LEPIDO (M. Aemilius Lepidus)
Uomo politico romano di famiglia consolare, di parte cesariana, noto soprattutto per aver partecipato al secondo triunvirato con Antonio ed Ottaviano (43 a. C.). Falliti i suoi tentativi per inserirsi validamente nella lotta per il supremo potere venne completamente esautorato dal nipote di Cesare e perì nel 13 a. C., probabilmente ultrasettantenne, in posizione onorifica, ma di nessun rilievo effettivo.
L'effigie di L. appare su diverse monete che vanno dal 43 fino agli anni attorno al 37 a. C. Esse si possono dividere in 3 gruppi: aurei di Mussidio Longo (Grueber, i, 574 ss.), Publio Clodio (id., i, 584) e Vibio Varo (id., i, 588); aureo di Livineio Regolo (id., i, 580, 5); denari con effigie di Ottaviano (id., ii, 579).
Il primo tipo ci mostra un uomo di media età, dal collo lungo, dal naso diritto e dai capelli lisci a casco chiuso; il viso è poco elaborato, i tratti sono abbastanza convenzionali e comuni alla ritrattistica del tempo. L'aureo di Livineio Regolo, che è del 43 circa a. C., reca un'effigie giovanile, alquanto idealizzata, di un uomo dal naso appuntito, dalle labbra piene e dai capelli a grosse ciocche staccate l'una dall'altra. Il terzo tipo è stato fatto rimontare dal Grueber al periodo della permanenza africana di L. (40-36 a. C.), che appare più vecchio, col collo magro e con le gote rugose. Si tratta forse di un lavoro provinciale a causa dell'esecuzione poco curata. L'origine provinciale ed il carattere ellenistico di questo ritratto (si vedano i capelli schematizzati e la maggiore elasticità del volto) gli danno uno scarso valore iconografico.
È certo che, data la carica rivestita, L. ebbe onori statuarî, sia pure in misura inferiore a quella degli altri due triunviri. Tra l'altro sappiamo di una statua equestre in bronzo erettagli sui rostri del Foro su proposta di Cicerone (Phil., v, 15), statua di cui ci rimane il ricordo in una moneta (West, tav. lxviii, n. 53); in essa il cavallo è rappresentato compostamente con la zampa sinistra alzata, secondo un modulo che mostra la raggiunta perfezione nell'arte del monumento equestre.
Per il Bernoulli non vi sono dubbi che qualche ritratto in marmo di L. deve esserci stato conservato; questo studioso però, partendo dall'inesistenza di un'univoca tradizione iconografica e dalla genericità dei tratti nelle monete di cui sopra, rimane in posizione negativa rispetto alla totalità delle identificazioni compiute sino al suo tempo, scartando perciò parecchi busti già identificati col triunviro. Egli si sofferma anche su due gemme (Cades, V, 259-260) in una delle quali la presenza del lituus, simbolo di autorità sacrale, potrebbe alludere alle funzioni di pontefice, che L. conservò anche dopo la definitiva conquista del potere da parte di Augusto.
A conclusioni positive circa l'esistenza di busti di L. è approdato invece il Curtius. Egli identifica il triunviro in tre diversi momenti della sua vita, in un busto di bronzo del Museo Nazionale di Napoli (n. 5601, Guida n. 791), in una statua togata di Velleia (attualmente Palazzo Farnese di Parma) e in una testa colossale della gliptoteca di Copenaghen (n. 572 a). Il bronzo di Napoli ci mostra un uomo poco oltre la quarantina, dall'espressione sicura e superba che rappresenterebbe L. all'incirca tra il 46 (anno del suo consolato) e il 43 a. C. (conclusione a Bologna del secondo triunvirato); il Curtius vi riconosce senza esitazione il modello dell'aureo di Mussidio Longo. Effettivamente il collo lungo, la forma del cranio incalottata da folti capelli, gli occhi spalancati richiamano il profilo della moneta. È certo comunque che l'incisore di questa si è ispirato a un prototipo affine stilisticamente al bronzo.
Invecchiato e stanco è il volto del togato di Velleia: approfonditi i solchi sulla fronte, gote smagrite, borse sotto gli occhi, rughe ai lati del naso. Il ritratto è di notevole valore stilistico e si adatta perfettamente non solo alle costanti della natura di L., ma anche alle traversie degli anni attorno alla battaglia di Azio, quando, perso ogni potere effettivo, era rimasto all'ex triunviro solo il pontificato massimo.
Un L. settantenne è quello della testa di Copenaghen: naso aggressivo, mento deciso, occhio rigido, rughe approfondite, labbro inferiore sporgente. Siamo qui alquanto lontani dalle effigi monetali.
Questione assai controversa è quella dell'identificazione del pontefice massimo tra i personaggi raffigurati nell'Ara Pacis. Alcuni studiosi, e tra essi il Curtius, hanno voluto vedere nella figura togata e velata che è identificata anche con Augusto e con Agrippa, proprio Lepido. Ma poiché si è potuto stabilire con certezza che l'imperatore è raffigurato in altra parte del bassorilievo, rimarrebbe il dubbio tra L. ed Agrippa. Recentemente il Moretti ha escluso che possa trattarsi del primo, affermando che il pontefice massimo è da ricercarsi nella lastra del lato S contenente il corteo che precede Augusto e i due consoli: ipotesi suffragata dalla presenza accanto alle Vestali di una figura maestosa, dalla toga a larghe pieghe, che è però, purtroppo, acefala.
Bibl.: E. Q. Visconti, Iconografia Romana, Milano 1818, p. 248; J. J. Bernoulli, Röm. Ik., I, Stoccarda 1882, p. 220; H. A. Grueber, Coins of the Roman Republic, I, Londra 1910, p. 574, 580, 584, 588; L. Curtius, Ikonographische Beiträge, in Röm. Mitt., XLVII, 1932, p. 242 ss.; R. West, Röm. Porträt-Plastik, Monaco 1933, p. 81 e p. 96; O. Vessberg, Studien zur Kunstgeschichte d. röm. Republik, Lund-Lipsia 1941, p. 61; G. Moretti, Ara Pacis Augustae, Roma 1951, p. 223.