Letteratura e cinema
Fin dalle origini dell'industria cinematografica i registi e gli sceneggiatori si sono ispirati alle fonti letterarie, anche perché la nuova arte nasceva mentre le strutture del romanzo ottocentesco entravano in crisi a opera delle avanguardie e lasciavano uno spazio aperto al grande desiderio di narrazioni degli spettatori. Oggetto da sempre di indagini e dibattiti è stato il complesso rapporto tra fonti letterarie e immagini filmiche: i diritti e le libertà che l'autore cinematografico può assumersi rispetto all'originale letterario; i modi e gli strumenti più opportuni per far confluire un mezzo narrativo nell'altro; l'autonomia o l'obbligo alla fedeltà, teoricamente e sostanzialmente impossibile, del prodotto cinematografico rispetto alle sue fonti; la traduzione in immagine degli espedienti retorici di tipo letterario; i procedimenti narrativi; il valore delle sceneggiature come testo autonomo.
I padri del cinema, L.-J. Lumière e Th.A. Edison, si erano limitati, sul finire del 19° secolo, a un cinema-verità, che offriva al pubblico esclusivamente documentari. Essi non potevano immaginare che dopo pochi anni, nel 1902, G. Méliès avrebbe realizzato due film come Voyage dans la lune, ispirato ai romanzi fantascientifici di J. Verne e H.G. Wells, e Les voyages de Gulliver, tratto dal capolavoro di J. Swift. "Che il cinema potesse diventare prima di ogni altra cosa una macchina atta a raccontare storie, ecco qualcosa che non era stato davvero previsto", osservò Ch. Metz. E.S. Porter, che nel 1903 realizzò negli Stati Uniti The great train robbery (L'assalto al treno), film passato alla storia come il primo western, lo stesso anno aveva dato il via all'ambizioso progetto di ridurre per lo schermo, in quattordici quadri e un prologo, il popolare romanzo di H. Beecher Stowe, Uncle Tom's cabin. Da allora i classici della letteratura sono arrivati quasi tutti sugli schermi, da Dante a Shakespeare, da Flaubert a Tolstoj, da Brecht ad Andersen. La gamma di scelte e approcci è diversissima. Basti vedere, nel periodo del muto, come F.W. Murnau attinga sia alla letteratura popolare, come in Nosferatu - Eine Symphonie des Grauens (1922) - per il quale il regista fu accusato di aver plagiato il romanzo Dracula di B. Stoker, così che i negativi del film vennero distrutti -, sia alla letteratura alta, come in Tartüff (1925), dall'opera di Molière, o nel Faust (1926), in cui si sovrappongono richiami a Goethe, Marlowe e alle leggende medievali germaniche. È da notare che anche il primo film sonoro della storia, The jazz singer (1927; Il cantante di jazz), per la regia di A. Crosland, è tratto dall'omonima commedia di S. Raphaelson. Mentre per il primo kolossal in technicolor il produttore D.O. Selznick e il regista V. Fleming si rivolsero al best seller di quegli anni, Gone with the wind di M. Mitchell, realizzando l'omonimo film (1939; Via col vento, giunto in Italia nel 1949), che ha avuto il maggior numero di spettatori della storia del cinema.
In Italia, fin dal secondo decennio del 20° secolo, a un pubblico assetato di storie si proposero, seppure in filmati di poche decine di minuti, le opere di Omero, Dante, Shakespeare e D'Annunzio, portate per lo più sullo schermo in pochi rulli e senza l'indicazione degli autori. È significativo, infatti, che mentre spesso i letterati scagliavano invettive contro la nuova arte popolare, rea di non essere abbastanza 'colta', alcuni di loro, a partire da G. Papini, G. Verga, G. Gozzano, collaboravano con il cinema in veste semi-clandestina. Nel 1914 G. D'Annunzio, dietro lauto compenso, scrive le didascalie per Cabiria di G. Pastrone, e a sua volta diventerà nel corso del tempo l'ispiratore di una ricca filmografia che va da La figlia di Iorio di E. Bencivenga (1916), a Il delitto di Giovanni Episcopo di A. Lattuada (1947), a L'innocente (1976) di L. Visconti. L. Pirandello, oltre a essersi ispirato al cinema per scrivere i Quaderni di Serafino Gubbio operatore, a sua volta ha ispirato numerosi film: da Le feu Mathias Pascal di M. L'Herbier (1925), a Il fu Mattia Pascal (1937) di P. Chenal, realizzato contemporaneamente in versione francese (L'homme de nulle part), a Le due vite di Mattia Pascal di M. Monicelli (1985); da Die lebende Maske - Heinrich der Vierte (1926) di A. Palermi, tratto da Enrico IV, ed Enrico IV di M. Bellocchio (1984), a Kaos dei fratelli Taviani (1984), ispirato a quattro racconti delle Novelle per un anno; da La canzone dell'amore (1930) di G. Righelli, basato sulla novella In silenzio, a As you desire me (1932; Come tu mi vuoi) di G. Fitzmaurice, tratto dall'omonima commedia pirandelliana e interpretato da G. Garbo e E. von Stroheim.
Sono ormai ben pochi i testi letterari di qualche peso ignorati dal cinema, che si è appropriato di ogni sorta di autori - da Boccaccio a M. Proust, da M. Lowry a I. Asimov, a L. Sciascia, ma l'elenco è davvero sterminato - dando luogo spesso a imprevedibili e singolari rapporti tra opera cinematografica e testo letterario: basti pensare alla connessione tra Boule de suif di G. de Maupassant e Stagecoach (1939; Ombre rosse) di J. Ford, tratto da Stage to Lordsburg di E. Haycox, che a sua volta s'ispira all'opera di Maupassant; o tra Killer's choice del giallista statunitense E. McBain e Tengokuto Jigoku (1963; Anatomia di un rapimento) di A. Kurosawa (ma c'è chi vi vede anche influssi di Dostoevskij), tra Rear window di C. Woolrich e l'omonimo film di Hitchcock (1954; La finestra sul cortile). E non è da dimenticare il passaggio di alcuni classici (fiabe e romanzi) nei cartoni animati della Disney, con opere anche eccellenti come Pinocchio (1940), dal racconto di Collodi, Alice in Wonderland (1951; Alice nel paese delle meraviglie), dal romanzo di L. Carroll, o The jungle book (1967; Il libro della giungla), dalle storie di R. Kipling.
Ma tra le fonti letterarie più apprezzate e frequentate da registi e sceneggiatori vanno ricordate in particolar modo le opere di W. Shakespeare. A proposito di Henry V, l'attore e regista L. Olivier scrisse che "Shakespeare ha in un certo senso scritto per il cinema", e aggiunse: "se nel 1599 fosse esistito il cinema egli sarebbe diventato il più grande regista del suo tempo".
Il primo Macbeth, muto, fu realizzato da D.W. Griffith, con didascalie della brillante scrittrice e sceneggiatrice A. Loos; seguirono i 'grandi film shakespeariani', sia quelli interpretati e diretti da L. Olivier, Henry V (1945; Enrico V), Hamlet (1948; Amleto), Richard III (1955; Riccardo III) e Othello (1965; Otello), sia quelli portati sugli schermi da O. Welles, Othello (1952; Otello) e Campanadas a medianoche o Chimes at midnight (1966; Falstaff), o da J.L. Mankiewicz, Julius Caesar (1953; Giulio Cesare). Il ruolo di 'portavoce ufficiale' di Shakespeare è stato assunto negli anni Novanta da K. Branagh che, dopo l'interessante versione dell'Henry V (1989; Enrico V) e un 'multirazziale' Much ado about nothing (1993; Molto rumore per nulla), ha scelto la chiave della commedia per raccontare le difficoltà di mettere in scena l'Amleto con In the bleak mid-winter (1995; Nel bel mezzo di un gelido inverno), realizzando infine una versione integrale della tragedia (Hamlet, 1997), in costumi ottocenteschi, con se stesso nel ruolo del principe e J. Christie in quello di Gertrude. Negli anni precedenti anche F. Zeffirelli aveva portato sugli schermi un Amleto (1990), interpretato da M. Gibson; e a lui si devono La bisbetica domata (1967), con E. Taylor, e un Otello del 1986, da Verdi, con P. Domingo. P. Greenaway aveva affrontato nel 1991 The tempest con Prospero's book (L'ultima tempesta), interpretato da J. Gielgud, trasformando e reinventando il testo originale con l'ausilio di effetti elettronici. A. Kurosawa, che nel 1957 aveva proposto la sua interpretazione giapponese del Macbeth con Kumonosujo (Trono di sangue), è ritornato a Shakespeare nel 1985 con Ran, sontuoso affresco nipponico ispirato a King Lear. Il regista teatrale T. Nunn ha realizzato per il cinema Twelfth night (1997; La dodicesima notte); O. Parker ha invece messo in scena una mediocre versione di Othello (1995; Otello), in cui Branagh interpreta Jago; R. Loncraine ha ambientato nell'Inghilterra degli anni Trenta un Richard III (1996; Riccardo III) in versione 'nazifascista', affidando il ruolo di protagonista a I. McKellen. D. Jarman ha a sua volta portato sullo schermo in maniera affascinante e pauperistica, mantenendone l'ambientazione elisabettiana, Edward II (1991; Edoardo II); Al Pacino, come regista, ha diretto Looking for Richard (1996; In cerca di Richard), intelligente lavoro di analisi letteraria del Richard III trasposto brillantemente in forma cinematografica. Sotto il capitolo delle 'riletture personali' vanno ricordati West Side story di R. Wise (1961), versione rock ambientata a New York di Romeo and Juliet, e l'altra versione del medesimo lavoro in stile rock-punk, William Shakespeare's Romeo+Juliet (1996; Romeo+Giulietta di William Shakespeare), dell'australiano B. Luhrmann, film diametralmente opposto, nella sua frenesia rock, al Romeo e Giulietta di F. Zeffirelli (1968).
In Italia, dal dopoguerra, il ricorso ai nostri capolavori letterari ha spesso dato origine a grandi film che hanno ottenuto anche successo di pubblico: da Un maledetto imbroglio di P. Germi (1959), tratto da Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di C.E. Gadda - del quale esisteva una versione cinematografica scritta dallo stesso Gadda ma mai utililizzata -, a Il Gattopardo (1963) di L. Visconti dal romanzo di G. Tomasi di Lampedusa, al Fellini Satyricon (1969) di F. Fellini, liberamente ispirato all'opera di Petronio, a Il giardino dei Finzi Contini (1970), tratto dall'omonimo romanzo di G. Bassani, con cui V. De Sica ottenne l'Oscar per il miglior film straniero. B. Bertolucci con Il conformista (1970) ha realizzato uno dei migliori film tratti dall'opera di A. Moravia, insieme a La ciociara (1960) diretto da V. De Sica, Le mépris (1963; Il disprezzo) di J.-L. Godard, Gli indifferenti firmato da F. Maselli nel 1964. Accanto a opere italiane sono stati adattati, con alterni risultati, importanti testi della letteratura mondiale. Per il suo film La strategia del ragno (1970), Bertolucci si è ispirato a un racconto tratto da Ficciones di J.L. Borges, Tema del traditore e dell'eroe, mentre P.P. Pasolini si è rivolto ai classici con Edipo Re (1967), Medea (1970), Il Decameron (1971), I racconti di Canterbury (1972). Nel 1981 E. Scola con Passione d'amore ha riletto Fosca di I.U. Tarchetti; i fratelli P. e V. Taviani, oltre ai racconti di Pirandello, con Il sole anche di notte (1990) hanno tradotto per lo schermo un racconto di L. Tolstoj, Otec Sergej (Padre Sergio), e con Le affinità elettive (1996) hanno riletto il capolavoro di Goethe ambientandolo in Toscana. F. Archibugi ha affrontato nel 1994 l'intenso romanzo di F. Tozzi Con gli occhi chiusi; e F. Rosi, che in Cronaca di una morte annunciata (1987) aveva tradotto secondo il gusto hollywoodiano il racconto di G. García Márquez, ha realizzato nel 1997 La tregua, dall'opera di P. Levi. A Ch. Brontë si è ispirato F. Zeffirelli per portare sullo schermo un austero Jane Eyre (1996), con protagonista Ch. Gainsbourg.
Negli anni Novanta il ricorso alle opere letterarie ha generato nel cinema internazionale alcuni fenomeni degni di rilievo. Il più vistoso riguarda la produzione di film tratti da best seller che fin dal titolo rivelano al potenziale spettatore la natura e le caratteristiche dell'opera. I film ispirati ai romanzi di J. Grisham - a partire da The firm (Il socio), con T. Cruise, diretto da S. Pollack nel 1993 - sono considerati automaticamente film di Grisham e diffusi con questa etichetta, a prescindere dal nome del regista, anche se due grandi autori come F.F. Coppola e R. Altman, rispettivamente con The rainmaker (1997; L'uomo della pioggia) e The gingerbread man (1997; Conflitto d'interessi), hanno impresso un sigillo autoriale su due suoi romanzi. Lo stesso accade con i film tratti dai libri di spionaggio di T. Clancy, come The hunt for Red October (1990; Caccia a Ottobre Rosso) di J. McTiernan, interpretato da S. Connery; con i thriller 'legali' di S. Turow, come Presumed innocent (1990; Presunto innocente) di A.J. Pakula, o con quelli di Th. Harris, come Manhunter (1986; Manhunter - Frammenti di un omicidio) per la regia di M. Mann, ispirato a Red Dragon. Tra i soggetti tratti dai romanzi di Harris fa eccezione The silence of the lambs (1991; Il silenzio degli innocenti), diretto da J. Demme e acclamato dal pubblico come film di Demme. È una garanzia di successo l'associazione di un regista noto a un autore di richiamo, come nel caso di Jurassic Park (1993) che S. Spielberg ha tratto dall'omonimo romanzo di M. Crichton. Dall'opera di questo fortunato scrittore, peraltro lui stesso sceneggiatore e regista, sono stati tratti numerosi film, compreso Rising sun (Sol levante), diretto da P. Kaufman nel 1993. Altro esempio di famoso romanzo contemporaneo tradotto in film è Il nome della rosa di U. Eco, realizzato per lo schermo da J.-J. Annaud nel 1986.
Ma tante più ambizioni ha un testo letterario, tanto più rischiosa ne è la traduzione cinematografica: è il caso di The house of the spirits (1993; La casa degli spiriti) di B. August, film riduttivo della saga cilena narrata da I. Allende; i modesti Bright lights, big city (1988; Le mille luci di New York) di J. Bridges (dal romanzo di J. McInerney) e Less than zero (1987; Al di là di tutti i limiti) di M. Kanievska (da Less than zero di B.E. Ellis) si ricordano più per i titoli dei romanzi 'minimalisti' dai quali sono tratti che per i registi. Anche in Italia la riduzione cinematografica dei libri di successo non sempre raggiunge risultati pienamente soddisfacenti: ne sono un esempio Sostiene Pereira, con l'interpretazione di M. Mastroianni, tratto da A. Tabucchi e diretto nel 1995 da R. Faenza, e Va' dove ti porta il cuore, dal romanzo di S. Tamaro, portato sullo schermo da C. Comencini nel 1996.
Fenomeno più interessante, sia dal punto di vista cinematografico sia da quello letterario, è la 'scoperta' da parte del pubblico delle sale cinematografiche di certi scrittori grazie alla traduzione in film delle loro opere. È questo il caso di P. Bowles, il cui romanzo The sheltering sky è stato portato sullo schermo da B. Bertolucci con Il tè nel deserto (1990). Il film ha dato il via a un vero e proprio 'culto' dello scrittore americano - che nel film ricopre il ruolo di testimone della vicenda -, tanto che in Italia si sono moltiplicate le traduzioni delle sue opere. Lo stesso è accaduto per la neozelandese J. Frame, autrice di una trilogia autobiografica che ha ispirato il film An angel at my table di J. Campion (1990; Un angelo alla mia tavola). Il grande pubblico ha conosciuto K. Ishiguro grazie a The remains of the day (Quel che resta del giorno) che J. Ivory, con sceneggiatura dell'autore stesso, ha realizzato nel 1993 dal bellissimo romanzo dello scrittore anglo-giapponese. Analoga funzione hanno svolto The commitments, diretto da A. Parker nel 1991, che seguiva le avventure di un gruppo rock, e poi The snapper (1993) e The van (1996; Due sulla strada), entrambi diretti da S. Frears, tutti ispirati all'irlandese R. Doyle e al mondo di Barrytown, città inesistente che presenta però tutte le caratteristiche dell'Irlanda.
Un autore 'di culto' come lo scozzese I. Welsh è stato scoperto attraverso l'effetto scandalo di Trainspotting di D. Boyle (1996), cruda rappresentazione del mondo della droga. Il successo mondiale dell'ultimo film interpretato da M. Troisi, Il postino (1994) diretto da M. Radford - già regista di 1984 (1984; Orwell 1984), dal romanzo di G. Orwell - ha fatto conoscere l'incantevole testo che lo ha ispirato, Ardiente paciencia dello scrittore cileno A. Skármeta, uscito in Italia col titolo Il postino di Neruda. R. Altman, nel suo affresco di Los Angeles Short cuts (1993; America oggi) ha offerto una rilettura in chiave personale e letterale al tempo stesso dei racconti di R. Carver, riproponendoli a un più vasto pubblico. D. Cronenberg, sempre alla ricerca di soggetti consoni alla sua tormentata visione del mondo, ha trovato ispirazione in Naked lunch di W. Burroughs per l'omonimo film (1992; Il pasto nudo), e ha portato sullo schermo nel 1996 un controverso Crash, tratto dal romanzo di J.G. Ballard. Merita una segnalazione il fortunatissimo Four weddings and a funeral (1994; Quattro matrimoni e un funerale) di M. Newell: l'emozione suscitata dai versi di W.H. Auden recitati in una sequenza del film ha favorito la conoscenza del poeta inglese e promosso la pubblicazione di una raccolta delle sue liriche d'amore. Viceversa, il film premiato da più Oscar The English patient (1996; Il paziente inglese), di A. Minghella, riduce il complesso romanzo di M. Ondaatje a una storia avventurosa e sentimentalistica. Un caso a parte è la scoperta attraverso un film come Schindler's list diretto da S. Spielberg (nove Oscar nel 1993) non tanto dell'autore dell'omonimo romanzo, l'australiano Th. Keneally, quanto di un pezzo di storia sconosciuta. Ma le 'scoperte' più suggestive e fruttuose riguardano forse la giovane letteratura cinese che il pubblico cinematografico occidentale ha conosciuto grazie ai film di Zhang Yimou: pensiamo a Hong gaoliang (1987, Sorgo rosso), tratto dall'omonimo romanzo di Mo Yan, o a Dahong Denglong gaogao gua (1991; Lanterne rosse), tratto dal romanzo Qiqie chengqun (Mogli e concubine) di Su Tong.
Nel panorama dell'attuale cinematografia si può individuare come altro fenomeno un ritorno alla grande letteratura classica, indotto forse dalla povertà di idee e dal proliferare di film nutriti di esperienza quotidiana e di linguaggi effimeri o gergali. Il messicano A. Cuaron ha riletto in chiave moderna e americanizzata Ch. Dickens con Great expectations (1998; Paradiso perduto). L'inglese M. Winterbottom ha trasposto Jude the Obscure di Th. Hardy in Jude (1997). Finanche una regista innovativa e 'avventurosa' come J. Campion, al suo quinto lungometraggio, si è cimentata con H. James e ha portato sullo schermo un avvincente e molto discusso Portrait of a lady (1996; Ritratto di signora), letto al femminile e interpretato da N. Kidman nel ruolo di Isabel. Sempre a James si è ispirata A. Holland per una bella versione di Washington Square (1997). Non altrettanto felice è la Lolita (1997) di A. Lyne, che fa rimpiangere la versione del capolavoro di V. Nabokov firmata da Kubrick nel 1962.
Il più grande cultore del cinema d'ispirazione letteraria è però lo statunitense J. Ivory, il quale, pur misurandosi anche con scrittori contemporanei come in Slaves of New York (1988; Schiavi di New York), tratto dai racconti di T. Janowitz, ha 'esplorato', con risultati non sempre positivi, i classici della letteratura angloamericana.
Nel 1981, con Quartet, Ivory aveva ridotto per il grande schermo il romanzo parigino di J. Rhys (Postures; più noto col titolo della 2ª ed., Quartet); il film risulta ancora più apprezzabile allorché lo si confronti con Wide Sargasso Sea (1993; Il grande mar dei Sargassi) di J. Duigan, versione 'americanizzata' dell'omonimo romanzo della scrittrice inglese. Nel 1984 Ivory ha diretto The Bostonians (I bostoniani), dal romanzo di H. James, e ha riscosso grande successo con A room with a view (1985; Camera con vista), tratto dal romanzo di E.M. Forster; sempre da Forster ha realizzato Maurice (1987), e ha tradotto con notevoli equilibrio e cura Howard's end nell'omonimo film (1992; Casa Howard); ha inoltre adattato due romanzi di E.S. Connell, dedicati ciascuno a un coniuge, in Mr & Mrs Bridge (1990).
Si può considerare quasi un fenomeno a parte l'attrazione esercitata sui cineasti da J. Austen, scrittrice tornata improvvisamente 'di moda' negli anni Novanta dopo l'impeccabile Pride and prejudice (Orgoglio e pregiudizio) realizzato da R.Z. Leonard nel 1940: il mondo della "signorina di Bath" ha riscosso un primo successo grazie al piacevole e intelligente Sense and sensibility (1995; Ragione e sentimento), sceneggiato da E. Thompson, che interpreta la diciannovenne Elinor, e diretto dal taiwanese Ang Lee (Li Ang). È seguito il più austero Persuasion (1996) di R. Michel, esperimento interessante e meno 'spettacolarizzato'. D. McGrath ha portato sullo schermo una 'verbosa' versione di Emma (1996), mentre A. Eckerling si è ispirato allo stesso romanzo della Austen per Clueless (1996; Ragazze a Beverly Hills), ambientato nella California dei giorni nostri.
Sempre in ambito di adattamento cinematografico della grande letteratura, un esempio di operazione ben riuscita è dato da Dangerous liaisons (1988; Le relazioni pericolose), dal romanzo di Ch. de Laclos, portato sullo schermo da S. Frears su sceneggiatura di Ch. Hampton; lo stesso Hampton firmerà da regista un non brillante The secret agent (1997; Agente segreto), dal romanzo di J. Conrad che aveva già ispirato il bel Sabotage (1936; Sabotaggio) di A. Hitchcock. Emozionante e delicato è The age of innocence (1993; L'età dell'innocenza) che M. Scorsese ha tratto da E. Wharton. Bram Stoker's Dracula (1992; Dracula di Bram Stoker) di F.F. Coppola, denso di sorprese e d'invenzioni, restituisce il testo originario con più fedeltà rispetto alle innumerevoli versioni precedenti, non tutte di alto livello; lo stesso si può dire per il Mary Shelley's Frankenstein (1994; Frankenstein di Mary Shelley) di K. Branagh.
Tuttavia la rivisitazione dei classici si può presentare puramente 'illustrativa', e sfocia a volte nel grottesco, come nel pesante e poco fortunato Germinal (1993) di C. Berri, dal grande romanzo di É. Zola, che soltanto in Francia ha riscosso, a sorpresa, lo stesso successo di Jurassic Park. Accurata e fedele, seppure mediocre, è la versione di C. Chabrol di Madame Bovary (1991), dove l'eroina di Flaubert è interpretata da I. Huppert. Non del tutto riuscito è anche Le hussard sur le toit (1995; L'ussaro sul tetto), dal romanzo provenzale di J. Giono, diretto da J.-P. Rappeneau che aveva già realizzato nel 1990 una splendida trasposizione del capolavoro di E. Rostand, Cyrano de Bergerac, affidando il ruolo di protagonista a G. Depardieu. Negli Stati Uniti, R. Joffe ha firmato una versione del romanzo di N. Hawthorne, The scarlet letter (1996; La lettera scarlatta), corredata di un imprevisto lieto fine e interpretata da D. Moore nel ruolo di Esther Prynne.
Una segnalazione a parte meritano le riletture dei classici offerte da alcuni maestri del cinema. Un autentico capolavoro è stato realizzato da J. Huston con The dead (1987; Gente di Dublino), trascrizione letterale - stessi tempi, stesso ritmo, stesse parole, stessa intensa atmosfera - del testo di J. Joyce. È da ricordare anche F. Truffaut, che in La chambre verte (1978; La camera verde) aveva riletto in chiave personale The altar of the dead di H. James. Con La belle noiseuse (1991; La bella scontrosa) J. Rivette ha trasposto la novella Le chef-d'oeuvre inconnu di H. de Balzac, effettuando un'operazione del tutto insolita: narrare una breve storia in un film della durata di quattro ore. Nel 1993 M. de Oliveira in Vale Abraão (La valle del peccato) ha rivisitato Madame Bovary di G. Flaubert secondo i moduli del surrealismo portoghese. Nel suo film Vanya on 42th street (1994; Vanja sulla 42ª strada), L. Malle ha messo in scena, con incisiva modernità, le prove di Djadja Vanja (Zio Vanja) di A. Čechov. Nel 1996 S. Bodrov ha trascritto in chiave contemporanea il racconto di L. Tolstoj Kavkazskij plennik (Il prigioniero del Caucaso), ambientandolo in Cecenia, e P. Greenaway ha creato un'opera di straordinaria raffinatezza calligrafica con The pillow book (Racconti del cuscino), ispirato a un celebre testo della letteratura giapponese, Makura no sōshi (Appunti del guanciale), scritto dalla dama di corte Sei Shōnagon intorno all'anno 1000. Mentre in Italia M. Bellocchio, che aveva già attinto ai classici del teatro con Il gabbiano (1977), suggestiva versione della commedia di Čechov, e con il pirandelliano Enrico IV (1984), ha dato con Il Principe di Homburg (1997) un'intensa trascrizione cinematografica della tragedia di H. von Kleist. L'ultima opera di S. Kubrick, Eyes wide shut, uscita postuma nel 1999, è tratta con fedeltà impressionante, nonostante la trasposizione dalla Vienna d'inizio secolo alla Manhattan di fine millennio, da Traumnovelle di A. Schnitzler. Sempre nel 1999, con Le temps retrouvé, R. Ruiz ha tentato la rilettura cinematografica dell'ultimo capitolo della Recherche di M. Proust, e M. de Oliveira ha ambientato nel nostro tempo la sua bella versione del romanzo di Madame de La Fayette, La princesse de Clèves, intitolandola A carta.
Accanto alla narrativa colta e al teatro, il cinema si è sempre rivolto anche a opere di grande successo presso il pubblico, traendone talvolta dei buoni film: The big sleep (1946; Il grande sonno) di H. Hawks, ispirato al romanzo di R. Chandler; il già citato Rear window di A. Hitchcock, da un racconto di C. Woolrich, e La mariée était en noir (1968; La sposa in nero) di F. Truffaut, anch'esso tratto da Woolrich; 2001: A space Odyssey (1968; 2001: Odissea nello spazio) di S. Kubrick, da tre racconti di A.Ch. Clarke; ancora di Kubrick, Shining (1980), dal romanzo di S. King; Blade Runner (1982) di R. Scott, tratto da Do androids dream of electric sheep? di Ph.K. Dick. I numerosi film ispirati ai gialli di A. Christie da soli costituiscono un 'genere' e variano dalla pura illustrazione, come Death on the Nile (1978; Assassinio sul Nilo) di J. Guillermin, a capolavori quali Witness for the prosecution (1957; Testimone d'accusa) di B. Wilder. È da segnalare inoltre il grande successo della serie di film tratta dai racconti di I. Fleming sull'agente 007, con l'interpretazione di S. Connery, iniziata nel 1962 con Dr. No (Agente 007 - Licenza di uccidere).
A saldare ulteriormente i vincoli tra il cinema e la letteratura hanno contribuito molti scrittori prestando la loro opera in qualità di sceneggiatori. R. Lardner, per es., ha scritto Woman of the year (1942; La donna del giorno) di G. Stevens, e M.A.S.H. (1970) di R. Altman. Colette ha lavorato assiduamente per il cinema fin dagli anni Venti: tra le sue sceneggiature, Divine (1935) di M. Ophüls, e Gigi (1949) di J. Audry; dalla stessa commedia di Colette è tratto il più famoso Gigi realizzato nel 1958 da V. Minnelli, con sceneggiatura di A.J. Lerner. Lo scrittore A. Miller, di cui sono state adattate per il cinema numerose opere teatrali, è stato lo sceneggiatore di The misfits (1961; Gli spostati), realizzato da J. Huston; per lo stesso regista J.-P. Sartre ha scritto una sceneggiatura su Freud rimasta però irrealizzata. Sartre, che peraltro ha ispirato con le sue opere numerosi film, firmò molte sceneggiature, tra cui Les jeux sont faits (1947; Risorgere per amare) di J. Delannoy e Les sorcières de Salem (1956; Le vergini di Salem) di R. Rouleau, tratto dal dramma di A. Miller The crucible. W. Faulkner ha collaborato con H. Hawks sceneggiando To have and have not (1940; Acque del Sud), dal romanzo di Hemingway, e il citato The big sleep da Chandler. Uno degli esempi più cospicui del fascino esercitato dal cinema sugli scrittori è rappresentato da F.S. Fitzgerald, che spese gli ultimi anni della sua vita lavorando come sceneggiatore e lasciò uno spietato ritratto del mondo di Hollywood nel suo ultimo romanzo incompiuto, The last tycoon (Gli ultimi fuochi), portato sugli schermi da E. Kazan nel 1976. Intenso è anche il legame con il cinema dello scrittore inglese I. McEwan, che ha sceneggiato tra l'altro uno dei film più duri dell'era thatcheriana, The ploughman's lunch (1983; L'ambizione di James Penfield) di R. Eyre, e ha ispirato con i suoi romanzi numerosi film, tra cui The comfort of strangers (1990; Cortesie per gli ospiti), sceneggiato da H. Pinter e diretto da P. Schrader, The cement garden (1993; Il giardino di cemento) di A. Birkin, e The innocent (1993) diretto da J. Schlesinger.
In Italia sono moltissimi gli scrittori che hanno lavorato e lavorano per il cinema, spesso creando duraturi quanto felici sodalizi. Si pensi soprattutto a E. Flaiano, che ha firmato la sua prima sceneggiatura nel 1942 (Pastor Angelicus di R. Marcellini) ed è stato collaboratore di Fellini per oltre un decennio: dal film d'esordio, Luci del varietà (1951), a Lo sceicco bianco (1952), I vitelloni (1953), Il bidone (1955), tutti scritti insieme a T. Pinelli, fino ai memorabili La dolce vita (1959) e 8¹/₂ (1963), che testimoniano la piena fusione tra l'esuberanza dell'immaginario felliniano e l'acume critico dello scrittore pescarese. Non meno importante l'apporto al cinema del poeta T. Guerra, che ha esordito come sceneggiatore nel 1957 (Uomini e lupi di G. De Santis): dal sodalizio con M. Antonioni sono nati L'avventura (1959), La notte (1960), L'eclisse (1962), Deserto rosso (1964), Blow-up (1966) e altri ancora fino a Identificazione di una donna (1982); mentre dalla calda sintonia con l'universo del corregionale Fellini è scaturito il soffuso, pastoso lirismo di Amarcord (1973), Oscar per il miglior film straniero, e di E la nave va (1983). Sempre nel 1983, Guerra ha firmato anche la sceneggiatura di Nostalghia di A. Tarkovskij. E ancora U. Pirro, che ha legato il suo nome al cinema impegnato lavorando accanto a C. Lizzani (Achtung, banditi!, 1951; Il processo di Verona, 1963), E. Petri (A ciascuno il suo, 1967; La classe operaia va in paradiso, 1971), M. Bolognini (Metello, 1970). Ma sono tanti i nomi che ancora si potrebbero fare, da A. De Benedetti (Il marito è mio e l'ammazzo quando mi pare, 1967, di P. Festa Campanile) a L. Malerba, a V. Cerami, che ha fornito soggetti e sceneggiature a molti autori del cinema italiano, come M. Monicelli (Un borghese piccolo piccolo, 1977), G. Amelio (I ragazzi di via Panisperna, 1988), e soprattutto R. Benigni (Il piccolo diavolo, 1988; Johnny Stecchino, 1991; La vita è bella, 1997, premio Oscar per il miglior film straniero).
Non mancano autori che si sono dedicati alle due professioni di scrittore e di regista: un significativo esempio è P.P. Pasolini, che ha trovato nella macchina da presa uno strumento per esprimere la sua poetica non meno efficace della penna (da Accattone, 1961, a Uccellacci e uccellini, 1966, fino a Salò o le 120 giornate di Sodoma, 1975), o a M. Soldati, più famoso come narratore ma fortemente attratto dal cinema e autore di film come Piccolo mondo antico (1941) e Eugenia Grandet (1946); o ancora al poeta N. Risi, che ha firmato come regista Andremo in città (1966, tratto dall'omonimo romanzo della moglie E. Bruck) e Diario di una schizofrenica (1968). A. Robbe-Grillet ha sceneggiato per A. Resnais L'année dernière à Marienbad (1961; L'anno scorso a Marienbad), ma ha anche diretto in proprio film come Trans-Europ-Express (1966; Trans-Europ-Express - A pelle nuda) e Glissements progressifs du plaisir (1971; Spostamenti progressivi del piacere). M. Duras è stata insieme sceneggiatrice (per es. del suo romanzo Hiroshima mon amour, diventato un film di A. Resnais nel 1959), regista (per es. India song, 1974) e ispiratrice, con i suoi romanzi, di altri registi, da R. Clément per La diga sul Pacifico (1957), tratto da Un barrage contre le Pacific, a J.-J. Annaud per L'amant (1991; L'amante), dal romanzo omonimo. P. Handke ha scritto e diretto Die linkshändige Frau (1978; La donna mancina) e ha intrattenuto con W. Wenders una lunga collaborazione partecipando alla sceneggiatura di vari film, da Die Angst des Tormanns beim Elfmeter (1971; Prima del calcio di rigore), tratto dal suo romanzo, a Falsche Bewegung (1975; Falso movimento), fino a Der Himmel über Berlin (1987; Il cielo sopra Berlino). Tra i drammaturghi, il britannico D. Hare ha firmato con Wetherby (1984; Il mistero di Wetherby) un bellissimo giallo; e lo statunitense D. Mamet, molto attivo come sceneggiatore - per es. di Glengarry Glenn Rose (1992; Americani) per la regia di J. Foley - ha anche diretto alcuni interessanti film come House of games (1987; La casa dei giochi) e Homicide (1991). Romanziere, sceneggiatore e regista di pari successo è l'irlandese N. Jordan, che ha firmato film quali The company of wolves (1984; In compagnia dei lupi), da un racconto di A. Carter, e The crying game (1992; La moglie del soldato), con cui si è aggiudicato l'Oscar per la sceneggiatura. Lo scrittore anglo-pakistano H. Kureishi, che ha offerto a S. Frears le brillanti sceneggiature di My beautiful laundrette (1985) e Sammy and Rosie get laid (1987; Sammy e Rosie vanno a letto), nel 1991 ha esordito nella regia con London Kills me (uscito in Italia in videocassetta, Londra mi fa morire).
Sul finire del Novecento, mentre gli autori più giovani rifiutano qualsiasi influenza letteraria e preferiscono esercitare il loro talento nella reinvenzione e scomposizione del patrimonio cinematografico dei generi (per es. Pulp fiction, 1994, di Q. Tarantino) o nella presa diretta della realtà (Clerks, 1994, Clerks - Commessi, di K. Smith), in alcune esperienze cinematografiche si riscontra una forte valenza letteraria. Sono altrettanti 'racconti morali', per esempio, fruibili anche alla semplice lettura dato il valore autonomo delle sceneggiature rispetto al prodotto cinematografico, i dieci episodi del Dekalog (Decalogo) realizzati da K. Kieślowski tra il 1987 e il 1989; e a una grande saga letteraria si possono paragonare i due cicli di Heimat, realizzati da E. Reitz rispettivamente nel 1984 e nel 1992. Ma il caso forse più interessante è quello del film The piano (1993; Lezioni di piano), della regista J. Campion, una sorta di romanzo per immagini che sembra scritto da E. Brontë mentre richiama J. Conrad per l'ambientazione esotica. Il film rivela una profonda nostalgia della grande narrativa ottocentesca e suscita il desiderio di leggere un romanzo inesistente. Un vero romanzo è infine quello che un grande maestro, I. Bergman, ha scritto per un altro autore cinematografico, offrendo a Liv Ullman, già protagonista dei suoi più importanti film, il materiale per lo splendido Enskilda samtal (1997; Conversazioni private).
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