LESIONE personale
L'art. 582 del codice penale italiano del 1930, modificando parzialmente l'art. 372 del codice del 1889, stabilisce che "chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale derivi una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni". Non occorre che l'intenzione di ledere sia rapportata al danno prodotto, in quanto la nuova costruzione legislativa s'ispira a un criterio obbiettivo, così da avere abolito perfino la figura della lesione preterintenzionale. Purché si sia voluta attaccare l'integrità fisica altrui, si risponderà in confommità del nocumento causato, qualunque sia il danno che si voleva produrre.
L'art. 582 comprende la forma semplice del reato, che viene a essere delimitata dalle sue circostanze aggravanti. Innanzi tutto la lesione personale deve produrre una malattia nel corpo o nella mente, in caso contrario potrà rispondersi soltanto di percossa. E ciò in conformità dell'art. 581 che punisce, a querela di parte, con la reclusione da tre mesi a tre anni "chiunque percuote taluno, se dal fatto non deriva una malattia nel corpo o nella mente".
Tra lesione e malattia deve intercedere un nesso di causalità; quindi non si potrà imputare una vera sopravvenienza accidentale, a meno che essa non sia stata resa efficiente dalla lesione, come una erisipela insorta sulla discontinuità dei tessuti. Soltanto l'opera dolosa della vittima o di un terzo avrà valore interruttivo del nesso di causalità, così da non potersi addebitare all'agente le maggiori conseguenze. La malattia non deve avere una durata superiore ai quaranta giorni; se supera tale termine, la lesione diventa grave. In tale calcolo non debbono essere tenuti presenti i reliquati; quindi, esauritosi il processo morboso, non potrà calcolarsi il periodo di debolezza, a meno che non si crei "un'incapacità ad attendere alle ordinarie occupazioni". Se non si conosce la durata della malattia, ma vi è la prova che una malattia vi sia stata, si dovrà applicare l'ipotesi che esaminiamo. Se poi, iniziatosi il processo morboso, prima che esso si esaurisca l'infermo muore per altra causa, occorrerà ispirarsi alla prognosi, come la Corte di Cassazione ha ritenuto, interpretando l'art. 372 del codice del 1889. Per la lesione si procede d'ufficio, a meno che la durata della malattia non superi i dieci giorni, nel qual caso si procede a querela di parte, pur rimanendo immutata la pena.
Avendo il legislatore abolito l'ipotesi della lesione del consenziente, ipotizzata nel progetto preliminare, il consenso dell'offeso, come dichiara espressamente il guardasigilli nella relazione, non ha alcuna efficacia, né discriminante, né attenuante. Da ciò si deduce che la liceità del trattamento medico-chirurgico e delle lesioni inferte in un giuoco sportivo occorre rintracciarla, nel primo caso, nella mancanza della volontà di ledere, nel secondo, come si legge nella relazione al progetto definitivo, nelle consuetudini abrogatrici della norma penale. Il delitto in esame è di danno, e quindi suscettibile di tentativo; si consuma nel momento in cui la lesione è inferta.
La lesione volontaria è grave e si applica la reclusione da tre a sette anni:1. se dal fatto deriva una malattia che mette in pericolo la vita della persona offesa, ovvero una malattia o un'incapacità ad attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni. Il "pericolo di vita" (formula equivalente all'altra "probabilità di morte") deve essere non semplicemente opinato, ma presente e reale: non basta, ad es., che una determinata ferita sia frequentemente seguita da una pleurite, occorre che se ne sia iniziata la corrispondente fenomenologia morbosa. L'incapacità ad attendere alle ordinarie occupazioni si riferisce all'abituale tenore di vita. Il legislatore non si è preoccupato della interrotta produttività economica, perché non ha parlato d'incapacità al lavoro, proteggendo anche le occupazioni di chi non è economicamente produttivo, come un bambino. In ciò l'entità della lesione si differenzia, ai fini penali, dai fini infortunistici; 2. se il fatto produce l'indebolimento permanente di un senso o di un organo. L'indebolimento, quindi, che non funziona per commisurare la durata della malattia, può avere valore, quando superi i quaranta giorni, ai fini dell'incapacità ad attendere alle ordinarie occupazioni, o crei un permanente stato d'inferiorità di un organo o di un senso; 3. se la persona offesa è una donna incinta e dal fatto derivi l'acceleramento del parto. Si disputava sotto l'impero del codice del 1889 se occorresse la scienza della gravidanza. La questione non è più possibile col nuovo codice, il cui articolo 59 stabilisce "che le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell'agente anche se da lui non conosciute".
La lesione è gravissima e si applica la reclusione da sei a dodici anni se dal fatto deriva:1. una malattia certamente o probabilmente insanabile. Dovrà applicarsi tale ipotesi quando allo stato della scienza si possa concludere che una simile ferita non guarisce mai o quasi mai, 2. la perdita di un senso. Trattandosi di organi gemellari occorrerà che essi perdano tutti e due la loro funzione. Quindi la cecità di un occhio creerà una lesione grave, e soltanto la cecità completa una lesione gravissima; 3. la perdita di un arto o una mutilazione che renda l'arto inservibile, ovvero la perdita dell'uso di un organo o della capacità di procreare, ovvero una permanente e grave difficoltà della favella. Occorre mettere in rapporto la perdita della capacità di procreare con l'art. 552 che punisce la "procurata impotenza alla procreazione". È l'unica ipotesi in cui il consenso dell'offeso è efficiente a produrre una minore ipotesi di reato (reclusione da sei mesi a due anni); 4. la deformazione, ovvero lo sfregio permanente del viso.
Le pene stabilite dagli articoli 582 e 583 sono aumentate da un terzo alla metà se concorrono le circostanze per le quali l'omicidio è punito con la morte (art. 576) e fino a un terzo se concorrono le circostanze, per cui l'omicidio è punito con l'ergastolo (art. 577) o se il delitto è commesso con armi o con sostanze corrosive.
Il legislatore, dopo aver data la nozione di arma, come l'istrumento la cui destinazione naturale è l'offesa, o che è atto a offendere e che non può portarsi in modo assoluto o senza giustificato motivo, equipara alle armi le materie esplodenti e i gas asfissianti o accecanti.
Bibl.: A. Adamo, Del delitto di lesione personale, Roma 1890; L. Blumanstoch, Dottrina delle lesioni violente, in Trattato di medicina legale di G. Maschka; L. Borri, Lesività, in Trattato di medicina legale, Milano 1922; M. Carrara, Sul pericolo di vita nelle lesioni, in Scuola posit., 1901; B. Pellegrini, La lesione personale, Torino 1912; R. De Rubeis, Lesione personale, in Dig. ital., XIV; E. Altavilla, I delitti contro la persona, Milano 1933.