CEMPINI, Leopoldo
Nacque a Firenze il 2 ott. 1824 da Francesco, consigliere di Stato di Leopoldo II, e da Luisa Poggesi. Studiò giurisprudenza all'università di Pisa, dove fu allievo di Giuseppe Montanelli che, nonostante la divergenza di idee, godeva della stima del consigliere Cempini per la sua preparazione giuridica e per la sua perizia letteraria. In questi anni il giovane C. dové certo subire l'influenza del maestro e delle sue idee politiche. Tornato a Firenze, entrò in rapporti con il marchese Ferdinando Bartolommei, con il quale conservò sempre una viva amicizia. Significativo è anche il fatto che egli facesse pratica legale nello studio di Vincenzo Salvagnoli di cui erano note le idee liberali. Era così inevitabile che, nonostante la mentalità e l'ufficio del padre, la vicinanza di queste due autorevoli personalità liberali lo inducesse ad assumere una posizione di dissenso nei confronti del regime granducale. Anzi, il C. si legò ai giovani più radicali (Carlo Fenzi, Cosimo Frediani, Pietro Masini, Antonio Mordini e Antonio Galletti) che mal tolleravano la prudenza dei moderati ed erano impazienti di agire.
Nel 1845 costoro avrebbero avuto come programma la fondazione di una società segreta repubblicano-unitaria. Questa associazione non ebbe alcuna incidenza politica e rimase ristretta ai soli fondatori. Tuttavia, essi, nel '46, furono tra i principali diffusori delle prime stampe clandestine a Pisa e a Firenze; poi, nel novembre dello stesso anno, ebbe luogo a Pisa un incontro tra alcuni di loro e il Montanelli per fissare norme comuni di agitazione. Per quanto concerne il C., il suo nome compare più volte nell'elenco di affiliati o aderenti alla Giovine Italia, autografo del Mazzini e conservato nella raccolta Nathan; e nel Protocollo della "Giovine Italia", Congrega centrale di Francia (V, p. 102), si dice espressamente: "Toscana è nostra: un nostro agente e corrispondente suo laggiù è un figlio d'un ministro". E tali notizie sono confermate dallo stesso Mazzini che, più tardi, scriveva come il C., divenuto "calunniatore nostro nella Nazione", fosse stato tra i suoi seguaci (Note autobiografiche, p. 128). Secondo il Montanelli (Memorie, p. 178)questi giovani, nonostante fossero tutti repubblicani (e il C. addirittura "socialista falasteriano"), ritennero opportuno aderire a programmi più pratici e realizzabili; e, sebbene non approvassero gli eccessivi entusiasmi per Pio IX, si spostarono sul terreno del riformismo nazionale.
È, difficile dire quanto siano sicuramente attendibili queste affermazioni del Montanelli sulle idee politiche di questo gruppo e, in particolare, del Cempini. Ma, certo, già nel 1842, in un componimento poetico intitolato Un galeotto, questi non mancava di esprimere un duro giudizio sulla società dei suoi tempi, considerata responsabile della miseria e dell'ignoranza delle plebi. In ogni caso è certo che il C. s'impegnò attivamente nella preparazione di fogli clandestini; e quando la loro diffusione divenne troppo ampia e scoperta, le autorità di polizia iniziarono una seria campagna di repressione. Ritenuto uno dei principali responsabili, il C. riuscì ad evitare l'arresto; ma dal padre fu allontanato da Firenze e inviato a Vienna.
Nel luglio del 1847 era, però, di nuovo a Firenze e apponeva il suo nome e raccoglieva firme per una petizione per la concessione della guardia civica. Ciò provocò un notevole scalpore negli ambienti della corte, del governo e della diplomazia, tanto che il giovane fu poi indotto a ritirare la sua adesione (Archivio di Stato di Firenze, Buongoverno segreto, 1847, filza 23, affare 139). L'anno seguente il C. fu tra i primi a partire volontario per la Lombardia e combatté a Curtatone, dove fu decorato della medaglia d'argento. Il suo ritorno a Firenze coincise con l'avanzare della crisi politica che, dopo la caduta del ministero Capponi, si concluse con l'avvento del ministero Guerrazzi-Montanelli. Ma, quali che fossero state le sue idee negli anni precedenti, dopo la svolta di carattere radicale e socialista assunta dal movimento rivoluzionario francese, il C. si era ormai decisamente schierato con i costituzionali. Così, all'avvento del governo guerrazziano, lo attaccò nella Rivista indipendente che allora dirigeva. Secondo il Diario di L. Passerini de' Rilli, il 15 ott. '48 sarebbe stato fra gli estensori del manifesto che invitava il granduca a respingere le pressioni dei democratici, nominando liberamente i propri ministri, e che incitava il popolo a radunarsi per dimostrare in questo senso. Sempre secondo il Passerini, l'intenzione del C. e degli altri promotori sarebbe stata la formazione di un "ministero-patria", affidato all'Azeglio (pp. 136 s.).
Dopo la partenza del granduca dalla Toscana e l'avvento della dittatura guerrazziana, la situazione personale del C. divenne difficile a tal punto da spingerlo ad allontanarsi da Firenze. Si recò allora in Piemonte, prese servizio nell'esercito sardo e, a Novara, dove faceva parte dello Stato Maggiore di Carlo Alberto, fu nuovamente decorato. È probabile che, anche dopo la restaurazione granducale, egli restasse, per qualche tempo, negli Stati sardi; ma, certamente, era a Firenze già nel gennaio del 1850, quando un rapporto della prefettura segreta lo indicava presente ad una "riunione sospetta" in casa del Salvagnoli (Archivio di Stato di Firenze, Prefettura segreta, 1850, f. 3, aff. 53); e, nello stesso anno, la polizia lo segnalava come supposto autore di una composizione satirica antiaustriaca (ibid., f. 8, aff. 304). Il 29 maggio dell'anno successivo il C. fu poi coinvolto negli incidenti seguiti alla celebrazione in S. Croce dei caduti di Curtatone e Montanara che la polizia tentò d'impedire; e, assieme al Ridolfi, al Capponi, al Bartolommei e altri, fu accusato di esserne stato uno dei promotori. Ma, benché interrogato a lungo dalla polizia, non fu processato né costretto al domicilio coatto, come il Bartolommei.
In questi stessi anni e in quelli successivi, il C., oltre che alla sua professione di avvocato, si dedicò intensamente all'attività letteraria e pubblicistica. Ancora molto giovane aveva cominciato a scrivere versi di carattere amoroso o d'intonazione patriottica, come quelli dal titolo Dolore e speranza che, nel settembre del '47, vennero cantati al teatro La Pergola e che, ebbero discreta risonanza certo più per il loro contenuto politico che per il loro valore poetico. Il loro successo fu, comunque, notevole e vennero ripetuti il 7 novembre, nella sala del comune di Prato, insieme con altre operette eseguite in onore del pontefice Pio IX e del granduca Leopoldo II.
La poesia offrì ancora spesso al C. l'occasione per esprimere le sue idee politiche, in concomitanza con gli eventi del tempo e il suo allineamento su posizioni sempre meno radicali. Se i versi A un agitatore (Brescia 1848) già condannano i metodi insurrezionali mazziniani, più tardi l'ode Ventinove Maggio (1849), scritta per l'anniversario di Curtatone e Montanara, o la composizione Alla memoria di Carlo Alberto il Magnanimo esule martire re (27 luglio 1851) o, ancora, l'altra A Vittorio Emanuele (1853) esprimono la sua piena fiducia nella funzione nazionale della monarchia costituzionale sabauda.
Il giudizio sulle qualità poetiche del C. da parte dei suoi contemporanei fu abbastanza positivo. Le sue composizioni furono frequentemente pubblicate in fogli e riviste fiorentine; ed anzi una sua raccolta di versi Fiori e foglie venne edita a Torino nel 1853. Fu però notata la sua eccessiva imitazione del Prati, le cui opere erano ben note negli ambienti letterari toscani. E che tra i due corressero rapporti di simpatia e affinità di gusto è dimostrato da alcune significative circostanze. Infatti il Prati, scrivendo l'ode In morte di Giuseppe Giusti, la dedicò al C., il quale, a sua volta, l'aggiunse in appendice ad alcuni suoi cenni biografici sul poeta toscano, già pubblicati ne Il Costituzionale e nuovamente editi in volumetto (Giuseppe Giusti, cenni di P. L. D. E.)a Firenze, nell'anno 1855 (da ricordare, più o meno in questo periodo, altre sue pubblicazioni: Lorenzo Bartolini, in Ricordo artistico dedicato all'inclita Accademia dei Risorti, Firenze 1852; Ginevra degli Almieri in Scene d'amore. Album artistico e letterario, Prato 1852, e Ludovico Morelli Adimari, Firenze 1855).
Insieme con questa produzione poetica, (che comprende anche altri componimenti di carattere amoroso ed elegiaco, secondo il tipico gusto del tempo), va pure ricordata la sua frequente attività di pubblicista. Alcuni suoi scritti, firmati "Bardo de' Bardi", "L'associato del Ponte Rosso", oppure "P.L.D.E." (iniziali di "Pico Leon d'Empoli", anagramma del suo nome), erano comparsi ne La Rivista di Firenze, giornale politico-letterario che sostenne la concessione delle riforme e la guerra all'Austria, attaccando contemporaneamente i reazionari e i democratici più spinti, e fu perseguito per aver chiamato l'Austria "la più crudele delle potenze straniere". Il 3 luglio del '48 si trasformò in Rivista indipendente; e il C. firmò, come "Bardo de' Bardi", per la direzione provvisoria, il "Preludio di un programma nuovo", mantenendo la direzione sino, al 1° genn. 1849. Si è già detto dell'opposizione condotta da questo foglio contro il governo Guerrazzi-Montanelli e della sua intonazione ormai moderata; per questo esso fu costretto a cessare le pubblicazioni il 1° marzo del '49, per riprenderle, dopo la restaurazione, il 1° maggio. Il 29 maggio il C. uscì dalla redazione della rivista che, l'11 giugno del '49, assunse il titolo di IlCostituzionale. Tuttavia egli continuò a collaborare al foglio che aveva assunto le difese dello statuto e delle idee costituzionali. Sopravvissuta al decreto del 19 sett. 1850 che sospendeva e poi sopprimeva gran parte della stampa, la rivista ebbe però una vita difficile e discontinua, finché cessò il 7 maggio 1852.
Il C. collaborò quindi ad altre riviste di carattere, prevalentemente letterario e artistico, sorte in quegli anni, come L'Arte, La Speranza, Polimazia di famiglia, Carlo Goldoni, Lo Scaramuccia (divenuto poi Scaramuccia), nelle quali scrisse di vari argomenti e, in particolare, di critica teatrale. Nel 1852 fu, inoltre, tra i promotori di un giornale e artistico, letterario e scientifico", Il Genio, che, nelle sue intenzioni, avrebbe potuto trasformarsi, in seguito, in "politico" e di cui fu uno dei collaboratori principali, insieme a Silvestro Centofanti, Celestino Bianchi e Alessandro D'Ancona.
Nel periodo che precedé il 1859 il C. conservò stretti contatti sia con gli ambienti liberali toscani sia con le maggiori personalità politiche piemontesi, dall'Azeglio al Massari, al Cialdini e allo stesso Cavour. Particolarmente importante fu il suo stretto legame con il Bartolommei, con il quale mantenne una fitta corrispondenza anche quando il marchese fu esiliato, informandolo delle cose fiorentine e, a suo tempo, in modo particolareggiato, del corso del processo al Guerrazzi. E, come il Bartolommei (che divenne presidente del Comitato toscano), aderì alla Società nazionale. Nel 1858 si recò a Torino, dove s'incontrò con il Massari, per convincerlo dei progressi del movimento nazionale in Toscana; fu, quindi, a Parigi dove fece visita al Montanelli che vi si trovava in esilio e da lui cercò di ottenere precise informazioni sull'opinione pubblica francese nei confronti dell'Italia e sulle intenzioni di Napoleone III. Dal colloquio risultò che il Montanelli era nettamente avverso al Piemonte e che rimproverava ai liberali toscani la loro inerzia.
L'appartenenza del C. al gruppo lafariniano non gl'impedì, però, di collaborare con quei liberali moderati, che, alla fine di novembre del 1857, avevano fondato la "Biblioteca civile dell'Italiano"; e ciò, nonostante l'ostilità dei più tiepidi moderati che lo consideravano un democratico. Ebbe così parte nella decisione di pubblicare e sottoscrivere, nel marzo del '59, l'opuscolo di Celestino Bianchi Toscana ed Austria, sequestrato nella tipografia Barbera dalla polizia; ma l'opuscolo uscì ugualmente il 21 marzo, con dedica al Cavour e a Napoleone III, ed ebbe un largo successo. Sempre in quei giorni, il gruppo della "Biblioteca", quello lafariniano e gli stessi mazziniani cercarono una base di azione comune; il 24 apr. '59, in casa del Ricasoli, ebbe luogo una riunione alla quale partecipò anche il Cempini. Apparvero subito evidenti le divergenze tra il programma semplicemente costituzionale e autonomista dei moderati e quello nazionale-unitario dei lafariniani e dei mazziniani; ma il Ricasoli si schierò decisamente per il programma unitario, facendo fallire un ultimo tentativo di rivolgere una petizione al granduca per ottenere riforme costituzionali.
Sono noti gli eventi che seguirono e che portarono, il 27 aprile, alla caduta della dinastia lorenese; è opportuno, però, ricordare che, proprio il C., di fronte al precipitare degli eventi, telegrafò al Ricasoli, già partito per Torino, affinché tornasse subito a Firenze, evidentemente per mettersi a capo del movimento unitario toscano. Nei difficili mesi tra il 27 aprile e l'annessione, egli partecipò efficacemente all'attività dei gruppi unitari e fu, insieme con Carlo Fenzi e Piero Puccioni, uno dei promotori del giornale ufficioso La Nazione, di carattere decisamente unitario, di cui divenne, per breve tempo, il primo direttore, poi sostituito dal D'Ancona. Anzi, la fondazione del giornale ebbe luogo, all'indomani dell'armistizio di Villafranca, il 14 luglio, nello studio legale del Cempini.
Il 7 ag. 1859 venne eletto deputato, per il collegio di Firenze - San Lorenzo, all'Assemblea toscana di cui fu segretario; il 16 agosto votò la decadenza della dinastia lorenese e il 20 l'annessione al Regno sabaudo. Nell'ottobre si trovava, poi, a Torino, quando il Salvagnoli e il Bianchi vi si recarono per conferire con i governanti piemontesi in vista della comune politica unitaria; ed ebbe anch'egli stretti rapporti con il Massari.
Dopo il plebiscito del 10-11 marzo 1860, per il quale svolse un'intensa attività propagandistica, nelle successive elezioni dei deputati toscani al Parlamento subalpino fu eletto nel collegio elettorale di Montalcino, per la VII legislatura; e fu nuovamente eletto deputato al primo Parlamento italiano (VIII legislatura), per il collegio di Città di Castello. Partecipò attivamente ai lavori della Camera, votando tra l'altro in favore dell'abolizione della pena di morte, ma non ebbe parte di rilievo nella vita parlamentare e politica. Continuò però la sua attività giornalistica, come corrispondente da Torino de La Nazione.
Il C. morì a Firenze, l'11 dic. 1866.
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