MONTANARI, Leonida
– Primo di sette figli, nacque a Cesena il 26 apr. 1800 da Domenico Atanasio, mercante, e da Delmira Galli. Sebbene non provenisse da una famiglia facoltosa, il M. compì regolarmente gli studi inferiori nella città natale. Negli anni della giovinezza strinse profonda amicizia con il letterato e patriota cesenate E. Fabbri.
Per intraprendere gli studi di chirurgia, il M. si trasferì all’età di diciannove anni a Bologna, ma ne fu espulso nel giugno 1822, per motivi estranei alla lotta politica, prima di aver completato il corso di laurea. Grazie all’interessamento del principe S. Chiaramonti (congiunto del pontefice Pio VII), il M. ebbe modo di proseguire gli studi a Roma, frequentando la locale università e compiendo il tirocinio presso l’ospedale S. Spirito in Saxia. Conseguita la laurea in chirurgia, il M. fu nominato alla fine del 1823 medico condotto a Rocca di Papa, piccolo centro non lontano da Roma: nel successivo anno e mezzo, svolse l’incarico con competenza e passione, ponendosi completamente al servizio di una popolazione in gran parte povera e bisognosa di cure e attenzioni costanti. In quel torno di tempo, conobbe M. Taparelli d’Azeglio, il quale, nelle sue memorie, lo avrebbe ricordato come un giovane «simpatico, come in genere mi sono i Romagnuoli... Montanari era un bel tipo di questa razza. Bruno, alto, sviluppato, forte di corpo, d’animo ardito ed appassionato». D'Azeglio non tardò a convincersi che il M. apparteneva a quelle «anime appassionate e leali cui manca la sicura guida d’un’intelligenza lucida e pacata» (pp. 301 s.).
A Roma il M. s’accostò alla carboneria, divenendo a quanto sembra assiduo frequentatore della vendita, denominata «Costanza», fondata dal bresciano A. Targhini (figlio del cuoco di papa Pio VII), la quale, diretta in qualità di reggente dal legale romano P. Garofolini, poté contare nel periodo di miglior fortuna su una sessantina di affiliati di varia origine sociale. Peraltro, non è possibile stabilire con certezza se il M. avesse avuto contatti con l’ambiente delle società segrete già a Cesena o a Bologna. All’inizio del 1825 la vendita, scossa da numerose e repentine defezioni, non annoverava oramai che pochi membri, tra cui figuravano Targhini, il M., Garofolini, L. Gasperoni, L. Spadoni e S. Ricci: in un clima avvelenato dai sospetti e dai risentimenti per le persecuzioni poliziesche, nacque verosimilmente il proposito di infliggere una punizione esemplare ad alcuni dei fuoriusciti. La notte fra il 4 e il 5 giugno 1825, mentre passeggiava in compagnia di Targhini presso la chiesa di S. Andrea della Valle, il bellunese G. Pontini (forse ritenuto una spia al soldo della polizia papalina) fu ferito al fianco destro con un colpo di coltello, rivelatosi poi non mortale. Gli atti del successivo processo non consentono però una ricostruzione univoca e plausibile della genesi e della esecuzione dell’agguato, sul quale non è stato mai possibile raggiungere una definitiva certezza.
La reazione delle autorità pontificie fu comunque repentina e implacabile: entro il 12 giugno 1825 furono arrestati Targhini (accusato direttamente da Pontini, sopravvissuto all’aggressione) e gli altri appartenenti alla setta ad eccezione del M., il quale riuscì ad abbandonare Roma (tra l’altro, proprio nei giorni in cui avrebbe dovuto conseguire la laurea in medicina), dimorando dapprima presso l’eremo di Rocca Massima, poi nelle campagne vicino Sermoneta, dove contrasse la malaria. Assistito dall’amico medico V. Cavallini di Norma, coltivò la speranza di ottenere un passaporto per il Regno delle Due Sicilie, fino a quando, nell’agosto 1825, fu arrestato. Peraltro, durante la latitanza del M., le autorità di polizia non avevano esitato a fermare il padre Domenico e i fratelli Francesco e Natale, in quel periodo residenti a Rocca di Papa, al fine di estorcere loro informazioni utili alle indagini. Successivamente all’arresto del M. i due furono rispediti a Cesena, ove dovettero subire la confisca di gran parte dei beni di famiglia.
Il governo dello Stato pontificio dispose che ad occuparsi del tentato omicidio di G. Pontini fosse una commissione speciale composta da dieci membri e presieduta da monsignor T. Bernetti, governatore di Roma e direttore generale di Polizia. Fu istruito un processo di «lesa maestà e ferita qualificata» contro il M., Targhini, Spadoni, Garofolini, Gasperoni e Ricci.
Nel firmare il decreto istitutivo della commissione (datato 31 ott. 1825) il cardinale segretario di Stato G.M. Della Somaglia volle specificare per iscritto che «All’effetto della pena prescritta dalle leggi, anche per la sola pertinenza ad alcuna delle indicate società segrete, non sarà necessaria la prova strettamente legale, che con gran detrimento di giustizia non potrebbe ottenersi in tali delitti, trattati sempre e commessi clandestinamente [...] ma bastar debba quella morale certezza che rimuova dall’animo ogni ragionevole esitazione sul delitto e sul reo» (Colapietra, p. 274). La sentenza era dichiarata inappellabile e veniva altresì ordinato il segreto per i verbali delle discussioni, i voti e i risultati, onde evitare le «indebite pretenzioni» (ibid., p. 274) degli inquisiti. Il M., nella propria deposizione (non riportata integralmente negli atti processuali) si dichiarò estraneo tanto ai fatti del 4 giugno 1825 quanto alla militanza nella carboneria. Inoltre, a differenza della quasi totalità degli altri inquisiti, non fece mai il nome di nessuno dei suoi compagni. Fu però Garofolini (che affermò d’avere ricevuto un’esplicita confidenza da parte del M.) ad accusarlo apertamente del ferimento di Pontini. Le autorità inquirenti ritennero così che l’esecutore materiale fosse proprio il M., il quale, in data 21 nov. 1825, fu condannato, assieme con Targhini, alla pena di morte.
La sentenza fu comunicata al M. all’alba del 23 nov. 1825 nelle Carceri nuove di Roma, dove era detenuto: ribadita con fermezza la propria innocenza e chiesto, invano, che il processo fosse riveduto in appello, il condannato assunse un contegno fermo e al contempo sprezzante, rifiutando i conforti religiosi (identico il comportamento di Targhini). La duplice esecuzione per mezzo della ghigliottina ebbe luogo la sera del 23 nov. 1825 a Roma, in una piazza del Popolo gremita, a quanto sembra, da circa trentamila persone. Le spoglie dei due giovani furono tumulate in una fossa scavata fuori piazza del Popolo, vicino all’ingresso di Villa Borghese.
Nella stessa giornata Della Somaglia incaricò l’avvocato F. Invernizzi, componente della commissione giudicante, di stendere un ristretto informativo del processo da distribuire alle Legazioni e da inviare all’estero: «Una delle più delicate avvertenze che l’autore si proporrà – scriveva il segretario di Stato in una nota istruttiva – sarà la cura di istillare alle persone incaricate d’educar la gioventù un santo orrore della fine impenitente ed irreligiosa di cui han fatto pompa scandalosa i poveri disgraziati sui quali si è rivolto oggi il salutare rigore della giustizia» (ibid., p. 276). La severità del giudizio in assenza di prove certe e inoppugnabili (in quei giorni, perfino un informatore della polizia austriaca espresse ai superiori forti perplessità sulla correttezza del processo) fu quindi determinata con ogni probabilità dalla necessità per il governo di Leone XII di lanciare un severo monito a quanti vagheggiavano un’alternativa al sistema uscito dalla Restaurazione.
La decapitazione del M. e di Targhini lasciò una traccia significativa nell’immaginario collettivo, al punto che, già nel 1835, una nuova vendita carbonara fondata a Roma fu chiamata «I figli di Montanari». Inoltre, la misera tomba dei due patrioti fu per lungo tempo adornata con fiori e corone di alloro (la circostanza fu riferita, tra gli altri, da G. La Farina, durante un viaggio a Roma). Dopo il conseguimento dell’Unità nazionale, il M. e Targhini furono in un certo senso considerati alla stregua di protomartiri del Risorgimento italiano: rientrano in quest’ottica le celebrazioni in memoria del M. tenutesi a Cesena nel 1887 e, soprattutto, la solenne apposizione della lapide a piazza del Popolo il 6 giugno 1909. Dettata da S. Barzilai, essa fu fortemente voluta dal sindaco radicale E. Nathan e dai membri dell’Associazione democratica Giuditta Tavani Arquati. Nel 1969, con il film Nell’anno del Signore, il regista L. Magni volle portare sul grande schermo la tragica vicenda del M., interpretato dall’attore R. Hossein, e di Targhini. La pellicola rende in maniera credibile l’atmosfera cupa e rassegnata della Roma papalina, anche se la caratterizzazione dei personaggi dei due cospiratori non può essere ritenuta particolarmente aderente alla realtà storica.
Fonti e Bibl.: Esaustivo riepilogo delle fonti in A. Gentilini, L. M. Un medico carbonaro a Rocca di Papa (1800-1825), tesi di laurea, Università degli studi Roma Tre, a.a. 2003-04; si vedano inoltre: M. d’Azeglio, I miei ricordi (1863-1866), a cura di A.M. Ghisalberti, Torino 1971, pp. 301 s.; N. Trovanelli, La decapitazione di L. M. e Angelo Targhini (su docc. inediti), Cesena 1890; C. Premuti, In memoria di Angelo Targhini e L. M., decapitati nel 1825 per ordine di papa Annibale della Genga: monografia, Roma 1909; O. Montenovesi, Angelo Targhini e L. M. giustiziati a Roma nel 1825, Roma 1938. Riferimenti al M. in E. Del Cerro, Cospirazioni romane 1817-1868. Rivelazioni storiche, Roma 1899, pp. 123-143; E. Fabbri, Sei anni e due mesi della mia vita. Memorie e docc. inediti, a cura di N. Trovanelli, Roma 1915, ad ind.; G. Leti, Carboneria e massoneria nel Risorgimento italiano, Genova 1925, ad indicem; C. Spellanzon, Storia del Risorgimento e dell’unità d’Italia, II, Da dopo i moti del 1820-21 alla elezione di papa Pio IX (1846), Milano 1934, pp. 93 s.; A.M. Ghisalberti, La Restaurazione a Roma, in Uomini e cose del Risorgimento, Roma 1936, p. 113; G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, II, Dalla Restaurazione alla Rivoluzione nazionale, Milano 1958, p. 134; R. Colapietra, La Chiesa tra Lamennais e Metternich. Il pontificato di Leone XII, Brescia 1963, ad ind.; F. Bartoccini, Storia di Roma, XVI, Roma nell’Ottocento, Bologna 1985, ad ind.; Dizionario del Risorgimento nazionale, I, pp. 1033-1036.