Leopoldo Pilla
La vicenda scientifica e umana di Leopoldo Pilla meriterebbe un’attenzione maggiore di quanta le sia stata dedicata sino a oggi in quanto aiuterebbe a far luce sulle vicende che nei decenni tra il 1830 e il 1860 fecero della geologia, in tutta Europa, una scienza che per molti statisti avrebbe aperto nuove strade allo sviluppo economico. All’oblio in cui il nome di Pilla è caduto contribuirono in modo determinante i suoi stessi colleghi dell’Università di Pisa. Se il silenzio è comprensibile per gli anni che vanno dal 1848 al 1859, è strano che nell’entusiasmo che seguì l’Unità d’Italia l’università non abbia ricordato la figura di un eroico caduto nella battaglia di Curtatone, durante la Prima guerra d’indipendenza.
«Era Pilla di animo ardente, immaginoso, grande nella persona, aveva la testa piccola, il viso rosso, gli occhi vivaci, mobilissima la persona, aveva ottimo il cuore, se non altissima la mente», così Filippo Parlatore (1816-1877) ricordava nelle sue memorie l’amico Leopoldo. La testimonianza di Parlatore e gli aneddoti sulla vita di Pilla che ci ha lasciato permettono di leggere con una certa distanza critica molte delle informazioni biografiche che il geologo affidava invece al suo diario intimo, che costituisce comunque fonte capitale per la sua biografia.
Figlio di Nicola, medico benestante di Venafro, dove nacque il 24 ottobre 1805, Leopoldo condivise sin dall’infanzia la passione del padre per lo studio dei vulcani campani, il Vesuvio in particolare. Avviato alla carriera medica, si trasferì a Napoli, dove aveva trovato un primo impiego presso le strutture sanitarie dell’esercito borbonico. Il padre, amico del ministro dell’Interno Nicola Santangelo, gli fece ottenere incarichi di un certo prestigio, come la partecipazione alla commissione inviata a studiare l’epidemia di colera che aveva colpito Vienna nel 1834. Nel suo diario, Pilla non smetteva tuttavia di imprecare contro la propria situazione economica, descrivendosi in costante bilico sull’abisso della miseria. In realtà, sembra avesse disponibilità sufficienti a costituire un museo di rocce e lave vesuviane nella sua abitazione, dove teneva anche corsi privati di geologia e dove riceveva distinti geologi stranieri, tra cui Christian Leopold von Buch (1774-1853) e Jean-Baptiste-Léonce Élie de Beaumont (1798-1874), come pure ambasciatori tedeschi, russi e francesi accreditati presso la corte napoletana. Frequentava il circolo di Basilio Puoti (1782-1847) e non perdeva occasione per farsi conoscere come perfetto conoscitore della lingua italiana e ammiratore di Dante. In realtà, egli si lamentava di non guadagnare abbastanza per intraprendere una vita consacrata interamente alle ricerche, di non trovare a Napoli il giusto riconoscimento pubblico per il suo lavoro e di non poter condurre una più elevata vita sociale.
La prima grave crisi di ipocondria che lo colse nel 1836, descritta in dettagli quasi morbosi nel diario e attribuita a non meglio specificati dispiaceri, costituisce un esempio tipico della cautela con cui occorre leggere le testimonianze autobiografiche del geologo. L’economia delle passioni che Pilla voleva documentare, assegnando punteggi ai vari stati di spirito che avevano segnato ogni evento della sua vita, costituiva una sorta di copia di lavoro di un trattato che si prometteva di redigere: il tono di intima confessione non deve perciò ingannare. In effetti, sappiamo da Parlatore che la crisi del 1836 fu scatenata dal fidanzamento di una figlia del chimico Filippo Cassola (1792-1869) con Arcangelo Scacchi (1810-1893), amico di Pilla, e suo rivale anche nel settore della mineralogia. Sarebbe certo errato sostenere che Pilla mentisse anche a se stesso, ma egli nascondeva al proprio diario informazioni che altri avrebbero potuto leggere, e che certo non avrebbero potuto figurare nel testo che avrebbe dato alle stampe. Giunto sull’orlo del suicidio, superata la crisi, il giovane geologo riprese la sua ricerca di patroni e di più sicure fonti di sostentamento.
Il 10 aprile 1839 l’ambasciatore austriaco Edward de Lebzeltern-Collenbach presentò Pilla in termini altamente elogiativi all’arciduca Carlo d’Asburgo, contribuendo ad accreditarlo come grande esperto dei fenomeni del vulcanismo e di ricerche sulle ricchezze minerarie nel Regno di Napoli – eseguite per conto del ministro dell’Interno e con il patrocinio del generale e imprenditore minerario Vito Nicola Nunziante (1775-1836) e del figlio Alessandro, duca di Mignano (1815-1881), di cui Pilla era stato istitutore.
Il 4 dicembre del 1841 Pilla incontrò il granduca di Toscana e la granduchessa, sorella della regina di Napoli, in visita presso la corte napoletana. Nessuno ignorava che il granduca di Toscana avesse fatto delle coltivazioni e delle ricerche minerarie i punti centrali della propria strategia economica e che avesse posto mano a una riforma dell’Università di Pisa. È probabile che siano stati i circoli diplomatici austriaci a informarlo della reputazione internazionale che il giovane geologo napoletano si era guadagnato. Per di più, alcuni mesi prima Pilla era stato incaricato dal ministro Santangelo di tenere corsi di mineralogia presso l’Università, anche se il geologo lamentava giustamente che si trattava di un incarico temporaneo e non retribuito, a dispetto di lettere di raccomandazione che era riuscito a procurarsi, firmate da Alexander von Humboldt (1769-1859) e François Arago (1786-1853). Santangelo non aveva apprezzato quelli che a suo avviso erano tentativi di scavalcarlo, e aveva espresso la sua disapprovazione ponendo il veto alla nomina a una cattedra permanente.Il 27 dicembre 1841 Pilla ricevette una lettera da Pisa, in cui Paolo Savi (1798-1871), stretto collaboratore del granduca, professore di zoologia e grande esperto della geologia della Toscana, lo invitava a ricoprire la nuova cattedra di geologia creata dall’ateneo. Pilla accettò l’incarico e nella primavera del 1842 prese servizio a Pisa. La sua partenza fu vista da Santangelo come un affronto personale, e il ministro napoletano non perderà occasione per mettere in cattiva luce l’infedele suddito presso le autorità austriache e, probabilmente, presso lo stesso granduca. Neppure il suo arrivo a Pisa fu accolto con entusiasmo dai nuovi colleghi. Una serie di controversie scientifiche, e il dibattito del 1843 sulla presenza del carbon fossile in Toscana, gravido di conseguenze politiche, crearono un solco incolmabile tra Pilla e Savi.
Pilla appoggiava con vigore le tesi del granduca, secondo cui la prospezione mineraria era prerogativa dello Stato, e i proprietari terrieri non potevano opporsi, come già accadeva in Francia e in altri Paesi. I moderati toscani difendevano con tenacia il diritto di proprietà usque ad infera: non potendo attaccare il granduca, se la prendevano con Pilla e, dopo il 1844, con Theodor Haupt (1807-1891), il consigliere personale di Leopoldo per le miniere, due ‘stranieri’ che s’immischiavano a loro avviso in cose che non li riguardavano, e di cui poco capivano, per ingraziarsi il principe. La campagna denigratoria ebbe i suoi frutti. Dal 1844 Pilla prese ad avvertire una certa freddezza nei suoi confronti da parte del granduca. Inoltre, la nomina di Haupt dovette sembrargli un’implicita sconfessione del suo operato. Infine, l’interpretazione offerta da Pilla del terremoto che colpì Pisa nell’agosto 1846 veniva derisa, in particolare la sua predizione che un vulcano si sarebbe probabilmente aperto in Val di Fine; si diceva anche che Pilla avesse lucrato con la vendita dei suoi due saggi sull’argomento.
Come già nel 1836, Pilla attribuiva a diversi non specificati dispiaceri lo scatenarsi della seconda, grave crisi depressiva della sua vita che, a partire dai primi mesi del 1844, chiudeva la stagione del disincanto nei confronti di Pisa. Il nome di Savi non compare mai nel diario dopo il suo arrivo a Pisa, né si fa cenno agli aspri dibattiti sul carbone, alla nomina di Haupt, o allo scontro pubblico tra Pilla e Savi al Congresso degli scienziati italiani di Lucca, nel settembre del 1843. Nel diario, Pilla afferma che la partecipazione al Congresso di Milano, nel settembre del 1844, e i lavori che vi lesse gli diedero tuttavia nuove speranze e una rinnovata sicurezza. Gli anni 1845-47 furono caratterizzati da un’intensa attività scientifica ed editoriale. Alla fine del 1847 una visita prolungata di Roderick Impey Murchison (1792-1871) e le lunghe escursioni che fecero per le valli e le colline della Toscana posero le basi di una sicura amicizia; incoraggiato da Murchison, Pilla progettava di compiere un lungo viaggio per visitare i principali geologi dell’Europa settentrionale per poter così confrontare le proprie nuove idee con il gotha della disciplina.
Gli avvenimenti del 1848 posero fine alle sue speranze di gloria scientifica. Pilla dimenticava la propria ipocondria o almeno non se ne trova traccia nelle pagine di quei mesi costellati di turni di guardia e discorsi patriottici; partecipava infatti con entusiasmo alla costituzione di un battaglione di esuli napoletani, per assumere poi il grado di capitano nel contingente di universitari pisani pronti a unirsi alle truppe di Carlo Alberto nella Prima guerra d’indipendenza. Nel volgere di pochi mesi, Pilla passava dal sostegno alle ipotesi federaliste patrocinate da Francesco Domenico Guerrazzi alla dichiarazione della necessità di dar vita a uno Stato unitario a guida piemontese. Contrariamente a molti studenti e colleghi, non fu convinto a tornare a Pisa dalle ingiunzioni del granduca, e rimase al suo posto anche sotto il cannoneggiamento cui il 29 maggio 1848 gli austriaci sottoposero le truppe toscane e napoletane a Curtatone. Una scheggia gli recise l’avambraccio destro e gli squarciò il ventre. Pilla morì senza forse aver profferito le parole di zelo patriottico che gli furono attribuite molti anni dopo. Il suo corpo fu bruciato dagli austriaci, come quelli di tutti i caduti, per impedire epidemie.
Il nome di Pilla non verrà più pronunciato a Pisa fino alla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento. Nel 1881, infatti, Giuseppe Meneghini, successore di Pilla alla cattedra di geologia (era stato lui il candidato di Savi contro Pilla, nel 1841), commemorava i fasti della Scuola geologica pisana, senza mai citare l’eroico predecessore.
Alla fine degli anni 1880, la sorella di Pilla offrì i suoi manoscritti all’Università di Firenze, ma furono poi acquistati dall’Università di Pisa. Oltre all’affascinante diario intimo, una sorta di economia politica delle passioni redatta da un incorreggibile ipocondriaco che documenta la vita di Pilla con annotazioni giornaliere, il fondo comprende diversi volumi di appunti e una ricca corrispondenza con colleghi italiani, tedeschi, francesi e inglesi.
A partire dal 1830 Pilla si era fatto una buona reputazione come osservatore del Vesuvio. Era salito più volte fino alle bocche del vulcano durante le eruzioni, e aveva percorso a piedi tutta la zona del Monte Somma (già studiata dal padre) e di Roccamonfina. Il primo geologo di statura internazionale che aveva incontrato era stato Otto Wilhelm Hermann von Abich (1806-1886), il quale aveva percorso più volte le pendici dell’Etna e del Vesuvio. L’aiuto del collega non aveva contribuito a far circolare in copie sufficienti Lo spettatore del Vesuvio e de’ Campi Flegrei, che Pilla pubblicò tra il 1832 e il 1833, per poi trasformarlo in una sorta di allegato alla rivista «Il Progresso».
Il geologo annotava con dovizia di particolari le fasi delle eruzioni, le giaciture delle lave, le tracce di attività vulcaniche del passato e descriveva i campioni di rocce e lave raccolte. Agli inizi della propria carriera, Pilla sembrava fornire supporto alle tesi di Constant Prévost e Charles Lyell, secondo i quali i coni vulcanici erano dovuti al successivo accumulo di colate laviche, una tesi minoritaria nell’Europa geologica del tempo. Nel settembre del 1834 l’amico Abich accompagnava von Buch e de Beaumont, corifei della tesi dei crateri di sollevamento – i coni vulcanici sono il frutto di improvvise esplosioni di energie geodinamiche –, a visitare il museo privato di Pilla. Von Buch ne fu impressionato e si intrattenne a lungo a conversare con il giovane collega.
Senza voler saltare a facili conclusioni, non vi è dubbio che Pilla fosse lusingato dalle attenzioni ricevute, e che sottopose a revisione le proprie posizioni teoriche. Egli ammetteva che buona parte dei coni vulcanici fosse dovuta a spinte improvvise che ne provocavano il sollevamento, anche se continuava a fare un certo affidamento sui fenomeni di accumulo di colate laviche.
Alla produzione di scritti sul vulcanismo, Pilla affiancava un’attività di ricerche mineralogiche, soprattutto di carbon fossile. Nonostante avesse trovato solo tracce di depositi di lignite, poco adatta allo sfruttamento per fini industriali, non cessava di insistere sull’enorme utilità della geologia per il benessere e la potenza degli Stati moderni. L’Inghilterra, scriveva in un discorso dato alle stampe nel 1840 (Discorso accademico intorno ai principali progressi della geologia ed allo stato presente di questa scienza), doveva il suo ruolo di grande potenza al carbon fossile, senza di cui era impossibile sviluppare industrie civili e militari.
La crescente reputazione di Pilla e la sua azione a favore della geologia applicata, soprattutto l’esperienza acquisita nel settore delle ricerche di combustibili fossili, ne facevano un candidato ideale per i progetti di riforma dell’Università di Pisa. Già nel 1839 si erano scoperti giacimenti di carbone a Monte Bamboli e a Monte Massi, e subito si era scatenata una guerra tra i geologici teorici, Savi in primis, da un lato, e i tecnici minerari dall’altro. Il granduca chiese a Savi di scegliere se concentrarsi sulla geologia – la geologia che il granduca si aspettava, utile allo Stato – o se preferiva optare per la zoologia, l’altro settore di studi del professore pisano. Savi optò per quest’ultima e fu quindi avviata la ricerca per il nuovo professore di geologia. Significativamente, il granduca chiese al fisico Carlo Matteucci e al botanico Parlatore di proporre dei nomi, mentre il corpo diplomatico era già informato delle referenze di Pilla.
Pilla aveva sottostimato l’attaccamento di Savi alle tesi di Prévost e Lyell, come pure le implicazioni politiche del dibattito sul carbone di Monte Bamboli, fossile per il granduca e il suo coadiutore delle miniere Haupt, lignite per Savi. Verso la fine del 1842 e gli inizi del 1843 il granduca decise di portare la questione a una conclusione. Invitò i suoi geologi, Savi incluso, a visitare le gallerie ormai sufficientemente profonde per esaminare i filoni; chiese a Parlatore di appurare se vi fossero tracce di piante del carbonifero nei reperti sino a quel momento raccolti; pagò cara una consulenza al famoso chimico tedesco Robert Bunsen (1811-1899), perché esaminasse le caratteristiche del carbone; fece eseguire, infine, alcuni test su due piroscafi per valutare la capacità termica del combustibile e la quantità di scorie che produceva. Alla fine, il granduca seguì il consiglio di Haupt, e continuò a finanziare la coltivazione delle miniere aiutando le ditte che se ne occupavano. Rimase convinto per tutta la vita che le ligniti di Monte Bamboli fossero di qualità eguale al litantrace inglese.
Pilla non poteva non concordare con Savi che gli strati che contenevano il combustibile non fossero del carbonifero, e si arrampicava sugli specchi per sostenere che il carbone di Monte Bamboli fosse una impossibilità teorica, e al tempo stesso una realtà industriale. Non molto per attirare capitali stranieri e per accontentare il principe. L’appoggio alle politiche di prospezione del granduca e l’opposizione di Savi contribuirono al crescente isolamento di Pilla presso le élites pisane e toscane. Lo stesso Parlatore, come abbiamo visto, non si spese molto a favore dell’amico che aveva perduto il favore della corte. Per nulla impressionato, Pilla rincarava la dose, attaccando le interpretazioni della geologia toscana che Savi aveva proposto.
Lo scontro si fece aspro nel corso della Riunione degli scienziati italiani tenutasi a Lucca nel settembre del 1843. Pilla proponeva di stravolgere l’interpretazione fornita da Savi sulla costituzione geologica dei Monti Pisani. La questione non era solo locale, ma di portata nazionale e internazionale per la reputazione dei due geologi. Si era discusso in diverse sedute dei congressi degli scienziati di procedere al rilevamento di una carta geologica del territorio italiano e nel 1841 si era deciso di raccogliere rilevamenti e reperti presso il Museo di scienze naturali di Firenze. Si era conferito a lungo con eminenti colleghi stranieri sulla serie dei terreni presenti in Italia, e del sistema di colorazione da adottare. La geologia dei Monti Pisani diventava un caso paradigmatico su come interpretare la serie dei terreni toscani e italiani. Pilla concentrava la propria attenzione sulle formazioni secondarie dell’Appennino toscano, in particolare sulle rocce calcaree note con il nome di macigno, che Savi – e con lui molti altri geologi – considerava come appartenenti alla creta. Pilla proponeva di considerare i terreni del macigno come una formazione a sé stante, del tutto indipendente dalla creta settentrionale, e di fatto mancante nell’Europa settentrionale. Una formazione che chiamava etruria, quasi ad affermare una unicità del suolo della patria acquisita, che sicuramente avrebbe fatto piacere al granduca.
Dopo la grave crisi depressiva seguita agli smacchi subiti, tra il 1845 e il 1847 Pilla portò a termine una serie di studi volti a sostenere la validità della sua proposta. Mobilitò anche amici e conoscenti della Sociéte géologique de France, dove godeva dell’appoggio di de Beaumont, e ottenne nel 1846 un’approvazione ufficiale da parte del consesso scientifico parigino. Pubblicò poi una recensione alla sesta edizione in lingua francese dei Principles of geology di Lyell, allo scopo di misurarsi con il nume tutelare della scuola pisana. Ne approfittava per informare i suoi lettori che Lyell non aveva seguaci in Europa: Savi, per chi voleva leggere tra le righe, non era bene informato sui progressi più recenti della scienza. Pubblicò anche il primo manuale di geologia apparso in lingua italiana, il Trattato di geologia (2 voll., 1847-1851), opera di vaste ambizioni, ma sostanzialmente compilatoria.
Alla fine del 1847, Savi monitorava con preoccupazione lo sbocciare di una vera amicizia tra Murchison e Pilla, il quale non faceva mistero di voler intraprendere un viaggio per discutere di alta geologia con i suoi amici e colleghi francesi, inglesi e tedeschi. Che il viaggio di Pilla si sia fermato sui campi di Curtatone permise a Savi di non pronunziare mai più il nome del collega sino alla fine della sua vita, nel 1871.
Cenno storico sui progressi della orittognosia e della geognosia in Italia, Napoli 1833.
Discorso accademico intorno ai principali progressi della geologia ed allo stato presente di questa scienza recitato nella sala dell’Accademia pontaniana il dì 21 aprile 1839, Napoli 1840.
Discorso proemiale recitato nell’apertura della cattedra di mineralogia e geologia della I.R. Università di Pisa il dì XV novembre MDCCCXLII, Pisa 1842.
Sur la température d’un puit ouvert à Monte Massi, en Toscane, «Comptes rendus de l’Académie des sciences», 1843, pp. 1319-27.
Trattato di geologia, diretto specialmente a fare un confronto tra la struttura fisica del settentrione e del mezzogiorno di Europa, 2 voll., Pisa 1847-1851.
Notizie storiche della mia vita quotidiana a cominciare dal Imo Gennaro 1830 in poi, a cura di M. Discenza, Venafro 1996.
G. Monsagrati, Vita, passioni e morte di Leopoldo Pilla venafrano, in Leopoldo Pilla. Scienziato e martire del Risorgimento, a cura dell’Amministrazione comunale di Venafro, Istituto molisano di studi e ricerche, Venafro 1992, pp. 16-51.
F. Parlatore, Mie memorie, a cura di A. Visconti, Palermo 1992.
P. Corsi, La scuola geologica pisana, in Storia dell’Università di Pisa, 2° vol., t. 3, Pisa 2001, pp. 889-927.
P. Corsi, Fossils and reputations. A scientific correspondence, Pisa, Paris, London, 1853-1857, Pisa 2008.