LEOPOLDO II imperatore (I come granduca di Toscana)
Terzogenito dell'imperatore Francesco I, della casa di Lorena, e dell'imperatrice Maria Teresa, nato a Vienna il 5 maggio 1747. Dopo che Maria Beatrice di Modena, che gli era stata destinata (trattato di successione Modena-Austria, 11 maggio 1753) venne data in moglie a suo fratello minore Ferdinando, sposò Maria Luisa di Spagna (16 febbraio 1764), che gli diede 16 figli. In virtù dei trattati conclusi il 3 dicembre 1762 e 14 luglio 1763 successe il 18 agosto 1765 al padre nel governo della Toscana, mentre il fratello primogenito Giuseppe I saliva al trono imperiale.
Le riforme ancora in pieno svolgimento per opera della reggenza, che aveva retto fino a quel momento le sorti del granducato, ebbero nel nuovo sovrano un continuatore tenace, che le spinse oltre la stessa capacità ricettiva dei sudditi, e perciò non sempre fu secondato e compreso. Attività complessa che investì da ogni parte la vita del paese, dalla struttura politica dello stato alla pubblica economia e alle finanze, dalla legislazione all'amministrazione della giustizia, dai rapporti con la Chiesa alla istruzione e all'educazione. La Toscana ne uscì trasformata profondamente e le tracce rimasero incancellabili.
Furono di consiglio e di aiuto a L. uomini eminenti, alcuni dei quali egli trovò già avviati nell'opera riformatrice come ministri del precedente regime; altri seppe scegliere e prendere come guide o porre ai posti di comando: giuristi, economisti, finanzieri, agronomi, scienziati, che alla cultura e alla dottrina aggiungevano una larga esperienza delle condizioni e delle necessità del paese. I loro nomi sono strettamente legati alle riforme leopoldine e non possono essere dimenticati: Pompeo Neri, Angelo Tavanti, Gian Francesco Pagnini, Francesco Maria Gianni, Giulio Rucellai, Vincenzo Mugnai, Francesco Feroni, Giovanni Targioni-Tozzetti, Stefano Bertolini e altri minori.
Opere di bonifica nella Maremma senese e nella Valdichiana e conseguenti provvidenze legislative per favorire il ripopolamento del territorio bonificato, sebbene, per circostanze varie, non si ottenessero tutti i frutti sperati; soppressione di vincoli e servitù che inceppavano la proprietà rurale e restituzione della libertà di commercio dei prodotti agricoli allo scopo di migliorarne la produzione; regolamentazione dei rapporti tra proprietarî e coltivatori, affinché questi potessero sentirsi più legati alla terra; tentativi per risollevare dalla decadenza le industrie con la eliminazione delle Arti e del tribunale della Mercanzia e la sostituzione di una Camera di commercio arti e manifatture intesa a proteggere e a stimolare la produzione manifatturiera, ma senza notevoli benefici per le mutate condizioni dell'economia mondiale.
La riforma municipale, muovendo dalla soppressione di vecchie magistrature che con varie e talvolta interferenti attribuzioni, ostacolavano o ritardavano l'attività degli enti locali, conferiva ai comuni una temperata autonomia fondata sulla diretta rappresentanza degli abitanti e sulla libera disposizione delle entrate sotto la vigilanza di una nuova magistratura: la Camera delle comunità. Riforma anche della legislazione civile e criminale: un progetto di codificazione del diritto civile, già in via di esecuzione per opera di Pompeo Neri sotto il precedente sovrano, fu ripreso e continuato, ma non giunse a maturazione per la morte dei giuristi che erano stati chiamati a occuparsene. Migliore fortuna ebbe invece la riforma della legislazione criminale che, congiunta alla riforma della polizia, degli ordinamenti giudiziarî e dei sistemi punitivi, collocò la Toscana tra gli stati più progrediti in materia di diritto penale. E poi ancora il riordinamento del debito pubblico come preparazione al totale scioglimento di esso che, sul piano preordinato dal Gianni, fu recato a effetto più tardi; i provvedimenti rivolti all'emenda dei giovani traviati con l'istituzione di una casa di correzione, alla educazione e istruzione dei fanciulli con scuole elementari nelle maggiori città e delle fanciulle con la fondazione di conservatorî, all'incremento della cultura con l'istituzione dell'archivio diplomatico, del museo di fisica, dell'accademia di belle arti.
Ma il campo dove L. lasciò più profonda orma fu la legislazione ecclesiastica. Ispirato a un rigido giurisdizionalismo, abolì il diritto di asilo, soppresse conventi e compagnie religiose che non avessero scopo di utilità pubblica, riordinò a suo arbitrio la proprietà ecclesiastica, soppresse i tribunali della Nunziatura e dell'Inquisizione, sottopose alla sanzione sovrana gli atti delle autorità religiose, regolamentò perfino l'insegnamento del clero secolare e regolare. Ci fu in lui anche l'intenzione di un distacco da Roma e della creazione di una Chiesa nazionale, auspice il vescovo di Pistoia Scipione de' Ricci, che era stato l'anima di tutte le riforme ecclesiastiche; e un avviamento s'ebbe col sinodo pistoiese del 1786, dove una parte del clero toscano non esitò ad accettare massime giansenistiche, onde ne venne più tardi (1794) la condanna della Chiesa con la bolla di Pio VI "Auctorem fidei".
Il 20 febbraio 1790, per la morte del fratello Giuseppe II, L. cedeva il granducato di Toscana al suo secondogenito Ferdinando, per assumere la corona imperiale. Lasciò una relazione dell'opera da lui compiuta in Toscana col titolo Governo della Toscana sotto il regno di S. M. il re Leopoldo II (Firenze 1790).
Passato dall'esemplare ordine del suo piccolo stato nel disordine quasi senza rimedio del grande stato austriaco, con la sua politica prudente ed anche ferma riuscì in breve tempo, in stretta correlazione con l'ordine introdotto nelle questioni della politica estera, a por rimedio alla mancanza di tranquillità e di sicurezza, che regnavano dovunque nell'interno dopo la morte del suo predecessore. Egli andò incontro con riforme effettive alle aspirazioni statali e giuridiche, alle aspirazioni nazionali ed ecclesiastiche respinte da Giuseppe; mitigò l'amministrazione della giustizia, palesò idee proprie nella sfera dell'istruzione pubblica, soprattutto in quella degl'istituti superiori, nel senso di una maggiore libertà, seppe, parte soffocare e parte scongiurare il sollevamento nel Belgio (2 dicembre 1790: presa di Bruxelles) e nell'Ungheria, tutelò i diritti dello Stato nonostante alcune concessioni fatte alla Chiesa.
Nella sua politica estera, con la convenzione di Reichenbach (27 luglio 1790), dichiarò la rinunzia dell'Austria agli acquisti dei territorî turchi, contrastando così la politica del ministro di Prussia, Hertzberg, diretta a ottenere alla Prussia Danzica e Thorn, mediante la restituzione della Galizia dall'Austria alla Polonia e l'indennizzo dell'Austria con la Romania o con qualche altro territorio turco; e pose termine alla guerra con la Turchia, condotta senza fortuna sotto Giuseppe II, con la pace di Sistov del 4 agosto 1791, che restituì alla Turchia Belgrado e la Valacchia. Di fronte alla Rivoluzione francese egli si tenne sull'aspettativa insieme al Kaunitz, vide anzi nell'istituzione di un governo costituzionale in Francia una benefica limitazione del principio monarchico. Anche dopo lo sfortunato tentativo di fuga dei reali (giugno 1791) voleva agire contro la Rivoluzione solo in unione a tutte le potenze europee, con un "concerto europeo" in favore del cognato Luigi XVI e della sorella Maria Antonietta. Su questa base s'accordò col re di Prussia nel castello di Pillnitz (25-27 agosto 1791); dichiarò rimossa ogni ragione di attacco dopo che Luigi XVI ebbe accettato la costituzione francese (14 settembre 1791), ma concluse il 7 febbraio 1792 un'alleanza difensiva con la Prussia contro la Francia nella quale era prevista ancora l'idea del "concerto europeo". Prima che si fosse venuti a una decisione nei rapporti con la Francia, L. morì improvvisamente il 1 marzo 1792. Gli succedettero nei dominî ereditarî e nell'impero il primogenito Francesco II e in Toscana il secondogenito Ferdinando III.
L., come il fratello Giuseppe, fu convinto dell'ideale dello stato di benessere, patrocinato dall'illuminismo. Ma "il liberalismo di Giuseppe era di carattere politico-imperialistico, il liberalismo di Leopoldo aveva un colorito costituzionale" (Ranke). Egli considerava una fortuna, che un paese avesse degli "stati" e una costituzione alla quale tenesse, ma non si doveva, secondo lui, cercare d'imporre per forza la sua fortuna a un popolo. Egli chiamava il sovrano il delegato e l'incaricato del popolo. Ma a questa teoria egli univa la pratica di un uomo che tiene conto della realtà; liberale nelle idee, era conservatore nell'agire. Con tutto questo era facilmente influenzabile, diffidente e, almeno negli anni dell'impero, non completamente sicuro della verità delle sue teorie. Il suo "machiavellismo" proveniva da questa sua incertezza, e non unicamente dalla sua, del resto straordinaria, capacità di adattamento alle realtà della vita e della politica.
Bibl.: A. v. Arneth, Marie Antoniette, Joseph II. und Leopold II. Briefwechsel, Vienna 1866; A. Wolf, Leopold II. und Marie Christine. Briefwechsel, Vienna 1967; H. Schlitter, Briefe der E. H. Marie Christine an Leopold II, in Fontes rerum Austriacarum, II, 48 (1896); A. v. Aneth, Joseph II. und Leopold von Toscana. Briefwechsel 1781-1790, voll. 2, Vienna 1872; A. Beer, Joseph II. Leopold II. und Kaunitz. Briefwechsel, Vienna 1873; A. Beer, Leopold II. Franz II. und Katharina II. Correspondenz, Lipsia 1874. Vedi inoltre A. Wolf e H. Zwiedineck-Südenhorst, Österreich unter Maria Theresia, Josef II. und Leopold II., Berlino 1884; H. v. Sybel, Kaiser Leopold II., in Kleine histor. Schriften, 2ª ed., Berlino 1897; A. Schultze, Kaiser Leopold II. und die französische Revolution, Hannover 1899; K. Th. Heigel, Deutsche Geschichte (1786-1806), voll. 2, Stoccarda 1899-1911.
Per il periodo granducale: A. Zobi, Storia civile della Toscana, Firenze 1850; A. Reumont, Geschichte Toscana's seit dem Ende des florentinischen Freitsttaates, Gotha 1877, II, capitoli 3-7; G. Capponi, Storia di Pietro Leopoldo, in Scritti editi e inediti, per cura di M. Tabarrini, II, Firenze 1877; F. Hirsch, L. II. als Grossherzog von Toskana, in Historische Zeitschrift, XL (1878), p. 433 seg. Si vedano anche per più recenti indicazioni bibliografiche gli scritti di A. Anzilotti, Il tramonto dello stato cittadino e Le riforme in Toscana, nel suo volume Movimenti e contrasti per l'unità italiana, a cura di Luigi Russo, Bari 1930; H. Büchi, Finanzen- u. Finanzpolitik Toskanas im Zeitalter d. Aufklärung (1737-1790), Berlino 1915.