FILIPPESI, Lettera ai
, La città di Filippi (v.) nella Macedonia era stata la prima che S. Paolo aveva evangelizzato in Europa, durante il suo secondo viaggio missionario, circa il 51 (Atti, XVI, 12-40). A questa comunità, che si ritiene composta in prevalenza di pagani convertiti, è diretta la lettera, che, fra le paoline, occupa il sesto posto.
Il saluto iniziale è inviato da Paolo e Timoteo ai fedeli di Filippi, con i loro "vescovi e diaconi"; seguono i ringraziamenti a Dio per la loro fede (I, 1-11). La prigionia di Paolo ha giovato alla diffusione del Vangelo "in tutto il pretorio"; tra i fratelli vi sono però alcuni che lo predicano con invidia e spirito di contesa, e senza sincerità, ma ciò che gli accade, viva egli o muoia, conduce alla glorificazione di Cristo; d'altronde egli spera di rivederli (I, 12-26). Perciò essi vivano in maniera degna del Vangelo; siano uniti e umili, volgendo lo sguardo a Gesù "che essendo in forma di Dio... svuotò sé stesso prendendo la forma di schiavo, ridotto a somiglianza d'uomini; e nell'aspetto e negli atti essendo stato trovato quale uomo si umiliò divenendo ubbidiente fino alla morte, la morte della croce, onde Dio lo esaltò e lo gratificò col nome che è sopra ogni nome" (II, 6-9). Seguono altre esortazioni (I, 27-II, 18). Spera di poter mandare loro presto Timoteo, da cui avrà loro notizie; frattanto invia Epafrodito, loro apostolo, che ha portato a Paolo un sussidio (v. sotto) ed è testé guarito da grave malattia (II, 19-30). "Del resto, fratelli miei, rallegratevi nel Signore. Di scrivervi le stesse cose non ho scrupolo, per voi è più sicuro". Segue una esortazione a guardarsi dai "cani" e "cattivi operai" della "falsa circoncisione"; a costoro Paolo oppone la sua origine e prima educazione prettamente giudaiche, ma tutto questo egli abbandonò per Cristo. I Filippesi lo imitino (III, 1-17) non seguano l'esempio di quei nemici della croce del Cristo... il cui dio è il ventre" (III, 18-21). Esorta quindi Evochia e Sintiche alla concordia e un compagno (cui si rivolge al vocativo: γνήσιε σύζυγε, frase che ha dato luogo a molte fantasie e dubbî ma Σύζυγος, benché manchino finora esempî, potrebbe essere nome proprio) ad aiutarle. Seguono esortazioni morali, ringraziamenti per i doni portati da Epafrodito, che ricordano all'apostolo quelli che ha ricevuto due volte dai Filippesi quando era a Tessalonica; infine i saluti finali, specialmente da "quelli della casa di Cesare" (IV, 1-23).
Sull'autenticità della lettera, riconosciuta come paolina fin dall'antichità e contestata da F. C. Baur (v.) e dalla Scuola di Tubinga (v.) in base ai noti presupposti, o da altri per motivi di lingua e stile, si può dire che non vi sono dubbî. Più gravi oggi le questioni che si fanno intorno all'unità e al luogo (che implica anche la data) di composizione. Circa la prima, alcuni critici, osservando che il passo III, 2-IV, 1 avrebbe di mira dei cristiani giudaizzanti e dei cristiani dai costumi dissoluti, e che di tali tendenze non si troverebbe traccia presso la comunità di Filippi, inclinano a ritenere che il passo in questione sia frammento d'altra lettera, pure di Paolo inserito in questa lettera per un incidente nella tradizione antichissima, o forse allorché fu compilata la prima raccolta. Il Lightfoot aveva congetturato che, nella redazione della lettera, Paolo fosse stato interrotto dall'arrivo di notizie intorno a dissensi interni della chiesa di Filippi. Ma sia l'una sia l'altra spiegazione non appaiono necessarie: il passo III, ib crea comunque delle difficoltà.
Circa la seconda questione, gli accenni alla prigionia di Paolo, al "pretorio" (sia questo da intendersi come un luogo, alloggiamenti verì e proprî o tribunale, o gruppo di persone) e alla "casa di Cesare", avevano fatto ritenere generalmente che la lettera fosse stata scritta da Roma, secondo l'opinione tradizionale; i dubbî riguardavano solo il momento preciso.
Più di recente si è affacciata la possibilità che fosse stata scritta altrove: Cesarea è da escludere, data la speranza che Paolo ha di rivedere i Filippesi. Per contro, un numero crescente di critici indipendenti (Goguel, Deissmann, ecc.) propugna oggi l'origine efesina: Si osserva che alcune iscrizioni accennano alla presenza in Efeso di pretoriani della 7ª coorte e di schiavi e liberti imperiali; si aggiunge che Timoteo era con Paolo anche in Efeso (Atti, XIX, 22); e che, se gli Atti non parlano d'una prigionia dell'apostolo ivi, questo silenzio non è conclusivo, in quanto Paolo stesso allude alle tribolazioni da lui colà sofferte (I Corinzî, XV, 32, comunque s'interpreti; II Cor., I, 8; IV, 8-12, scritto in Efeso) e a "parecchie" sue prigionie (II Cor., IV, 5; XI, 23; la sola precedente sarebbe quella di Filippi: Atti, XVI, 24). Per di più, si osserva ora che, se la polemica contro i giudaizzanti ricorda la lettera ai Galati (v.), quella dei passi I, 16-17 e III, 2 non riguarda coteste persone, bensì avversarî personali di Paolo, e presenta affinità con le lettere ai Corinzî; per di più, la somiglianza con queste offrirebbe un dato cronologico, cioè un ulteriore argomento per assegnare la lettera al soggiorno efesino. Resterebbe però sempre il problema dei rapporti con le altre cosiddette "lettere della cattività", alle quali tutte la questione si estende (v. paolo).
Dal punto di vista dottrinale, grandissima importanza ha, anche storicamente, il "passo cristologico" II, 5-11 (v. gesù cristo).
Bibl.: I. Knabenbauer, Comment. in ep. ad Ephes., Coloss., Philipp., Parigi 1912; J. B. Lightfoot, The Epistle to the Philippians, rist., Londra 1919; M. Dibelius, An die Thessaloniker I-II, An die Philipper, Tubinga 1925; E. Lohmeyer, Der Brief an die Philipper, Gottinga 1928; per la questione della composizione in Efeso, P. Feine, Die Abfassung des Philipperbriefes in Ephesus (Beitr. z. Ford. d. christl. Theol., XX, 4), Gütersloh 1916; A. Deissmann, Zur ephesin. Gefangenschaft des Apostels Paulus, in Anatolian studies... to... Ramsay, Manchester 1923; A. Pincherle,, in Ricerche religiose, III (1927), p. 422 segg.; G. S. Duncan, St. Paul's Ephesian Ministry, Londra [1929].