RAMOLINO, Letizia
- Nacque ad Ajaccio, da Giovanni Gerolamo Ramolino, ispettore generale di ponti e strade della Corsica, e da Angela Maria di Pietrasanta, in una data tuttora imprecisa. Scartando l’ipotesi del 1736, la cui circolazione in alcuni testi ottocenteschi è dovuta, assai probabilmente, a una omonimia, la data da preferire – anche rispetto a quella pure accreditata del 1750 - è quella del 24 agosto 1748. Il nome, naturalmente italiano, venne francesizzato alla latina, Laetitia, all’avvio dell’Impero.
Il padre morì assai presto e la madre si sposò in seconde nozze con un capitano Octave Fesch, di origini svizzere, da cui nacque un fratellastro, Joseph Fesch, futuro cardinale, poi sempre legato alle vicende familiari e politiche dei Buonaparte.
Dotata di una bellezza intensa e severa, che non mancò mai di colpire l’attenzione di chi ebbe occasione di incontrarla, Letizia sposò, a tredici anni (la data più probabile è il 2 giugno 1764), Carlo Buonaparte - «un bel giovanotto, robusto come Murat» ricordava nei rapidi Souvenirs dettati in tarda età (Larrey, I, 1892, p. 21) - figlio unico di una famiglia di Ajaccio di antico patriziato ma di assai modesta fortuna. Il primo figlio, Giuseppe, nacque il 7 gennaio del 1768, dopo a una serie di parti seguiti da morti premature. Aspirante avvocato – aveva seguito studi di diritto a Pisa e a Roma - Carlo, anche per tradizione familiare, era strettamente legato a Pasquale Paoli e alla lotta per l’indipendenza della Corsica da lui condotta ormai da oltre un decennio. Nel 1769 si trovò, quindi, coinvolto nella resistenza che l’esercito del governo di Paoli oppose alle truppe del conte de Vaux inviate da Luigi XV re di Francia, diventato sovrano dell’isola l’anno precedente.
Letizia seguì da vicino il marito negli scontri armati che si succedettero nella primavera del 1769, fino alla sconfitta conclusiva dell’esercito paolista avvenuta il 9 maggio a Ponte Nuovo. Si costruirono in quelle circostanze i primi materiali della leggenda di una sposa 'bella come una statua antica' in tutto degna dei modelli classici. A cavallo, correvano insieme attraverso il maquis, e poi in fuga sulle montagne, dove Letizia era già incinta del suo secondogenito, Napoleone, che nacque il 15 agosto ad Ajaccio, all’indomani di un armistizio che consentì ai ribelli il ritorno alle loro case, mentre Paoli sceglieva la via dell’esilio in Inghilterra.
Prensero inizio anni di tranquilla esistenza domestica, favoriti dal riavvicinamento di Carlo, che nel frattempo si era laureato in diritto a Pisa, ai nuovi padroni dell’isola e all’amicizia che alla sua famiglia manifestò il conte di Marboeuf, diventato luogotenente generale di Luigi XV in Corsica. Nacquero, in successione, tra il 1775 e il 1780, Luciano, Elisa (la prima femmina), Luigi e poi Maria Paola, più celebre con il nome di Paolina. Alla condotta di vita abbastanza dispendiosa di Carlo si opponeva la parsimonia di Letizia – altro tratto obbligato della sua leggenda -, senza, tuttavia che ciò riuscisse mai ad allontanare dal ménage domestico difficoltà economiche destinate a farsi più gravi nel momento in cui, 1783, si manifestarono i primi segni della malattia che in due anni, 24 febbraio 1785, condussero il giovane capofamiglia (37 anni) alla morte.
Nel frattempo erano nati, marzo 1782, un'altra figlia femmina, Maria Annunziata ovvero Carolina, e, novembre 1784, il quarto figlio maschio, Gerolamo, e Letizia assunse il comando della casa esercitando le più strette economie, potendo contare solo su poche proprietà, su una modesta pensione e sull’aiuto che i due figli maggiori, in particolare Napoleone avviatosi già alla carriera militare, potevano offrirgli. All’indomani dello scoppio della Rivoluzione Letizia, con i figli, accolse con favore il ritorno di Pasquale Paoli nell’isola. Quando, però, egli, 1793, si allontanò dalla politica del governo rivoluzionario e si preparò a proclamare nuovamente l’indipendenza della Corsica, la famiglia Buonaparte rimase – nonostante le ripetute pressioni - fedele alla sua scelta filo-francese. Fu, anzi, il giovane Luciano a denunciare alla Convenzione il progetto indipendentista di Paoli, obbligando Letizia con i figli più piccoli e Napoleone, a una fuga precipitosa da Ajaccio, mentre i paolisti bruciavano la casa, e a raggiungere Marsiglia dove la attendevano i due maschi, Gerolamo e Luciano. Fu una esistenza fortunosa, fatta di ristrettezze economiche e di ripetuti cambiamenti di casa, quella che condusse Letizia con la sua famiglia fino a quando nel 1796 la Campagna d’Italia e la veloce ascesa del secondogenito, Napoleone, non trasformarono radicalmente le condizioni della sua vita privata obbligandola anche ad assumere una inattesa, per lei, figura pubblica.
Nacque allora, e già, forse, dal momento delle nozze di Napoleone con Giuseppina Beauharnais, un matrimonio e una nuora che non avrebbe mai amato molto, il complesso rapporto tra Letizia e Napoleone sul quale hanno tanto insistito, facendone spesso il centro quasi esclusivo delle loro narrazioni, i suoi biografi. Sin dall’inizio, pur amando e ammirando questo figlio così straordinario, ne intuì le dimensioni poco controllabili dell’ambizione caratteriale e, dunque, la probabile rovina del suo progetto politico. All’opposto, Napoleone venerava la madre di cui ammirava il temperamento coraggioso così simile al suo, ma ne soffriva il controllo che ella esercitava sulla famiglia e che assai spesso intralciava i suoi disegni.
Furono molte le occasioni nelle quali questo contrasto si fece manifesto: tra il 1800 e il 1804 cercò di evitare fino all’ultimo la rottura tra Luciano e Napoleone, nel 1802 assistette con diffidenza al matrimonio di Luigi e Ortensia, la figlia di Giuseppina, che avrebbe dovuto attenuare la rivalità tra le famiglie Bonaparte e Beauharnais, nel 1804 cercò, senza riuscirvi, di evitare l’esecuzione del duca di Enghien «l’abisso che tu oggi scavi – gli scrisse - sotto i piedi della tua famiglia» [NOTA 1].
Alla nascita dell’Impero, a cui non era favorevole, Letizia preferì ritirarsi nella sua dimora di Pont-sur-Seine, fuori Parigi, lontano dalla politica e un po’ anche – osserva qualcuno - in opposizione. Inizialmente le venne conferito il titolo di altezza imperiale con l’appellativo di madame mère. Successivamente, il 27 agosto 1808, venne incoronata come imperatrice mère. Il nuovo matrimonio di Napoleone – al quale consigliò ripetutamente di sposare una francese - con Maria Luisa d’Austria (apr. 1810) la allontanò ancora di più dai luoghi del potere imperiale, né a riavvicinarla servì a molto la nascita (marzo 1811) del 're di Roma'. Fu nella catastrofe finale che Letizia riapparve in primo piano, unendo le preoccupazioni di madre – per il figlio ormai caduto, per la famiglia in pericolo - a quelle più strettamente politiche. Nella crisi della primavera 1814 partecipò – aveva già 64 anni - agli inutili tentativi del Consiglio di reggenza per favorire la successione al trono del piccolo Napoleone II. Al momento dell’abdicazione (4 apr. 1814), partì per Roma dove il papa, come già era accaduto per Luciano, le offrì una sicura accoglienza. Vi giunse il 12 maggio, pronta, però a rimettersi per strada per raggiungere Napoleone all’isola d’Elba dove egli era stato, nel frattempo, esiliato.
All’Elba Letizia arrivò nei primi giorni di agosto, prendendo alloggio in palazzo Vantini, dove si circondò subito di un gruppo di fedeli servitori e collaboratori tutti corsi. Vi rimase fino alla metà di marzo del 1815, dividendo con Napoleone, e con Paolina giunta anche lei sull’isola, i tranquilli ritmi della vita e della socialità elbana. Avventuroso fu, al contrario, il suo tentativo di raggiungere nuovamente il figlio, all’indomani del ritorno di questi in Francia. Dall’Elba Letizia giunse, dapprima a Napoli, da dove con grande difficoltà riuscì a eludere la sorveglianza delle navi inglesi, arrivando a Parigi solo il 27 maggio, ancora in tempo per assistere alla cerimonia del Campo di maggio e per partecipare all’apertura delle nuove Camere, il 7 giugno. Breve, intenso, fu l’ultimo incontro con Napoleone all’indomani di Waterloo. Poi il 19 luglio 1815 Letizia ripartì per Roma dove abitò fino al 1818 in palazzo Falconieri, a via Giulia, insieme al fratellastro, il cardinale Joseph Fesch, e poi, per poco meno di venti anni, fino alla morte, in palazzo Rinuccini (poi Bonaparte) in piazza Venezia.
Cominciò allora una nuova fase della sua vita, dominata dalla preoccupazione per il figlio costretto a un lontanissimo esilio, mentre il resto della famiglia si divideva tra gli Stati Uniti, Firenze, e la stessa Roma. Scrisse regolarmente a Napoleone, anche se la corrispondenza era assai spesso intercettata, temendo gli Inglesi, che vi si nascondesse qualche trama per farlo evadere da Sant’Elena. Quando, intorno ai primi mesi del 1818, cominciarono a giungere notizie sul peggioramento delle condizioni di salute di Napoleone, Letizia organizzò la 'petite caravane' composta dal medico Francesco Antommarchi e dall’abate Buonavita, destinata a portargli conforto. La morte del figlio le venne annunciata solo il 22 luglio del 1821. Le ragioni che l’avevano condotta a una vita assi ritirata diventarono così più stringenti, anche a motivo di condizioni economiche sempre ristrette. Usciva sempre più raramente dal palazzo di piazza Venezia, sempre controllato dalla polizia pontificia e da quella borbonica che non cessavano di immaginarla come l’anima di complotti politici tesi al ritorno dei Bonaparte sul trono di Francia.
In effetti, da palazzo Bonaparte Letizia divenne, in quegli anni, il punto di riferimento dell’intera famiglia, i figli e le figlie, tutti banditi dalla Francia, ma ora anche i nipoti che via via crescevano nel ricordo e nella rivendicazione della loro illustre tradizione. «La venerabile madre di questi illustri proscritti – raccontava de Bausset, l’antico prefetto del Palazzo imperiale che le rese visita nel 1828 - passa l’inverno a Roma e l’estate ad Albano, che non è molto distante. Così tanti dolori hanno toccato il suo animo, che ella non ha trovato altra consolazione che l’esercizio di una beneficenza illuminata e di una pietà melanconica che le hanno meritato la stima e il rispetto di tutta l’Italia» (Larrey, I, 1892, p. 337).
Tra le sue cure principali ci fu quella del legato testamentario di Napoleone secondo le indicazioni che egli aveva dato prima di morire a Sant’Elena. Nel 1829 nominò Napoleone II, che era alla corte degli Asburgo con il titolo di duca di Reichstadt, suo erede universale. Poi, alla sua morte, nel 1832, rifece testamento distribuendo i propri beni tra i membri restanti della famiglia. La rivoluzione del luglio 1830 sembrò riaprire le speranze per i Napoleonidi di un loro ritorno in Francia. Nell’aprile di quell’anno, però, Letizia, passeggiando a Villa Borghese, cadde e si fratturò l’anca. Qualche mese più tardi perse anche la vista. Fuu l’ultimo tempo della sua vita, fatto di riposo assoluto, che non le impedì, comunque, di farsi regolarmente leggere libri e giornali e di ricevere visite soprattutto della cerchia non piccola dei suoi familiari.
Morì il 2 febbraio 1836 e venne sepolta dapprima a Corneto, presso Civitavecchia, per essere poi traslata nel 1859 ad Ajaccio nella cappella imperiale.
Fonti e Bibl.: H. Larrey, Madame mère (Napoleonis mater): essai historique, 2 voll., Paris 1892; F. Masson, Napoléon et sa famille, 13 voll., Paris 1897-1919, passim; C. Tschudi, La mère de Napoléon: L. R.-Buonaparte, d’après les memoires et les correspondances du temps et des documents inédits tirés des archives de l’Etat, Paris 1910; Lettere di L. Buonaparte, a cura di P. Misciattelli, Milano 1936; G. Martineau, Madame mère: life of L. Bonaparte, London 1978; E. Ferri, L. Bonaparte. Vita, potere e tragedia della madre di Napoleone, Milano 2005.