LEPTIS MAGNA
(gr. ΛέπτιϚ, ΛέπτιϚ Μεγάλη)
Città della Tripolitania (Libia), tra le più antiche colonie fenicie dell'Africa, il cui nome latino (L. o Lepcis) origina dalla denominazione punica Lbqy.Entrata a far parte con la Numidia della prov. romana d'Africa dopo la battaglia di Tapso (46 a.C.), L. divenne municipio nel corso del sec. 1° d.C. ed ebbe il diritto di colonia da Traiano nel 110. Grazie al favore di Settimio Severo, che vi nacque nel 146, L. ebbe ampio sviluppo urbanistico e monumentale, cui seguì un immediato declino già nella seconda metà del 3° secolo. Sede dal sec. 4° del praeses della prov. Tripolitania, L. subì nel sec. 5° la forte pressione vandalica, che culminò nel 455 con l'abbattimento della cinta difensiva severiana. L'incuria e l'abbandono seguenti permisero frequenti esondazioni dello uadi che determinarono l'interro del porto e diedero luogo a ricorrenti alluvioni nel centro monumentale della città. Saccheggiata nel 523 da popolazioni berbere, L. venne raggiunta nel 533 da Belisario, che vi fissò la sede della provincia; con questo statuto la città sopravvisse fino all'invasione araba del sec. 7° (Romanelli, 1961; Vergara Caffarelli, Caputo, 1964).Le principali emergenze monumentali della città, messe in luce dagli scavi italiani iniziati nel 1921, appartengono prevalentemente al sec. 3° e riguardano il Forum Novus con la c.d. basilica severiana, l'area del ninfeo e la via colonnata che congiungeva il porto con il Forum Vetus, mentre l'intervento bizantino pare limitato alla trasformazione di alcuni edifici in luoghi di culto e alla costruzione di un nuovo apparato difensivo.Oltre alla cinta muraria esterna del sec. 3° sono state rinvenute tracce delle fortificazioni immediatamente posteriori all'occupazione vandalica del sec. 5° e parte della cerchia di epoca bizantina che determinò un netto restringimento dell'area urbana. Quest'ultimo sistema difensivo, realizzato nella zona monumentale dal patrizio Salomone fra il 534 e il 544 e completato poco dopo nell'area del porto dal dux Sergio, prevedeva un circuito continuo rafforzato da torri quadrangolari che inglobava alcuni monumenti preesistenti. In particolare era prevista la trasformazione del foro severiano in un importante snodo difensivo, allargato inizialmente al piazzale del grande ninfeo, alla via colonnata e alla palestra delle terme adrianee, in seguito mai completato e forse in parte demolito (Vergara Caffarelli, Caputo, 1964, p. 88).Gli elementi disponibili circa la diffusione del cristianesimo a L. nei secc. 4°-5° sono insufficienti, ma forse già prima della riconquista bizantina un edificio cristiano (chiesa II) venne installato nel Forum Vetus in luogo di un tempio di età traianea. Procopio di Cesarea (De Aed., VI, 4, 4-6) ricorda che Giustiniano fondò (Ward-Perkins, Goodchild, 1953) o restaurò (Caputo, 1984-1985) un tempio dedicato alla Theotókos e altre quattro chiese; l'intervento bizantino dovette quindi prevedere la trasformazione di alcuni edifici preesistenti in chiese, come nel caso della basilica severiana (chiesa I), del tempio di Giove Dolicheno (chiesa III), di cui si conserva solo l'antistante battistero, e del ninfeo posto tra la via colonnata e la facciata del foro severiano, nel quale, forse in età bizantina, venne adattata la chiesa VI, a pianta basilicale, con abside, battistero e piccola area cimiteriale con tombe della fine dell'età vandalica. Incerta resta invece la collocazione cronologica della chiesa IV, cui sono attribuiti i materiali cristiani rinvenuti sul molo orientale del porto severiano, e dell'edificio cristiano nell'insula 8 della regio III, presso il Chalcidicum; altrettanto dubbia resta l'identificazione dell'edificio a pianta centrale con cupola e abside, la c.d. rotonda, individuato nella zona degli scavi nuovi (Vergara Caffarelli, Caputo, 1964, p. 107), ma non ancora indagato.L'assenza di riferimenti nelle fonti non permette di identificare con certezza la chiesa cattedrale di L., le cui funzioni poterono essere assolte da entrambi gli edifici di culto principali (chiese I e II) posti in prossimità del centro pubblico (Forum Vetus e foro severiano) e dotati di battistero. È stata a tal proposito ipotizzata l'esistenza di chiese concorrenti al rango di cattedrale - come nel caso di quelle donatista e cattolica di Timgad -, secondo un fenomeno osservato in numerose città dell'Africa (Duval, 1989a) e suggerito dalla presenza di un vescovo donatista lepticiano al concilio di Cartagine del 411.Eretta sul podio di un tempio preesistente, la chiesa II presenta pianta basilicale a tre navate preceduta da un nartece e conclusa sul lato nord-est da un'abside sporgente chiusa esternamente da un muro rettilineo; le navate sono separate da otto coppie di colonne con interasse maggiore fra le quattro centrali e recano copertura con volta a campate. L'altare, posto sotto un ciborio su colonne, si innalzava all'estremità della navata centrale su una piattaforma chiusa da una cancellata. A N l'edificio era prossimo a un'area sepolcrale con tombe terragne e lastre iscritte, mentre verso il centro della piazza antistante era posta la vasca cruciforme del battistero, costruita con materiale di spoglio (Bartoccini, 1931).La chiesa I, dedicata da Giustiniano - come indicato dal passo di Procopio - alla Theotókos, conservò l'impianto della basilica severiana e il suo schema architettonico nulla deve agli artefici bizantini (Duval, 1973, pp. 279-282). Aula quadrangolare a tre navate con gallerie e absidi alle estremità est e ovest fiancheggiate da ambienti, essa venne trasformata sistemando nell'abside orientale l'altare e il presbiterio costituito da una piattaforma realizzata con materiale di recupero recante una recinzione, mentre l'abside opposta restò apparentemente inutilizzata e venne spogliata del suo ornato architettonico poi reimpiegato in altri monumenti. Nel mezzo della navata e parallelo all'asse dell'edificio fu posto l'ambone, mentre l'ambiente a sinistra dell'abside occidentale venne destinato a ospitare un battistero in forma di croce (Ward-Perkins, Goodchild, 1953). Nel corso degli scavi del 1936-1937 fu rinvenuto nel corpo della navata centrale parte del corredo liturgico della chiesa, tra cui candelabri, polykándela, una mensa in marmo e numeroso materiale ceramico (Caputo, 1984-1985).
Bibl.: R. Bartoccini, Una chiesa cristiana nel vecchio foro di Lepcis (Leptis Magna), RivAC 8, 1931, pp. 23-52; J.B. Ward-Perkins, R.G. Goodchild, The Christian Antiquities of Tripolitania, Archaeologia 95, 1953; P. Romanelli, s.v. Leptis Magna, in EAA, IV, 1961, pp. 572-594; E. Vergara Caffarelli, G. Caputo, Leptis Magna, Milano 1964; A. Di Vita, La diffusione del cristianesimo nell'interno della Tripolitania attraverso i monumenti e sua sopravvivenza nella Tripolitania araba, CARB 13, 1966, pp. 119-140; J. Christern, Emporenkirchen in Nordafrika, "Akten des VII. internationalen Kongresses für christliche Archäologie, Trier 1965", Città del Vaticano-Berlin 1969, I, pp. 407-425; N. Duval, Les églises africaines à deux absides. Recherches archéologiques sur la liturgie chrétienne en Afrique du Nord, II, Inventaire des monuments. Interprétation (BEFAR, 218bis), Paris 1973; G. Caputo, Sulle chiese di Leptis Magna e sul corredo sacro dell'assimilazione cristiana della basilica severiana, RendPARA 57, 1984-1985, pp. 203-232 (rec.: N. Duval, REAug 34, 1988, pp. 257-266); N. Duval, L'évêque et la cathédrale en Afrique du Nord, "Actes du XIe Congrès international d'archéologie chrétienne, Lyon e altrove 1986" (CEFR, 123), Città del Vaticano 1989a, I, pp. 345-389; id., Notes bibliographiques sur l'Afrique, ivi, III, 1989b, pp. 2797-2806; L'Afrique dans l'Occident romain, I siècle av. J.C.-IVe siècle ap. J.C., "Actes du Colloque, Rome 1987" (CEFR, 134), Roma 1990; C. Lepelley, The Survival and Fall of the Classical City in Late Roman Africa, in The City in Late Antiquity, a cura di J. Rich, London-New York 1992, pp. 50-76; I. Sjöström, Tripolitania in Transition. Late Roman to Islamic Settlement, Aldershot 1993.A. Bonanni