Lessico cinematografico
Le parole 'settoriali' (cioè i termini o tecnicismi) che designano le centinaia di nozioni peculiari del cinema, per lo più identiche dovunque, si differenziano nella forma tra lingua e lingua, riducendo in tal modo il proprio ambito d'uso e di comprensione. Perciò fin dai primordi, e in particolare nel periodo sonoro, apparvero dovunque testi a stampa, peraltro di solito esigui, che assicuravano e agevolavano la corretta comunicazione all'interno dell'eterogeneo mondo cinematografico e fra i suoi cultori, di-spensando chiarimenti terminologici e fornendo repertori lessicali bilingui. Tra i numerosi esempi di divulgazione basti ricordare, per l'Italia, il primordiale Vocabolario delle projezioni (Re 1907, pp. 165-76) e, agli inizi del sonoro, i contributi lessicografici di Francesco Pasinetti: un Dizionario cinematografico (1939, pp. 425-76) e (sulla base di Reinert 1946) le Voci generali e tecniche (1948, pp. 7-197). I vocabolari di lingue poi apparvero dovunque, specialmente dopo la metà del Novecento, per fornire di solito la versione di termini inglesi nella lingua locale. Un isolato tentativo di coordinamento internazionale del lessico fu compiuto nei primi anni Trenta, sotto l'auspicio della Società delle nazioni e nel contesto della compilazione di un'enciclopedia del cinema, dall'Istituto internazionale per la cinematografia educativa, con sede a Roma: i risultati di lunghe ricerche furono pubblicati da Ernesto Cauda nel 1936, con limitata risonanza a causa del difficile momento diplomatico ed economico dell'Italia, nel Dizionario poliglotta della cinematografia, che poneva a confronto sulla pagina circa 3000 tecnicismi usuali di quattro grandi lingue (tedesco, inglese, francese, italiano); di notevole interesse informativo e metodologico la sua introduzione, Appunti sulla filologia del cinematografo (Cauda 1936, pp. 9-17).
Il lessico settoriale, che contribuisce attivamente da oltre un secolo alla costituzione del patrimonio linguistico del cinema, sia pure in misura limitata rispetto alla componente verbale scritta e parlata dei film, ha cominciato a essere considerato in funzione non più esclusivamente operativa, ma anche storiografica, soltanto dopo la metà del Novecento; grazie a studi dedicati soprattutto alla raccolta e allo studio delle testimonianze lessicali del muto (fu pionieristico Giraud 1958), la loro valorizzazione si è bene avviata e ha raggiunto esiti parziali ma già notevoli.
Il cinema dispose già all'indomani della nascita, da principio in Francia, negli Stati Uniti e in Germania e subito dovunque, di un sistema lessicale che, concentrato per lo più nei campi semantici della tecnica e dell'intrattenimento, soddisfaceva a tutte le elementari esigenze comunicative del momento, pur fra inevitabili improprietà e oscillazioni. In Italia, come del resto altrove, i termini primordiali provenivano per lo più da settori per così dire pre-cinematografici, cioè comuni o affini a quelli della nuova invenzione (ottica, fotografia, spettacolo di proiezioni), ora conservando l'originario significato (per es. pellicola 'nastro di celluloide', proiezione), ora adeguandolo alla nuova funzione (per es. prendere 'riprendere con continuità una serie di fotogrammi', film e pellicola 'opera cinematografica'); ancora scarsi invece i termini per così dire endogeni, cioè nati nel cinema, di solito per derivazione (fra molti, cinematografista, cinematografare, filmare), ma talora anche originali (così, esterno e interno 'scena ripresa in ambiente aperto o chiuso'). L'avvento nel 1911 del lungometraggio e il conseguente sviluppo della dimensione industriale e artistica della produzione, accelerarono e accrebbero l'iniziale patrimonio lessicale; fra i termini di varia provenienza settoriale che, previo eventuale aggiustamento semantico, affluirono nel vocabolario anche italiano, si evidenziarono per numero e spessore quelli d'ambito intellettuale e, in particolare, d'ascendenza letteraria (come soggetto 'testo scritto da trasporsi in film') o teatrale (tipo scenario 'copione cinematografico'), nonché taluni di nuovo conio e perciò quanto mai significativi: fra molti, comica 'farsa cinematografica' (1907), documentario 'film dal vero' (1912), soggettista 'ideatore del racconto da filmare' (1913). Verso la metà degli anni Dieci il l. c. raggiunse nelle maggiori lingue un assetto maturo e stabile, che era frutto anche di spontanea selezione, a danno dei sinonimi meno pertinenti; tuttavia esso non si liberò né allora né in seguito di numerosi termini che non possedevano l'univocità semantica propria del maturo tecnicismo: per i casi di polisemia si veda cinematografo 'apparecchio per la ripresa', 'cinema come sistema', 'locale pubblico di proiezione', 'spettacolo filmico'; per quelli di sinonimia, compagnia, troupe 'gruppo di attori, integrato da personale artistico e tecnico'. I termini allora in uso per lo più si radicarono e costituirono un solido contingente lessicale 'di base', attorno al quale si sono intrecciate innovazioni di vario tipo; in particolare, qualche mutamento semantico, come avvenne per es. per inquadratura che passò in Italia attorno al 1920 da 'elaborazione del soggetto in scene' a 'immagine schermica ripresa fra due stacchi'; inoltre, decadenza di denominazioni correnti come, tra molte, di fonofilm a vantaggio di cinema sonoro già verso la metà degli anni Trenta; e infine, naturalmente, l'affluire più o meno fitto ma continuo, nel corso dei decenni, di neologismi imposti dalle trasformazioni industriali e artistiche del cinema.
Nei singoli vocabolari cinematografici convivono termini di matrice e d'impiego nazionale, aziendale e internazionale. I termini nazionali, che normalmente sono conformi alla corretta lingua ufficiale o comunque preminente del Paese, ne costituiscono la sezione di gran lunga maggiore. Esigua ma notevole è invece la composita categoria dei termini per così dire 'aziendali', cioè ricorrenti nell'affiatato ambiente di lavoro dei professionisti, in sostituzione dei sinonimi d'uso comune. Si tratta in massima parte di parole attinte ai livelli popolari della lingua corrente e usate con valore traslato, spesso fantasioso; erano numerose per es. verso il 1930 a Hollywood, come documenta una raccolta di quasi 600 tecnicismi (in The motion picture almanac, 1930), fra i quali figurano anche alcuni italianismi: cabiria 'carrello', comic 'comica cinematografica', forte 'bene', gobo 'pannello antisonoro', spaghetti 'pellicola aggrovigliata'. Negli stabilimenti italiani di Roma, in particolare, le voci 'gergali' di questo tipo erano copiose per lo meno attorno alla metà del Novecento; si ricordino, fra molte, le zoologiche chiocciola o lumaca 'dispositivo per creare ventilazione', giraffa 'supporto del microfono pensile', millepiedi 'cassetta elettrica a derivazioni multiple', topolino 'involto trascinato sulla superficie dalla cinepresa mobile', ragno 'supporto della cinepresa'; oppure le familiari caccola 'emulsione incrostata', catarro 'borborismi della cattiva riproduzione sonora', castagnetta 'ciak', fegatello 'segmento di pellicola impressionata', insalata 'pellicola aggrovigliata', padellone 'apparecchio per creare una luce diffusa' (Blasetti 1958). In Italia alcuni dei tecnicismi 'gergali' erano di provenienza dialettale; tuttavia fra essi si radicarono presto, nonostante l'assetto policentrico della produzione industriale nel periodo del muto, quelli centro-meridionali e in particolare romani, quali cinematografaro (1908) come equivalente basso dell'usuale cinematografista (1908), puzzonata (1913) e boieria (1917) 'film mediocre', pizza (1928) 'rotolo di pellicola, suo contenitore'. Rientrano nel medesimo raggruppamento terminologico infine quelle denominazioni d'alta frequenza che hanno subito accorciamenti e semplificazioni spesso d'impronta popolare e che talora si sono presto radicate anche nell'uso comune: così, fin dai primordi, nell'italiano direttore (1906) per direttore di scena o direttore artistico, nell'inglese d'America movie (1907) per moving picture, nel francese ciné (1907) per cinématographe.Nella storia del l. c. appare di massimo interesse il fenomeno dell'afflusso e del radicamento di tecnicismi stranieri nei vocabolari locali, che è stato determinato da vari fattori, quali in particolare il congenito internazionalismo del cinema anche primordiale e la preminenza di talune industrie, e quindi del loro vocabolario settoriale, su altre. Dapprima circolarono in Europa e altrove soprattutto termini di provenienza francese, che grazie all'immediata popolarità assunsero una forma per lo più adattata, come bastano a confermare fin dal 1895 l'italiano cinematografo, l'inglese kinematograph o cinematograph, il tedesco Kinematograph e così via, da cinématographe; oppure tra il 1897 e il 1900, dal derivato francese cinématographie, l'inglese kinematography o cinematography, il tedesco Kinematographie, l'italiano cinematografia ed equivalenti in altre lingue. Tuttavia ben presto aumentarono, per lo meno in Italia, le voci straniere integrali, dapprima quasi soltanto francesi ma dagli anni Dieci, sempre più spesso inglesi (valga a conferma la testimonianza di L. Pirandello, che nel 1915 in Si gira…, poi Quaderni di Serafino Gubbio operatore, fa seguire cachet 'attore avventizio', con l'infastidita osservazione: "chiedo scusa, ma qui tutto ha nome francese o inglese").
La propagazione di termini inglesi s'intensificò dovunque, specialmente in seguito all'avvento del cinema sonoro e all'incontrastabile supremazia industriale di Hollywood, contribuendo a creare una sorta di vocabolario sovranazionale, unificato da significati e da basi lessicali sostanzialmente comuni. Per circa un quindicennio i nuovi prestiti furono in massima parte assorbiti nel sistema fono-morfologico della lingua ricevente (nel 1930, per es., da dubbing, si ebbero doublage in francese e doppiaggio in italiano), ma circolarono anche quelli integrali (per es. sex appeal in molte lingue). Nel cinema italiano comunque la presenza dei forestierismi fu quanto mai limitata nel corso degli anni Trenta, a causa della xenofobia linguistica adottata dal fascismo; queste le proposte d'italianizzazione fatte nel 1941 dall'Accademia d'Italia (in attuazione della l. 23 dic. 1940, nr. 2042, che proibiva l'uso pubblico delle parole straniere in Italia): disegno animato per animated cartoon, rocchetto per bobine, ciàc per ciack, cinecronaca per reportage, pacchetto per filmpack, trovata per gag, maschiatura per mixage, fonofilm per phonofilm, fonoregistro per record, rulletto per roll film, cortometraggio per short, stella o diva per star, trasparente per transparency, scenario per treatment, autosonora per truck (sonoro). La penetrazione di anglicismi integrali nei vocabolari settoriali di numerose lingue crebbe dopo la fine della Seconda guerra mondiale (1945), di pari passo con il rafforzarsi, anche nel cinema, della supremazia degli Stati Uniti d'America; e ricevette infine un particolare impulso dopo gli anni Settanta, in seguito all'ampio e intenso rinnovamento dell'industria cinematografica in tutti i suoi settori, da quello tecnico a quello commerciale. Le singole nazioni adottarono strategie differenti nei confronti di prestiti che sminuivano l'efficace comunicazione di chi parlava e scriveva di cinema e che mortificavano la tradizione terminologica locale. La Francia, per es., forte di una secolare cura della lingua nazionale e, dal dopoguerra, anche del l. c. (da ricordare in particolare Cohen-Séat 1958 e Giraud 1958), si è impegnata con discreto successo a contrastare l'adozione di tecnicismi forestieri, già a partire dagli anni Sessanta (si veda l'ampio contributo preparatorio in Jacquinot 1964-65). Quanto al comportamento dell'Italia coeva, varie cause ‒ come, in generale, la perdurante carenza di orientamenti autorevoli e il diffuso permissivismo e come, in particolare, dapprima la reazione al dirigismo puristico del fascismo e i contatti di lavoro delle maestranze italiane nella 'Hollywood sul Tevere', a Roma, e dopo gli anni Sessanta la crescente pressione del modello sociale, culturale e quindi anche linguistico degli Stati Uniti ‒ hanno agevolato il libero ingresso e l'indisturbato radicamento di un numero crescente di anglicismi cinematografici. Un certo freno alla loro circolazione creò dapprima forse la fedeltà dei professionisti o per lo meno dei cultori di cinema, al vocabolario italianizzante della loro formazione d'anteguerra; ma ogni residuo rigore si allentò verso gli anni Settanta: valga come conferma la conversione grammaticale di Pier Paolo Pasolini, che da film plurale invariabile (dominante negli anni Trenta e sancito anche dall'Accademia d'Italia) passò a films nel 1966 (Raffaelli 1978, p. 175). Il crescente e incontenibile affluire di anglicismi nel vocabolario cinematografico italiano è riscontrabile agevolmente soprattutto mediante il confronto di dizionari settoriali, come Gonnelli 1966, Grazzini 1980, Tritapepe 1991, Allori 1993. E un loro spoglio permette di constatare che di solito l'adozione di termini stranieri è naturalmente legata a innovazioni per lo più tecniche e operative, come per es. dolby 'sistema di registrazione e riproduzione del suono' (1970), ma che talvolta nell'uso recente gli anglicismi subentrano a parole di forma e di tradizione italiana: così l'imbonimento audiovisivo del pubblico non si chiama più familiarmente presentazione, prossimamente o provino, ma coming soon, spot, trailer.
Il vocabolario cinematografico delle singole lingue si presenta, a chi lo esamini con ottica storica, come una fonte nella quale ciascun termine rivela invitanti risorse informative, che variano di spessore normalmente a seconda del ruolo (tecnico o, all'opposto, intellettuale) ma soprattutto a seconda dell'intensità delle peripezie: inizio e declino nell'uso, provenienza da altre lingue, modificazioni formali e semantiche.
Il tecnicismo insomma, e quello primordiale in particolare, si presta sempre a integrare o confermare conoscenze acquisite; inoltre si rivela talora indispensabile mezzo per ricostruire, in mancanza di elaborazioni esplicite, il formarsi di embrionali teorie. Ecco alcuni esempi italiani di conferma, distribuiti negli anni. Si consideri il nome attribuito dai Lumière alla propria invenzione, cinématographe. Esso da una parte richiamava il passato, in quanto s'inseriva nell'onomastica degli apparecchi ottici ottocenteschi (elenchi in Jenkins 1898, 1970²; Giraud 1958), dove di solito due o più elementi compositivi di nobile origine classica evocavano la vita, il moto, la luce, il suono (bio-, kinemato-, cinémato-, strobo-, photo-) e la scrittura oppure più spesso la visione (-graphe, -scope); dall'altra, preferendo -graphe al più consueto -scope, auspicava per l'invenzione un ruolo scientifico anziché spettacolare. L'uso, fino verso il 1907, di figurante o comparsa, anziché di attore, denota la concezione d'un cinema di finzione ignaro del teatro; e certa persistenza, fino al termine del muto, di posare 'recitare', appare ispirata dal riconoscimento del carattere non teatrale dell'interpretazione muta. La frequente alternanza, verso la metà degli anni Dieci, di cinematografo, nonché delle varianti popolari cinema e cine, con denominazioni modellate ora sul lessico artistico (sesta arte, settima arte, arte muta, arte del silenzio, decima Musa) ora su quello teatrale (teatro muto, teatro silenzioso), esprimeva nel primo caso fiducia nelle capacità artistiche del cinema e nel secondo equiparazione culturale fra i due mezzi d'espressione. L'attribuzione del tecnicismo autore non più soltanto all'ideatore del soggetto, ma anche al coordinatore della realizzazione del film, che in Italia dopo sporadiche anticipazioni degli anni Dieci diventò consueta attorno al 1930, può considerarsi indizio della moderna concezione del ruolo 'creativo' del regista cinematografico. E l'adozione nel 1932 dei nuovi termini italiani regìa e regista, in sostituzione dei vecchi sinonimi teatrali passati anche al cinema (dai primi del Novecento, in ordine cronologico, come 'regìa': direzione artistica, mise en scène, messa in scena, inscenamento, inscenatura; come 'regista': direttore artistico, metteur en scène, direttore di scena, inscenatore, régisseur), non fu sollecitata solamente dall'esigenza puristica e nazionalistica di eliminare qualche forestierismo, ma anche e soprattutto dall'opportunità di palesare, mediante una radicale revisione terminologica, la fine della tradizionale 'direzione artistica', teorizzata per il teatro da Silvio d'Amico, e la conseguente nascita di una sua nuova concezione (Raffaelli 1978, pp. 211-88).
Infine, il termine neorealismo, che nel 1943 cominciò a contraddistinguere un orientamento cinematografico tipicamente italiano, precisa la propria specificità e acquista uno spessore culturale maggiore, qualora siano tenute presenti le anticipazioni novecentesche non soltanto, dagli anni Dieci in poi, nella filosofia, nella pittura e nella letteratura, ma dal 1937 anche nel cinema, in Francia (con riferimento al suo tipico 'realismo poetico').
Numerosi termini cinematografici hanno varcato presto in molti Paesi il ristretto ambito della comunicazione professionale scritta e parlata e si sono trasferiti nella lingua corrente, a un duplice grado di penetrazione; infatti, mentre di solito essi hanno conservato l'originaria accezione settoriale, rimanendo ai margini del lessico comune, alcuni invece ne sono diventati, con valore traslato, elementi costitutivi (primo esempio italiano: nel 1897 cinematografo fu usato come 'rassegna giornalistica di eventi politici'). Conferme della loro crescente notorietà nel corso dei decenni sono desumibili dallo spoglio di testi d'epoca e, più agevolmente, dai dizionari novecenteschi tanto storici quanto descrittivi, come, tra i maggiori, l'Oxford English dictionary per l'inglese e il Trésor de la langue française per il francese. Quanto all'italiano, la misura della loro graduale affermazione può essere desunta dal numero dei lemmi presenti in alcuni noti repertori lessicali: 3 nel Vocabolario della lingua italiana (1922) di Nicola Zingarelli; 69 nel Dizionario moderno (edizione 1935) di Alfredo Panzini; 243 nel Dizionario Garzanti della lingua italiana (1965); 639 nel Vocabolario della lingua italiana (1986-1994) in cinque volumi dell'Istituto della Enciclopedia Italiana. I tecnicismi inoltre sono stati accolti in testi creativi di vario genere e specialmente nella narrativa d'ambiente cinematografico; e opera inaugurale della loro piena valorizzazione artistica può considerarsi, nell'ambito della letteratura mondiale, Si gira… di Pirandello, dove essi con la loro algida referenzialità producono dissonanze e lacerazioni e dove talvolta si prestano anche a interessanti e sottili giochi semantici (Raffaelli 1993, pp. 98-109).
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