LETTERA (fr. lettre; sp. letra; ted. Buchstabe; ingl. letter)
Il significato primitivo del lat. littĕra (gr. γράμμα) è quello di segno che indica uno dei suoni che compongono le parole di una lingua e che è uno degli elementi dell'alfabeto.
Il plurale litterae, seguendo l'esempio del gr. γράμματα, servì a indicare la comunicazione scritta che una persona indirizza a un'altra (fr. lettre; sp. carta; ted. Brief; ingl. letter), detta con altro nome, preso dal gr. ἐπιστολή "invio, messaggio", epistŭla. Litterae furono poi chiamati gli scritti di ogni genere, quindi la letteratura; e anche in questa estensione di significato le lingue neolatine seguirono l'esempio del latino. Per le lettere credenziali v. credito: Lettere di credito; diplomatica; per la lettera di cambio v. cambiale.
Le ricerche in Babilonia e in Assiria hanno, tra l'altro, portato alla scoperta di lettere che rimontano alla fine del III millennio a. C. Le lettere egiziane più antiche sono note in copia: così la lettera del faraone Pjôpe (Pepi) II, che allora aveva otto anni (verso il 2360 a. C.), al governatore di Elefantina Hawwefhor (comunemente chiamato Harchuf) perché gli porti il pigmeo da lui catturato nel paese di Pwêne (Punt). Di epoca più recente sono i formularî epistolari ricopiati o compilati per esercizio dagli scribi. Le lettere per lunghi percorsi erano scritte su papiri, arrotolati in modo che il nome del destinatario rimanesse all'esterno e quindi legati e sigillati. Invece, per le comunicazioni di minore importanza si usavano cocci (óstraka). Le lettere trovate a Tell el-'Amārnah, del sec. XIV a. C. e che costituiscono il carteggio diplomatico dell'Egitto con i sovrani dell'Asia Minore, sono invece scritte su tavolette di terracotta, con caratteri cuneiformi e in lingua babilonese.
Le lettere babilonesi risalgono parimenti alla fine del III millennio a. C. Esse erano scritte su tavolette di argilla che venivano poi fatte seccare al fuoco o al sole. Per evitare che venissero lette da estranei, esse venivano involte in uno strato di argilla fresca, sul quale s'imprimeva il sigillo del mittente e il nome del destinatario. Dall'epoca di Hammurabi è arrivata sino a noi persino una lettera di amore di un certo Gimil-Marduk a una dama Bibiva.
Omero conosceva l'uso delle lettere (Iliade, VI, 168 segg.: episodio di Bellerofonte) e da quel passo risulta che le lettere si mandavano chiuse: si doveva trattare, come presso i Fenici, di tavolette di legno. Quest'uso, adottato poi dai Romani, si mantenne del resto sino alla fine dell'evo antico. Le tavolette erano legate a due (díptycha), a tre (tríptycha) o più (polyptycha), avevano le facce incavate e ricoperte di uno strato di cera su cui si scriveva con lo stilo; esse venivano legate con una cordicella e sigillate col sigillo del mittente. Per le lettere si usarono anche papiri, su cui si scriveva con il calamo e l'inchiostro, che venivano ripiegati o arrotolati e quindi assicurati con una cordicella. La pergamena invece fu cominciata a usare per scrivervi lettere solo verso la fine dell'antichità. Sulla parte esterna si scriveva il nome del destinatario, raramente il luogo di destinazione; le lettere s'iniziavano col nome del destinatario e quello del mittente e con un'espressione di saluto. Durante tutto l'alto Medioevo le lettere furono scritte quasi esclusivamente su pergamena; ed erano inviate al destinatario, arrotolate o ripiegate, annodate e sigillate. Dal sec. XII circa si cominciò a fare uso della carta di stracci; essa veniva inviata ripiegata più volte tanto per il lungo quanto per il largo, in modo da diminuirne l'ampiezza. La pergamena si continuò a usare per le lettere di sovrani, che dovevano essere conservate a lungo, per il valore giuridico o storico del loro contenuto. Ma a poco a poco l'uso della carta soppiantò completamente la pergamena. Fino a tempi recenti le lettere, scritte in generale su carta di grande formato, erano piegate quattro o cinque volte in un senso e tre volte in un altro; quindi i lembi rimasti liberi erano chiusi per mezzo di ostie o di ceralacca, e sigillate, mentre sulla faccia esterna si scriveva l'indirizzo del destinatario; oppure, la lettera era semplicemente piegata in tre, nel senso della larghezza; e quindi un lembo veniva appiccicato all'altro per mezzo di ostie o della ceralacca. Talvolta, per evitare che la lettera si macchiasse durante il trasporto, veniva avvolta in un foglio di carta bianca e resistente. Da quest'uso venne la busta (fr. enveloppe; sp. sobre; ted. Umschlag; ingl. cover); il primo esemplare di busta sarebbe del 1668; e nel 1789 ne era già abbastanza comune l'uso in Francia; ma il primo vero fabbricante di buste sarebbe il commerciante di carta inglese Brewer, di Brighton, che nel 1820 ne aveva appunto intrapreso la produzione in grande. Da allora le buste si diffusero per tutto il mondo civilizzato. Nei primi tempi esse erano prodotte a mano, ma nel 1845 l'inglese De la Rue inventò una macchina per fabbricare buste, perfezionata poi sino alle più recenti macchine, che possono produrre da 3000 a 5000 buste all'ora.