EFESINI, lettera agli
È il decimo, secondo il canone, fra i libri del Nuovo Testamento, la quinta tra le lettere di San Paolo.
Contenuto. - La lettera si può considerare composta di due parti; nella prima, dopo il saluto iniziale (I, 1-2) si tratta di alcune dottrine fondamentali della nuova religione (I, 3-III, 21); nella seconda di verità morali, che riguardano sia tutti i fedeli, sia alcune classi di loro (IV, 1-VI, 24). La lettera comincia con una dossologia: il concetto fondamentale è che Dio prima della creazione del mondo ci ha eletti nel suo Cristo perché fossimo figliuoli suoi adottivi; in Esso ci ha dato la redenzione e la remissione dei peccati; giacché nel Cristo come in compendio volle Egli che tutte le cose fossero riunite (ἀξακεϕαλαιώσαϑαι τὰ πάντα, I, 10). I lettori sono stati anch'essi chiamati a godere di questi benefici e l'apostolo prega Dio che accordi loro di conoscere la gloriosa eredità preparata loro da Dio, che resuscitò Cristo da morte e lo pose a sedere alla sua destra e al disopra di ogni Principato, Potestà, Virtù, Dominazione e di ogni essere che ha un nome sia in questo mondo sia nell'altro, e lo costituì come capo su tutto nella Chiesa, che è il suo corpo (I, 3-23). I suoi lettori che erano nello stato di morte per il peccato, vivendo conforme alle massime del mondo perverso e del suo capo, secondo i desiderî della carne, sono stati per misericordia di Dio richiamati come a nuova vita nel Cristo. "Gratuitamente infatti foste salvati attraverso la fede, e questo non per opera vostra, poiché è dono di Dio, non in virtù delle opere, affinché nessuno possa gloriarsi" (II, 3-9). Così essi sono stati fatti concittadini dei santi e partecipi della promessa, che viene estesa ai gentili essendo ormai annullata ogni distinzione tra Giudei e pagani, circoncisi e incirconcisi. Paolo, che ebbe la rivelazione di questo mistero, è stato eletto dispensatore di questo beneficio, e ora perciò è in catene. Ma i destinatarî della lettera non si turbino e considerino le sue tribolazioni come una loro gloria. Egli prega Dio Padre che li corrobori nello Spirito Santo, e così Cristo attraverso la fede sempre più abiti nei cuori di loro, radicati e fondati sulla carità. ll tutto termina con un'altra dossologia (II, 1-III, 21). Passando alle esortazioni morali, deduce che se tutti siamo un sol popolo con una sola fede, un sol battesimo, uno stess0 Signore, dobbiamo vivere in grande unità di sentimenti e amore; ricordandoci però che anche nel popolo di Dio vi sono varietà di uffici. Dio invero alcuni ha scelto ad apostoli, altri a profeti, altri a evangelisti, pastori, dottori (IV, 11), e sopra tutti vi è il Cristo, a quel modo che anche in un corpo son varie le membra sotto uno stesso capo. Se son popolo di Dio debbono vivere non più come prima nell'impudicizia, avarizia, ira, o dediti ai furti, all'ebbrezza, ecc., ma piuttosto siano santi, benigni, misericordiosi, ecc.; non più quali schiavi delle tenebre, ma quali figli della luce (V, 3). Le donne siano soggette ai loro mariti, e questi le amino come Cristo ama la Chiesa, suo corpo, per la quale si è immolato, e che gli è soggetta. Invero l'unione maritale dell'uomo e della donna è un grande mistero (μυστήριον τοῦτο μέγά ἐστιν, V, 32), avuto riguardo al Cristo e alla Chiesa. I figli obbediscano ai loro genitori e questi non siano duri con loro, ma li educhino nella disciplina del Signore. Gli schiavi siano soggetti ai loro padroni, come al Signore, e i padroni cessino dalla crudeltà, pensando che anch'essi hanno nel cielo un Signore. Converrà poi a tutti lottare non solo contro la carne e il sangue, ma anche contro le malvage potenze celesti, per cui è necessario armarsi di giustizia, di fede, della parola di Dio, e perseverare nella preghiera (IV, 1-VI, 20). Tichico darà notizie di Paolo. Seguono i saluti finali (VI, 21-24).
Autenticità. - La lettera è citata come opera di Paolo da Marcione (Tertull., Adv. Marc. 5, 17); dal canone muratoriano, da Tertulliano stesso e da Cipriano, che rappresentano le chiese occidentali, da Ireneo, ottimo testimone delle chiese della Gallia e dell'Asia (Contra haer., V, 2, 3; 14, 3) da Clemente Alessandrino e da Origene; talché Eusebio di Cesarea poteva annoverarla tra gli scritti riconosciuti autentici senza discussione. I dubbî si affacciarono solo nel sec. XIX. Il primo a manifestarli sembra sia stato il De Wette; lo Schleiermacher ne ritenne autore Tichico, F. C. Baur la suppose scritta nel 110-120. In seguito, molti altri critici la ritennero non paolina: così Hilgenfeld, Hitzig, von Soden, Weizsäcker, J. Weiss. Più di recente critici liberali (A. v. Harnack, A. Ju̇licher), sono stati più prudenti, mentre altri continuano a manifestare dei dubbî. In complesso, anche questa lettera ha risentito della generale tendenza a reagire contro l'indirizzo radicale della scuola di Tubinga e dei suoi epigoni. Anglicani e protestanti ne difendono ora l'autenticità, sempre sostenuta dai cattolici.
Le obiezioni riguardano principalmente lo stile e il linguaggio, per l'uso di numerosi termini che non ricorrono in altre parti dell'epistolario paolino: dalla terminologia si risale altresì al pensiero. A questa difficoltà i difensori dell'autenticità rispondono segnalando invece le somiglianze, e notando che la lettera sarebbe stata scritta a cristiani che Paolo non conosceva personalmente, e per di più verso la fine della vita, mentre era vecchio e segregato in carcere. Si segnala inoltre la difficoltà della materia trattata, profonda, astratta, difficile, specie nei primi capi: onde anche i periodi lunghi, intricati, sovraccarichi di pensieri, e la trascuratezza della forma, del qual fatto non mancano esempî in altre lettere di San Paolo.
Due problemi particolari attirano inoltre l'attenzione della critica. Il primo è quello dei rapporti tia questa lettera e l'altra ai Colossesi: oltre a somiglianze di concetti, si nota che l'ordine in cui sono disposte le diverse categorie di persone a cui sono rivolti precetti morali, è il medesimo: entrambe le lettere sono portate da Tichico; vi sono inoltre numerose somiglianze verbali, che solo un'analisi minuta permette di rilevare pienamente (cfr. p. es. Eph., I, 7 e Col., I, 14; Eph., I, 7 e Col., I, 20; Eph., I, 21 e Col., I, 16; Eph., II, 5 e Col., II, 13; Eph., III, 7 e Col., I, 25, ecc., specie nei capi V e VI). Anche questa somiglianza è del resto valutata diversamente dai sostenitori o dagli avversarî dell'autenticità della lettera, né può offrire un solido argomento contro di essa. Minori, ma non perciò trascurabili, le somiglianze con la I Pietro e i rapporti con Filemone. L'altro problema riguarda i destinatarî della lettera. Il titolo "agli Efesini" (Πρὸς 'Εϕεσίους) non vi fu apposto, come altri simili, dall'autore; i codici sinaitico (???) e vaticano (B; v. bibbia, VI, p. 888) non hanno nessuna indicazione; e così due codici posteriori, S e 67; alcuni Padri, Basilio, Origene, Ilario non trovavano il nome di Efeso nella lettera, e S. Girolamo espressamente dice che vi erano esemplari nei quali si leggeva solo: τοῖς οὗσιν "a coloro che sono" (Comment. in Ephes., I,1). Tertulliano poi (Contra Marc., 5, 11) ci fa sapere che Mareione, circa l'anno 140, la riteneva destinata ai cristiani di Laodicea. Quest'ultima affermazione, sostenuta con gran calore da A. Harnack, ha trovato seguaci, fra i quali Deissmann, Lightfoot, Rutherford, Knabenbauer, Belser, Vosté. D'altra parte però S. Ignazio martire (morto nel 107 circa) allude a scritti di Paolo agli Efesini, e alla fine del sec. II Ireneo di Lione e il Canone Muratoriano la ritengono senz'altro diretta ai medesimi. Difficilmente tuttavia la lettera può essere stata scritta solo per gli Efesini, fra i quali Paolo aveva soggiornato per più di due anni, mentre nel nostro scritto non v'è un accenno a tal ministero. La lettera è incolore, priva di caldi sentimenti; anzi egli vi apparisce come ignoto ai suoi lettori (III,1-4; IV, 21). Meglio fondata pare l'opinione più diffusa, che Paolo scrivesse una lettera circolare destinata a molte o tutte le chiese della Frigia e della provincia romana d'Asia, compresa quella d'Efeso, presso la quale, come metropolitana, lo scritto sarebbe stato conservato.
Quanto alla data e al luogo d'origine, poiché la lettera è stata scritta da Paolo mentre era in prigione e poiché Efeso (anche per chi ammette una prigione efesina) è in ogni caso da escludere, resta soltanto la scelta tra Cesarea e Roma. Si ritiene generalmente che le maggiori probabilità siano per la seconda, e pertanto si colloca la lettera negli anni 62-63.
Bibl.: A. Harnack, Die Adress des Ephesierbriefes, in Sitzungsber. d. preuss. Akad., 1910; J. Knabenbauer, Comment. in epist. ad Ephesios, 2ª ed., Parigi 1912; J. A. Robinson, St. Paul's epistle to the Ephesians, 2ª ed., Londra 1917; J. Moffatt, Four notes on Ephesians, in The Expositor, X (1925), coL. 89 segg.; E. Lohmeyer, in Theolog. Blätter, 1926, coll. 120 segg., 231 segg.; H. Schlier, ibid., 1927, col. 12 segg.; M. Dibelius, An die Epheser, 2ª ed., Gottinga 1927 (nel Handbuch z. N. T. del Lietzmann).