letargo
È usato, in rima, in Pd XXXIII 94 Un punto solo m'è maggior letargo / che venticinque secoli a la 'mpresa / che fé Nettuno ammirar l'ombra d'Argo. Questi versi hanno costituito, fin dai primi tempi, una vera crux interpretum: sia per il significato da attribuire a l., sia per il modo d'intendere la terzina in sé stessa, sia ancora per i nessi logici e psicologici da stabilire fra questa e i versi precedenti (91-93) e seguenti (97-99). Ci occupiamo qui delle prime due questioni, fra loro intimamente connesse.
Quanto a l., si registrano due interpretazioni fondamentali: l'una, già dell'Ottimo e ripresa, fra i moderni, da Poletto, Scartazzini, Casini, ecc., che scorge nel termine il significato di " ammirazione ", " stupore ", cioè " affisamento concentrato e profondo di maraviglia, che fa dimenticare ogni altra cosa " (Scartazzini); l'altra, proposta da Pietro e da Benvenuto, e seguita dalla maggior parte dei commentatori antichi e moderni, secondo cui l. vale " dimenticanza ", " oblio ", cioè - citiamo dalla chiosa di Benvenuto - " infirmitas memoriae; est enim ‛ letargum ', ut tradunt Hippocras, Galienus, Avicenna et alii physici, oppressio cerebri cum oblivione et continuo somno " (definizione, questa, che si ritrova anche in Uguccione da Pisa per letargia, mentre l. è per lui " morbus oblivionem afferens et somnum ").
Ora, sulla base della prima interpretazione di l., il senso della terzina verrebbe a essere il seguente: " ‛ Tutta quanta l'ammirazione che in venticinque secoli gli uomini tributarono all'impresa degli Argonauti, raccolta insieme, è minore di quella che io provai nel momento in cui tenni fiso lo sguardo nella Divinità '. Ma, per tacere di altre difficoltà, qui l'accennato senso di letargo lo vediamo ridotto a quello di ammirazione, ché l'affissamento concentrato e profondo... per un periodo di 25 secoli, sarebbe non pure impossibile, ma ridicolo ", ecc. (Scartazzini-Vandelli; cfr. anche il commento lipsiense).
Dall'attribuzione a l. del senso di " oblio ", " dimenticanza ", ecc. sono d'altra parte discese, nel corso dell'esegesi antica e moderna, numerose e a volte nettamente discordanti interpretazioni della terzina, di cui la più accettabile è la seguente: " Un solo istante per me, per le straordinarissime cose che io scorsi fissando per singolare grazia l'occhio e l'intelletto, momentaneamente sublimati, in Dio, un solo istante è cagione di oblio più grande, più profondo di quell'oblio di cui 25 secoli sono stati cagione all'impresa degli Argonauti; della quale si ricordano tuttora più precisi e numerosi particolari di quelli che dopo un istante potessi ricordare io delle profonde cose vedute in Dio " (Scartazzini-Vandelli). Il Mattalia, contestando l'interpretazione ormai più diffusa della terzina, ha proposto una diversa interpretazione: " ridire di un solo punto della visione posso come se mi trovassi in letargo (ossia non posso!); ma è una impossibilità di grado assai maggiore di quella in cui si troverebbe chi, essendo nelle mie condizioni, idest in ipotetico letargo, imprendesse a narrare gli avvenimenti della storia umana dalla impresa degli Argonauti ad oggi ". Il Mattalia giunse a questa interpretazione attraverso la seguente ricostruzione dei nessi logici della terzina: " un solo punto (della visione) è a me letargo maggiore di quanto venticinque secoli (non siano letargo) alla impresa: dove letargo non solo è termine logicamente necessario nella seconda proposizione e vi è del resto presenzialmente imposto dal comparativo maggior del v. 94, ma vi deve anche significare esattamente quanto dice nella prima ". Ora, essendo l'impresa degli Argonauti tutt'altro che caduta nell'oblio, bisogna nettamente rifiutare - continua il Mattalia - l'interpretazione ormai corrente della terzina, che egli giudica un " facile fraintendimento ". Ma si può obiettare che, volendo D. significare la sua incapacità a ricordare l'oggetto della sua visione, si è servito del paragone con l'impresa degli Argonauti proprio per evidenziare maggiormente questa impossibilità.