PEDANTESCA, LETTERATURA
. Sotto questa denominazione si possono raggruppare certe espressioni letterarie caricaturali, affini bensì ma distinte, e aventi per carattere comune l'uso del volgare italiano atteggiato quanto più si possa alla latina e infarcito di espressioni latine.
La caricatura presuppone una realtà; e veramente nel pieno dell'età umanistica, quando si ritenne sola degna espressione della cultura il latino, se pure, per fini pratici e per l'irresistibile pressione della storia che recava seco la nuova lingua, veniva adoperato il volgare, si tentava di riaccostarlo al nobile modello. Ce ne dànno esempio le lettere private e in generale le prose d'umanisti, pur petrarchescamente squisiti nelle poesie; ma tipica in questo genere è l'Hypnerotomachia Poliphili (v. colonna, francesco). È un riflesso di quella perplessità "tra lo stil dei moderni e il sermon prisco" della quale un altro effetto fu il linguaggio maccheronico: quello, il pedantesco, parodia dei dotti che non si rassegnavano al volgare; questo, il maccheronico, degl'indotti che non si rassegnavano a ignorare il latino: tanto è vero che le due caricature confluiscono qualche volta nel linguaggio del pedante nelle commedie.
Al principio del sec. XVI gli spiriti superiori si liberarono di tale superstizione, che invece si mantenne negli strati inferiori della cultura, ove di solito le forme, sopravvivendo allo spirito che le ha create, degenerano in pedanteria, e specialmente, per suggestione professionale, nei maestri di scuola, quelli che "insegnavano il pater ai puttini" (come dice l'Aretino) e che venivano chiamati col nome - di non accertata etimologia - di pedanti. Perciò questo ibrido linguaggio latineggiante trasse da loro l'epiteto di pedantesco e al tempo stesso aggiunse loro una nota tipica nuova. La figura del "ludimagistro" è infatti assai più antica della parlata pedantesca per entro la satira letteraria. La gravità cattedratica contrastante con l'umiltà della condizione economica, la presuntuosità con la scarsa dottrina, la dignità dell'ufficio e santità della missione educativa con la sordidezza delle vesti e dei costumi, infine la brutalità stessa dei metodi didattici avevano alimentato odio, scherno, disprezzo e beffa, onde rampollò una non scarsa vena satirica ai suoi danni, da Orazio, da Giovenale, da Marziale in poi. Per limitarci ai tempi dell'umanesimo, di cui discorriamo, ricordiamo una perduta commedia in latino (1513), ove il non oscuro maestro G. B. Pio veniva introdotto a essere irriso e "plagatus" (doveva essere un "plagosus magister" come l'Orbilio di Orazio) per un'altra sorta di pedanteria erudita: per l'affettazione di quei "monstra verborum" (ossia parole difficili e strane) a cui l'aveva adusato il Beroaldo, continuatore del grande Poliziano. Ma la prima introduzione del pedante nella vita dell'arte, con le sue caratteristiche morali - impotente presuntuosità; erotismo insoddisfatto - e con le fisiche - persona macilenta e trascurata -, avviene nel Pedante del romano Francesco Belo (circa 1529), ove la parlata pedantesca condita di maccheroniche citazioni latine forse fu suggerita dall'altro gusto, che il Belo ebbe, di riprodurre varî vernacoli. Subito dopo, nel Marescalco (1533), Pietro Aretino irride al linguaggio latineggiante del Pedante (non altrimenti denominato) e alla sua burbanzosa gravità, che non lo salva dalle burle dei ragazzi. Ma presso il Belo egli è veramente l'eroe eponimo e protagonista della vivacissima commedia: lo vediamo nell'intimo della scuola, assistito dal suo ripititore, nella pienezza del "tipo". E il tipo viene popolando di sé le novelle e le scene per tutto il secolo, sino al Candelaio (1583) di Giordano Bruno, al Narticoforo della Fantesca di G. B. Della Porta (1592), e ad altre molte; quindi trasmigra in Francia, e, fissato nell'immobilità della maschera, finisce non ignobilmente la sua carriera come dottore dello Studio bolognese: il dottor Balanzon (v. dottore).
Nella lirica il pedante fece le sue prove più tardi che nella drammatica. Il conte Camillo Scrofa o Scroffa, nato a Vicenza intorno al 1526, trovandosi a Padova come studente di leggi ma cultore (secondo il gusto del tempo) di poesia, vi conobbe senza dubbio la figura d'un maestro di grammatica, che sembra per la sua pedanteria godesse di un'ilare fama. Si chiamava Pietro Giunti, o Giunteo, ma nei carmi panegirici, che dedicava ai potenti della repubblica, assumeva la significante denominazione di Glottochrysius Petrus Fidentius iuncteus Montagnanensis. L'arguto contino, nel 1550, o giù di lì, diede fuori maliziosamente sotto il nome di Fidenzio Glottocrisio L'Amorosa elegia d'un appassionato pedante al suo amatissimo Camillo, con la quale s'iniziava quella sottospecie di poesia giocosa che fu appunto detta fidenziana. Sembra che l'Elegia piacesse assai; e lo Scroffa allargò la sua vena fidenziana a formare un piccolo canzoniere di venti tra sonetti, capitoli e sestine, dove la comicità è tenuta viva non solo dal latineggiare pedantesco (più discreto però che negli esempî comici ora ricordati e negl'imitatori), ma anche dall'intempestiva ripresa di motivi petrarcheschi, oraziani, catulliani, berneschi, dagli accenni alle beghe della scuola e al "ripetitore" Blagio. Il precedente formale è l'Hypnerotomachia (III: "Non fu nel nostro lepido Poliphilo di Polia sua tanta concupiscientia"), ma vi si aggiunse la nota nuova, dell'amore maschile: nota che consuona bensì a certe pecche (o finzioni che fossero) umanistiche, ma che i tempi rendevano più grave e pericolosa.
I Camici uscirono riuniti nel 1562; tre anni dopo lo Scroffa moriva, ma non moriva la poesia fidenziana, che continuò copiosa nel Veneto, e specie a Vicenza (come si capisce), ma anche altrove, senza però uscire d'Italia. Ma il fidenzianismo, sopravvivendo alla reazione antiumanistica che l'aveva generato, si ridusse a non essere più altro che un espediente comico nella troppo copiosa corrente della poesia giocosa italiana.
Bibl.: Per il pedante nella letteratura, cfr. A. Graf, Attraverso il Cinquecento, Torino 1888, con ricca bibliografia di testi pedanteschi. Per il Belo, A. Salza, Una commedia pedantesca del Cinquecento, in Miscellanea... Graf, Torino 1903, p. 43; per Il Pedante e il Marescalco, I, Sanesi, La commedia, Milano, s. a., I, p. 236 segg. Lo stesso Sanesi ha riprodotto in Commedie del Cinquecento (I, Bari 1912) il testo del Pedante.
Per la biografia dello Scroffa e la bibliografia sulla poesia fidenziana, G. Crovato, Camillo Scroffa e la poesia pedantesca, Parma 1891, che va rettificato e compiuto con lo studio di S. Ferrari dallo stesso titolo, in Giorn. storico d. letter. ital., XIX (1892), p. 304 segg.