L.: le fonti da allora tacciono su di lui (o altrimenti lo ricordano come defunto), anche quelle relative al secondo tentativo di Onorio II di farsi intronizzare a Roma (1063).
I rapporti tra L. e il futuro pontefice Gregorio VII furono intensi e quest'ultimo, dopo l'elezione al soglio pontificio (1073), fu accusato dai suoi detrattori anche di aver tratto grandi vantaggi dai rapporti intrattenuti con quel "filius cuiusdam Iudaei noviter quidem baptizatus sed more nummulariorum adhuc retinens" (Benone), ovvero di aver affidato a L. il denaro ricavato dai larghi introiti che gli derivavano dai suoi uffici di suddiacono della Chiesa, di economo della basilica di S. Paolo e di custode dell'altare di S. Pietro.
Della vita familiare di L. non si conosce quasi nulla. Si ignora chi fosse sua moglie e dei suoi numerosi figli si conosce solamente Pietro (Pierleone). Inizialmente la sua residenza doveva essere collocata sulla riva destra del Tevere, dove allora risiedevano gli ebrei romani; successivamente si trasferì sulla sponda opposta. Un rogito notarile del novembre 1072 - che lo nomina come defunto - menziona i suoi eredi tra i proprietari di alcuni mulini sul Tevere.
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