ESTE, Leonora d'
Nacque a Ferrara il 19 giugno del 1537, dal matrimonio di Ercole II, duca di Ferrara, con Renata, figlia di Luigi XII re di Francia. Senza dubbio fu uno dei personaggi meno rilevanti della nobile famiglia Este, considerando che sia i fratelli (Alfonso e Luigi) sia le sorelle (Anna e Lucrezia) ebbero una vita meno dimessa e triste della sua.
I primi anni della giovinezza furono dedicati agli studi: ricevette al pari delle sorelle una educazione raffinatissima che solo una donna come la madre Renata poteva impartire. I maestri delle principesse, a partire da Olimpia, figlia di un letterato mantovano, Fulvio Pellegrino Moretto, sino al greco Francesco Porto o al francese Melville, che aveva il compito di istruirle nella musica e nel canto, furono tutti di altissimo livello e severissimi a giudicare dalla scelta degli autori a base delle loro esercitazioni: Aristotele, Cicerone, Proclo, Tolomeo, Euclide.
Testimonianza della seria educazione ai classici della filosofia, della letteratura, della poesia ci viene da Bartolomeo Ricci, che, preso il posto dei precettori francesi banditi da Ferrara per le controverse idee religiose, in una epistola del 1554 (Venezia 1554, p. 71) loda le principesse e in un'altra, ad Aonio Paleario, ne continua l'esaltazione (Bologna 1560, cc. 104v-105r). La E. fu ricordata da P. de Bourdeille, de Brantôme (Dames illustres, in Oeuvres complètes, VIII, Paris 1875, pp. 108-10) e da G. Ruscelli, che dichiara la sua ammirazione nella dedicatoria apposta alla ristampa veneziana dell'Orlando furioso del 1556, inviata al principe Alfonso. Alcuni versi dedicò all'E. e a Lucrezia V. Brusantini nell'Angelicainnamorata (Venezia 1550, c.XVII, vv. 55 s.), G. B. Giraldi Cintio nell'Ercole (Modena 1557, c.X, pp. 122 s.), suor Girolama Castellana, nelle Rime diverse d'alcune nobilissime e virtuosissime donne, raccolte per il Domenichi (Lucca 1559), e molti altri ancora, quasi tutti privi di una qualche consistenza poetica e dettati soprattutto dalla prassi encomiastica dell'epoca.
Un saggio notevole della precoce erudizione delle principesse di casa Este si ebbe nel 1543, quando alla presenza di Paolo III, di passaggio a Ferrara, fu recitata in latino una commedia di Terenzio. La E. aveva poco più di sei anni.
Purtroppo la splendida tutela educativa di Renata durò poco: alla morte di Ercole II, avvenuta nel 1559, abbandonò la diffidente Ferrara per tornare in Francia a manifestare quella fede calvinista che non pochi problemi le aveva procurato alla corte ferrarese. La sua partenza e l'avvento al trono di Alfonso II provocarono un radicale mutamento nella vita delle principesse. La E., sempre più appartata, non partecipava alle feste che la sorella Lucrezia amava organizzare e la sua salute andava con il passare degli anni peggiorando. Forse è proprio a causa di questa gracilità che il duca Alfonso si vide costretto nel 1560 a negare la sua mano al duca di Nevers, che ne aveva fatto richiesta tramite l'ambasciatore ferrarese G. Alvarotti.
È proprio in quegli anni che la E. si recò ad Abano per la cura dei fanghi. Il primo viaggio si fa risalire intorno all'11 sett. 1561 quando la E. fu accompagnata dal fratello, il cardinale Luigi, e dalla zia Leonora, una suora che molto spesso i biografi hanno scambiato per la principessa d'Este. La seconda cura, quella del 1562, fu funestata dalla morte del Falloppia, suo amorevole medico personale. La vita della E. continuò cosi tra una malattia e l'altra: il resoconto dettagliato è prodotto dai Libri di spesa della famiglia e si evince anche dalle numerose lettere di principi, segretari, tortigiani, preoccupati per la sua salute.
Di una nuova richiesta di matrimonio si sussurrava nel 1565, ma anche questa volta il no del duca Alfonso perpetuava il suo stato di nubile triste e malata: al figlio unico del duca di Urbino fu invece data in sposa Lucrezia. L'impossibilità dei matrimonio diveniva sempre più una certezza e quindi le uniche preoccupazioni, vista comunque la sua naturale propensione alla riservatezza, erano le cure per la salute e il controllo degli affari del cardinale Luigi, suo fratello prediletto, al quale solo lei riusciva a perdonare un carattere arrogante e perfido, una vita dissoluta e avida, le cui conseguenze dovette più volte essa stessa riparare. L'unìca persona che la consolò e la riempì di premure, seppur da lontano, fu Renata, che nel 1570 da Montargis chiedeva al duca Alfonso di far in modo di maritare anche Leonora.
Verso la fine del 1565 giunse alla corte ferrarese Torquato Tasso, che entrava al servizio del cardinale Luigi. La benevola accoglienza che ricevette gli ispirò subito numerosi versi in lode di Ferrara e dei principi estensi, e certo le principesse, intomo alle quali si riuniva il miglior ingegno ferrarese (G. B. Pigna, Battista Guarini, A. Romei, A. Argenti), non potevano non essere sensibili al fascino del poeta la cui fama cominciava già a circolare. L'incontro di Tasso con la E. si fa risalire al 1566, anche se alcuni documenti lasciano pensare che forse egli aveva avuto modo di conoscerla a Padova durante i viaggi che conducevano la principessa verso Abano. Non la incontrò invece nel 1565 perché gravemente ammalata, come ci testimoniano i versi che egli le dedicò in quell'occasione Ahi, ben reo destin ch'invidia e toglie, in cui si duole "ch'a madama Leonora d'Este sia stato vietato il cantare per la sua infermità", venuti alla luce qualche anno dopo fra quelli degli Accademici Eterei (Rime, s.l.néd. [ma Padova 1567]), in una raccolta che comprende anche un sonetto del Guarini dal contenuto simile., Prega Dio per la salute di madama Leonora, e la splendida canzone Mentre cha venerar movon le genti, la prima di tre che il Tasso chiamava "le tre sorelle" ma, come dichiara egli stesso, questa fu l'unica a veder la luce, le altre due "non sendo ancora ridotte a buon termine".
Da questa canzone partono numerose delle illazioni che hanno fatto del Tasso e della E. una coppia dall'amore infelice e travagliato: leggenda che tutto l'Ottocento e buona parte della critica del Novecento hanno accettato e anche alimentato. Molti biografi hanno infatti letto in questa dichiarazione una copertura al vero motivo che non gli permetteva di pubblicare le altre due, e cioè che fossero troppo scopertamente amorose. In realtà c'è da credere che la sospetta inclinazione verso la principessa non oltrepassasse i limiti di una reciproca stima, considerando che proprio in quegli anni altri biografi dichiaravano il Tasso perdutamente innamorato di Lucrezia Bendidio, fedele damigella della Este. Soltanto il lavoro sui documenti operato dal Solerti ha illuminato la situazione. Nel 1570 il Tasso si recò in Francia e solo nel settembre, tornato in Italia, scrisse alla E., da Casteldurante, dove era a villeggiare insieme con Lucrezia d'Este, duchessa d'Urbino, e, insieme con le scuse per aver lasciato passare così tanto tempo, le inviava un sonetto sul tema dello sdegno amoroso, un topos della lirica petrarchista, ma che molti invece vollero leggere come una dichiarazione di gelosia.
Per il resto la vita appartata della E. non dovette dar loro molte occasioni d'incontro e comunque altri episodi possono sgomberare il campo da fantasiose ricostruzioni. Quando ad esempio, nel settembre del 1576, il Tasso fu aggredito da Ercole Fucci, la E. trovò il modo non solo di perdonare ma anche di aiutare il Fucci. Nel frattempo le condizioni psichiche del Tasso andavano aggravandosi, e nel 1575, fuggendo dal convento di S. Francesco dove il duca lo aveva fatto ricoverare, arrivò ad usare il nome della E., a sua insaputa, per convincere il conte Cesare, che lo aveva trovato piuttosto mal ridotto sulla strada che portava a Bologna, ad aiutarlo a proseguire il viaggio. Venuta a conoscenza dell'abuso, la E. non solo non gli portò aiuto, ma quando il Tasso da Sorrento, dove aveva trovato riparo, cercò di ritornare a Ferrara, non trovò né in lei né in Lucrezia delle alleate.
Fino al 1571 la vita della E. proseguì senza novità di rilievo. Nel 1572, invece, nella sua famiglia nacque una controversia economica: la E., secondo quanto previsto nel testamento paterno, aveva diritto, oltre alla dote, anche al pagamento intero delle spese fin quando non fosse andata sposa. Dopo il matrimonio di Lucrezia cominciò a sollecitare ciò che le spettava, incontrando però ostacoli tali che la portarono a nutrire sentimenti poco affettuosi nei confronti dei fratelli. Arrivò alla minaccia di lasciare Ferrara e dimostrò comunque una tale risolutezza che sia il cardinale sia il duca dovettero cederle. Se i rapporti con Luigi tra il 1572 e il 1573 tornarono ad essere di profondo accordo, con il duca Alfonso la spaccatura fu definitiva.
Verso la fine di novembre del 1573 la E. fu colta da un attacco talmente grave della sua malattia che il 2 dicembre decideva addirittura di dettare testamento. Vi nominava i due fratelli eredì universali in parti uguali. Si riprese molto lentamente e solo a metà gennaio abbiamo notizia di festeggiamenti in onore della sua guarigione. L'anno seguente, il 1574, fu un anno importante per la principessa estense, che dovette assumersi la responsabilità della reggenza dello Stato e seppe farlo in modo energico e risoluto. Un aspetto, questo, senza, dubbio inedito che nulla ha in comune con l'immagine sbiadita che di lei la storia ci ha consegnato. Dopo la morte della madre Renata, avvenuta il 2 luglio del 1575, la vita della E. fu interamente occupata dal compito di amministrare i beni del fratello, il cardinale Luigi, che peraltro andavano sempre più dissestandosi. Gli ultimi anni furono turbati dalle continue liti d'interesse tra i due fratelli in cui la E. dovette svolgere una lunga e faticosa funzione di paciera.
La malattia avanzava inesorabilmente e il 19 febbr. 1581 la portava alla morte.
Non un verso le aveva dedicato il Tasso chiuso in S. Anna e, se nel 1580 aveva dedicato alle principesse di casa Este una raccolta di rime, lo aveva fatto in un ultimo disperato tentativo di riottenere la libertà. Ma anche dopo la morte la E. non ebbe l'onore di essere nuovamente cantata dal Tasso.
Fonti e Bibl.: Archivio segreto Estense, Casa e Stato, a cura di G. B. Pascucci - F. Valenti, Roma 1951 pp. 169, 190; T. Tasso, Rime, a cura di A. Solerti, Bologna 1898-1902, I, pp. 184 s.; III, pp. 37, 38, 60, 141, 142, 211, 212, Id., Lettere, a cura di C. Guasti, Firenze 1835-55, I, nn. 8, 13, 16; II, nn. 140, 143; V, n. 1563; G. B. Manso, Vita di T. Tasso, Roma 1634, 1, pp. 55 s., 58-61, 91-94; L. A. Muratori, Delle antichità estensi, Modena 1740, 11, p. 399; G. Rosini, Saggio sugli amori T. Tasso, Pisa 1832, XXXIII, pp. 3-102; P. Serassi, Vita di T. Tasso, a cura di C. Guasti, Firenze 1858, I, pp. 179-185, 195-198, 209, 250, 254; V. Rossi, B. Guarini e il Pastor fido, Torino 1886, pp. 24, 35, 57, 60 s.; A. Solerti, Una versione dimenticata della leggenda sugli amori di T. Tasso e L., in Rassegna emiliana, I (1888), 2, p. 106; G. Campori-A. Solerti, Luigi, Lucrezia e Leonora, Torino 1888; A. Solerti, Ferrara e la corte estense nella seconda metà del sec. XVI. I discorsi di A. Romei, Città di Castello 1891, pp. XXVII, LIII; A. Nani, Medaglioni estensi, Ferrara 1902, V, pp. 1-20; L. Chiappini, Gli Estensi, Varese 1970, p. 313.