LEONZIO
Non sono note le origini familiari di L., la cui nascita è da porre nella seconda metà del VI secolo.
All'epoca dell'imperatore romano d'Oriente Maurizio (582-602) L., grazie anche alla sua amicizia con un parente stretto dell'imperatore, Domiziano vescovo di Melitene, divenne membro della corte costantinopolitana, dove probabilmente ebbe un posto come funzionario nell'amministrazione finanziaria.
Al suo avvento al trono, Maurizio aveva ereditato un Impero non solo seriamente minacciato da nemici esterni come Persiani a Oriente e Avari, Slavi e Longobardi a Occidente, ma anche in gravi ristrettezze finanziarie, dovute alla gestione del suo predecessore. L'imperatore concluse allora con successo nel 591 una guerra iniziata venti anni prima con la Persia; si impegnò a fondo per ristabilire la frontiera danubiana contro la montante marea dell'invasione slava e riorganizzò il governo dell'Africa settentrionale e dei restanti domini bizantini in Italia con la creazione di due comandi territoriali unici, ossia un Esarcato con capitale Cartagine e l'altro con capitale Ravenna. Tuttavia l'impegno forse più ingrato e senza dubbio meno atto a suscitare il favore popolare fu quello di arginare la spesa pubblica e possibilmente risanare le finanze. Per questo fu avviata una politica del risparmio e del rigoroso controllo nei conti dello Stato.
Maurizio, nel corso del suo regno, scelse persone competenti, fedeli e che non mostrassero esitazioni nell'applicare le sue direttive sia nel caso di generali destinati a combattere al fronte sia di amministratori preposti alla gestione delle finanze. Che L. corrispondesse a queste caratteristiche è dimostrato dal fatto che a lui, sul finire del 598, dopo una tregua con i Longobardi firmata dall'esarca Callinico, Maurizio affidò la responsabilità di un'ispezione sull'attività amministrativa e finanziaria di alcuni ex funzionari dell'Esarcato d'Italia e della Pretura di Sicilia. Già a suo tempo Giustiniano era ricorso alla figura di un commissario imperiale, chiamato discussor, per controllare a posteriori l'operato dei funzionari nell'amministrazione finanziaria di città e province.
La missione di L. si presentava tanto più difficile e non priva di rischi, in quanto il prestigio e l'autorità del governo di Costantinopoli in Italia, sebbene ancora sentiti, non erano paragonabili a quelli goduti sotto il regno di Giustiniano. Dunque alla fine dell'estate 598 L., fregiato del titolo di exconsul, console onorario, giunse in Sicilia e si stabilì subito a Siracusa, ove si apprestò a condurre la sua ispezione con la collaborazione del vescovo della città Giovanni. Gregorio I, papa dal 590, prima del suo pontificato aveva conosciuto personalmente l'imperatore Maurizio, il vescovo Domiziano e altri membri della corte costantinopolitana, ove aveva soggiornato come apocrisario papale tra il 579 e il 585-586, ma non sembra che avesse allora incontrato anche L.; si potrebbe dunque dedurre che la carriera pubblica di quest'ultimo abbia avuto inizio dopo la partenza di Gregorio da Costantinopoli.
A ogni modo, al papa, che forse si aspettava una visita di L. a Roma, il commissario imperiale si limitò a spedire doni di valore sacrale e liturgico, come l'olio della S. Croce e il legno di aloe, nonché provviste alimentari.
L. procedette poi con la convocazione a Siracusa di personalità e funzionari laici ed ecclesiastici perché presentassero i conti della loro amministrazione finanziaria. L'ispezione si sarebbe protratta per un intero biennio. Nel complesso, a giudicare dalle lettere che Gregorio I inviò allo stesso L., ad altri funzionari di grado meno elevato che lo coadiuvavano, ai vescovi Giovanni di Siracusa, Secondino di Taormina e allo stesso Domiziano di Melitene, risulta piuttosto evidente che l'inchiesta fu segnata da un clima d'angoscia e paura, suscitato dalle modalità, non sempre regolari, con le quali si svolsero gli interrogatori, distinti in alcune circostanze dal ricorso alla violenza fisica e conclusi anche con pene corporali; a ciò si aggiunse il fatto che per alcuni personaggi convocati sussisteva una certa evidenza delle irregolarità e degli abusi commessi.
L'ex prefetto del pretorio d'Italia Gregorio, per esempio, citato a comparire, si era rifugiato in una chiesa di Roma, invocando il diritto di asilo. Si decise infine a presentarsi al commissario imperiale a Siracusa dietro insistenza di papa Gregorio I, che si raccomandò di trattarlo benevolmente attraverso missive a L., ai vescovi siciliani già menzionati, allo stesso ufficiale della guardia imperiale inviato a prelevarlo. Nonostante il prestigio che proveniva all'ex prefetto dall'aver ricoperto quella che era la carica civile più importante al di sotto dell'esarca, con la responsabilità ultima nella ripartizione e riscossione delle imposte, le raccomandazioni del papa per Gregorio si rivelarono tutt'altro che superflue.
Più grave appariva la posizione di Libertino, già pretore di Sicilia. Come tale, egli aveva governato l'isola, che non faceva parte dell'Esarcato d'Italia, ma dipendeva attraverso il suo pretore direttamente da Costantinopoli. Come altri governatori di provincia, Libertino aveva firmato al momento della sua nomina una cautio, un impegno scritto di corrispondere allo Stato una determinata somma di denaro per ottenere la carica, una sorta di appalto, per il mantenimento del quale, probabilmente, egli aveva attinto, a un certo punto, anche a fondi pubblici. Nonostante il suo rango, a Libertino non furono risparmiati metodi violenti negli interrogatori e fu poi messo a languire in prigione. Gregorio I intervenne anche nel suo caso, rimproverando direttamente L. per il modo di procedere, indegno della sua intelligenza e capacità di dialogo; il papa chiese inoltre che la pena per Libertino non fosse detentiva (soluzione ufficialmente non contemplata dal diritto allora vigente), ma pecuniaria, e ricordò al commissario imperiale, in modo leggermente involuto, ma in definitiva chiarissimo, che in caso di abuso nel corso dei processi era sempre possibile fare ricorso presso l'imperatore. Altri personaggi convocati da L. e per i quali Gregorio I volle intercedere, furono, dopo che ebbero rinunciato anch'essi al diritto di asilo in chiesa, il magister militum Apollonio e il vicario Crescenzio, che probabilmente facevano parte del governo locale di Roma.
Una diversa questione di cui L. dovette occuparsi nello stesso periodo fu la contesa per l'eredità del defunto vescovo Teodoro di Lilibeo (Marsala): al suo successore Decio si opponeva proprio il vescovo Domiziano di Melitene, affermando i diritti della sua Chiesa sul patrimonio di quel vescovado siciliano. Sembra poi che anche in un'altra diocesi, quella di Siracusa, fossero stati lesi gli interessi di Domiziano, da parte del vescovo Giovanni a vantaggio del medico Archelao. Questa seconda causa comportava problemi supplementari, perché opponeva Domiziano proprio al vescovo di Siracusa, al quale era affidato il compito di assistere L. nella conduzione della sua ispezione, per cui in questo caso la parte in causa collaborava con il giudice. Rimane oscura l'origine dei legami tra diocesi tanto lontane come quelle siciliane e Melitene, ma viene comunque spontaneo chiedersi se, dati i rapporti di amicizia tra L. e Domiziano, il fatto che fossero in gioco gli interessi di quest'ultimo in Sicilia non avesse almeno in parte pesato sulla scelta di inviare proprio L. come commissario imperiale nell'isola.
Altra successione dibattuta fu quella all'eredità di Bonifacio numerarius (capo di un ufficio contabile) che, pur disponendo di un patrimonio personale molto modesto, per testamento aveva lasciato parte delle sue sostanze a uno xenodochio, sito presso S. Pietro a Roma.
Il lascito in questo caso riguardava direttamente il vescovado di Roma, per cui Gregorio I, per far valere i diritti della sua Chiesa, inviò un proprio rappresentante a L. insieme con la documentazione che il commissario imperiale attendeva di controllare per vedere i conti che Bonifacio aveva lasciato in sospeso con l'Erario. Per "regolarizzare" il lascito, Gregorio I si dichiarò pronto a corrispondere allo stesso L. e ai suoi collaboratori, secondo quello che sembra essere stato l'uso del tempo, una certa somma, che doveva rimanere apprezzabilmente al di sotto del valore di quanto ereditato, altrimenti vi sarebbe ovviamente stata la rinuncia al lascito.
Al tribunale di L., di propria iniziativa, si rivolsero poi anche certi funzionari perché fossero loro assegnati, come stabilito dall'imperatore Maurizio, i proventi fiscali chiamati annonae, destinati alle spese dell'amministrazione locale di Roma, riscossioni che invece venivano loro illegittimamente sottratte.
Con l'inizio dell'autunno dell'anno 600 l'inchiesta probabilmente si concluse. I suoi esiti non sono noti, ma è facile immaginare che la missione di L. lasciasse dietro di sé un generale senso di amarezza e frustrazione, in particolare nei quadri amministrativi dell'Esarcato d'Italia, che nella prima parte del regno di Maurizio e fino alla data dell'ispezione avevano dovuto affrontare quasi esclusivamente con le loro sole forze la minaccia continua dei Longobardi nell'Italia settentrionale, per essere subito dopo sottoposti alla pressione dell'inchiesta. Spiccava in quel frangente l'assenza dell'esarca Callinico, al quale dopo la tregua con i Longobardi era stato richiesto di contribuire, con le limitate risorse dell'Esarcato d'Italia, alla lotta contro gli Avari. Le stesse lettere di Gregorio I aventi per oggetto la missione di L., nel complesso un modello di fine esercizio di diplomazia, a tratti lasciano però intendere la tensione allora esistente tra la provincia ispezionata e il rappresentante del governo centrale.
Nel 602 tale governo sarebbe stato rovesciato da una sommossa il cui esito fu l'avvento al trono di Foca, un sottufficiale dell'esercito attivo sul confine danubiano. Foca uccise l'imperatore Maurizio, ne sterminò la famiglia e i più stretti collaboratori, instaurando un regime tirannico; Gregorio I tuttavia non solo non compianse, almeno ufficialmente, la fine di Maurizio, ma salutò con entusiasmo l'insediamento del nuovo imperatore, cui fu anche dedicata nel foro una colonna monumentale ancora oggi visibile. È probabile che L. fosse tra le vittime del violento avvicendamento al potere.
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