COLOSSESI, Lettera ai
La cristianità di Colosse (v.) non era stata direttamente fondata dall'apostolo Paolo, giacché nella nostra lettera i Colossesi, insieme con i fedeli di Laodicea, sono enumerati fra quelli che non avevano veduto la faccia di Paolo (Coloss., II,1). Epafras, cittadino di Colosse, diletto compagno dell'apostolo, li aveva evangelizzati, molto probabilmente durante il triennio in cui Paolo dimorò in Efeso (circa 54-57).
Contenuto della lettera. - Paolo, insieme con Timoteo, porge il saluto cristiano ai Colossesi, ringraziando Dio per la loro fede ecc.; innalza poi all'Altissimo fervide preci affinché siano ripieni di saggezza, onde fare la volontà di Colui che li trasportò nel regno del suo Figlio diletto "nel quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati, per il suo sangue: in Esso, che è l'immagine di Dio invisibile (εἰκὼν τοῦ ϑεοῦ τοῦ ἀοπάτου), primogenito fra ogni creatura, poiché in Lui tutto è stato fatto, in cielo e in terra... tutto per Lui e in ordine a Lui (εἰς αὐτόν) e tutto si sostiene in Lui che è il capo della Chiesa..." (I, 1-19). Anche i Colossesi, già nemici di Dio, godono ora di questa riconciliazione, annunciata dal Vangelo, di cui Paolo è stato eletto ministro, e al presente esulta di soffrire anche per loro, come per i Laodicesi e quanti non lo hanno conosciuto di presenza. Scrive loro desiderando istruirli pienamente nel mistero di Dio, che è il Cristo, in cui si trovano tutti i tesori della sapienza divina (I, 20-II, 8). Non si lascino adunque attrarre da filosofie o insegnamenti umani secondo gli "elementi del mondo" (στοιχεῖα τοῦ κόσμου) e non secondo Cristo, "nel quale abita corporalmente ogni pienezza della divinità" e che ha distrutto il chirografo di condanna posto contro noi, affiggendolo alla croce. Niuno inoltre osi riprovarli su ciò che riguarda il bere, mangiare, o su feste, neomenie e sabbati: tutte cose che erano figura dell'economia del Cristo. Stiano anche in guardia verso chi affetta umiltà, parla di culto agli angeli e s'illude su cose che non ha mai veduto, dimenticando chi è il capo di tutti, cioè Cristo (II, 9-23).
Passa quindi l'apostolo alle esortazioni morali. Se in Cristo son risorti a nuova vita, cerchino le cose celesti e fuggano le terrene, i vizî della carne, avarizia, ira, bestemmia, ecc., in cui prima si ravvolgevano; si rivestano invece dell'uomo nuovo, nel quale non vi è differenza fra gentile e giudeo, barbaro e Scita, schiavo e libero, perché in tutti è Cristo. Abbondino anche di misericordia, sopportandosi e perdonandosi a vicenda, come il Signore ha loro perdonato (III,1-17). In particolare, poi, le donne siano soggette ai loro mariti, e questi le amino; i genitori sieno pieni di affetto verso i figli e non li provochino ad ira; gli schiavi ubbidiscano, come al Signore, ai loro padroni, e questi si ricordino che hanno nel cielo un più grande padrone (III, 18-IV, 6).
Nell'epilogo l'apostolo ricorda che invia loro Tichico e Onesimo, i quali informeranno i Colossesì sulle cose sue; li salutano Aristarco, Marco e Gesù il Giusto, soli fra gli israeliti che lo aiutino nelle opere del regno di Dio; li saluta pure Epafras che tanto ha lavorato per loro, come per i fedeli di Laodicea. Accolgano infine il saluto scritto dalla propria mano di Paolo: "Ricordatevi delle mie catene: sia con voi la grazia" (IV, 7-18).
L'autenticità. - Che questa lettera sia dell'apostolo Paolo venne per la prima volta negato dalla scuola di Tubinga (F. C. Baur, Hilgenfeld, Pfleiderer, ecc): i perturbatori descritti nella lettera, si diceva, sono gli gnostici del sec. II; inoltre le dottrine cristologiche vi hanno tale sviluppo, quale solo nel sec. II fu raggiunto; né è da trascurarsi, aggiungevano, la diversità grande di lingua e di stile fra questa e le vere lettere paoline, le quali erano, secondo detta scuola, le sole quattro maggiori: Romani, I e II Corinzî, Galati.
Sennonché le dottrine gnostiche che si vorrebbero vedere contenute nella nostra lettera, se ci appaiono in parte costituite da elementi estranei al giudaismo (come il culto verso gli angeli, l'astinenza da alcune bevande, una vana filosofia secondo "gli elementi del mondo") in parte sono pure d'ispirazione veramente giudaica (l'osservanza dei sabbati e delle neomenie, l'astinenza da alcuni cibi); come si dovrà dunque definirle? il Baur e il Lipsius le affermavano gnostiche, il Mayeroff e ìl Neander cerintiane, il Maugod esseniane, il Hag derivanti dai magi e caldei, il Loisy le crede appartenenti al culto di Sabazio (v. J. B. Lighftoot, Colossians, p. 73-113; A. Loisy, Les livres du N. T., p. 153). Oggi comunemente si ritiene che in quelle regioni dell'Asia minore confluivano molte dottrine diverse: le filosofiche alessandrine, le religiose della Persia e Babilonia, le giudaiche infiltratesi attraverso le numerose colonie di israeliti ivi fiorenti, e quelle pullulate da forme di culti indigeni. Quest'insieme di concezioni e speculazioni filosofico-religiose tendeva a una specie di sincretismo poco consistente, pernicioso per la fede cristiana e contro cui insorge l'apostolo. Non si tratta dunque dello gnosticismo quale ci appare costituito nel sec. II.
Quanto alle affermazioni cristologiche della nostra lettera (v. sopra) esse sono, è vero, tali che sembra impossibile poterle intendere altrimenti che di attributi divini dati a Cristo; ma non appaiono qui per la prima volta. Già nelle maggiori lettere, ritenute autentiche anche dalla scuola di Tubinga, le incontriamo, almeno quanto alla loro sostanza. (Cfr. Rom. IX, 5; X, 13; I Cor., VIII, 5-6; II Cor., V, 19; VIII, 9; Gal., IV, 4). Evidentemente tali dottrine sono qui svolte in maniera più ampia, allo scopo di combattere gli errori che minacciavano la fede dei Colossesi.
Le particolarità lessicali o stilistiche poi non s'incontrano qui in misura eccessiva e possono trovare una spiegazione nella materia nuova trattata, ovvero nelle mutate condizioni della vita dell'apostolo, già avanzato negli anni e segregato nel carcere.
Pochi altri (H. J. Holtzmann, von Soden, W. Soltau) hanno voluto vedere nella nostra lettera solo un nucleo paolino, completato poi con ulteriori addizioni; ma tale opinione anche più fermamente fu combattuta dal Jülicher, e recentissimamente dal Rutherfurd e altri. Così la grande massa dei critici (Harnack, Sanday, Moffat, Clemen, Loisy, ecc.), la ritiene oggi semplicemente autentica.
La tradizione, dagl'inizî del sec. II ha ritenuta la lettera per paolina, come si rileva da Marcione (v. Tertull., Adv. Marc., V, 19) da Ireneo (Adv. Haer., III, 14, 2), dal frammento Muratoriano (lin. 52), da Clemente Alessandrino (Strom.,1, 1), Tertulliano (De praescript., 7), Eusebio di Cesarea (Hist. Eccl. III, 3, 5), ecc.
Tempo e luogo di composizione. - Paolo, mentre dettava questa lettera, si trovava in catene (Col., IV, 18): essa, inoltre, ha grande somiglianza con quella agli Efesini, e non poche con quella ai Filippesi: tutte queste lettere, insieme col biglietto a Filemone (v.) riguardante lo schiavo Onesimo (il quale nella nostra appare rinviato al suo padrone in compagnia di Tichico: IV, 9) si ritengono generalmente scritte nella cattività romana dell'apostolo, circa l'anno 62; in tutte infatti egli ricorda di essere carcerato e specialmente in quella ai Filippesi, dove parla anche del Vangelo diffuso nel pretorio e invia i saluti dei cristiani che già si trovavano nella casa di Cesare (Filipp., I, 13; IV, 22). Alcuni critici recenti (specialmente il Deissmann, Robinson, M. Dibelius, C. B. Bowen), fondandosi sopra I Cor., XV, 32 e Rom., XVI, 7, hanno pensato che queste lettere, dette della cattività, fossero scritte o tutte o in parte a Efeso, dove l'apostolo sarebbe stato carcerato circa l'anno 57; secondo altri, sarebbero state scritte a Cesarea. Questa opinione e la precedente hanno trovato scarsi seguaci (v. anche paolo s.).
Bibl.: Oltre alla bibliografia generale (per le introduzioni al Nuovo Testamento, v. bibbia, VI, p. 916 segg.; per le opere generali su S. Paolo, v. paolo s.) v. I. Knabenbauer, Comment. in Ep. ad Ephesios, Philipp., Colossenses, Parigi 1912; J. B. Lightfoot, The Epistles to the Colossians and Philemon, Londra 1900; M. Dibelius, An die Kolosser, Tubinga 1927 (nel Handbuch Z. N. T. del Lietzmann); C. B. Bowen, The original form of Paul's letter to the Colossians, in Journ. of Bibl. Liter., XLIII (1924), p. 177 segg.