BISSOLATI, Leonida
Nacque a Cremona il 20 febbr. 1857 dal canonico Stefano Bissolati e da Paolina Caccialupi, moglie di Demetrio Bergamaschi. Nel 1861 S. Bissolati svestiva l'abito talare e nel 1865, morto il Bergamaschi, già da molti anni malato, sposava la Caccialupi, adottando il figlio.
La madre era una donna di grande intelletto e di fortissima tempra; il padre aveva vissuto una tormentata crisi di coscienza, e sentito, soprattutto su un piano politico-sociale, il dramma del rapporto tra la Chiesa e il mondo moderno: particolarmente l'atteggiamento della Chiesa nei confronti del moto risorgimentale aveva determinato il suo distacco dal sacerdozio.
In questo ambiente familiare, in un'atmosfera improntata a rigide idealità morali, il B. ricevette la sua prima formazione. Frequentò il liceo classico a Cremona, dove ebbe compagno F. Turati, e seguì i corsi universitari della facoltà di legge, prima a Pavia poi a Bologna.
Qui ebbe a compagni, oltre a Turati, un gruppo di giovani particolarmente sensibili ai problemi sociali, tra cui A. Loria ed E. Ferri, e tra i suoi maestri furono P. Ellero, A. Angiulli, G. Ceneri, A. Marescotti, P. Siciliani, A. Saffi; per quanto al di fuori dell'ambito specifico dei suoi studi, il B. riconobbe però in Carducci il suo vero maestro. Autore egli stesso di poesie di impronta carducciana e di un saggio dedicato all'opera di Carducci., il B. vide nel poeta soprattutto un esempio di idealità sociali e di valori morali, e ne fece la guida del suo giovanile repubblicanesimo. D'altro lato, egli coltivava anche gli studi filosofici; il positivismo, conosciuto attraverso i maestri bolognesi e maturato successivamente con la lettura di G. Ferrari e soprattutto di R. Ardigò, costituì il secondo motivo fondamentale della formazione giovanile del B., e lo spinse, come molti altri della generazione immediatamente post-risorgimentale, a porre in termini nuovi i problemi politici e sociali.
Il B. intanto aveva iniziato l'attività giornalistica, collaborando a periodici di orientamento repubblicano: IlPreludio, fondato a Cremona dall'amico A. Ghisleri, e la milanese Rivista repubblicana. Nel 1877 discusse a Bologna la tesi di laurea,Della proprietà letteraria, nella quale difendeva il diritto dell'autore alla piena proprietà dell'opera del suo ingegno. Poi, tra la fine del 1877 e i primi del 1879, prestò servizio militare come soldato semplice. Ritornato a Cremona, esercitò saltuariamente l'avvocatura nello studio legale del cugino E. Sacchi. impegnandosi sempre più nell'attività politica. Nel giugno 1879, poco dopo che Garibaldi aveva lanciato il manifesto per la Lega della democrazia, insieme con E. Sacchi costituì il circolo C. Cattaneo, il cui programma esprimeva una profonda sfiducia nel sistema politico vigente e nei singoli partiti parlamentari e prevedeva una serie di riforme politiche e sociali a carattere democratico progressista. Nel 1880, eletto da una maggioranza radicale, il B. diventò consigliere comunale di Cremona, e nel 1882 fu nominato assessore all'istruzione: in tale carica, che gli permise di avvicinarsi più concretamente ai problemi sociali, sostenne che la scuola doveva essere essenzialmente scuola di mestieri, diretta alla formazione professionale dell'operaio. Nello stesso anno diventava direttore del cremonese Torrazzo, settimanale della democrazia radicale e organo dell'estrema sinistra lombarda.
Sono gli anni nei quali maturavano l'avvicinamento e l'adesione al socialismo di molti giovani radicali e repubblicani. Attraverso L. Musini, medico condotto di Zibello nel Parmense, il B. ebbe i primi contatti col socialismo; valendosi della sua conoscenza del tedesco, lesse Kautsky, con cui entrò in corrispondenza e della cui opera contribuì alla diffusione in Italia. Particolarmente significativo è il nesso con cui il B. legava ora Risorgimento e socialismo: il Risorgimento era stato un fenomeno politico al quale occorreva far seguire una trasformazione sociale, compito che il socialismo si era prefisso di attuare mediante l'emancipazione economica delle classi diseredate. Sempre sul Torrazzo cominciò ad accettare la dialettica della lotta di classe.
L'adesione al socialismo maturò con il progressivo mutamento della sfera d'azione del Bissolati. Egli riteneva possibile la collaborazione tra movimento operaio e democrazia progressista borghese nelle città; e ancora nel 1887 si presentava candidato in una lista radicale alle elezioni per il consiglio comunale di Cremona. Invece, per l'elevazione delle classi contadine, alle quali ora cominciava a dedicare prevalentemente la propria attività, riteneva necessaria una politica rigorosamente classista, dato che esse erano molto più arretrate dei ceti operai urbani. Gli scioperi del 1885 nelle campagne lombarde, che condussero all'arresto di molti contadini, furono per il B. uno stimolo a occuparsi più concretamente e attivamente dei problemi delle campagne.
Del 1886 è infatti un studio intitolato I contadini del circondario di Cremona, analisi penetrante e documentata dello stato delle campagne e delle condizioni della popolazione rurale. Per eliminare la situazione di sfruttamento delle classi subalterne, il B. proponeva di abolire il sistema dell'affitto e di affidare la coltivazione della terra ad associazioni cooperative contadine, che avrebbero dovuto ottenere da società operaie di credito i finanziamenti necessari.
Alla puntualizzazione teorica dei problemi dei ceti contadini affiancò un'azione pratica sempre più intensa, diretta all'elevazione morale e al miglioramento delle condizioni materiali delle masse agricole. Tale azione ebbe dal gennaio del 1889 un ulteriore importante strumento di diffusione nelle campagne cremonesi col settimanale L'Eco del popolo, il cui programma rivelava la sempre più netta adesione del B. al socialismo.
Nel 1891 la rivista milanese Cuore e critica, alla quale il B. collaborava saltuariamente, si trasformò in Critica sociale. I legami politici tra il B. e il gruppo milanese si fecero più stretti: sotto l'influenza della Kuliscioff, le letture marxiste, poco documentate e comunque scarse negli anni precedenti, si fecero più ampie. Nell'agosto 1892 il B. partecipò, pur senza svolgervi una funzione di primo piano, al congresso del Partito dei lavoratori italiani, nel quale nasceva, con il distacco dell'ala anarchica, il partito socialista; nel settembre un suo intervento in polemica con le teorie di L. Luzzatti al congresso operaio di Cremona ebbe notevole importanza nel dibattito ideologico di quegli anni.
Il B. negava che un governo capitalista potesse prendere in considerazione gli interessi dei ceti operai, se non costrettovi dalla pressione della lotta di classe. Luzzatti respingeva questa pregiudiziale socialista, e sosteneva che la comprensione dell'interesse generale poteva spingere il governo spontaneamente a concessioni, come dimostrava l'evoluzione sociale in Inghilterra.
Nel 1895, alle elezioni politiche, il B. risultò vincitore per il collegio rurale di Pescarolo; essendosi però accese discussioni sulla validità di alcune schede, rifiutò la nomina e sottostette al ballottaggio, nel quale prevalse il ministeriale Anselmi.
Cominciavano intanto a presentarsi al partito socialista importanti problemi che, apparentemente, investivano solo motivi di tattica elettorale, mentre, in realtà, sottintendevano scelte politiche più profonde. Al congresso dei socialisti lombardi, nell'aprile del 1896, il B. propose, in vista delle nuove elezioni, un ordine del giorno estremamente conciliante e transigente in quel che riguardava i rapporti con le altre forze democratiche: prospettava non solo l'eventualità di appoggiare in secondo scrutinio il candidato che accettasse almeno una parte del programma socialista, ma anche quella di votare, sia dal primo scrutinio, per il candidato politicamente più avanzato, in quei collegi dove la forza elettorale socialista si presentasse troppo debole. Al congresso nazionale di Firenze prevalse però un ordine del giorno Ferri molto più rigido.
Rispetto alla linea ufficiale del partito il B. dimostrava quindi di possedere una visione più elastica del rapporto tra socialismo e democrazia radicale borghese, e di aver deposto l'intransigenza classista che aveva caratterizzato il periodo della sua attività dedicato all'organizzazione contadina: su questo problema il B., sempre al congresso di Firenze, aveva tenuto una relazione in cui aveva chiesto al partito un maggiore interessamento per i problemi dei mezzadri e dei piccoli proprietari.
Decisa la fondazione di un quotidiano del partito, l'Avanti!, gliene fu affidata la direzione il 1º nov. 1896; si dovette quindi trasferire da Milano a Roma. Dal soggiorno romano ebbe una visione nazionale dei problemi non sempre più esatta, ma spesso più ampia di quella di altri capi socialisti, talora troppo legati alle forti organizzazioni operaie del settentrione.
Nelle elezioni politiche del 1897 il B. venne eletto deputato per il collegio di Pescarolo, e nell'aprile esordì in Parlamento con un discorso dedicato alla rivolta di Candia, i cui accenti libertari si inserivano in una visione democratica dei rapporti tra i popoli, derivata dalla sopravvivenza di ideali risorgimentali. Nel 1898, appena avuta notizia della rivolta di Milano, il B. vi si trasferì, ma fu immediatamente arrestato; anche la sede romana dell'Avanti! fu invasa dalla polizia, ma Ferri riuscì a far uscire egualmente il giornale. La Camera negò l'autorizzazione a procedere contro il B., che così nel settembre poté riprendere la direzione del giornale; e poiché l'organizzazione del partito era stata messa in crisi dai provvedimenti repressivi e dagli arresti, il giornale divenne il centro attivo del partito, e dalle sue colonne il B. poté guidare la campagna contro l'involuzione reazionaria di fine secolo.
Il metodo di questa lotta risentiva della formazione politica del B., da sempre profondamente legato ai valori affermati dalla borghesia italiana nella fase libertaria e risorgimentale. Le forze socialiste divenivano il nucleo di una battaglia liberale, rivolta alla restaurazione della legalità costituzionale e alla pacificazione sociale. Per il B. il proletariato, invece di trarsi in disparte nell'aspettazione mitica della fine della società capitalistica, doveva dare il suo contributo alla formazione di un'Italia moderna. Era una piattaforma su cui confluivano tutte le forze della democrazia radicale e repubblicana, e l'Avanti!, su iniziativa del B., aprì le sue colonne a uomini di cultura, esponenti dell'opposizione non socialista, come Pareto e Pantaleoni. Di fronte alla presentazione da parte di Pelloux dei provvedimenti eccezionali, anche al B. parve indispensabile il ricorso a mezzi di lotta extralegali: teorizzò, sul giornale, il ricorso "all'ostruzionismo parlamentare" e partecipò, alla Camera, all'episodio del rovesciamento delle urne. Chiusa, anticipatamente la sessione parlamentare e privato così dell'immunità, si rifugiò a Modane; riaperto il Parlamento, si costituì, ma fu rilasciato.
Le elezioni generali del 1900 segnarono un brillante successo per il partito socialista, ma il B. ritornò in Parlamento solo vincendo un'elezione suppletiva a Budrio. Il governo "civile" di Saracco si prefiggeva intanto, come il B. aveva auspicato, la pacificazione nazionale: per il partito socialista si trattava di scegliere tra il ritorno all'antica intransigenza classista e la collaborazione con le altre forze politiche.
Pur rendendosi conto della difficoltà di trasformare un accordo nato su una piattaforma di opposizione in un programma politico costruttivo, il B. propendeva per la via della collaborazione. Riteneva che alla causa socialista giovasse non tanto l'astratta propaganda dei principi assoluti, quanto l'appoggio a riforme che elevassero la condizione umana del proletariato.
Di fronte a questo dilemma, il socialismo italiano cominciò a dividersi. Nel 1902, al congresso di Imola, prevalse una mozione Bonomi, vicina all'orientamento del B., la cui posizione personale all'Avanti! però si andava indebolendo per l'accusa di aver fatto del giornale un organo di tendenza. Temendo di compromettere, con la sua permanenza alla direzione, l'esistenza stessa del giornale, il B. rassegnò le dimissioni. Continuò la sua attività giornalistica sul Tempo di C. Treves e in seguito anche su l'Azione socialista. Libero ormai dalla responsabilità della direzione dell'Avanti!, poté presentarsi più risolutamente quale leader di corrente al congresso di Bologna del 1904. Con un aspro discorso criticava una serie di dogmi che avrebbero devitalizzato l'azione del partito, e di contro affermava la necessità di intaccare mediante riforme il sistema di sfruttamento del proletariato: di qui nasceva l'esigenza di non rifiutare a priori l'appoggio a un governo che si impegnasse a soddisfare le necessità più urgenti delle classi operaie. La linea del B., che pure raccolse un notevole successo personale, venne però respinta dalla maggioranza del congresso, e solo nel 1908, con la vittoria riformista al congresso di Firenze, il B. poté tornare alla direzione dell'Avanti!. Nelle elezioni dell'anno seguente non si presentò più nei collegi rurali della Valle Padana, ma nel secondo collegio di Roma. Il distacco del B. dal mondo nel quale si era formata la sua personalità politica coincise con una ulteriore modificazione di alcuni suoi orientamenti e più ancora di suoi interessi politici. In seguito alla crisi seguita all'occupazione della Bosnia-Erzegovina si fece più vivo nel B. l'interesse per la politica estera, antico e non mai completamente sopito.
Già nel 1905, al convegno di Trieste con rappresentanti dei partiti socialisti delle varie nazionalità della monarchia austro-ungarica, aveva avuto modo di constatare come un'azione comune con i socialisti austro-tedeschi avrebbe trovato dei limiti. Aveva quindi accentuato il suo distacco dalla tradizionale concezione socialista della politica estera basata sull'internazionalismo proletario. Questo distacco risulterà ancora più evidente nel suo intervento nel dibattito parlamentare del 1909 sull'aumento delle spese militari; al principio del solidarismo tra le classi operaie il B. cominciava a sostituire cautamente la possibilità di appoggio, da parte del proletariato, a una politica estera "nazionale" che si fondasse sul consenso del paese. Sul terreno della politica interna, spingeva il suo riformismo sino a posizioni di sfiducia nella funzione stessa del partito. Al congresso di Milano del 1910, dopo aver difeso l'autonomia del gruppo parlamentare e il suo "ministerialismo", definì il partito "un ramo secco" e lo invitò a "passare la mano" alla vera rappresentanza delle organizzazioni operaie: la Confederazione del lavoro. Sopravalutando forse la capacità di iniziativa politica autonoma del sindacato, il B. mirava alla costituzione di un partito del lavoro sul modello inglese, per inserire più direttamente il movimento operaio nella vita politica della nazione.
Il B. annunciò le dimissioni dall'Avanti!, adducendo motivi personali, durante il congresso di Milano del 1910. Nel 1911, caduto il ministero Luzzatti, del quale aveva appoggiato l'iniziativa diretta a un allargamento del diritto di voto, e profilandosi nuovamente la candidatura di Giolitti col programma di concedere il suffragio universale, compì un gesto di rottura nei confronti della tradizione politica del partito suscitando gravi polemiche all'interno del partito stesso: accettò di essere consultato dal re e di esporgli il suo pensiero sulla crisi politica del paese.
Gli venne offerto nel nuovo gabinetto il ministero dell'Agricoltura, Industria e Commercio che il B., propenso in un primo momento ad accettare, successivamente rifiutò, adducendo motivi psicologici che lo avrebbero reso inadatto a una carica ministeriale. Probabilmente, invece, il B. temeva di spaccare il partito, che giudicava non ancora maturo per una partecipazione al governo. Non aveva però ancora compreso quanto profonda, e ormai insanabile, fosse la frattura tra la destra riformista e il resto del partito. In questo periodo si impegnò a fondo in quello che per lui era il più importante problema politico del momento: la battaglia per il suffragio universale come strumento di partecipazione delle masse alle scelte dello Stato e di abbattimento del clientelismo e della corruzione elettorale. L'atteggiamento del B. riecheggiava tutta una tradizione democratica, ma era in contrasto con la posizione ufficiale del socialismo, molto più cauta.
Durante il conflitto di Libia, l'atteggiamento del B., pur fortemente critico, fu nel complesso solidale verso il ministero. Egli giustificava questo orientamento adducendo molteplici motivi: riteneva che l'opinione pubblica fosse sostanzialmente favorevole alla guerra, non condivideva l'atteggiamento ostile assunto dal partito nei riguardi dei combattenti, e riteneva controproducente isolarsi in un atteggiamento antipatriottico; voleva soprattutto evitare di danneggiare, con un'opposizione troppo rigida alla guerra, la situazione politica generale e particolarmente la concessione del suffragio universale.
Il distacco dal partito era divenuto ormai inevitabile; il B., che nel febbraio 1912 aveva offerto le dimissioni dal gruppo parlamentare, fu espulso dal partito nel marzo 1912.
L'occasione fu data da un fatto politico in sé marginale: in seguito all'attentato subito dal re nel marzo 1912, il B. si era unito ai colleghi di altri gruppi per porgere al sovrano le congratulazioni della Camera per lo scampato pericolo. Al congresso di Reggio Emilia, in un'atmosfera da processo inscenata da Mussolini, la maggioranza del partito, si dichiarò favorevole all'espulsione. Nel suo intervento il B. difese la posizione assunta verso la guerra di Libia dalla destra riformista; se acutamente additava il pericolo di lasciare al nazionalismo il monopolio del sentimento nazionale, si mostrava però poco consapevole del pericolo che poteva rappresentare l'esplosione di quel sentimento.
Il giorno successivo all'espulsione si costituì il Partito socialista riformista; il suo programma contemplava la partecipazione al potere come fatto normale e non come situazione eccezionale, il rifiuto della pregiudiziale pacifista in politica internazionale, e il concetto che le alleanze con gli altri partiti democratici dipendevano solo dalla convergenza degli obiettivi politici immediati.
Il nuovo partito si trovò però circondato da un'atmosfera di freddezza; la Confederazione del lavoro non lo seguì come forse avrebbe fatto in precedenza, non potendo approvare l'atteggiamento assunto dal B. verso la guerra di Libia. Conseguentemente, non riuscì ad avere la fisionomia di un partito operaio, come confermarono del resto le elezioni del 1913, che pure rappresentarono un notevole successo elettorale. Le adesioni al riformismo vennero da clientele massoniche, cui era gradito il suo acceso anticlericalismo, e dalle masse contadine del Sud trascurate dal socialismo ufficiale, cui il nuovo partito dedicava sin dal primo congresso un'attenzione particolare anche se velleitaria, e che erano state meno ostili alla guerra di Libia nella speranza di ottenere terre da coltivare.
Allo scoppio della guerra europea, risolta subito la Kriegsschuldfrage attribuendo agli Imperi centrali la responsabilità del conflitto, si batté per la neutralità finché sembrava ancora possibile l'intervento a fianco della Triplice. Il B. era assolutamente sfiduciato quanto alla volontà delle forze democratiche in Austria e in Germania, soprattutto per quanto riguardava il socialismo austro-tedesco, cui guardava con riserva sin dall'incontro triestino del 1905. Successivamente, fu tra i primi a reclamare l'intervento a fianco dell'Intesa.
Per il B. il conflitto europeo era un contrasto etico-politico tra stati autoritari e stati democratici, e in questo quadro il compito dell'Italia non era tanto quello di soddisfare il proprio interesse nazionale, quanto quello di contribuire alla causa della libertà e all'avvento di una più civile convivenza tra i popoli: il suo interventismo era insomma alimentato da motivi ideali di chiara derivazione risorgimentale. Nel periodo della neutralità il B. fu uno dei più autorevoli leaders dell'interventismo; come era nelle caratteristiche sue personali e di tutto il socialismo riformista, egli si mosse soprattutto su un piano parlamentare e di contatti con il governo. Quando il ministero Salandra sembrò ormai deciso all'intervento, il B. si inserì sostanzialmente nella maggioranza, pur rimproverando al governo la politica delle trattative segrete e dei mercanteggiamenti, che facevano parte di una concezione tradizionale della politica estera che egli non condivideva.
Allo scoppio della guerra il B. si arruolò volontario nel 4º reggimento alpini, col grado di sergente. Partecipò ai combattimenti per la conquista del Monte Nero; nel luglio venne ferito due volte e fu decorato di medaglia d'argento. Nel primo anno di guerra alternò la permanenza al fronte con soggiorni a Roma per i lavori parlamentari. Al fronte si incominciò a utilizzarlo quale tramite tra esercito e mondo politico.
Nel giugno 1916 entrò come ministro senza portafogli nel gabinetto Boselli; in tale veste richiese una più energica condotta militare della guerra e un più stretto collegamento politico con le altre nazioni dell'Intesa; soprattutto sosteneva la necessità di dichiarare guerra anche alla Germania, la cui struttura autoritaria e le cui mire imperialistiche gli sembravano il più grave ostacolo alla democratizzazione europea.
Come ministro, il suo compito era essenzialmente quello di collegare il governo al fronte, il potere politico al comando supremo. I rapporti con Cadorna, difficili all'inizio, divennero in seguito quanto mai cordiali.
Il 29 ott. 1916, nel più importante dei suoi discorsi del periodo di guerra, il B. commemorò a Cremona Cesare Battisti. Rievocando il sacrificio dell'amico socialista, egli polemizzò contro il socialismo italiano, che aveva rifiutato quella che per lui era guerra di liberazione europea, e contro l'atteggiamento dei partiti socialisti degli Imperi centrali, sul conto dei quali egli dimostrava però di non possedere dati sempre circostanziati e precisi. Il fulcro del discorso era la richiesta esplicita, prima manifestazione in tal senso da parte di un uomo di governo dell'Intesa, dell'inclusione tra i fini politici della guerra della dissoluzione dell'Austria-Ungheria, al cui posto dovevano sorgere Stati nazionali indipendenti. La sistemazione democratica dell'Europa danubiana e balcanica, che già durante le guerre balcaniche era stata uno dei motivi della tematica politica del B., trovava qui la sua prima chiara teorizzazione.
Il convincimento del B., che la politica estera italiana si dovesse ispirare a maggiore democraticità, determinò una grave crisi del ministero nel giugno 1917, quando Sonnino proclamò con decisione unilaterale il protettorato italiano sull'Albania. Il B. disapprovò il gesto come contrario al principio di nazionalità, e presentò le dimissioni: Boselli riuscì a comporre il dissidio, ma il B. non ricevette alcuna garanzia di ordine politico.
Confermando un atteggiamento che fu un po' una costante del suo comportamento negli anni della guerra, il B. parve disposto a sacrificare il proprio giudizio politico sull'altare della concordia nazionale. Su un piano di politica interna intanto, risentendo di una tendenza diffusa nel paese e soprattutto al comando supremo, le cui tesi, sotto l'influsso della forte personalità di Cadorna, ora venivano fatte spesso proprie dal B., egli si spostò su posizioni di estrema durezza nei confronti delle correnti pacifiste che premevano per una pace di compromesso. Egli si trovava nell'impossibilità politico-morale di accettare una tale soluzione, dopo aver contribuito ad imporre al paese una guerra così sanguinosa: ma la difficoltà della sua posizione personale lo inasprì a tal punto da renderlo fautore di misure punitive contro i socialisti.
La crisi politica dell'autunno 1917, concomitante con la sconfitta di Caporetto, portò Orlando alla presidenza del Consiglio e il B. assunse nel nuovo gabinetto il portafoglio dell'Assistenza militare e delle Pensioni di guerra. La sua posizione all'interno del ministero risultò però indebolita: l'enormità della sconfitta militare fece sì infatti che la sostituzione di Sonnino, già decisa, non venisse più effettuata, su proposta dello stesso B., nel timore di rafforzare le correnti neutraliste, e la permanenza di quello risultò fatale alla linea di politica estera perseguita dal Bissolati.
Il dramma di Caporetto, che il B. visse al fronte, rappresentò per lui un momento di crisi e di prostrazione. Le prime reazioni furono di disperazione: espresse propositi di suicidio, sentì drammaticamente la responsabilità di aver contribuito all'intervento. Anche la valutazione della situazione gli sfuggì completamente: si avvicinò agli apprezzamenti di Cadorna sui soldati italiani, parlò di sciopero militare e di deficiente resistenza delle truppe, ma senza portare alcun elemento preciso, come gli rimproverò Orlando, in quei giorni molto più lucido di lui. Superata la crisi morale, psicologica e politica determinata dalla disfatta e allentati i legami con il comando supremo, l'attività del B. si orientò in altre direzioni. In politica interna tentò di accrescere il peso dell'interventismo democratico stimolandone una maggior coesione; nel maggio 1918 varie forze della democrazia e del socialismo interventista confluirono nell'Unione socialista italiana, ma il nuovo movimento si rivelò una formazione priva di un preciso programma politico, resa eterogenea dall'adesione di gruppi ideologicamente diversi. Più intensa fu l'azione del B. in politica internazionale: il punto fermo della sua azione era sempre l'abbattimento della monarchia austro-ungarica; ma il suo impegno si estese ora anche a problemi più particolari. Fu tra i fautori dell'impiego nella guerra contro l'Austria dei prigionieri cechi e slavi meridionali; cominciò a porsi in maniera concreta il problema dei nuovi confini orientali dell'Italia, e incoraggiò a tal fine un accordo con gli Slavi meridionali. Il congresso di Roma dei popoli soggetti all'Austria-Ungheria della primavera rappresentò indubbiamente una tappa fondamentale nel processo di dissoluzione della monarchia danubiana. Il successo conseguito dal B. a Roma non va però sopravalutato: la dichiarazione interalleata di Versailles del giugno 1918, che distingueva tra le aspirazioni dei Polacchi e quelle dei Cechi e degli Iugoslavi; il contrasto tra il B. e il Sonnino per quanto riguardava l'impiego dei prigionieri slavi nella guerra contro l'Austria; l'ipersensibilità alla questione nazionale anche nei più democratici tra gli Slavi, dimostravano come fosse ancora lontana la realizzazione di molti obiettivi politici del Bissolati.
Subito dopo l'armistizio, la posizione del B. in seno al ministero s'indebolì ulteriormente. Coerente ai suoi principi, che trovava rispecchiati nel pensiero del presidente Wilson, protestò contro l'occupazione della Dalmazia e del Tirolo meridionale. Dopo un violento scontro con Sonnino sulla questione dei rapporti con gli Iugoslavi, che era il punto di sbocco di un antico dissidio acuitosi nei mesi successivi all'armistizio, il 28 dicembre rassegnò le dimissioni dal governo.
Le dimissioni del B., improvvise e avvenute senza consultare neppure gli amici della Unione socialista italiana, possono essere giudicate un errore politico, che ridusse vieppiù il già scarso peso dell'interventismo democratico in seno al governo e creò confusione nel paese, tanto più che a succedergli nel gabinetto fu Bonomi, del suo stesso partito. Ma il B., che in altre occasioni aveva accettato di sacrificare le proprie posizioni politiche per mantenere la concordia nazionale, sentì ora il dovere essenzialmente morale di lasciare il governo per battersi in piena libertà in difesa delle proprie convinzioni.
L'esperienza governativa del B. sembrò terminare in un pieno fallimento; ma la sua linea politica non si può considerare sempre sconfitta. Nel 1916-17 contribuì a evitare il rafforzarsi in seno al governo della concezione più limitativa sugli scopi della guerra; la dichiarazione di guerra alla Germania seguì di pochissimo la sua entrata nel ministero; la politica di smembramento dell'Austria-Ungheria trovò adesioni nella classe politica e nel governo nonostante la politica di conservazione della monarchia voluta da Sonnino. Anche in Italia la politica delle nazionalità e l'appello alle tendenze centrifughe nella monarchia austro-ungarica ebbero notevole presa, se furono fatte proprio dall'autorevolissimo gruppo del Corriere della Sera, Albertini, Ruffini, Amendola, Borgese. Solo sul problema dei nuovi confini italiani e dei rapporti con gli Iugoslavi la sconfitta del B. fu grave. E anche se in fondo Giolitti e Sforza avrebbero poi dato al problema adriatico una soluzione molto simile a quella che il B. aveva propugnato, le relazioni ormai tese tra Italia e Iugoslavia, l'ulteriore risentimento nazionale iugoslavo e l'esasperata situazione interna italiana, impedirono che quest'accordo avesse il risultato che il B. aveva auspicato. La sua sconfitta su questo punto fu determinata soprattutto dalla permanenza di Sonnino al ministero degli Esteri per tutti gli anni della guerra. Il B., timoroso di favorire le correnti neutraliste e forse costituzionalmente inadatto a manovre di tal genere, non appoggiò mai con la necessaria energia i tentativi che uomini a lui vicini fecero per provocare la caduta di Sonnino, contribuendo così alla sconfitta della propria politica.Lasciato il governo, il B. decise di rivolgersi direttamente all'opinione pubblica italiana. L'11 genn. 1919 alla Scala di Milano espose i principi che animavano la sua azione in politica internazionale. Una gazzarra, inscenata da futuristi. nazionalisti e da Mussolini con i suoi seguaci, gli impedì di portare a termine il discorso, il cui testo fu conosciuto interamente solo attraverso i giornali.
In esso il B. sosteneva che la vittoria dell'Intesa aveva gettato le fondamenta per un ordine nuovo, basato sulla Società delle Nazioni. In questo spirito di giustizia occorreva risolvere le questioni territoriali riguardanti l'Italia: il B. non solo proponeva un confine etnicamente giusto con la Iugoslavia, lasciando ad essa la Dalmazia, tranne Zara, e rivendicando invece all'Italia, in base al principio di nazionalità, Fiume; ma proponeva di rinunziare anche al Dodecaneso e al Tirolo meridionale. Il pensiero del B. non poteva essere accettato da quella larga parte dell'opinione pubblica sulla quale il nazionalismo esercitava la sua azione. Ma anche la maggior parte dell'opinione pubblica democratica rifiutava di portare alle conseguenze estreme il principio democratico della nazionalità come il B. faceva: questo non solo per considerazioni di prestigio e di politica di potenza, che non erano completamente estranee neppure a certe correnti dell'interventismo democratico, ma anche perché L. Albertini e gli uomini a lui vicini, politici forse più realisti del B., si rendevano conto di come fosse difficile arginare quelle forze, che l'interventismo e la guerra avevano contribuito a scatenare, se non concedendo loro un soddisfacimento almeno parziale dei loro obiettivi politici. Il B. stesso, rendendosi conto del suo isolamento, avvertiva che la battaglia era perduta in partenza se, concludendo il suo discorso alla Scala, dichiarava di considerare chiusa con esso la propria carriera politica.
Dopo gli incidenti della Scala il B. subì un periodo di profonda depressione. La sua partecipazione alla vita pubblica era ormai soltanto episodica: intervenne al congresso dell'Unione socialista; pronunciò un discorso elettorale a Cremona; sul Secolo polemizzò col nazionalismo iugoslavo. Nel novembre 1919 il suo vecchio collegio di Pescarolo lo rielesse deputato. Il 10 marzo 1920, ormai gravemente ammalato, decise di sottoporsi a un intervento chirurgico: subentrò un'infezione, e il 6 maggio 1920 morì a Roma.
Le edizioni più importanti degli scritti del B. sono: Scritti giovanili, a cura di A. Ghisleri e A. Groppali, Milano 1921; La politica estera dell'Italia dal 1897 al 1920. Scritti e discorsi di L. B., a cura di G. Salvemini e G. Visconti Venosta, Milano 1923; Diario di guerra. Appunti presi sulle linee,nei comandi,nei consigli interalleati, Torino 1935 (il testo originale e completo è in Archivio Centrale dello Stato, L. B., b. 2, fasc. 7,Diario Appunti Taccuino; per le vicende della pubblicazione vedi ibid.,Segreteria particolare del duce. Carteggio riservato (1922-43), b. X-R, fasc. 292 Bissolati). Una raccolta di discorsi e scritti del B. è quella di F. Rubbiani,Ilpensiero politico di L. B., Firenze 1921.
Fonti e Bibl.: Archivio Centrale dello Stato, L.B., 3 scatole (1900-1920). Le due più complete biografie del B. sono quelle di I. Bonomi,L. B. e il movimento socialista in Italia, Roma 1929 (ristampata, con una nuova prefazione dell'autore, a Roma nel 1945); e quella di R. Colapietra, L. B., Milano 1958, che comincia però solo con il 1895. Rapidissimi profili della vita del B., e di diseguale valore, sono quelli di R. Caggese, L. B., in Riv. d'Italia, 15 maggio 1920; A. Galletti,L'eredità politica di L. B., in La vita internazionale 5 dic. 1920, pp. 521-27; A. Ottolini, L. B., Piacenza 1923; C. Sforza, Les bâtisseurs de l'Europe moderne, Paris 1931, pp. 245-51; A. Rossetti,L. B. un "cavaliere dell'ideale", in Nuova Antologia, giugno 1951, pp. 118-33; M. Ruini,Profili di storia. Rievocazioni,studi,ricordi, Milano 1951, pp. 174-97; A. Galletti,B. e il suo tempo, in Critica sociale, L (1958), pp. 16-19. Sulla giovinezza e la prima formazione politica del B. i contributi più importanti sono quelli di F. Manzotti,La giovinezza di L. B. ricostruita su documenti inediti, in Nuova riv. stor., XLI (1957), pp. 107-28, e B. dal radicalismo al socialismo,ibid., XLIII (1959), pp. 345-81. Contribuiscono alla ricostruzione dell'ambiente cremonese in cui il B. agì: G. Cremonesi, Voci e moniti della vecchia Italia..., Cremona 1946; A. Filippini,Ricordi di L. B., Cremona 1950; A. Groppali,Le origini del movimento operaio socialista cremonese, in Movimento operaio, III (1951), pp. 526-31; E. Zanoni,Ilmovimento socialista di classe nel Cremonese, Cremona 1952, e Sessant'anni di lotte del movimento operaio cremonese, Cremona 1953. Importantissimo per gli anni fino al 1890 è La scapigliatura democratica. Carteggi di A. Ghisleri: 1875-90, a cura di P. Masini, Milano 1961; un rilievo, per quanto indiretto, ha pure Il carteggio F. Turati-A. Ghisleri, a cura di L. Dalle Nogare, in Movimento operaio, VIII (1956), pp. 201-301. Sull'attività del B. quale dirigente socialista a livello nazionale sono da segnalare per l'ampio rilievo dato alla figura del B.: G. Arfè,Storia dell'Avanti!, I, 1896-1926, Milano-Roma 1956; F. Catalano, F. Turati, Milano 1957; Il Partito socialista italiano nei suoi Congressi, a cura di F. Pedone, I, 1892-1902, Milano 1959; II, 1902-1917, Milano 1961; G. Arfè,Storia del socialismo italiano (1892-1926), Torino 1965; utile è il saggio di sintesi di L. Valiani,Il partito socialista italiano dal 1900 al 1918, in Riv. stor. ital., LXXV (1963), pp. 268-326. Sull'atteggiamento del B. negli anni dell'involuzione reazionaria di fine secolo, R. Colapietra,Il Novantotto. La crisi politica di fine secolo (1896-1900), Milano-Roma 1959; F. Fonzi,Crispi e lo Stato di Milano, Milano 1965. Sul B. all'Avanti! sono le pagine di L. Bottazzi,Ricordi di giornalismo: B. direttore dell'"Avanti!", in Nuova Antologia, marzo 1946, pp. 315-19. Importante per l'impostazione ideologica del B., anche se non sempre il suo pensiero coincide con quello di Bonomi, è I. Bonomi,Le vie nuove del socialismo, Firenze 1907 (ristampa, Roma 1944). Dedicato a un importante episodio della vita parlamentare del B. è A. Aquarone,Lo Stato catechista. La discussione alla Camera sulla mozione B. contro l'insegnamento religioso nella scuola elementare (18-27 febbr. 1908), Firenze 1961. Un saggio molto fine sul pensiero del B. negli anni antecedenti e immediatamente successivi alla uscita dal partito socialista è quello di L. Valiani,L'azione di L. B. e il revisionismo, in Riv. stor. ital., LXXI (1959), pp. 653-64; opera d'insieme sul riformismo, F. Manzotti,Il socialismo riformista in Italia, Firenze 1965. Sul congresso di Reggio Emilia è importante il contributo di R. De Felice,Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920, Torino 1965. Per l'azione del B. negli anni della guerra indispensabile è L. Albertini,Vent'anni di vita politica italiana, Bologna 1953: questa opera copre larga parte dell'arco della vita politica del B., ma è più dettagliata per questo periodo, anche per gli stretti rapporti tra Albertini e il B. negli anni di guerra. Importanti sono L. Valiani,Il partito soc. ital. nel periodo della neutralità, Milano 1963; B. Vigezzi,L'Italia di fronte alla prima guerra mondiale, Milano-Napoli 1966; e una serie di saggi di F. Manzotti, in Nuova Antologia: B. davanti all'intervento con note inedite di diario, aprile 1963, pp. 475-84,B., Salandra,Sonnino, maggio 1963, pp. 70-83,B. dopo Caporetto, giugno 1963, pp. 172-180,B. e Bonomi, luglio 1963, pp. 369-78. Rapida sintesi del pensiero di B. e dell'interventismo democratico sul problema delle nazionalità è quella di L. Valiani,Le correnti politiche italiane e la dissoluzione dell'Austria-Ungheria (1914-1918), in Rapp. presentati al XII Congresso internaz. di scienze stor., Wien 1965, I, pp. 251-56; sullo stesso tema è da vedere l'opera maggiore del Valiani,La dissoluzione dell'Austria-Ungheria, Milano 1966. Integrazioni al Diario di guerra del B., per quanto concerne la sua attività al fronte e i suoi rapporti con il comando supremo, sono O. Malagodi. Conversazioni della guerra, a cura di B. Vigezzi, Milano 1960; A. Gatti,Caporetto. Dal diario di guerra inedito (maggio-dicembre 1917), a cura di A. Monticone, Bologna 1964; F. Martini,Diario 1914-18, a cura di G. De Rosa, Milano 1966. Sui rapporti tra i vari movimenti interventisti sono da vedere V. De Caprariis,Partiti politici e opinione pubblica durante la grande guerra, in Atti del XLI Congresso di storia del Risorg. ital., Roma 1965, pp. 73-149, e l'opera citata di R. De Felice. Importante per gli ultimi anni del B. è I. Bonomi,La politica italiana dopo Vittorio Veneto, Torino 1953.