Letteratura e società
Impostazione del problema.Il rapporto tra letteratura e società è suscettibile di varie interpretazioni non soltanto perché la sua natura è complessa ed è possibile far prevalere l'uno o l'altro dei due momenti, affermando una dipendenza meccanica della letteratura dalla società o una sua assoluta autonomia (negando così addirittura il problema), oppure ancora stabilendo tra esse vari tipi di azione reciproca - ma anche perché i due termini del rapporto sono tutt'altro che univoci e possono essere, anzi sono e sono stati, variamente definiti. Tale rapporto inoltre, nella sua astrattezza, cioè a prescindere da ogni concretizzazione che ne specifichi la natura e precisi il senso dei due concetti che esso collega, è tutt'altro che ovvio e 'naturale', come invece può apparire a chi abbia consuetudine con gli studi di sociologia della letteratura. La questione del rapporto tra letteratura e società nasce, infatti, in un preciso e piuttosto recente momento storico di una particolare parte dell'umanità, e nasce quasi simultaneamente alla riflessione critica sulla società e sulla letteratura, anzi al formarsi stesso della società e della letteratura così come oggi le viviamo e conosciamo: tale momento storico è, grosso modo, quello della formazione del mondo moderno, tra XVIII e XIX secolo, e la parte di mondo in cui tale questione emerge alla coscienza e si propone alla conoscenza è, naturalmente, l'Europa occidentale. Ciò implica che, quando si parla del rapporto letteratura/società per epoche e aree diverse da queste, si proietta una problematica cronotopicamente determinata al di là del suo ambito originario. Estrapolazione legittima, se controllata da un adeguato senso storico e critico. Del resto, anche per quel che riguarda il mondo moderno ed europeo (o, se si vuole, 'occidentale') le connessioni tra letteratura e società hanno subito, nel corso degli ultimi due secoli, mutamenti profondi col mutare stesso della società e della letteratura, mutamenti che proprio ora, alla fine del XX secolo e in una situazione socioculturale che si è soliti chiamare 'postmoderna', sono particolarmente forti, se non decisivi.
Sembrerebbe ovvio, inoltre, pensare che il rapporto tra letteratura e società, comunque lo si definisca, costituisca lo specifico ed esclusivo campo di analisi di una precisa disciplina, la sociologia della letteratura, la cui costituzione è tuttavia molto più recente della riflessione sul rapporto stesso. In realtà, anche oggi la sociologia della letteratura non può vantare il monopolio del problema. Non c'è, infatti, riflessione sulla letteratura (e, si può dire, sulla società) che possa ignorare il rapporto in questione, anche quando, come in alcune poetiche di singoli scrittori o di determinate correnti, si afferma l'indipendenza della letteratura: si tratta, infatti, di una rivendicazione polemica della 'letteratura per la letteratura', la quale presuppone come termine negativo la tesi della 'letteratura per la società', giungendo a sostenere un paradossale primato della letteratura rispetto alla società, senza poter però annullare il problema.
Il rapporto che qui ci interessa è, d'altra parte, nella formulazione che finora se ne è data, troppo schematico e nudo e, come tale, valido soltanto per una prima e preliminare sua considerazione. Non si danno, infatti, la 'letteratura' da una parte e la 'società' dall'altra, qualunque sia poi la definizione che si fornisce dei due termini. Il rapporto si può riproporre con una infinità di altri concetti, nessuno dei quali è indifferente per la comprensione della diade letteratura/società. Si può, infatti, porre la questione del rapporto letteratura/religione o letteratura/politica e così via, da una parte, e, dall'altra, religione/società, ecc. Si crea allora una rete praticamente illimitata di relazioni, il cui insieme dinamico costituisce quella che possiamo chiamare 'cultura', e da questo punto di vista una 'società' in sé che si rapporti a 'letteratura', 'religione', 'politica', ecc. diventa una pura astrazione, poiché essa è letteratura, religione, politica e un'infinità di altre sfere interconnesse di attività material-spirituale, compresa naturalmente la sfera economica e giuridica. Il marxismo, ispiratore di tanta sociologia della letteratura, ha creato un ordine illusorio nella complessità del mondo socioculturale, stabilendo una gerarchia tra 'base' e 'sovrastruttura' che è stata variamente interpretata (come interazione dialettica tra esse o come determinazione meccanica della prima rispetto alla seconda), ma che costituisce pur sempre una semplificazione, modellata su un particolare tipo di realtà: quella del primo capitalismo europeo-occidentale (ma anche questa realtà si presta a essere interpretata altrimenti). D'altra parte non sembra che, in antitesi allo schema marxista base-sovrastruttura, si possa sostenere una confusa e amorfa interdipendenza di tutte le sfere della cultura, le quali al contrario si ordinano secondo gerarchie dinamiche, al cui interno, in varie fasi e in varie situazioni, può prevalere, per riprendere i termini marxisti, la 'base' o la 'sovrastruttura', o una determinata sfera di quest'ultima, con la precisazione che il sistema della cultura è un tutto inscindibile, in cui non si dà 'base' senza 'sovrastruttura' e viceversa.
La riflessione su letteratura e società, si è detto, nasce e si sviluppa insieme al mondo moderno, il che vuol dire che essa non si pone nelle società premoderne o tradizionali, anche se poi si proietta su di esse e si estende a esse, col pericolo di 'modernizzarne' concettualmente lo studio. Questo avviene perché solo nel mondo moderno da una parte si costituisce la 'società civile' e, dall'altra, la letteratura diventa un istituto sociale accanto a vari altri, dalla religione alla scienza, formando con essi la rete delle relazioni socioculturali. Una rete acentrica, poiché nessun istituto ha una posizione privilegiata, neppure la religione che nelle società tradizionali costituiva il monocentro, contendendo la preminenza al potere politico. E neppure la scienza, la quale, nonostante il peso decisivo che ha acquistato in quanto apparato scientifico-tecnologico, trova un limite nel potere politico che, pur essendone condizionato, la 'usa'. Anche quest'ultimo, del resto, nella realtà moderna ha perso la sostanzialità centralistica che aveva nelle società tradizionali e, pur concentrandosi simbolicamente nello Stato, è diffuso in una serie di micropoteri che rendono il macropotere statale se non inessenziale, certo relativo e parziale. Solo il totalitarismo, nel nostro secolo, ha tentato di costituire un nuovo assolutismo, dotato però di una sua peculiarità che lo rende del tutto nuovo rispetto agli autoritarismi tradizionali. Se nelle società post-tradizionali, in cui il potere è diffuso e mobile, quella sfera della cultura che è la letteratura stabilisce un vario e libero rapporto con la società di cui è parte, e sente come sempre meno attuale la questione del suo rapporto col potere centrale (censura, ecc.), nelle società totalitarie la letteratura, come l'intera società, viene sottomessa a un potere infinitamente più forte che non è più solo di Stato, ma anche di partito, anzi più del secondo che del primo, e rivive, in forme grottescamente e tragicamente peggiorate, un rapporto di dipendenza diretta che la 'rivoluzione moderna' aveva superato - come sembrava, almeno, all'inizio del nostro secolo - definitivamente. Ma in altre realtà, che non possono essere definite totalitarie nel senso preciso che questo termine ha assunto per l'Europa centrale e orientale nei decenni fra la fine della prima guerra mondiale e la fine della 'guerra fredda', cioè ad esempio nella realtà semitradizionale di alcuni paesi islamici, il rapporto letteratura/società e letteratura/potere si ripresenta in termini premoderni e quasi totalitari (teocratici), come il 'caso Rushdie' insegna.
Nel mondo moderno, ma in vario modo nel corso del suo sviluppo, il rapporto letteratura/potere, come parte essenziale di quello letteratura/società, si trasforma nel rapporto letteratura/poteri. Rispetto alle società tradizionali lo scrittore supera il rapporto di dipendenza da un signore e si professionalizza in modo evidente. Si tratta, però, di due processi ambigui, poiché da una parte la perdita della dipendenza diretta da un potere personalizzato si accompagna alla dipendenza indiretta da una serie di centri di poteri impersonali, che possiamo chiamare globalmente 'mercato', intendendo con questo termine non solo gli editori e il pubblico, ma l'insieme della 'società letteraria' (salotti, movimenti, critica, gusto, ecc.); dall'altra, la professionalizzazione comporta sì un'attività lavorativa condizionata da uno specifico mercato e da una specifica società (l'uno e l'altra definibili come letterari), ma implica nello stesso tempo una stratificazione all'interno dei 'produttori letterari' e, ciò che più conta, una sacralizzazione o aristocratizzazione di una parte ristretta di questi, i quali così diventano non più 'produttori', bensì 'creatori'. Si tratta di un processo complesso che riguarda non solo lo scrittore e la letteratura, ma l'intera attività spirituale, per cui si forma un particolare uomo di lettere o di cultura o di pensiero, che prenderà il nome generico di 'intellettuale'. In questa nuova realtà, caratterizzata dalla democraticità del mercato e dall'aristocraticità dello 'Spirito', la letteratura pensa al suo rapporto con la società e viceversa la società, per usare sempre questo concetto così astratto, reagisce alla letteratura, ossia ne decreta valore e disvalore, attualità ed estraneità, successo e solitudine. A sua volta la letteratura, reagendo alla moderna società, riflette soprattutto su se stessa, sulle sue possibilità e sulla sua vitalità, 'studiando' la non letteratura, ossia il mondo, in funzione di quel patrimonio di valori, un tempo sacri e ora secolarizzati, dei quali essa si sente depositaria.
Nasce, su questa base, una particolare dialettica di nostalgia e di speranza, di tradizione e di rivoluzione, di arcaismo e di novatorismo, che spinge la letteratura a variare infinitamente i suoi rapporti con la società, non solo - come è chiaro - diacronicamente, ma anche all'interno di uno stesso orizzonte sincronico e in un medesimo contesto sociale. Per questo la tesi non solo marxista della letteratura che 'riflette' la società è semplicistica: non si tratta, infatti, soltanto di una troppo elementare accezione del concetto di 'rispecchiamento', ma soprattutto del fatto che i vari rispecchiamenti simultanei e contraddittori sono tutti veri, per cui la società 'rispecchiata' contemporaneamente da Dostoevskij, Tolstoj, Turgenev, ecc. sarebbe, semmai, quella risultante da un rispecchiamento dei rispecchiamenti capace di ordinare i vari 'riflessi'. In realtà, il 'mondo di Dostoevskij', il 'mondo di Tolstoj', il 'mondo di Turgenev', ecc. sono parti di un cosmo in continuo divenire, che non è tanto quello della Russia di una determinata fase del XIX secolo, quanto quello della storia dell'uomo in un tempo lungo che trascende ogni tempo breve e sfocia nell'eterno. Il rapporto letteratura/società si fa adeguatamente complesso, assumendo una dimensione storica e metastorica e centrandosi sui 'costruttori di mondi', cioè sui singoli scrittori col loro orientarsi soggettivo su una realtà. Ogni mondo letterario è una definizione della realtà (quindi della società) e delle sue categorie (spazialità, causalità, ecc.) e, insieme, un particolare atteggiamento valutativo nei riguardi della realtà così definita e vissuta.
Se è questo il rapporto fondamentale tra letteratura e società, al di fuori dell'opera letteraria tale rapporto si articola in una serie di relazioni tutt'altro che inessenziali. C'è il problema del mercato letterario, cioè delle case editrici, dei diritti d'autore, delle librerie, della pubblicità, problema che s'intreccia a quello dell'estetica (v. Woodmansee, 1994). Se questo problema precede, per così dire, l'opera letteraria, una volta che l'opera è edita e si offre alla lettura il problema diventa non più di produzione ma di consumo, articolandosi su un duplice piano: quello del successo e della diffusione presso il lettore comune, cioè il pubblico, e quello dell'interpretazione e della valutazione presso il lettore professionale, cioè il critico. Tra questi 'prima' e 'poi' rispetto all'opera c'è quello che i formalisti russi chiamavano la "tecnologia letteraria", cioè 'come è fatta' un'opera e come il 'fare opere' muta nel tempo, ossia il problema della struttura e dell'evoluzione letteraria.
Si tratta di problemi e temi che, come si è detto, non sono di esclusiva pertinenza della sociologia della letteratura, ma si presentano necessariamente in ogni riflessione teorica e storica sulla letteratura e, si può dire, in ogni ricerca socioculturale che non faccia della letteratura una semplice appendice illustrativa rispetto a qualcosa d'altro visto arbitrariamente come 'centrale' (religione, economia, ecc.). Fondamentale è la ricerca sul concetto stesso di letteratura e lo studio del variare del suo rapporto con quello che si chiama 'società'. Nella società antica, in quella medievale dell'Occidente e nelle società orientali tradizionali il concetto di letteratura e soprattutto la prassi letteraria, nonché il posto che questa occupava nell'insieme sociale, non possedevano quell''autonomia' che è frutto di una particolare situazione storica e che permette specifici legami funzionali con le altre sfere, anch'esse autonome, della realtà socioculturale moderna. A maggior ragione ciò vale per la letteratura popolare folklorica, dotata di una sua esclusiva poetica e di una sua particolare funzione, e indebitamente 'modernizzata' quando la si vuole trasferire nel processo letterario post-tradizionale. Improprio è quindi l'uso del termine 'folklore' per definire la letteratura popolare delle società moderne e ancor più improprio se lo si applica ad aspetti di quella letteratura di massa che è un fenomeno nuovo, e relativamente recente, diverso dalla 'letteratura bassa' delle società protomoderne. La diade letteratura/società dovrebbe tradursi in quella letteratura/non letteratura, dando a questi concetti, naturalmente, non un significato normativo, quasi si trattasse di definire ciò che è 'vera' letteratura e di distinguerla da quella 'falsa'. Il rapporto da analizzare è tra ciò che decidiamo di definire 'letteratura' in senso istituzionale e descrittivo e tutto ciò che resta fuori da tale definizione, precisando che il concetto di letteratura, e quindi il confine tra essa e il 'resto' (non letteratura) è mobile, cioè storico, e che se non possiamo rinunziare né al nostro concetto di letteratura (e di società) né alla sua più o meno parziale proiezione sul passato, dobbiamo però, alla luce di questo passato, essere consapevoli del significato relativo della nostra letteratura e della nostra società e del loro rapporto.
L'impostazione del problema 'letteratura e società' si basa sull'idea della letteratura come espressione o riflesso dello spirito del tempo, ossia della vita sociale contemporanea, idea elaborata in Francia verso l'inizio del XIX secolo da L. de Bonald e G. de Staël e applicata poi da H. Taine, O.-J. Proudhon, J.-M. Guyot, C. Lalo, ecc. (v. Leenhardt, 1967; v. Clark, 1978). In Germania lo stimolo per lo sviluppo di questa tematica fu dato dall'estetica hegeliana, che ha avuto un significato fondamentale per tutta la teoria e la critica letteraria marxista e postmarxista, neomarxismo compreso (v. Adorno, 1958-1974).La critica letteraria successiva e poi anche la teoria letteraria accolsero tali concezioni come base di partenza del proprio lavoro e se ne servirono per dare un fondamento ideologico alle proprie pretese a un particolare status. Partendo dal presupposto che l'opera letteraria avesse un unico senso (la sua 'idea') e che quindi ci fosse un'unica sua interpretazione adeguata, il critico difendeva la rilevanza del proprio ruolo come mediatore tra l'opera e il pubblico, in quanto interpretava il senso dell'opera - sempre intesa come raffigurazione letteraria della realtà - nei termini degli orientamenti di vita del lettore (v. Iser, 1976). Verso la metà del XIX secolo circolavano ormai strutture retoriche o relitti metaforici anonimi e banali di questa tradizione: la letteratura come 'specchio', l'autore - nella fraseologia romantica - come 'lampada' o 'profeta' e - nella concezione positivistica - come storico e descrittore dei costumi. Queste 'cifre simboliche' indicavano determinate regole di valutazione della realtà raffigurata e prescrivevano i canoni dell'interpretazione del testo. La razionalizzazione o schematizzazione di queste idee portò, verso la metà degli anni trenta del nostro secolo, a tre concezioni sociali della letteratura: 1) la letteratura come rispecchiamento della società; 2) la letteratura come strumento di azione sulla vita sociale; 3) la letteratura come mezzo di controllo sociale.
Per i fondatori del metodo marxista il condizionamento dei fenomeni spirituali da parte del sistema di produzione era ancora un complesso insieme di mediazioni tra fattori interagenti, diversi per natura e portata. I loro seguaci trattarono, invece, il rapporto tra la sovrastruttura (la sfera dell'arte e della letteratura) e la struttura (l'economia) nei termini di un rigido e univoco determinismo. E se Plechanov riconosceva l'importanza delle strutture ideologico-culturali intermedie (mitologia, religione, consuetudini) per l'interpretazione dei fenomeni artistici, i critici marxisti ortodossi come P. Lafargue, F. Mehring, A. Lunačarskij, V. Friče, ecc. nell'opera d'arte vedevano l'espressione immediata dell'ideologia e degli interessi di determinati gruppi sociali e nello scrittore il portavoce di una classe e delle sue forze politiche.Forme più complesse di interpretazioni della letteratura come insieme di sistemi 'ideali' e ideologici mediati di rispecchiamento della realtà sociale si possono trovare in G. Lukács e nei suoi seguaci, da M. Lifšic in URSS a L. Goldmann e alla sociocritica in Francia (v. Zima, 1985), a E. Köhler in Germania, ecc. Le difficoltà cui va incontro una trattazione di questo tipo sono state rilevate più volte. La principale consiste nell'impossibilità di stabilire connessioni adeguate tra la dinamica della letteratura, la varietà dei suoi stili e delle sue tendenze, la polisemanticità dell'opera letteraria, da una parte, e il meccanismo causale dei processi socioeconomici dall'altra. Tuttavia la teoria e la critica letteraria hanno continuato ad attenersi alle idee del rispecchiamento della realtà sociale nella letteratura: a seconda degli interessi dello studioso, la letteratura, intesa come qualcosa di compiuto e univoco, spiegava gli eventi della realtà oppure, al contrario, i processi e i fenomeni sociali diventavano fattori esplicativi per interpretare i testi e la posizione dell'autore. I tentativi di unire lo studio delle funzioni sociali della letteratura con una più rigorosa analisi del testo e della sua influenza hanno portato alla problematica del gusto del pubblico (v. Schücking, 1961). Oggetto d'attenzione di questi studi sono le norme storicamente documentate o empiricamente rilevabili del gusto dei vari gruppi di lettori, nonché i meccanismi che ne determinano la dinamica e la diffusione in strati sociali diversi da quelli in cui si sono formate.
Le prime ricerche sociologiche sulla letteratura non sono state che un'applicazione degli strumenti concettuali della sociologia alla soluzione di problemi di pura pertinenza della teoria e critica letteraria. Si trattava di compensare la debolezza delle spiegazioni causali dei fenomeni letterari, portando dati sull'ambiente nel quale si era formato e aveva lavorato uno scrittore, sull'influsso che tale ambiente aveva esercitato sulla sua scelta di una determinata tematica e sulle peculiarità della sua maniera creativa. L'idea del rispecchiamento della realtà nella letteratura permetteva di interpretare il materiale letterario, soprattutto degli scrittori realisti o dei rappresentanti del naturalismo, come 'manifestazione tipica' di determinate leggi o situazioni sociali. Se si eccettuano i lavori di L. von Wiese e dei suoi allievi che, passando praticamente inosservati, negli anni venti cercavano di descrivere le forme di interazione sociale nell'opera letteraria, la schiacciante maggioranza delle ricerche su 'letteratura e società' era caratterizzata dall'assoluta assenza di attenzione per tutto un complesso di questioni legate alle diverse trattazioni della letteratura nei vari gruppi e nelle varie circostanze storiche (i tipi di "letterarietà", per usare l'espressione di R. Jakobson), alla tecnica propriamente letteraria della raffigurazione simbolica e della creazione della realtà testuale, anche nella resa dei fenomeni sociali, e infine alle teorie sulla problematica della società elaborate nella stessa sociologia ad opera dei suoi fondatori.
La realtà letteraria veniva confusamente identificata con quella sociale e si postulava un'omogeneità di valori, motivi, comportamenti degli eroi letterari, degli scrittori e della società nel suo complesso. Avevano corso due versioni equivalenti. Secondo la prima, lo scrittore è tanto più geniale e grande quanto più pienamente esprime le caratteristiche tipiche del suo ambiente e della sua epoca (in termini marxisti, l'ideologia e gli interessi dei gruppi sociali in ascesa). Secondo l'altra, opposta, soltanto la letteratura di massa, e quindi epigonica (dal punto di vista dei classici o dell'avanguardia), stereotipata per linguaggio, tematica e struttura, può costituire una fonte sicura per la conoscenza della vita sociale. La mancanza di individualizzazione della produzione e del destinatario di tale letteratura induceva a fare di essa una sorta di moderno folklore o mito e ad applicarle automaticamente i corrispondenti procedimenti di analisi.Le differenze nei modi di considerare la letteratura, all'interno della comune premessa che ne fa un riflesso dei problemi sociali, sono legate alla diversità degli schemi interpretativi. Una variante è quella dei critici letterari per i quali l'analisi letteraria serve ai fini della critica sociale. Un'altra è quella dei filosofi, degli storici e dei sociologi, per i quali la letteratura offre un materiale generalizzato, utile nei rispettivi campi professionali. Al confine tra critica letteraria e storia sociale si è formata così e cresce di continuo una massa di ricerche sulla problematica socioletteraria, che va dal 'tema del denaro' o del 'comportamento sessuale' nell'opera di Dreiser e Lawrence al 'tema della guerra' in Remarque e Hemingway, dal problema della marginalità sociale in una determinata letteratura nazionale (la figura dell''estraneo') al tipo di organizzazione burocratica rilevabile nei romanzi di Kafka o di Heller.
In altri casi la letteratura è considerata come espressione della 'coscienza collettiva'. La premessa da cui si parte è che la letteratura esiste nello stesso spazio intellettuale dei suoi lettori, cioè riflette le consuetudini e le norme dominanti (v. Inglis, 1938): ciò ha autorizzato a studiare il contenuto delle opere letterarie secondo il modello delle comunicazioni di massa, trascurando la specificità propriamente letteraria dei testi (v. Berelson, 1957). La forma estrema di questo positivismo nei riguardi della letteratura è l'applicazione della cosiddetta tecnica della content analysis di P. Lazarsfeld e del suo gruppo. Si presume che le procedure quantitative eliminino l'ideologicità delle interpretazioni critico-letterarie: il confronto dei personaggi del mondo letterario con la popolazione reale di un paese o di un'epoca, composta da gruppi caratterizzati in base alla posizione sociale e professionale, e il confronto della tematica narrativa di una determinata corrente o di un determinato periodo con i dati statistici (numero e tipo di delitti, dinamica dei divorzi, flussi migratori, ecc.) dovrebbero fornire le basi 'oggettive' per giudicare la pienezza del rispecchiamento della società nell'opera di uno scrittore e il carattere della trasformazione letteraria della realtà.I fondamenti teorici della scelta e della formalizzazione delle unità significative d'analisi restavano però indeterminati e i seguaci di questo metodo erano costretti a ricorrere a criteri intuitivi e a controllarli con l'ausilio di storici e critici letterari. Altrettanto indeterminato era il carattere dell'azione esercitata dalla letteratura sulla società, intesa nello spirito di un banale normativismo pedagogico. Tutto ciò induceva nuovamente ad avanzare seri dubbi sull'affidabilità delle metodiche puramente positivistiche di analisi dei fatti letterari. Come reazione si distinse il significato culturale (simbolico) e quello puramente sociale della realtà raffigurata nella letteratura, il che introdusse nel lavoro dello storico o del sociologo della letteratura l'esperienza di discipline quali l'ermeneutica, la semiotica e l'antropologia culturale d'orientamento fenomenologico.
A partire dagli anni cinquanta le costruzioni letterarie (situazioni, caratteri, strutture narrative, ecc.), sotto l'influsso delle idee di J. Mead, E. Cassirer, S. Langer, K. Burke, cominciarono a essere considerate come paradigmi simbolici di interazione sociale, meccanismi culturali atti ad assicurare l'integrazione della complessa società moderna e degli individui che la compongono. Secondo N. Duncan, R. Caillois, e poi H. Fugen, A. Silbermann, J. Duvignaud, E. Burns, C. Geertz, S. Lyman, M. Scott, la letteratura elabora modelli drammatici, schemi di collisioni e conflitti reali, che si diffondono in modo differenziato nei vari gruppi della società per formare le idee sui ruoli sociali e quindi sull'ordinamento sociale nel suo complesso. Mediante questi schemi o modelli l'individuo, in una forma simbolica e quindi controllabile, 'riceve' idee sull'organizzazione della società, sui suoi principali gruppi costitutivi e sui simboli che li rappresentano, sul carattere delle sanzioni sociali per la violazione delle norme, sulle figure rilevanti e autorevoli, che non sempre egli può incontrare nella realtà, ma che svolgono un ruolo importante nelle sue costruzioni generali di senso della realtà.
Questo approccio, basato sulle concezioni sociologiche del funzionalismo strutturale e dell'interazionismo simbolico, ha permesso di studiare empiricamente il 'mercato dei beni simbolici' (v. per esempio Bourdieu, 1979; v. Grivel, 1973), compresi i meccanismi di distribuzione e riproduzione dei 'capitali simbolici' dei vari gruppi e la dinamica sociale dei gusti artistici (Kavolis - v., 1972 - ha sviluppato qui le idee di P. Sorokin). Divennero oggetto di analisi particolare il carattere normativo dell'insegnamento della letteratura nella scuola, la lettura come meccanismo di socializzazione dell'individuo nell'ambito di determinate istituzioni e comunità, e quindi anche il consumo librario alternativo a quello della scuola e delle biblioteche, cioè il contenuto, la poetica e l'influsso dei fumetti, della letteratura di propaganda, della 'paraletteratura' (v. Escarpit, 1958).È stato inoltre analizzato il carattere dell'azione esercitata dalla letteratura sulle concezioni sociali. Un catalogo tipologico di simili azioni ha elencato le funzioni svolte dalla letteratura nella società: ricettiva, riflessiva, ideologica, comunicativa, normativa, attivistica, rivoluzionaria (v. Otto, 1968). Ma un'analisi metodologica rileva che qui ha luogo un'arbitraria limitazione del ruolo della letteratura, la quale viene reificata in un tutto a sé oppure identificata di fatto con la cultura in generale.
Più produttivo è l'approccio che sintetizza la poetica storica e l'interpretazione sociologica. J. Cawelti (v., 1976) ha introdotto l'idea delle formula stories: ognuna di queste formule sarebbe uno specifico mezzo atto a smorzare e mediare le tensioni che sorgono nella società o in suoi gruppi determinati, i conflitti di valori, norme, interessi collettivi e individuali. Questi conflitti sarebbero superati mediante la loro proiezione in costruzioni simboliche, fantasie morali, finzioni narrative, ossia in 'eroi' letterari (o artistici, cinematografici ad esempio) e nei loro rapporti. L'elenco delle formule non può essere 'chiuso', anche se si può parlare di un nucleo di 'intrecci' fondamentali: l'avventura, la storia d'amore, il mistero, esseri e situazioni al limite della realtà consueta o a essa estranei. I generi più popolari sono il melodramma e il 'giallo', nonché la fantascienza, l'utopia e il Bodensroman, cioè il romanzo 'populista' legato ai valori del 'suolo' nazionale.
La comparsa delle prime due formule contrassegna la nascita della letteratura moderna. In esse si rappresentano simbolicamente i problemi propri delle trasformazioni radicali dell'ordine sociale: il passaggio dal sistema gerarchico basato sui ceti alla società aperta basata sul successo (achieving society), il cui valore fondamentale è l'individualismo autosufficiente. La fissazione estetica dei due imperativi limite - la norma e il desiderio, il successo personale e il codice d'onore - concentra in sé lo scontro delle più diverse forze e tendenze sociali. In ognuna delle formule domina una determinata linea tematica o narrativa, ma ogni testo è costruito come unione di più formule che riflettono vari aspetti dei ruoli e delle visioni sociali.Il melodramma, formula che include i momenti critici del ciclo vitale (morte, catastrofi, cataclismi sociali), raccontando la storia d'amore di due giovani collocati su diversi livelli della scala sociale o il conflitto tra l'aristocratico scellerato, incarnazione dell'ancien régime, e il giovane eroe, dotato delle virtù borghesi di razionalità, moderatezza, operosità e tenacia, non è semplicemente portatore dell'idea della carriera individuale e del matrimonio come suo coronamento, ma anche dei nuovi principî dell'ordine sociale. Anche il romanzo poliziesco introduce una struttura razionalizzata di motivazione dell'agire che non solo può essere condivisa emotivamente, ma si presta a spiegazione e persino a calcolo, come è proprio del tipo storicamente nuovo di comportamento apparso nella vita delle grandi città. Il delitto non è più oggetto di valutazione morale o religiosa, come avveniva nella tragedia classica o nel romanzo gotico, ma diventa devianza sociale, violazione delle norme comuni nel conseguimento di uno scopo o di un valore universalmente riconosciuto (ad esempio, la ricchezza).
Nel Bodensroman si costruisce l'esposizione di una biografia individuale o di un destino collettivo come ascesa dell'eroe da una posizione sociale all'altra, per cui una totalità sociale diventa visibile e comprensibile nel suo funzionamento. Il fatto che l'eroe sia dotato dei tratti salienti di un carattere nazionale fa sì che l'opera sia vista come l'epopea di una nazione, mito dell'affermazione trionfale di una comunità nazionale e del suo riconoscimento da parte degli altri popoli. La science fiction, invece, fa uso, nel suo sviluppo, di alcune formule. Introduce, ad esempio, l'immagine utopica di un ordine sociale razionale e perspicuo (la città ideale, l'isola perfetta, un altro pianeta), permettendo di confrontarlo con la realtà attuale. Oppure opera una sorta di 'shock culturale' mettendo gli eroi a confronto con esseri di un'altra natura o descrivendo una guerra tra mondi diversi, nel corso della quale essi dimostrano la superiorità dei propri ordinamenti sociali, conseguimenti tecnici e simboli culturali. In ogni caso è estremamente importante lo 'sfondo' della vicenda, cioè l'insieme dei rapporti sociali 'naturali', basilari. Si tratta dei ruoli sessuali e delle forme di comportamento sessuale comunemente accettate, della famiglia, della casa, dell'esistenza garantita di un piccolo gruppo o comunità organica (Gemeinschaft), il cui valore non fa che potenziarsi in seguito alle prove cui è sottoposto l'eroe nelle varie fasi critiche della sua storia.
Tuttavia anche questo tipo di analisi del contenuto sociale dei testi trascura le peculiarità estetiche e letterarie delle opere, mentre in molti casi sono proprio queste peculiarità gli elementi costruttivi di una formula o di un genere. Si pensi, ad esempio, ai modi di organizzare il tempo in un testo, ai procedimenti adottati per creare l'illusoria 'verosimiglianza' degli eventi e degli eroi, alle immagini create dal narratore, alle 'cornici' della storia raccontata che ne assicurano la veridicità (ricordi, diario, manoscritto dimenticato). Tutti elementi di grande importanza soprattutto nell'analisi della letteratura alta o innovatrice. Essa, in modo particolare la poesia, è concentrata soprattutto sui problemi e sui simboli dell'identità personale. Il suo campo d'attenzione è costituito dalle più raffinate collisioni di valori sociali e culturali, dalle tensioni dell'autodeterminazione soggettiva, dai sentimenti di 'immotivato' sconforto esistenziale, di abbandono, angoscia, colpa o, al contrario, dalla scoperta del senso della vita e della pienezza delle esperienze vissute. Essa prende le mosse dalla molteplicità di rapporti che l'individuo intrattiene con i partners sociali e sintetizza costantemente gli orizzonti della vita quotidiana con le proiezioni fantastiche e la realtà mentale della storia, della memoria, dell'immaginazione.
Qui l'analisi sociologica della tecnica letteraria di uno scrittore si fonde con le più complesse forme delle ricerche fenomenologiche sulla costituzione della Lebenswelt. Oggetti di studio diventano l'identità dell'Io individuale e le forme della sua manifestazione, i meccanismi di organizzazione di senso della vita quotidiana ('flusso di coscienza', narrazione in prima persona). Rientra qui tutta la problematica dell'avanguardia, compreso lo shock comunicativo, la distruzione provocatoria delle convenzioni morali o linguistiche (la tematica degli stati limite, della catastrofe, della malattia, della follia, del sogno, dell'afasia). Nella letteratura 'triviale' queste situazioni sono date come stereotipi convenzionali di un intreccio narrativo rigido, in cui le antinomie di valore sono superate mediante un ritorno ai valori dei rapporti o dei collettivi 'organici' primari (famiglia, amici), mentre nella letteratura sperimentale è significante proprio l'insuperabilità di simili ricerche umane, unica, benché negativa, testimonianza della loro autenticità di senso.
Fino a tempi recenti le analisi del contenuto sociale della letteratura ignoravano quasi sempre la dinamica della tecnica letteraria e quindi del mutamento nelle abitudini e aspettative letterarie del pubblico, nel tipo di percezione delle opere.
La divergenza tra le reazioni della larga cerchia dei lettori e le valutazioni competenti della critica di solito era qualificata come espressione di una inadeguata capacità percettiva del lettore, come carenza o inferiorità del suo sviluppo estetico. Diversa è la soluzione del problema proposta dalla scuola di Costanza di estetica della ricezione, che ha in H.R. Jauss e W. Iser i suoi rappresentanti maggiori: Jauss ha collegato i mutamenti delle interpretazioni di un'opera col cambiamento della sua percezione da parte del pubblico, con le diverse strutture di attese normative di una determinata tematica e tecnica nelle varie categorie di lettori e col loro periodico rinnovamento. Analoga analisi ha fatto Iser in riferimento, però, allo scrittore e ai procedimenti letterari da lui impiegati in vista di un determinato lettore. A Jauss questo metodo ha permesso di fissare il succedersi degli orizzonti di percezione di un'opera da parte del pubblico, a Iser di sistematizzare e formalizzare le caratteristiche del destinatario intratestuale ('lettore implicito') e i tipi di strategie comunicative dell''autore implicito'.
Ogni volta che sorge il problema 'letteratura e società', si presuppone tacitamente che la letteratura sia un tutto autonomo e univoco al pari della società (per cui le si può correlare o contrapporre). Questo problema, inoltre, viene posto per la Grecia arcaica, le tribù dell'America centrale, il Medioevo giapponese, dimenticando che, come si è detto, la possibilità stessa di comprendere e correlare società e letteratura si è data in un tempo relativamente recente. Entrambi questi concetti sono socialmente condizionati, sono il prodotto caratteristico di certe circostanze storiche e un momento specifico dello sviluppo di sistemi sociali di un determinato tipo.Di fatto tutto il complesso delle questioni legate ai rapporti tra letteratura e società si forma in una situazione socioculturale del tutto concreta. Si tratta, in sostanza, del momento in cui si diventa consapevoli e si ha una nozione di ciò che si chiama 'società'. Per i fini che qui ci poniamo possiamo convenzionalmente distinguere tre tipi di comprensione della società o, per quel che riguarda l'Europa, tre fasi dello sviluppo sociale.Il primo tipo è la società come equivalente dell''alta' società dei circoli di corte, dell'aristocrazia e dei rappresentanti colti del Terzo Stato. Il secondo tipo è la società civile o borghese, della quale sono caratteristiche la trasformazione dei rigidi rapporti gerarchici in mobili strutture di posizioni sociali accessibili e aperte e le ideologie di sviluppo di vario tipo (progresso, Lumi, perfezionamento individuale, utopie sociali o culturali), nonché la comparsa di uno strato di liberi intellettuali, la cui 'professione' è quella di prospettare e razionalizzare simili concezioni (v. Geiger, 1949; v. Parsons, 1969; v. Eisenstadt, 1972). In questa fase la nobiltà di ceto (l'ethos dell'honnête homme) si trasforma nella categoria psicologica della dignità e compitezza personale e lo spirito aristocratico di stirpe diventa ideologia corporativa della cultura nazionale, mentre l'idea della monarchia perfetta si sublima in progetto di trasformazione della società, cioè in molteplici forme di critica e utopia sociale che si avvicendano tra loro. Infine, il terzo tipo incarna l'idea di società 'moderna' (sviluppata, civilizzata) e 'di massa' (democratica, di mercato).
In questo senso la letteratura in tutta la pienezza della sua rilevanza sociale e culturale ha i suoi limiti funzionali e cronologici. Per l'Europa è il periodo della modernizzazione delle società tradizionali, tra il XVIII secolo e il compimento del XIX, l'epoca delle rivoluzioni borghesi, del crollo degli Imperi e della 'fine di secolo'. In questa situazione storica si formano specifici e reciproci rapporti tra gli intellettuali, da una parte, e, dall'altra, i centri di potere (critica della società e dei suoi 'vertici'), le strutture del mercato (l'istituzione dell'onorario per l'opera) e gli istituti di riproduzione culturale della società (stampa, università, scuola).
È in questo periodo che si cristallizza nei suoi parametri fondamentali l'istituto sociale della letteratura e sorge una rete di mediatori sociali e culturali tra i suoi ruoli costitutivi. Soltanto in questo contesto si forma, propriamente parlando, il nucleo della cultura libraria e della tradizione letteraria (il programma di istruzione generale, l'ideologia del libro come mezzo principale della comunicazione sociale, i classici come espressione dello spirito di una società, di un popolo, di una comunità nazionale). È in quest'ambito che si dà la 'grande' letteratura nazionale (almeno al livello di aspirazione) con le figure che la impersonano: gli scrittori-geni 'fondatori' e 'continuatori'.Queste situazioni sono vissute con forza particolare nelle società di 'modernizzazione ritardata': Germania, Russia, Italia, Spagna. Là dove i nessi e le strutture propriamente sociali sono deboli in confronto allo Stato, si forma un gruppo di intellettuali che pretendono di rappresentare la cultura nazionale e incarnano la sua letteratura nazionale come sostituto dell'opinione pubblica. Compito dello scrittore diventa la raffigurazione o l'espressione della storia nazionale nei suoi momenti più significativi e, insieme, nella pienezza della sua totalità. Così, ad esempio, intende se stessa l'intelligencija russa del XIX secolo da Gogol´ a Herzen, a Blok e Gor´kij.
Una situazione funzionalmente affine si costituisce in Germania dopo la guerra franco-prussiana: si instaura il culto della letteratura classica nazionale e i busti di Goethe e di Schiller ornano ogni libreria così come i volumi delle loro opere ne affollano gli scaffali (v. Grimm e Hermand, 1971). Si può fare anche l'esempio della Spagna dopo il crollo definitivo dell'Impero, quando il 'modernismo' letterario respinge la società e la storia contemporanea in nome di una 'intrastoria' autentica e profonda e di un non ancora incarnato futuro (la figura e la missione di Don Chisciotte nella saggistica di Unamuno, Azorín, Ortega y Gasset). In tutti questi casi i gruppi intellettuali si basano su meccanismi letterari che sono da tempo in azione e trasformazione, sui risultati di una secolare razionalizzazione del concetto di letteratura. Consideriamo le tappe fondamentali di queste trasformazioni.La semantica della parola latina literatura (calco dal greco), che è stata ereditata e reinterpretata dalla tradizione europea dell'età moderna, comprendeva significati come 'scrittura' (Cicerone), 'grammatica e filologia' (Quintiliano), 'alfabeto' (Tacito), 'istruzione, erudizione, scienza' (Tertulliano). Fino al XVIII secolo questo concetto era privo delle connotazioni, per noi evidenti, di 'estetico' e 'artistico': era più importante l'elemento comune che univa la letteratura come narrazione amena agli altri tipi di comunicazione scritta: retorica, filosofia, storia, ragionamenti didattici, saggistica, scienza (v. Escarpit, 1970; v. Lotman, 1973; v. Kreuzer, 1975).
La formazione della cultura scritta, del cui significato risale a Platone la razionalizzazione primaria, implica la fissazione dei valori e delle norme chiave di una data cultura grazie all'attività di gruppi specializzati (v. Riesman, 1956; v. Levada, 1993; v. Eisenstein, 1979; v. Goody, 1986). La funzione di questi gruppi, legati ai sottosistemi e agli istituti 'centrali' di una data società, è di impostare e mantenere la struttura di un dato sistema socioculturale sia nello spazio (la comunicazione scritta come legame tra centro e periferia), sia nel tempo (la trasmissione di un retaggio codificato di generazione in generazione). La definizione della letteratura mediante questa funzione comunicativa indicava soltanto il momento della registrazione e traslazione, poiché nel contenuto non ancora differenziato della 'letteratura' rientrava tutto ciò che era abbracciato dalla 'cultura'. Il destinatario di questa comunicazione restava il gruppo dei portatori della cultura, il cui contenuto era loro noto per definizione e non costituiva quindi un problema né richiedeva un'ulteriore specificazione.
Per tutto il periodo in cui la cultura conserva la sua rilevanza ideologica si può osservare un legame stabile tra i letterati e i centri culturali, un reciproco compenetrarsi delle idee di 'letteratura' e 'istruzione'. Così in Germania in opposizione alle università di tipo medievale a Wittenberg, Lipsia, ecc., sempre orientate sui modelli scolastici, tra il XVII e il XVIII secolo erano sorte a Halle e Gottinga nuove università, il cui insegnamento era basato sulle idee della cultura 'neoumanistica' e della 'devozione pratica'. Come materiali per l'autoeducazione estetica e storica erano usati i testi classici. Il retaggio dell'antichità era inteso come la forma secondo cui veniva messa a punto la cultura nazionale (i principî dell''emulazione' degli antichi in Lessing e Herder contro l'idea dell''imitazione' in Winckelmann). È indicativo che come punto di riferimento si prendessero i modelli greci della cultura della πόλιϚ indipendente e non la statualità romana o rinascimentale con la sua potenza politica e militare (quest'ultimo orientamento era legato al modello francese di sviluppo culturale, alla vicinanza della monarchia centralizzata, alle idee della letteratura classica). Per la Germania, debole in senso politico, il mondo ideale della filosofia e della letteratura, della scienza e dell'arte poteva sorgere non come risultato dell'attività civilizzatrice del potere mondano (come in Francia, dove il sovrano e la sua corte erano i protettori della cultura e delle arti), ma mediante la formazione individuale, il cui compito era assunto dalle università di nuovo tipo. I principî della ϰαλοϰαγαθία, proclamati dalla letteratura e dalle università come ideale educativo, si fondavano non sulla vecchia eloquenza, ma sull'espressione individuale, libera e naturale dell'anima umana e quindi dello spirito nazionale. Di qui l'insistenza programmatica sulla lingua materna e la priorità della letteratura nazionale come oggetto principale d'attenzione e di studio dell'uomo colto.Nel XVIII secolo il concetto di letteratura subisce una sostanziale differenziazione e specializzazione semantica.
In Voltaire esso possiede un duplice significato: 1) comunità di 'veri' scrittori, mondo delle persone colte e 'degne'; 2) cultura scritta, il cui padroneggiamento determina l'affiliazione e l'azione in questo gruppo 'chiuso' di eletti.
Alla letteratura così intesa si contrapponeva il pubblico e in tal modo si delineavano i confini di una comunità letteraria colta. Il concetto di letteratura era il simbolo dell'identità collettiva di un gruppo, di cui fondava l'autorità. In seguito l'accresciuta importanza della letteratura si estende dal gruppo dei portatori dell'autorità letteraria all'insieme dei testi da loro prodotti o valutati. La semantica del concetto è sempre legata al gruppo dei portatori della cultura letteraria, ma la letteratura è dotata ormai dei significati estetici autonomi di arte (sistema di regole), capace di creare opere destinate a durare nei secoli, e di corpus di tali opere assunte come punto di riferimento.
Nel contenuto del concetto sono inclusi ora due significati: un insieme empirico di opere e una loro valutazione dal punto di vista del futuro, che ne perpetua il valore al di là del presente. La doppia definizione di letteratura, che comprende le sue caratteristiche formali e sostanziali, si conserva anche in seguito. Questo permette di conservare nella semantica del concetto connotazioni alte, aristocratiche, sinonimi di rarità e di autenticità (in alcuni casi questo significato è conservato dal concetto di poesia come equivalente di un particolare linguaggio sacro).
L'universalismo dei Lumi, e poi del Romanticismo, con l'idea di letteratura mondiale relativizza le componenti normative di tali valutazioni. Questo processo si sviluppa impetuosamente col rafforzamento delle posizioni della scuola storica nelle scienze umane e poi con la comparsa del positivismo che rifiuta ogni qualificazione a priori, non confermata dall'esperienza. Come momento di sintesi di questi molteplici movimenti intellettuali, a partire dalla metà del XIX secolo in Francia, Inghilterra e Germania fanno la loro comparsa studi descrittivi sulla letteratura popolare, bassa, triviale, ecc., ampliando i confini, che parevano intangibili, delle idee sul contenuto, le forme e i principî di funzionamento delle opere letterarie. A partire dalla fine del XIX secolo la tradizionalistica unità normativa del modo di intendere la letteratura viene sottoposta a una sistematica erosione e riduzione nei manifesti e nella pratica dell'avanguardia letteraria. Ciò crea una situazione di permanente crisi o fine della letteratura, l'appellarsi alla quale diventa, in realtà, il meccanismo della dinamica letteraria.
L'inizio dello sviluppo della letteratura nelle sue forme moderne risale, dunque, al XVIII secolo. L'erosione e la successiva disgregazione della società gerarchica e il rafforzamento economico e poi anche politico del ceto urbano si accompagnano alla distruzione del rigido tradizionalismo dei meccanismi di regolazione sociale mediante la consuetudine. Ai consolidati ordinamenti di vita e ai modelli integrali di condotta si sostituiscono sistemi normativi e assiologici di regolazione del comportamento. Il contenuto ideale di questi nuovi sistemi è rappresentato da uno specifico concetto di cultura quale programma di padroneggiamento pratico della realtà e di formazione della personalità.I significati dell'ordinamento tradizionale del mondo sono sottoposti a una universalizzazione intensiva: le antiche prescrizioni di un determinato tipo di comportamento e, quindi, di sentimento e di pensiero si trasformano radicalmente, liberandosi dalla diretta pertinenza a un gruppo sociale. Nelle interpretazioni dei pensatori del Terzo stato esse diventano modelli alti della natura umana, norme naturali e generali della ragione e della moralità. Adesso tutto ciò costituisce un insieme di esigenze e concezioni ideali relative alla 'coltivazione' del genere umano, alla formazione dell'individuo secondo i principî della ragionevolezza e della nobiltà d'animo.
Alla base della cultura si pone la somma delle tradizioni del passato, che ora hanno perso la loro diretta forza imperativa e sono diventate 'costumanze storiche', 'storia naturale' dell'umanità. I modelli dell'interazione sociale si trasformano così in strutture simboliche, schemi generalizzati d'azione in quanto tale: rappresentazioni, idee, valori. È proprio in un rapporto di continuità con questi momenti 'storici' che si sintetizza e si riempie di contenuto un presente indeterminato e perciò povero di valore. Costruito com'è con blocchi di significati come 'antico', 'imperituro', 'originario', questo passato conserva un valore quasi morale. Questo carattere quasi morale degli universali culturali, inscindibile dal programma illuministico della cultura e, nel suo ambito, della letteratura, si estende all'esempio raffigurato dallo scrittore (azione, eroe, sentimento), che assume universalità di significato, e alla conformità esemplare delle regole di tale raffigurazione. Di qui l'importanza del concetto e delle norme del 'classico' nella letteratura e nella cultura scritta.
L'idea di un nucleo normativo della tradizione antica nella sua forma fissata dalla scrittura risale all'Atene del IV secolo a.C., quando furono eretti monumenti agli ultimi grandi poeti tragici, Sofocle ed Euripide, e fu preparato un esemplare statale obbligatorio delle loro opere. Cominciava così una serie di iniziative atte a fissare, ordinare e codificare il retaggio letterario, la più rilevante delle quali è costituita dal lavoro dei filologi della Biblioteca di Alessandria (i Canoni di Aristofane il Bizantino).
Per la letteratura in via di formazione divennero paradigmi perfetti sotto ogni riguardo certi frammenti del retaggio antico già sistematizzato che da tempo costituivano oggetto di studio nelle 'classi'. L'aggettivo 'classico' era appunto usato nell'Europa medievale col significato di 'scolastico', significato che conservò fino all'inizio dell'età moderna (persino per Diderot nell'Enciclopedia gli scrittori classici sono gli autori che si spiegano nelle scuole). Gli umanisti rinascimentali universalizzarono il significato che 'classico' ha in Aulo Gellio (Le notti attiche, XIX, 8, 15) e in Cicerone, i quali usavano tale termine in riferimento alle classi sociali superiori della società romana, immettendovi la semantica astratta dell'esemplarità. Più tardi i classicisti francesi interpretarono il 'classico' come ciò che è caratteristico di tutta la civiltà antica, e prima di tutto di quella romana. Del concetto, come della letteratura nel suo complesso, si dà una duplice definizione. In esso si accoppiano i criteri formali di un'astratta perfezione e le caratteristiche sostanziali di un pantheon di autori e di un corpus di loro testi rigorosamente scelti.
Verso il XVIII secolo i gruppi di élite, impegnati nella costruzione ideologica delle tradizioni nazionali collegate da un rapporto di continuità col mondo antico, sottopongono la semantica del concetto di classico a un'ulteriore universalizzazione. Nasce l'idea di opere 'perfette' dell'età moderna, create secondo le regole e i modelli antichi.
Nei conflitti dei gruppi letterari (le polemiche degli autori 'antichi' e 'moderni' in Francia, dei 'vecchi' e 'nuovi' libri in Inghilterra) il predicato 'classico' inteso come 'perfetto' perde il suo significato di 'antico', designa una esemplarità nel suo genere e si estende agli autori moderni ("i nostri scrittori classici", diceva Voltaire). Gli scrittori che nel processo di formazione degli Stati nazionali e di elaborazione dei simboli dell'identità culturale di una nazione aspirano a sintetizzare l'interesse per il passato con le tendenze intellettuali contemporanee introducono il concetto di 'classici nazionali' (Goethe).In seguito la semantica di 'classico' (e di 'classicistico') si definisce in un'opposizione di valore a 'romantico', come 'imitativo' si contrappone a 'originale' e 'forme vecchie' a 'forme nuove'. Il Romanticismo riconosce come esemplare qualsiasi antichità, equiparando il classico a tutto ciò che è naturale, nazionale, locale, popolare, ecc. L'antichità, prima di tutto quella greca, è trattata come un fenomeno locale, storico, della cultura. Nell'avanguardia postromantica questa opposizione acquista la forma di antitesi tra il classico ovvero l''accademico' (ciò che è comune, corretto e impersonale, ogni passato da crestomazia, la tradizione come tale) e il 'moderno' (il concetto di moderno, come metafora della soggettività 'aperta' dello scrittore, introdotto da Baudelaire: v. Benjamin, 1969). "Paradigma della modernità", secondo l'espressione di Jauss, diventa la lirica 'pura', soggettiva, meditativa, che distrugge sistematicamente i generi letterari e i canoni stilistici della classicità.
Nell'evoluzione della semantica di 'classico' si possono individuare le fasi della coerente costruzione di una tradizione culturale universale. Questa tradizione si forma nel corso dei processi attraverso i quali gli scrittori, i critici e, più tardi, gli storici letterari elaborano la loro identità culturale. Mediante il rimando al passato, inteso come alto ed esemplare, si stabiliscono i confini spazio-temporali della storia della cultura e della letteratura, le quali sono così sistemate nel loro sviluppo progressivo e organico. La letteratura classica costituisce la base di orientamento per la letteratura in via di formazione e per lo scrittore in cerca di indipendenza, il criterio della produzione di quest'ultimo, la fonte di temi, regole di costruzione del testo e norme della sua percezione e interpretazione. In tal modo la formazione dell'idea di classicità è di fatto il primo meccanismo interno di integrazione della cultura letteraria che si va rendendo autosufficiente, e quindi del sistema sociale della letteratura nella sua rilevanza pubblica e nella sua autorevolezza culturale.
Naturalmente l'efficacia di un simile meccanismo tradizionalizzante di autofondazione del ruolo di scrittore e di integrazione della letteratura si conserva soltanto nell'ambito di una cultura letteraria regolata normativamente e nei gruppi culturali più conservatori. L'autorevolezza assiomatica della classicità si mantiene più a lungo nei sistemi di socializzazione letteraria, cioè nella scuola. In realtà anche la scuola letteraturocentrica, con la sua pretesa di svolgere il ruolo di istituto unico di riproduzione di tutta la società nella varietà dei suoi valori e delle sue tradizioni, esiste e gode d'autorità soltanto entro dati limiti sociali e cronologici. Al di là di essi una notevole parte delle sue funzioni è assunta da altri istituti e meccanismi: i gruppi di coetanei, la subcultura giovanile e, in particolare, i mass media. Ma anche nella scuola (o forse prima di tutto proprio qui) la classicità perde ogni carattere di tradizione viva. Anche per i portatori istruiti della cultura letteraria conservano la loro importanza soltanto le caratteristiche più generalizzate e astratte della classicità. Si tratta di 'forme culturali' sui generis, che possono essere usate nella comunicazione letteraria in varie circostanze e con varie finalità: nell'analisi letteraria per generalizzare le proprie osservazioni e conclusioni, nel corso della polemica letteraria, ecc.In questo senso si può vedere un analogo funzionale delle costruzioni integrative della classicità in categorie teorico-letterarie generalizzanti come quelle di 'genere', 'tipo letterario', 'linguaggio poetico', 'stile alto', ecc. È anzi legittimo confrontare le funzioni della classicità nella cultura letteraria col ruolo che, ad esempio, le idee sull'ereditarietà hanno nelle scienze naturali e sociali, nell'opinione pubblica e nei testi artistici dell'età moderna. I concetti di ereditarietà e di classicità fissano un modello che si conserva e si riproduce nel tempo, mentre le potenzialità del cambiamento vengono attribuite all'ambiente esterno (v. Kermode, 1975).
Alcuni studiosi rilevano che per vari stadi dello sviluppo della cultura letteraria risultano funzionalmente prossimi principî integrativi tra loro contrapposti come classicità e modernità (v. Jauss, 1965). In questo senso un esempio di uso della classicità nazionale e persino antica, caratteristico per la letteratura del XX secolo, è costituito dai programmi letterari e dalla poetica testuale dei gruppi novatori del neoclassicismo (Valéry nella poesia francese, Eliot e Pound nella letteratura angloamericana, Mandel´štam e l'acmeismo in Russia, e infine il postmoderno come neoconservatorismo post- e antiavanguardistico dopo l'esplosione di arte astratta degli anni quaranta e cinquanta e la rivolta radicale degli anni sessanta). Le insistenti aspettative e persino le richieste imperative di classici sorgono paradossalmente in situazioni specifiche di brusco mutamento sociale, di rivoluzione culturale, di sviluppo forzato in aree periferiche della civiltà (Russia sovietica, paesi del Terzo Mondo). In questi casi la classicità si trasforma da mitologema di un''età dell'oro' perduta in proiezione utopica di un 'mondo nuovo'.
Di fatto l'unico genere letterario non codificato dalla poetica classica e non entrato nel sistema gerarchico dei generi, insomma una sorta di parvenu letterario, è il romanzo. I processi di razionalizzazione e secolarizzazione della cultura nell'età moderna hanno gradualmente trasferito sull'individuo la problematica dell'assetto vitale. Il principio soggettivo è diventato l'unico punto di riferimento nell'attribuzione di senso all'esistenza, il centro da cui partire per dare ordine a una realtà sempre più complessa. La letteratura, in queste circostanze, ha preteso allo status di cultura in generale proprio perché ha potuto - a differenza della pittura o della musica - creare un analogo della totalità della vita nel suo movimento reale. L'opera narrativa, unificata dal progetto e dall'esecuzione dell'autore che si è assunto le prerogative del creatore, costituisce un mondo immaginario unico e a sé stante, dotato di durata temporale e di struttura significativa: una storia individuale presentata come 'storia del genere umano'.
Il concetto di romanzo, pur avendo una lunga 'preistoria', ha acquistato l'insieme dei suoi significati moderni relativamente tardi (e in parallelo con quello di letteratura). Nel Medioevo nelle lingue europee l'aggettivo romanz designava il parlato 'popolare' contrapposto al latino scritto. A partire dal XII secolo questo termine si riferisce ai testi che registrano la narrativa orale e alla lingua in cui sono scritti. Esso, quindi, al pari del termine 'letteratura', indica soltanto il carattere tecnico-linguistico (orale e scritto) della comunicazione. La parola francese romancer, di origine più tarda, aveva in quest'epoca valore verbale e significava 'tradurre dal latino in francese' e, a partire dal XV secolo, 'narrare in francese'. 'Romanzo' diventa dunque l'equivalente: 1) della narrazione fatta in lingue popolari o tradotta in queste lingue; 2) dello scritto contrapposto all'orale.
Agli inizi della sua forma moderna il romanzo, in quanto genere che pretendeva all'autonomia e persino alla supremazia tra gli altri generi narrativi, era avversato da determinati circoli religiosi (giansenisti, gesuiti, calvinisti). A loro si affiancavano legislatori letterari del gusto di orientamento classicista, e più tardi illuministico (Boileau, Voltaire, Diderot), che squalificavano il romanzo in base a due criteri. Entrambe le varietà di romanzo, quella secentesco-aristocratica, erede delle tradizioni del romanzo cortese (eroico e pastorale-amoroso) da una parte, e quella borghese (basata su una raffigurazione comica della vita quotidiana) dall'altra, erano accusate di corrompere i costumi, poiché trattavano le sfere dell'eros e del crimine nonché il tema del denaro, che erano tabù per i classicisti, e di corrompere il gusto in quanto rappresentavano situazioni inusitate o grottesche e ricorrevano a un linguaggio grossolano o, viceversa, manierato (comunque fuori della norma). È da notare che anche più tardi, fino ai primi decenni dell'Ottocento, nelle famiglie 'per bene' in Europa non si usava parlare di romanzi in presenza dei figli e della servitù. Culmine della lotta per la purezza e intangibilità del gusto fu, in Francia, il decreto del 1737 che vietava la pubblicazione di romanzi nazionali in quanto "lettura che corrompe la morale della società".
Tuttavia le traduzioni di romanzi inglesi (S. Richardson, H. Fielding, ecc.) venivano pubblicate. In Inghilterra avevano già avuto luogo intensi movimenti sociali e culturali, ragion per cui i modelli di romanzo di tipo nuovo furono elaborati per l'Europa proprio da scrittori inglesi. Essi offrirono una poetica del romanzo che per i letterati francesi, marginali appartenenti alla nuova aristocrazia di funzionari di umile estrazione, era 'estranea' e, come tale, autorevole. Il novel inglese (francese nouvelle), a differenza dell'elucubrato romance in più volumi, era caratterizzato da maggiore compattezza, densità d'intreccio, attualità, riconoscibilità dell'ambiente d'azione. Vi si affrontavano problemi sociali, si proponeva un nuovo tipo di eroe, ricondotto al livello dell'uomo comune che agisce a proprio piacere e nel proprio interesse, mediando posizioni sociali e norme di comportamento diverse. Per la letteratura del futuro gli autori del novel trovarono nuovi moduli narrativi quali lo 'psicologismo' e la 'sensibilità'.
La legittimazione del genere romanzesco nel sistema letterario - al di là della ricerca di 'predecessori nobili' nel passato: la fiaba orientale, l'epica antica, i racconti cavallereschi medievali - prosegue in primo luogo con l'elaborazione di regole estetiche, la fondazione di convenzioni realistiche, l'affinamento di tecniche di verosimiglianza illusoria, e poi con l'accentuazione dell'utilità morale dei romanzi e della loro lettura. Nella ricerca di un principio di autodeterminazione romanzieri e teorici del romanzo fanno appello ai risultati, sempre più autorevoli per l'età moderna, delle scienze naturali, della filosofia, della storia (dall'esperienza e dalle teorie di queste discipline vengono mutuati concetti e principî come 'realismo', 'convenzione', 'finzione', ecc.). Nello stesso tempo il romanzo, che per i gruppi in via di secolarizzazione assume il ruolo di una sorta di mondana 'scrittura', gradualmente e attraverso vari anelli di mediazione assimila e ripensa le nozioni cristiane di persona umana, responsabilità personale e formazione morale all'interno di un ciclo vitale che viene interpretato e valutato nella prospettiva finale dei valori ultimi. Per l'Inghilterra si tratta dei principî anglicani, per la Germania delle idee del protestantesimo, per la Francia delle concezioni dei giansenisti che, riplasmate nella saggistica dei moralisti, influenzano ad esempio i romanzi di A.-F. Prevost.
Questi processi interni alla letteratura si svolgevano in un contesto di intense trasformazioni sociali e culturali. Ricordiamo, ad esempio, il crescente livello di alfabetizzazione che fa da leva alla mobilità sociale, specie quella femminile. Fatto, quest'ultimo, di particolare importanza per il romanzo, che all'interno dei movimenti per l'emancipazione della donna diventa il genere letterario prediletto dalle lettrici e dalle scrittrici.Inoltre, in questo periodo cresce impetuosamente la stampa periodica di massa, si intensifica la produzione di edizioni economiche, nasce la moda della letteratura amena, il che, a sua volta, amplia l'attività delle biblioteche pubbliche. Nel 1740 in Germania furono pubblicati soltanto 10 romanzi, mentre verso la fine del secolo ne uscivano già 300-330 all'anno (il ritmo della produzione romanzesca è più o meno lo stesso, nella seconda metà del Settecento, anche in altri paesi europei). Il concetto di 'storia', che ancora per i narratori del XVII secolo era sinonimo di remote e valorose gesta di personaggi di rango regale e aristocratico, vede modificarsi i suoi significati con lo sviluppo del romanzo. La 'storia' (spesso il termine compare già nei titoli delle opere con epiteti come 'autentica', 'veridica') perde il prestigio di una realtà normativa e autosufficiente, di un passato lontano ed emblematico: attraverso una continua correlazione con un convenzionale futuro, con lo sviluppo dell'intreccio, con la totalità biografica dell'eroe che muta attraverso le peripezie della vita, verso la fine del XVIII secolo essa passa, per i romanzieri e il loro pubblico, nella sfera del contemporaneo, del privato e del quotidiano, aperta alle più svariate definizioni e interpretazioni.
Si relativizza anche la categoria del 'morale', che sempre più spesso viene intesa in senso descrittivo, riguarda cioè gli usi e i costumi degli strati sociali di cui si parla nel romanzo. Si razionalizza (si cronologicizza) la struttura spazio-temporale dell'azione romanzesca. Al suo interno, sullo sfondo delle misure universali del tempo calendariale e del tempo storico, sono compresenti e interagenti i punti di vista e le prospettive assiologiche di vari eroi e narratori. Ogni limitazione normativa del romanzo, riguardante lo stato sociale dell'eroe o la sfera del suo comportamento, viene superata (ad esempio la necessità di una storia d'amore, per lungo tempo obbligatoria in un romanzo), conservando rilevanza soltanto per gli scrittori di consumo oppure per i generi di massa, come il melodramma o la narrativa storico-avventurosa.
Verso i primi decenni del XIX secolo il romanzo viene ormai pensato come la forma più adeguata per narrare gli ampi processi di mutamento sociale e culturale in atto in Europa, una sorta di sinonimo di modernità. La nascita stessa del 'romanzo' è ora collegata all'epoca dei grandi mutamenti nell'assetto sociale ("felice è la nazione che non conosce romanzi": A. Specht, 1834; "le rivoluzioni sono le levatrici dei romanzi": F. Schahl, 1839). La 'genealogia' di questo genere letterario viene fatta risalire alle opere di Richardson e Prevost, mentre le epoche precedenti sono considerate solo 'preistoria'. Comincia l'età d'oro del romanzo, compaiono i nomi più rilevanti (Balzac, Stendhal, Flaubert in Francia; Dickens, Thackeray, Eliot in Inghilterra, ecc.), si creano le reputazioni di 'classici' nuovi, i quali sono però anche sovvertitori dei canoni letterari. Come genere dominante il romanzo ora è per principio 'aperto' e assimila il più diverso materiale tematico e le più svariate tradizioni letterarie nazionali, modificandosi permanentemente, frantumandosi senza fine in molteplici varietà e distruggendo ogni tipo di definizione 'ultima'.
Si può dire che proprio il romanzo è diventato la maggiore acquisizione della cultura letteraria della modernità. È il romanzo che, insieme alla lirica soggettiva, ha dato inizio a quella disgregazione delle strutture canoniche e degli schemi normativi che è propria di tale cultura. In questo senso la sua evoluzione ha assorbito la storia della letteratura come istituto sociale sviluppato, autonomo e universale.
L'evolversi della letteratura in Europa come sistema sociale autonomo è stato un momento di più ampi e lunghi processi di differenziazione sociale e di formazione istituzionale nella fase di passaggio dalle società gerarchiche a quelle moderne. Forse sull'autonomizzazione della letteratura, sulla sua acquisizione di prestigio sociale e di rilevanza culturale hanno influito in questo periodo soprattutto i processi di avanzamento e di autoaffermazione sociale di nuove élites secolari e colte non ereditarie e, quindi, il costituirsi di una sfera pubblica, cioè di uno spazio di comunicazione tra gruppi, di meccanismi di espressione e di consolidamento degli interessi, di rappresentanza dei più ampi strati sociali.
Tra il XVIII e il XIX secolo, in epoca postclassicistica e grazie soprattutto ai letterati romantici che diedero vita a un'entità sociale radicalmente nuova, la bohème (v. Graña, 1964), l'idea di letteratura dei gruppi di elevato status sociale e poi di larghi strati del pubblico colto subì una netta trasformazione. I confini di ciò che è 'letterario' si allargarono e vennero sottoposti a un ripensamento. Nello stesso tempo si crearono le premesse sociali per l'indipendenza degli scrittori dal patrocinio del re e dell'aristocrazia, dall'appoggio di salotti 'chiusi' e di circoli ristretti. Nacque una rete di comunicazione letteraria (riviste, abbonamenti, biblioteche circolanti). Comparve il mercato letterario. Cominciò a formarsi un sistema di valutazione e rimunerazione extrapersonale del lavoro dello scrittore, sistema dotato di una propria misura dei risultati e dell'autorità di un autore: l'onorario (per la Francia v. Clark, 1991; per la Germania v. Engelsing, 1976; per l'Inghilterra v. Gross, 1969; per la Russia v. Meynieux, 1966). Già la Convenzione, insieme ai diritti dell'uomo, aveva proclamato in Francia i diritti d'autore, compreso il diritto di rescindere il contratto con l'editore. Con le riforme del sistema di istruzione nel corso del XIX secolo la struttura del pubblico diventò più complessa e la cerchia dei lettori si allargò a più riprese. Nel 1870 il parigino "Petit journal" superò per primo la soglia della tiratura di un milione di copie.Il sistema della letteratura acquistò una dimensione 'verticale' e dinamica. Divenne possibile mettere a confronto gli autori sia sul piano sociale (carriera, successo), sia su quello culturale (leadership simbolica).
Per la prima volta compare un'avanguardia culturale: gruppi di iniziatori di un rinnovamento letterario che si trovano sulla cresta del cambiamento. Inizialmente si tratta dei romantici 'frenetici', poi dei poeti 'maledetti' (Baudelaire, Verlaine, Rimbaud, Lautréamont, Mallarmé) che professano il culto del 'genio' e affermano l'idea di un'arte indipendente, autonoma, 'pura', nei riguardi della quale non è pensabile alcun criterio generale o sociale di misura, compreso quello del denaro. Gruppi d'avanguardia di questo tipo hanno promosso le prime azioni pubbliche di provocazione estetica e di sfida del gusto comune, compreso un modo di vestire e di comportarsi che violava i canoni e le convenienze borghesi. Al polo opposto degli epigoni del Romanticismo, che divulgavano e così banalizzavano le sue conquiste e la sua poetica, si enucleò il ruolo del 'mestierante letterario', creatore di romanzi d'avventura di largo consumo come Alexandre Dumas, oppure autore di romanzi d'appendice con elementi di critica sociale, come Eugène Sue, le cui pubblicazioni sul giornale parigino "Constitutionnel" ne duplicavano di colpo la tiratura (v. Minor, 1975). Anzi, ciò che era stato già sfruttato dall'avanguardia e aveva perso problematicità, importanza e interesse nella cultura, diventava una sfera a sé: la 'letteratura di massa'. I primi a muovere una critica ideologica nei suoi riguardi furono proprio i romantici (Constant, Joubert, Chateaubriand in Francia, Vjazemskij in Russia).
Ma l'insieme dei ruoli sociali e la rete dei canali stabili di comunicazione costituiscono soltanto un aspetto del sistema sociale della letteratura: è l'aspetto che si può definire istituzionale, strutturale. L'altra dimensione dell'interazione letteraria in quanto sistema è dinamica, processuale, e si basa sui gruppi. Si tratta dei fenomeni della concorrenza e della lotta dei vari gruppi letterari - ognuno dei quali ha una propria visione della realtà e una propria concezione della letteratura - per il riconoscimento da parte del pubblico, della critica, degli editori. I loro manifesti e la loro pratica, l'interazione con gli altri gruppi già esistenti (l'organo di questa comunicazione è la rivista letteraria con le rubriche fisse di critica, di polemica, di recensioni) portano a mutamenti nella disposizione di tutto il campo sociale delle lettere. Alcuni raggruppamenti si spostano dalla 'periferia' della letteratura (compresa la provincia geografica) al suo 'centro' e, viceversa, si ha l'emarginazione di gruppi prima riconosciuti, il cambio dei capi e delle generazioni letterarie e quindi anche dei canoni, dei generi e delle poetiche dominanti, delle definizioni stesse del 'fatto letterario'. I romantici sono stati pionieri anche in questo campo, dando inizio alla lotta tra gruppi letterari, alla dinamica dei raggruppamenti, e quindi affermando anche una critica letteraria: non semplicemente una pratica normativa o una codificante poetica-manifesto, bensì la polemica pubblica, lo scandalo, la rivolta, la 'guerra letteraria' per il potere e l'autorità, il cambio dei leaders del processo letterario, la moda letteraria, ecc.
Proponendo una valutazione specialistica della letteratura corrente il critico non si limita a qualificare l'attività degli altri gruppi letterari, a classificarne la produzione e a strutturare, in questo senso, il processo delle comunicazioni letterarie. Egli mira non soltanto a essere un'autorità all'interno della letteratura, ma anche a godere di un ampio prestigio nella società in quanto i suoi giudizi sulla letteratura contengono una valutazione della realtà circostante, della 'vita stessa' nelle categorie della cultura. Pertanto le definizioni della realtà il critico le attinge da quelle predominanti nella pubblicistica d'attualità e nelle ideologie della cultura e interpreta la letteratura mediante gli standard teorico-letterari specializzati della corrente più autorevole del momento. Inoltre i più progrediti gruppi di lettori si orientano sulle valutazioni del critico e le reputazioni formatesi sotto l'influsso della critica sono in una certa misura tenute in considerazione dagli editori. Anche tra questi ultimi si formano diversi ruoli e funzioni, da quelli dell'imprenditore puramente commerciale, che lavora per il mercato, a quelli dell'amatore e intenditore 'aristocratico' oppure del compagno di idee che sostiene un determinato gruppo con la sua ideologia e la sua concezione della letteratura. La struttura delle autorità intellettuali e dei destinatari di un editore s'incarna nelle sue strategie comunicative (bestsellers, varie collane, ecc.) e fa parte dell'immagine del libro stampato: tiratura, formato, carattere tipografico, impaginazione, prezzo, ecc., il che ne fa un significativo fatto sociale, passibile di studio empirico da parte dello storico e del sociologo (v. Dumazedier e Hassenforde, 1962; v. Bronson, 1968; v. Lauterbach, 1979).
Nel periodo che ci interessa comincia quindi a formarsi un sistema di trasmissione dei modelli letterari (e in senso più lato culturali) all'interno della comunità colta, fatta di scrittori, editori, lettori, da un ceto all'altro, dai gruppi di 'prima lettura' alle fasce più conservatrici, da una generazione all'altra, dal centro ai margini e agli strati bassi di una totalità letteraria. Nello stesso tempo, sempre dai romantici, viene riconosciuta l'importanza del retaggio preletterario come fonte di innovazione.
Di qui la stilizzazione dell'arcaico, la rielaborazione del materiale appartenente a culture diverse (orientale, scandinava, nordamericana), dell''arte popolare', in singoli casi dei generi 'bassi' della letteratura, processi iniziati da Herder e Goethe e continuati da Tieck, Arnim e Brentano in Germania, da Mérimée in Francia, da Thomas Moore e Walter Scott in Inghilterra. Simultaneamente veniva ripensata la funzione dello scrittore, si rafforzava il suo ruolo nella società, crescevano le aspirazioni sociali e le valenze culturali (v. Benichou, 1973; v. Viala, 1985).Il reddito, lo status, il peso sociale degli scrittori alla moda (Balzac e più tardi Zola in Francia, Dickens in Inghilterra) vanno rapidamente aumentando. L'attività nel campo delle lettere diventa uno dei canali della mobilità sociale, il lavoro di scrittore acquista un ruolo culturale di prestigio, la fama diventa una forza sociale e persino un capitale politico. Questo porta a un inasprimento, da una parte, della contrapposizione tra scrittore e ambiente esterno (la 'società'), e, dall'altra, della concorrenza per l'editore e il pubblico nella stessa comunità di scrittori. La crudeltà dei costumi letterari, l'incomprensione, il fallimento esistenziale, la sterilità creativa, l'inaridimento del talento creativo diventano temi culturali significativi e intrecci di romanzi (si veda l'articolo programmatico di Zola Il prezzo della Roma letteraria, 1877). Si amplia il repertorio dei ruoli e delle maschere culturali dello scrittore: il profeta e il mondano, l''aristocratico dello spirito' e il letterato di professione, il commentatore di giornale e il conferenziere, il declassato e l'affermato, il legislatore dei gusti e delle mode e l'ospite d'onore dei nuovi salotti mondani dell'alta borghesia che stilizzano le forme di vita dell'aristocrazia ereditaria di un tempo. In quest'ultimo ambito si hanno il patrocinio familiare (per esempio il sostegno di Hugo da parte del fratello), la dedizione alle arti, la protezione concessa ai poeti, agli artisti, ai musicisti (il patrocinio di George Sand da parte dell'editore Buloz, di Flaubert da parte della famiglia dell'editore Charpentier, ecc.).
Nello stesso tempo il declino del classicismo (del tradizionalismo) come principio guida nell'organizzazione dei significati culturali e come orientamento dominante nella cultura non distrugge affatto il valore delle tradizioni letterarie. Al contrario, la trasmissione dei modelli classici (il pantheon degli scrittori e un complesso di opere canoniche assieme alle regole e agli esempi della loro interpretazione) nel corso del XIX secolo si istituzionalizza. Essa fa parte del sistema di educazione scolastica pubblica, rappresentando la base dell'apprendimento della lingua materna e delle forme di costituzione linguistica della vita e della comunicazione sociale (v. Thiesse e Mathieu, 1981; v. Balibar e altri, 1974). Tramite i modelli classici si delinea lo spazio della comprensione reciproca nella critica delle riviste ('memoria comune'), con riferimenti obbligatori ai predecessori nelle recensioni delle novità (la loro struttura e la dinamica cronologica sono state studiate dettagliatamente con una metodica scientometrica: v. Rosengren, 1968 e 1984).
In questo modo si è creato un sistema stabile e insieme dinamico di comunicazione letteraria. Nel suo ambito si può parlare dei ruoli istituzionali dello scrittore, dell'editore e del critico, della loro appartenenza di gruppo e quindi dell'immagine e della trattazione della letteratura proprie di un gruppo. Un importante meccanismo sociale di conservazione e di riproduzione di tali significati istituzionali è costituito da quella somma di simboli di gruppo che sono le biblioteche di vario tipo, da quelle nazionali, rappresentative e pubbliche, a quelle 'chiuse' di vari sodalizi e associazioni di amatori. Il carattere di un'entità sociale - un'istituzione o un gruppo con una propria identità e un proprio sistema di riferimento all''altro' - che dà vita a una biblioteca si incarna nella scelta e nel sistema di raccolta dei libri e delle riviste di tale biblioteca, nella struttura dei suoi servizi di informazione, nelle forme di supporto offerte ai lettori (v. Karstedt, 1954; v. Wang, 1989). Uno sviluppato sistema di biblioteche di vario tipo è un fenomeno proprio dell'epoca della modernizzazione delle società europee.
L'ulteriore sviluppo dello studio del rapporto tra letteratura e società è legato allo sviluppo stesso della società e della letteratura. Alla fine del XX secolo è ancora in corso un processo, iniziato nei decenni precedenti, di profonda trasformazione della realtà sociale e culturale, e quindi anche letteraria, nella parte economicamente più sviluppata del pianeta e, dato il ruolo globale determinante di questa, nell'intera umanità, per quanto differenziata questa sia dal punto di vista del grado di sviluppo o del tipo di civiltà. Si è attuata una sostanziale unificazione mondiale che ha trovato per ora il suo culmine nella recente fine della divisione tra un mondo capitalistico o democratico e un mondo comunista o totalitario, divisione che ha avuto ripercussioni profonde anche nella sfera culturale e forse soprattutto in quella artistico-letteraria, dando luogo a due tipi diversi di rapporto tra letteratura e società (oltre che tra quest'ultima e l'organizzazione del potere). D'altra parte nel mondo capitalistico democratico, rimasto senza un antagonista ideologico, sono avvenute e stanno avvenendo trasformazioni radicali che hanno fatto parlare di società postindustriale e di società della comunicazione generalizzata o multimediale e, per quel che riguarda la cultura, di postmodernità.
Pur senza analizzare i molti significati che a quest'ultimo termine vengono attribuiti, si può usarlo qui nel senso generale e neutro non di un particolare movimento, bensì di una particolare situazione, nella quale l'età moderna, finora esaltata da ideologie 'futuriste' (a volte rivoluzionarie) o vituperata da ideologie 'passatiste' (a volte reazionarie), arriva a una riflessione critica sul concetto di progresso e su se stessa, consapevole che tutto un periodo storico del tempo moderno si è esaurito e se ne è aperto un altro assai problematico e complesso, comunque poi si cerchi di definirne la natura e di prevederne gli sviluppi.Per la letteratura la nuova fase postmoderna non si manifesta in una cifra unica: essa mantiene una grande varietà di forme e tendenze senza perdere le sue differenziazioni nazionali di tradizioni e di civiltà, ma nello stesso tempo entra in un processo unificatore che permette di applicare in un senso nuovo il termine, risalente a Goethe, di 'letteratura mondiale'. Di fronte al mondo letterario, ossia al triangolo scrittore-critico-lettore così come esso variamente si inscrive nelle diverse aree socio-nazionali, è disponibile l'intero patrimonio letterario universale come mai in passato, mentre, d'altro lato, l'energia creativa che tale patrimonio ha generato sembra, se non esaurirsi, certo pulsare con minore intensità o anche essere, per così dire, incanalata in un sistema produttivo che ne uniforma tendenzialmente i risultati: l'editoria, i premi, i mass media, ecc.
Non si tratta di ripetere ancora una volta il lamento sulla 'morte della letteratura': meglio parlare di trasformazione della letteratura, la quale ora assolutizza un procedimento creativo che in vario grado le è da sempre connaturato: quello di attingere a se stessa, alla letteratura, intendendo questo termine nel senso più ampio e includendo quindi tutte le forme di espressione mitopoietica. Si crea una particolare connessione di testi, di loro interpretazioni di ennesimo grado (interpretazione dell'interpretazione), di gioco parodico con essi, di distanziamento ironico nell'atto della loro interazione inventiva, ecc. Non è più semplicemente la rete delle 'citazioni nascoste' di cui è ricca la letteratura passata, ma una sorta di riscrittura permanente che si accompagna a una riflessione orientata sulla letteratura e sulla letterarietà, con la consapevolezza di venir 'dopo' (il 'post' di tanti termini che vogliono definire il nostro presente) millenni di grande creatività spirituale. Quel movimento anomalo del XX secolo che è stato il 'realismo socialista', oggetto per lo più di ironia e di deprecazione, è stato l'espressione, almeno a livello teorico, della più totale illusione progettuale, quella marxista del 'comunismo reale', di aprirsi a un nuovo mondo creativo, a un 'grande stile' analogo a quello di epoche passate, ma potenziato da un carattere di universalità e non più di classe (v. Strada, 1986). Quali orrori abbia fatto nella realtà questo progetto utopico non è il caso di ripeterlo ora. Ma vale la pena di ricordare la serietà, se così si può dire, di questa disastrosa illusione, leggendo certe opere del suo teorico letterario maggiore, György Lukács e, in particolare, la discussione che nel 1933-1934 si svolse all'Istituto di filosofia dell'Accademia comunista a Mosca intorno alla relazione del filosofo comunista ungherese sul romanzo, in cui Lukács (v., 1961) dava uno svolgimento marxista-leninista alla sua Teoria del romanzo, scritta nel 1914-1915. Si delinea in essa, come già nelle prime opere di questo pensatore, una particolare visione del rapporto letteratura-società, rapporto che ormai, al tempo della discussione all'Accademia comunista, era diventato soprattutto letteratura/potere (totalitario, in questo caso).
Ma, a parte le idee di Lukács che tanto peso hanno avuto nella riflessione marxista sia sovietica sia occidentale, la cosa più rilevante è che simultaneamente a quel dibattito, e in contrapposizione a esso, si andava delineando in Russia una visione profondamente diversa della letteratura considerata nel suo aspetto sociale: quella di Michail Bachtin, per decenni quasi ignoto e ora universalmente apprezzato. Il nome di Bachtin non può non essere qui fatto perché le sue idee hanno anticipato con straordinaria profondità quella condizione della letteratura che si è definita genericamente 'postmoderna'. Il concetto di 'dialogicità', da lui sviluppato in una nuova teoria del linguaggio, definisce nel modo migliore il sistema infinito di relazioni che si stabilisce tra i testi letterari e che oggi si fa più complesso che mai. Il rapporto letteratura/società trova in questa prospettiva nuove possibilità analitiche non solo per quel che riguarda il presente, ma anche per il passato, dato che la visione 'dialogica' elaborata da Bachtin è profondamente storica e permette di seguire il variare del concetto stesso di letteratura, nonché degli stili e dei generi letterari.
Uno studio sociale (storico) della letteratura si presenta oggi, con un apparente paradosso, soprattutto come studio della lettura, intendendo questo concetto nel senso più lato: lettore non è soltanto il pubblico, oggetto di inchiesta e di analisi della tradizionale sociologia della letteratura, ma in primo luogo lo scrittore, la cui scrittura è nutrita e intessuta di testi altrui, che egli interpreta e combina. E lettore è, naturalmente, il critico (il teorico e lo storico della letteratura), che professionalmente 'decifra' un testo e lo colloca in una catena di altri testi, all'interno di determinati contesti. Data la molteplicità praticamente infinita di possibili letture di un testo da parte di uno scrittore, di un critico e di un pubblico, nasce la questione dell'identità di quel testo e dell'arbitrarietà delle sue letture, questione che può risolversi solo nella prospettiva del rapporto letteratura/società. L'identità accertabile di un testo è quella filologica (ecdotica), base dell'identità dinamica e plurima di senso del testo medesimo. Identità quest'ultima che trova i suoi confini unicamente all'interno di una complessa tradizione di lettura e di una determinata comunità di lettori e che si svolge entro due dimensioni temporali: quella del tempo limitato del momento e del luogo della creazione di un testo (il contesto, che include tutto ciò che dal passato è entrato in esso) e quella del tempo illimitato dei momenti e luoghi successivi di vita del testo (l'intercontesto, insieme dei suoi ambiti di lettura). Tra tutte le letture attuate e attuabili c'è una segreta connessione logico-storica che dà la poli-identità incompiuta (perché aperta al futuro) di un testo. Naturalmente la lettura che un autore può fare di un suo testo e la sua stessa intenzione creativa, non sempre del resto appurabile, non costituiscono un elemento privilegiato nella vita di un testo, che è dotato di un suo proprio destino.La diade letteratura-società diventa paradossalmente quella lettura-società, la quale però non è altro che quella scrittura-società, pensando la società non in modo ipostatizzato, ma secondo un criterio storico. Quanto al futuro di questo insieme di rapporti (letteratura-lettura-scrittura-società) bisogna non tanto pensare alle nuove metodologie che l''industria sociologica' potrà fornire, quanto alla società futura e alla futura letteratura.
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