ELIA, Leopoldo
Nacque a Fano il 4 novembre 1925, figlio di Raffaele (1894-1981), conservatore dell’Archivio notarile di Ancona, presidente della Deputazione di storia patria delle Marche e senatore per la Democrazia cristiana (DC) nelle prime due legislature repubblicane, e Michelina Bartoccetti (1894-1981), figlia del notaio Luigi. Il nonno paterno, di cui riprese il nome, aveva combattuto a Mentana tra le truppe garibaldine ed era morto nella battaglia di Adua (1896), a cui partecipò come volontario. Lo zio materno, mons. Vittorio Bartoccetti, sarà vice camerlengo di Santa Romana Chiesa (1969-1975).
La famiglia di Elia lasciò Fano per Ascoli Piceno, quindi si spostò ad Ancona e in seguito a Roma, dove Leopoldo frequentò la quarta elementare, passando poi direttamente alle scuole medie presso il Pontificio Istituto S. Apollinare (1935-38). Rientrato ad Ancona nel giugno 1943 e conclusi gli studi al liceo classico Carlo Rinaldini, si iscrisse all’Università di Macerata, dove sostenne tre esami prima di passare alla facoltà di giurisprudenza della Sapienza di Roma nel novembre 1944. La brillante esperienza universitaria si concluse il 25 novembre 1947 con la discussione della tesi (andata in seguito perduta) dedicata a L’avvento del regime parlamentare in Francia (1814-1930). Relatore doveva essere Gaspare Ambrosini, ma il lavoro fu seguito e discusso da Vincenzo Gueli, a causa degli impegni alla Costituente di Ambrosini e della sua assenza per motivi familiari in occasione della sessione di laurea. Un ruolo di rilievo nello sviluppo della cultura politica di Elia lo ebbe la militanza nei movimenti intellettuali di Azione cattolica, in particolare la Federazione universitaria cattolica italiana (FUCI), che favorì alcuni incontri significativi, come quelli con Vittorio Bachelet e Alfredo Carlo Moro (fratello di Aldo), col quale Elia condivise tra il 1947 e il 1950 la condirezione del quindicinale fucino Ricerca. Animato da una profonda fede, Elia fu sensibile al messaggio personalista, ma fin dalla giovinezza ritenne necessario tenere distinto il piano religioso-culturale da quello politico. In questo senso Elia si mantenne sempre fedele al principio di laicità, dando prova di «un pensiero e una politica cristianamente ispirati, ma non clericali» (Balboni, 2009, p. 432), preferendo vivificare la pratica politica con valori cristiani piuttosto che promuovere una “politica cristiana” in senso stretto.
In occasione del XXVIII Congresso nazionale della FUCI tenutosi a Napoli nel settembre 1947 conobbe Giuseppe Dossetti. Al rapporto con il giovane leader della sinistra DC si deve non solo l’avvio della collaborazione con Cronache Sociali, su cui Elia iniziò a scrivere nel febbraio 1948, ma lo stesso incontro con Costantino Mortati, figura centrale per la maturazione della sua riflessione costituzionalistica. Il primo intervento su Cronache Sociali, dedicato alla funzione del partito politico nel sistema democratico, rivela la centralità che il tema delle istituzioni rappresentative ebbe nel suo percorso di studio e nella sua attività politica. A quello seguirono, tra l’aprile del 1949 e la fine del 1950, numerose Cronache parlamentari, in cui Elia offrì un’accurata ricostruzione dei lavori delle Camere mostrando una chiara attitudine a intrecciare e riflessione costituzionale e vita politica attiva. L’ultimo contributo apparso sulla rivista nel gennaio 1951 (Democrazia e gruppi parlamentari) ribadì l’attenzione di Elia verso l’evoluzione della funzione del partito nel regime parlamentare, sospesa tra le istanze di rafforzamento del gabinetto e la salvaguardia dell’equilibrio costituzionale garantito dai partiti politici.
Assistente volontario presso la cattedra di istituzioni di diritto pubblico della facoltà di scienze politiche de La Sapienza dal novembre 1949, nel febbraio 1950 partecipò a un concorso per funzionario del Senato, risultando vincitore (con Pietro Scoppola) di uno dei quattro posti. Assegnato all’Ufficio studi legislativi, Elia prestò servizio come segretario fino al dicembre 1962, affiancando agli incarichi d’ufficio un’intensa attività di ricerca, resa possibile dalla ricca dotazione della Biblioteca del Senato, dove Elia trascorreva spesso le vacanze estive immerso nello studio. In quegli anni partecipò attivamente all’elaborazione del nuovo diritto parlamentare, occupandosi in particolare dei regolamenti e dell’organizzazione della giunta delle elezioni. Un altro ambito che lo interessò fu il nascente processo di integrazione europea, alla cui elaborazione Elia partecipò direttamente prendono parte (in qualità di segretario della delegazione parlamentare) ai lavori del Consiglio d’Europa, dell’Assemblea della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) e della commissione istituita per redigere il progetto di un trattato della Comunità europea (1952).
Nel 1956 iniziò a collaborare a Giurisprudenza costituzionale, la rivista appena fondata da Carlo Esposito, Costantino Mortati e Vezio Crisafulli, redigendo numerose Cronache costituzionali, efficaci e accurate ricostruzioni della prassi costituzionale nazionale. Sulla rivista pubblicò anche Appunti sulla formazione del Governo (II [1957], pp. 1170-1208), tra i suoi scritti più significativi di quegli anni, in cui prese posizione contro l’interpretazione estensiva dei poteri di nomina del governo espressa dall’allora presidente della repubblica Gronchi (il capo dello Stato, scriveva Elia, è colui che quando vede che «la macchina del Governo si è arrestata perché la guida non è più al suo posto […] deve invitare al volante un altro uomo politico, ma non può né prescrivergli la strada da imboccare, né imporgli i compagni di viaggio»; ibid., p. 1200).
Per la maturazione del profilo scientifico di Elia furono fondamentali gli insegnamenti di Mortati ed Esposito. Come scrisse nella premessa al volume in cui ripubblicava le edizioni provvisorie di alcune sue ricerche, «Mortati mi insegnò a comprendere e a non sottovalutare le situazioni che condizionano la dinamica delle istituzioni, con particolare riguardo, allora, ai partiti e al loro funzionamento» (Studi di diritto costituzionale, 1958-1966, Milano 2005, p. IX). Di Esposito condivise lo spiccato rigore argomentativo, ma gli fu legato anche per ragioni familiari, avendone sposato la figlia Paola, dalla cui unione nacquero le figlie Federica e Alessandra.
Nel settembre 1959 Elia conseguì l’abilitazione alla libera docenza in diritto costituzionale. Nel novembre dello stesso anno ottenne l’incarico di istituzioni di diritto pubblico nella facoltà di economia e commercio dell’Università di Urbino (sede di Ancona), nel 1961 l’incarico di istituzioni di diritto pubblico alla facoltà di scienze politiche di Roma, nel 1962 l’incarico di diritto costituzionale e comparato. Sempre nel 1962 risultò vincitore del concorso a cattedra in diritto costituzionale, giudicato da una commissione formata da Carlo Esposito, Giorgio Balladore Pallieri, Vezio Crisafulli, Franco Pierandrei e Vincenzo Sica (fu il primo ternato, insieme a Manlio Mazziotti di Celso e Livio Paladin). Come scrisse in seguito riferendosi al concorso, «gli onorevoli commissari non si limitarono a farci entrare nella terna, ma ci confermarono anche nella scelta di un compito particolare in quella stagione di disgelo costituzionale, quello appunto di contribuire all’attuazione della Costituzione del 1947 non più tanto nuova, ma ancora nuova» (L. Elia, Livio Paladin studioso e giudice costituzionale, in Corte costituzionale e principio di uguaglianza. Atti del Convengo in onore di Livio Paladin, 2 aprile 2001, Padova 2002, p. 26).
Poco dopo la chiamata di Elia a professore straordinario all’Università di Ferrara (1° novembre 1962) scomparve prematuramente Pierandrei, titolare della cattedra di diritto costituzionale all’Università di Torino, ed Elia fu invitato a prenderne il posto nel settembre 1963. La delibera con cui la facoltà torinese procedette alla chiamata testimonia il valore che il giovane studioso aveva acquisito nel contesto scientifico nazionale: «Il professore Leopoldo Elia si è affermato come costituzionalista preparato e vigoroso, per la sua produzione scientifica vasta, che va dai problemi generali fondamentali della materia al diritto straniero e comparato; subito ha segnato una particolare impronta nello studio della realtà e della vita costituzionale italiana, segnalandosi nell’approfondimento del diritto parlamentare» (Conso, 2009, p. 3).
Nella facoltà torinese, caratterizzata sotto il profilo scientifico da un approccio formalista al fenomeno giuridico (Norberto Bobbio, Mario Allara) e sotto il profilo politico-culturale dall’incontro tra la tradizione sabaudo-risorgimentale e le istanze dell’azionismo, il democristiano Elia rimase fino al 1969, anno del suo passaggio alla Sapienza di Roma. Fu una stagione di intenso impegno accademico, che favorì la nascita di una scuola di notevole spessore (Gustavo Zagrebelsky, Mario Dogliani, Francesco Pizzetti, Alfonso Di Giovine), anche grazie all’utilizzo di un metodo scientifico originale, caratterizzato da un’attenzione specifica al diritto inteso non tanto come esercizio speculativo, ma come esperienza, «un’esperienza nella quale confluivano vicende storiche, precedenti, strutture politiche, atmosfere spirituali dei diversi periodi storici» e in cui la norma oggetto di studio «era lì, ma illuminata da tutto questo» (Zagrebelsky, 1999, p. 1469). L’approccio di Elia all’insegnamento ha lasciato traccia nelle testimonianze di studenti e allievi, concordi nel ricordare il nitore argomentativo, l’efficacia retorica e la solidità sistematica delle sue lezioni, oltre al vivace interesse mostrato per le ricerche condotte dai colleghi più giovani.
Nella prima fase della lunga esperienza accademica di Elia la produzione scientifica si concentrò su differenti profili dell'organizzazione costituzionale, con una chiara propensione per la comparazione, per lo studio dei processi costituzionali colti in prospettiva storica e per l’intreccio tra diritto e vie politique (Appunti sulla formazione del Governo, 1957; Codice costituzionale della Repubblica italiana, 1957; La continuità nel funzionamento degli organi costituzionali, 1958; Le commissioni parlamentari italiane nel procedimento legislativo, 1960; Forma di governo e procedimento legislativo negli Stati Uniti di America, 1961; Note preliminari sull’ordinamento e il finanziamento dei partiti nella Repubblica Federale Tedesca, 1965; Problemi costituzionali dell’amministrazione centrale, 1965). Nella seconda metà degli anni Sessanta gli interessi di studio si concentrarono sulle forme di governo e sul ruolo costituzionale dei partiti politici (Realtà e funzioni del partito politico, 1963; L’attuazione della Costituzione in materia di rapporto fra partiti e istituzioni, 1965; Elezioni politiche (contenzioso), 1965; Primo ministro (diritto comparato), 1966; Problemi costituzionali dell’amministrazione centrale, 1966, approntato per l’ordinariato; La funzionalità dei partiti nello Stato democratico, 1967; Governo (forme di), 1970).
Con la sua netta apertura a orizzonti teorici e metodologici allora poco battuti dalla riflessione giuridica, la voce sulle forme di governo scritta per l’Enciclopedia del diritto (XIX, 1970, pp. 634-675) propose una riflessione innovativa sull’incidenza del fattore politico sul funzionamento (e sulla classificazione) delle forme di governo, divenendo rapidamente un classico della letteratura costituzionalistica italiana. In quello scritto Elia non si limitava a evocare una stretta relazione tra diritto (costituzionale) e politica, ma individuava nel sistema dei partiti e nella sua forza condizionante un “elemento costitutivo” della forma di governo.
Il percorso di Elia continuò a intrecciare elaborazione teorica ed esperienza politica, in aderenza a una visione “pratica” della funzione intellettuale che vedeva nel giurista non un semplice esegeta delle norme, ma un interprete del fenomeno giuridico còlto nel suo radicamento concreto. In questo senso egli fu, sulla scia di Mortati, un “giurista politico”, in cui l’attività scientifica procedeva in simbiosi con l’osservazione partecipata della vita politica. Capo di Gabinetto del ministro per i rapporti col Parlamento Dino del Bo (maggio - luglio 1957), fu consulente per studi e ricerche di carattere giuridico-istituzionale presso il Segretariato generale (luglio 1962 - dicembre 1964), consulente in materia costituzionale e parlamentare presso il Senato della Repubblica (dicembre 1962 - maggio 1976) e consigliere di amministrazione della RAI (novembre 1966 - settembre 1969). Numerose, in quegli anni, furono le onorificenze attribuitegli dal presidente della repubblica (cavaliere nell’Ordine al merito della repubblica italiana, 1958; ufficiale, 1960; commendatore, 1964; cavaliere di Gran croce, 1975).
Consigliere di Aldo Moro (Elia preferiva l'espressione «suggeritore»), veniva consultato non solo sulle questioni costituzionali, ma anche in materia politica. All’interno della DC esercitò una funzione spesso propulsiva, come mostrano le critiche rivolte nei primi anni Sessanta al proprio partito, a cui chiese di farsi interprete di una profonda trasformazione e di un’apertura alla società capace di superare la propria tendenza a penetrare, occupandola, la vita amministrativa dello Stato. Celebre, sotto questo profilo, la critica pronunciata nel 1965 al convegno di Cadenabbia promosso dal Comitato regionale della DC lombarda: «La Democrazia cristiana occupa lo Stato, occupa pezzi di Stato, senza avere più o avere nella stessa misura, la legittimità che derivava dal periodo della mobilitazione […]. Il partito non può entrare, come in alcuni casi è entrato, nella vita amministrativa dello Stato […], altrimenti perde di legittimità, altrimenti procede ad una mera occupazione di carattere usurpativo, non è un partito legittimato, ma un partito occupante» (L’attuazione della Costituzione in materia di rapporto tra partiti e istituzioni, in Il ruolo dei partiti nella democrazia italiana, Bergamo 1965, p. 85). Erano posizioni in cui il giudizio politico si mescolava alle convinzioni del costituzionalista, che negli anni difese a più riprese e in modo appassionato – pur nella piena consapevolezza della loro progressiva crisi – il ruolo dei partiti come strumenti essenziali per la concreta partecipazione dei cittadini alla democrazia e per la salvaguardia degli equilibri costituzionali.
Nel maggio 1970 Elia fu chiamato sulla seconda cattedra di diritto costituzionale della Sapienza di Roma, dove rimase (fatte salve le numerose parentesi per incarichi istituzionali) fino al collocamento a riposo avvenuto il 30 dicembre 1997. A conferma dell’originalità del suo profilo scientifico, sempre attento a far dialogare la riflessione giuridica con la dimensione più squisitamente politica del diritto costituzionale, nel giudizio che accompagnava la chiamata se ne segnalavano, oltre alla vivacità intellettuale e al prestigio acquisito in ambito accademico, l’«eccellente conoscenza della prassi costituzionale» e il «costante interesse per i fatti politici».
Anche per il contesto accademico romano, che «viveva ancora nell’incantesimo del positivismo normativo» (Mezzanotte, 1999, p. 1472), l’arrivo di Elia rappresentò un evento significativo, in grado di favorire una progressiva apertura della disciplina costituzionalistica al dialogo con la storia, con la comparazione e con la scienza politica. Studioso dagli ampi orizzonti culturali e dalla spiccata sensibilità politica, Elia si fece apprezzare da studenti e colleghi per uno stile comunicativo di grande efficacia, sostenuto «da analisi concrete e stringenti e da riferimenti continui alla […] storia costituzionale, all’esperienza e alla storia degli ordinamenti liberal-democratici e alla dottrina italiana e straniera, anche la più recente e non solo quella giuridica» (ibid., p. 1473). Tra i suoi allievi del periodo romano si possono annoverare Paolo Ridola e Roberto Nania, ma il magistero di Elia non si espresse nelle forme tradizionali; alla costruzione di una “scuola” in senso proprio egli privilegiò la libertà dello scambio scientifico.
Dal punto di vista teorico quella di Elia rappresentò una delle più raffinate riflessioni antiformaliste proposte dalla dottrina costituzionalistica degli anni Sessanta e Settanta. Il suo metodo guardò con costante attenzione alla necessità di legare (senza per questo confonderli) fatto e diritto, dimensione pregiuridica e orizzonte politico-istituzionale, muovendosi «sempre in maniera originale […] nella tensione tra la concezione della costituzione in senso materiale interpretata dalle forze politiche e la costituzione vivente, prodotta dalla giurisprudenza costituzionale» (Lanchester, 2014, p. 25). La particolare attenzione sviluppata, sulla scorta di Mortati, verso le «situazioni che condizionano la dinamica delle istituzioni» (Studi di diritto costituzionale, cit., p. IX) gli permise di sviluppare «un metodo di “realismo critico”» che, come scrisse, «ho sempre cercato di applicare non senza espormi a critiche per essere uscito dai confini del “metodo giuridico”» (ibid.).
A questa predisposizione per una visione realista del fenomeno giuridico si deve lo spiccato interesse di Elia verso la dimensione storica e comparata del diritto, cosa tutt’altro che frequente nei costituzionalisti dell’epoca. Fu, il suo, un «approccio alla comparazione solidissimo sotto il profilo scientifico e culturale, problematico assai più che descrittivo, alimentato da una conoscenza profonda della storia costituzionale e della storia del pensiero politico, ed infine ispirato dalla consapevolezza della tensione ineludibile fra studio dogmatico e studio storico-comparativo del diritto costituzionale» (Ridola, 2009, p. 31).
La particolare predilezione di Elia per la dimensione storica dei fenomeni costituzionali nasceva dalla necessità di non limitare la riflessione al dato normativo, ma di aprirla al contesto storico e geografico in cui prendono forma i fenomeni giuridici. Quello di Elia non fu, in questo senso, un metodo giuridico chiuso, ma un «modo di fare diritto» capace di far incontrare, nel rispetto della dimensione politica del diritto costituzionale, «constitutional law» e «government», analisi giuridica e politologia. Più che alla costruzione di un sistema o una teoria generale, egli guardò alla necessità di mettere in relazione gli ordinamenti giuridici con gli assetti politici, riconoscendo «l’immediata rilevanza giuridica del fatto» (Governo (forme di), cit., p. 640) e l’inevitabile storicità del diritto costituzionale. Proprio alla storia e al suo studio Elia riservò un’attenzione assai peculiare, figlia della convinzione nei confronti dell’unità tra le strutture del presente e le esperienze del passato. La «connaturale storicità del suo modo di ragionare» (Paladin, 1999, p. XIX), unita alla grande erudizione, alla solida conoscenza degli sviluppi storiografici e alla sua grande capacità di «calare il diritto costituzionale nella storia» (Pace, 1999, p. 1460) testimoniano la rilevanza che lo studio del passato ebbe nell’impianto argomentativo di Elia, il quale guardò alla storia in cerca di prassi, exempla e archetipi utili a illuminare la comprensione del presente (Grosso 2011).
Nel 1968 Elia era stato chiamato a dirigere Giurisprudenza costituzionale, incarico che si interruppe con l’elezione a giudice della Corte costituzionale deliberata dal Parlamento nel 1976. Fu giudice della Consulta fino al 1985 (dal 1981 con la carica di presidente), dunque in anni particolarmente delicati per la Corte, chiamata a definire il proprio ruolo negli assetti costituzionali del paese e a misurarsi con questioni scottanti della vita politica nazionale, tra cui l’emergenza del terrorismo, l’ammissibilità del referendum sull’aborto, il passaggio di competenze amministrative alle regioni, la revisione del Concordato, l’armonizzazione del diritto nazionale all’ordinamento comunitario. Per Elia l’esperienza alla Corte rappresentò il naturale coronamento di un percorso scientifico e professionale che a lungo aveva intrecciato i sentieri della politica e della riflessione giuridica, e che alla giustizia costituzionale aveva dedicato attenzioni specifiche (Dal conflitto di attribuzione al conflitto di norme, 1965; La guerra di Spagna come “fatto ideologico”: un caso di “political question”, 1968; La Corte ha chiuso un occhio (e forse due), 1970). La permanenza alla Consulta alimentò ulteriormente la sua propensione alla riflessione sui principi generali della giustizia costituzionale, come dimostrano i lavori sul tema prodotti tra la fine degli anni Settanta e i maturi anni Ottanta (Giustizia costituzionale e poteri legislativi decentrati, 1977; Corte costituzionale e principio di eguaglianza, 1978; La Corte nel quadro dei poteri dello Stato, 1982; Giustizia costituzionale e diritto comparato, 1984; Il potere creativo delle corti costituzionali, 1988).
Conclusa l’esperienza alla Corte, Elia riprese l’insegnamento di diritto costituzionale alla Sapienza nel 1985 e la direzione di Giurisprudenza costituzionale nel 1986 (che mantenne fino al 1998). Nel 1987 fu eletto senatore della X legislatura nelle liste della DC (collegio di Roma) e nominato presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, nonché membro della giunta per il regolamento. Seguì dunque attivamente l’approvazione di alcune riforme costituzionali di rilievo, legate in particolare alla funzione governativa e all’ordinamento della presidenza del Consiglio.
Nell’autunno del 1992 partecipò alla riflessione condotta da un gruppo di politici e intellettuali per il rinnovamento del partito democristiano, che si intendeva proiettare verso nuovi orizzonti pur conservandone la sostanza ideale. Da quell’esperienza nacque il documento Carta ‘93, che rappresentò un passaggio significativo verso la fondazione, nel gennaio 1994, del Partito popolare italiano (PPI), la forza politica cattolico-democratica nata sulle ceneri della DC.
Nell’aprile 1993 fu nominato ministro per le riforme elettorali e istituzionali nel governo presieduto da Carlo Azeglio Ciampi, vivendo da una posizione di primo piano la crisi del sistema politico italiano. Seguì da vicino l’iter della legge elettorale maggioritaria del 1993 (il cd. Mattarellum), che per favorire la stabilità del governo e garantire al tempo stesso la rappresentatività, configurava un sistema elettorale maggioritario corretto da una quota proporzionale. Nell’ultima fase della legislatura ricoprì anche il ruolo di ministro degli Esteri, in sostituzione di Beniamino Andreatta (aprile-maggio 1994).
Nell’aprile 1994 fu eletto deputato nelle liste del PPI (circoscrizione Lazio 2) e nel settembre 1995 fu nominato vicepresidente della commissione speciale per il riordino del settore radiotelevisivo, in mesi in cui la par condicio tra le varie forze politiche nell’accesso ai mezzi di comunicazione rappresentava un tema centrale del dibattito pubblico. Tra il maggio 1994 e il maggio 1996 fu membro di varie commissioni parlamentari (Affari costituzionali, Procedimenti di accusa, Attuazione della politica di cooperazione, Vigilanza sull’attività di documentazione).
In occasione della crisi del 1995 del PPI, nata dall’ipotesi di un’alleanza a destra, Elia appoggiò la nascita dell’Ulivo, la coalizione di centro sinistra guidata da Romano Prodi. Nell’aprile 1996 fu eletto nuovamente senatore del PPI (collegio di Milano) e divenne presidente del gruppo del Senato dei Popolari e democratici, carica riconfermata nel 1998. Nella XIII legislatura fu membro della giunta per il regolamento (1996-2001) e della commissione Affari costituzionali (1996-2001); nel febbraio 1997 fu nominato vicepresidente della commissione parlamentare per le riforme costituzionali, istituita con l’obiettivo di procedere a una modifica della Carta del 1948. La cosiddetta Bicamerale D’Alema (dal nome del suo presidente) fu articolata in quattro comitati e a Elia fu affidata la presidenza di quello dedicato alla forma di Stato. Fu un incarico che egli assunse mostrandosi sensibile alle sfide del cambiamento e impegnandosi attivamente nella creazione delle larghe intese necessarie ad accompagnare il processo di revisione: «Il cambiamento non lo intimorisce: per lui rappresenta, piuttosto, una sfida, da affrontare, però, necessariamente con le armi del diritto costituzionale. Perché è questo il nocciolo duro della sua presidenza: la tutela dell’ordinamento costituzionale» (Mastromarino, 2011, p. 296). Convinto dell’opportunità di riarticolare il potere in prospettiva territoriale e di favorire i rapporti tra l’organizzazione statale e gli enti periferici, Elia difese «un modello cooperativo di decentramento» (ibid., p. 299), che preferiva all’opzione strettamente federalista. Accompagnò l’elaborazione del testo sulla riforma regionale, ripreso in seguito dalla legge costituzionale n. 3/2001 per la modifica del Titolo V. L’assetto finale della riforma non fu però del tutto apprezzato da parte di Elia, per via del parziale scollamento che esso mostrava rispetto all’unitarietà del disegno costituzionale. Sempre in sede bicamerale si spese per una riforma del sistema parlamentare, proponendo una riconfigurazione del Senato che accanto a un’assemblea formata da senatori di elezione popolare prevedesse una commissione delle autonomie territoriali formata da rappresentanti delle istituzioni locali.
L’ultima fase della vita di Elia fu segnata da una vigorosa battaglia, scientifica e civile, condotta in difesa della Costituzione, che vedeva minacciata dai disegni di modifica che animavano l’agenda politica. Furono anni in cui la «politica della costituzione» di Elia (Dogliani, 2011, p. IX), finalizzata a tutelare le ragioni di fondo del sistema costituzionale, assunse toni assai vividi. «Non è esagerato – scriveva nel 2004 – parlare di emergenza costituzionale» (Perché parlo di emergenza costituzionale, in Europa, 6 aprile 2004 e in Id. La Costituzione aggredita. Forma di governo e devolution al tempo della destra, Bologna 2005, pp. 99-100), alimentata da progetti di ridefinizione della forma di governo che avrebbero avuto dirette ripercussioni sulla forma di Stato, minacciando lo stesso assetto costituzionale sancito dai costituenti. Consapevole della progressiva apertura del sistema politico italiano verso prospettive plebiscitarie, si spese per «combinare nella misura giusta (cioè adatta per l’Italia) […] la componente rappresentativa della democrazia con quella plebiscitaria» (Costituzione, partiti, istituzioni, Bologna 2009, pp. 449-450).
Nell’ottica di contrastare la revisione costituzionale «estremista» avanzata tra il 2003 e il 2005 dalla maggioranza di centro-destra, partecipò alle attività dei Comitati Dossetti per la Costituzione, confermando una volta di più la propria attitudine a intrecciare il piano della riflessione giuridica con la vita politica. Di fronte alle proposte di una riforma in chiave presidenzialista del sistema politico italiano e di progetti volti a rivedere, di fatto indebolendola, la funzione parlamentare, Elia prese posizione in modo molto netto, nel tentativo di presidiare e difendere i valori e gli istituti costituzionali dalla tendenza a una eccessiva concentrazione dei poteri, che a suo avviso rendeva quanto mai attuale il monito contenuto nella voce del 1970 sulle forme di governo, in cui aveva sottolineato il rischio che «il tentativo di approdare alle coste dell’America del Nord possa fallire e ci si ritrovi invece in un porto sudamericano» (Governo (forme di), cit., p. 672). Il rafforzamento e la stabilizzazione del potere esecutivo non si sarebbe dovuta raggiungere, questo l’appello di Elia, a scapito del principio di non concentrazione dei poteri, elemento cardine del costituzionalismo moderno. Di qui la battaglia contro il cosiddetto «premierato assoluto», contro l’elezione popolare del capo del governo e contro la riforma costituzionale proposta dal centro-destra, respinta in seguito dal referendum del giugno 2006. Attento a interpretare la Costituzione muovendo dallo studio delle sue origini e delle intenzioni dei costituenti, le sue prese di posizione contro i progetti di riforma non furono espressione di un «conservatorismo costituzionale», quanto piuttosto di una salda e sanguigna «affectio Constitutionis» (Studi di diritto costituzionale, cit., p. X).
Sul tema delle riforme costituzionali Elia, che non indugiò mai nella riproposizione di modelli di governo ideali, si espresse sempre per la necessità di operare con equilibrio tra “democrazia di investitura” e “democrazia di indirizzo”, nel pieno rispetto dell’ordine del giorno Perassi approvato dall’Assemblea costituente il 5 settembre 1946. Di fronte all’incerto disegno riformista avanzato dalle forze politiche nei primi anni Duemila trovò dunque nel riferimento costante ai valori costituzionali, che per lui venivano prima delle scelte di ingegneria costituzionale, un referente imprescindibile.
Nonostante la malattia manifestatasi nella primavera del 2008, fu attivo fino all’ultimo, intervenendo nel dibattito politico e programmando iniziative di studio, dando conferma di una «rara capacità di coniugare le responsabilità istituzionali, l’impegno politico, i molteplici interessi artistici e culturali, e la produzione scientifica» (Flick, 2009, p. 4). Proprio la coerenza e l’unitarietà tra impegno scientifico e passione civile rappresentano uno dei maggiori lasciti del «costituzionalismo integrale» di Elia (Zagrebelsky, 2005, p. XXXIII), segnato da un’urgente «tensione a realizzare una simmetria tra esperienza scientifica ed esperienza etico-politica (e, nel suo caso, religiosa)» (Dogliani, 2011, p. IX).
Morì a Roma il 5 ottobre 2008.
Per una ricognizione dell’amplissima bibliografia di Elia si rinvia a http://www.dircost.unito.it/estratti/pdf/Bibliografia_Elia_1948_2008.pdf (26 nov. 2019).
Studi in onore di L. E., a cura di A. Pace, Milano 1999, in particolare L. Paladin, Presentazione, pp. XI-XXI e S. Gambino, Note su Partiti politici e forme di governo: il contributo di L. E. al rinnovamento del metodo giuridico nella scienza costituzionale, pp. 641-672; L. Paladin, E. e “il metodo giuridico”, in Giurisprudenza costituzionale, XLIV (1999), II, pp. 1456-1459; A. Pace, E. e la “Giurisprudenza costituzionale”, ibid., pp. 1459-1466; G. Zagrebelsky, Elia a Torino, ibid., pp. 1466-1471; C. Mezzanotte, E. a Roma, ibid., pp. 1472-1477; M. Dogliani, E., giurista classico, ibid., pp. 1477-1482; G. D’Andrea et al., L. E. Costituzionalista e uomo politico rigoroso e innovatore, Reggio Emilia 2009; P. Ridola, L. E.: il profilo dello studioso, ibid., pp. 27-40; A. Pace, L. E.: il metodo dello studioso, la fermezza dell’uomo pubblico, in Diritto pubblico, XV (2009), 3, pp. 727-738; G.M. Flick, Apertura dei lavori, in Ricordo di L. E., Roma, Palazzo della Consulta, venerdì 13 febbraio 2009, Roma 2009, pp. 1-8; E. Balboni, L. E., costituzionalista e cittadino cattolico, in Quaderni costituzionali, 2009, 2, pp. 431-449; La lezione di L. E., a cura di M. Dogliani, Torino 2011; M. Dogliani, La lezione di L. E.: l’uso non autoritario della Costituzione, ibid., pp. VII-XII; A. Giorgis, Il rapporto tra politico e diritto nelle riflessioni di L. E. sulla forma di governo e sui diritti sociali, ibid., pp. 127-136; E. Grosso, L’uso della storia nella Lezione di L. E., ibid., pp. 137-152; A. Mastromarino, Il contributo di L. E. ai lavori della cosiddetta Bicamerale D’Alema, ibid., pp. 291-305; A. Poggi, Partiti politici e impegno dei cattolici in politica nel pensiero di Leopoldo Elia, ibid., pp. 409-426; La “sapienza” del giovane E. (1948-1962), a cura di. F. Lanchester, Milano 2014; F. Lanchester, L. E. e la tradizione giuspubblicistica a “La Sapienza”, ibid., pp. 1-29; P. Pombeni, L. E., fra Fuci e Cronache sociali nel periodo transitorio, ibid., pp. 31-60; P. Pombeni, L. E.: un costituzionalista e la questione della ‘forma partito’, in P. Aimo - E. Colombo - F. Rugge, Autonomia, forme di governo e democrazia nell’età moderna e contemporanea: scritti in onore di Ettore Rotelli, Pavia 2014, pp. 275-290; M. Volpi, Le forme di governo nel pensiero di Leopoldo Elia, in Diritto pubblico comparato ed europeo, XXI (2019), pp. 821-838.
Crediti immagine: per cortesia La Sapienza/Professor Paolo Ridola.