Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La letteratura per l’infanzia nasconde due anime: una pedagogica e l’altra maggiormente legata alla letteratura in sé. I grandi classici compaiono all’inizio del Novecento e sono caratterizzati dallo scontro tra il mondo degli adulti – asfittico e granitico – e quello dei bambini o ragazzi – gioioso e volto al cambiamento. A partire dalla fine della seconda guerra mondiale e fino agli anni Settanta si assiste a un rinnovamento del settore, in cui compare la suggestione del fantasy. Negli ultimi tempi il settore della letteratura per ragazzi ha conquistato una larga fetta di mercato, che rischia di far prevalere l’attenzione per il libro come prodotto più che come proposta culturale.
Istruire o divertire?
Vamba
Il giornalino di Gian Burrasca
Ecco fatto. Ho voluto ricopiare qui in questo mio giornalino il foglietto del calendario d’oggi, che segna l’entrata delle truppe italiane in Roma e che è anche il giorno che son nato io, come ci ho scritto sotto, perché gli amici che vengono in casa si ricordino di farmi il regalo.
Ecco intanto la nota dei regali avuti finora:
l.° Una bella pistola da tirare al bersaglio che mi ha dato il babbo; [...]
5.° Questo giornalino che mi ha regalato la mamma e che è il migliore di tutti.
Ah sì! La mia buona mamma me ne ha fatto uno proprio bello, dandomi questo giornalino perché ci scriva i miei pensieri e quello che mi succede. Che bel libro, con la rilegatura di tela verde e tutte le pagine bianche che non so davvero come farò a riempire! Ed era tanto che mi struggevo di avere un giornalino mio, dove scriverci le mie memorie, come quello che hanno le mie sorelle Ada, Luisa e Virginia che tutte le sere prima d’andare a letto, coi capelli sulle spalle e mezze spogliate, stanno a scrivere delle ore intere.
Non so davvero dove trovino tante cose da scrivere, quelle ragazze!
Io, invece, non so più che cosa dire; e allora come farò a riempire tutte le tue pagine bianche, mio caro giornalino? Mi aiuterò con la mia facilità di disegnare, e farò qui il mio ritratto come sono ora all’età di nove anni finiti.
Però in un giornalino bello come questo, bisognerebbe metterci dei pensieri, delle riflessioni...
Mi viene un’idea! Se ricopiassi qui un po’ del giornalino di Ada che giusto è fuori insieme alla mamma a far delle visite?
Carlo Collodi
Pinocchio
Come andò che maestro Ciliegia, falegname, trovò un pezzo di legno, che piangeva e rideva come un bambino.
C’era una volta...
- Un re! - diranno subito i miei piccoli lettori.
No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno.
Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze.
Non so come andasse, ma il fatto gli è che un bel giorno questo pezzo di legno capitò nella bottega di un vecchio falegname, il quale aveva nome mastr’Antonio, se non che tutti lo chiamavano maestro Ciliegia, per via della punta del suo naso, che era sempre lustra e paonazza, come una ciliegia matura.
Appena maestro Ciliegia ebbe visto quel pezzo di legno, si rallegrò tutto e dandosi una fregatina di mani per la contentezza, borbottò a mezza voce:
- Questo legno è capitato a tempo: voglio servirmene per fare una gamba di tavolino.
Detto fatto, prese subito l’ascia arrotata per cominciare a levargli la scorza e a digrossarlo, ma quando fu lì per lasciare andare la prima asciata, rimase col braccio sospeso in aria, perché sentì una vocina sottile, che disse raccomandandosi:
- Non mi picchiar tanto forte!
Figuratevi come rimase quel buon vecchio di maestro Ciliegia!
I confini della letteratura per l’infanzia, apparentemente solidi nella chiarezza della sua definizione, sono a ben vedere assai più labili e sfumati di quanto si creda. Vi appartengono infatti, come ci ricorda Antonio Faeti nella sua Letteratura per l’infanzia, sia testi di origine orale o legati alla letteratura popolare (leggende, fiabe, racconti), che, progressivamente, soprattutto a partire dall’Ottocento, sono stati convogliati verso un pubblico giovane; sia testi scritti appositamente per l’infanzia, sia testi scritti per adulti di cui i ragazzi si sono successivamente impossessati, secondo una tradizione che va da Robinson Crusoe di Daniel Defoe a It di Stephen King. La labilità di questi confini viene anche a interessare i supporti e i linguaggi con cui la letteratura per l’infanzia si è espressa: è difficile considerare unicamente il testo scritto e l’oggetto libro, senza tener conto anche dell’importanza delle immagini, delle illustrazioni e del fumetto, delle pubblicazioni periodiche. Un universo letterario, sia nella sua accezione di finzione narrativa sia in quella di divulgazione scientifica, davvero troppo ampio e variegato per essere anche riassuntivamente esposto in questa sede, dove si privilegerà il romanzo per bambini e ragazzi.
Prima di procedere nell’esplorazione dei testi più significativi del secolo scorso, è bene fare alcune considerazioni generali. La prima concerne il passaggio dal primato della funzionalità educativa a quello della letterarietà. Nata su un “malinteso d’origine” (Silvia Blezza Picherle, Libri, bambini, ragazzi), secondo cui i libri per bambini dovevano soprattutto istruire, pur mantenendo una loro piacevolezza, la letteratura per l’infanzia è sempre stata abitata da due anime, una più vicina alla pedagogia, l’altra alla letteratura. Nel corso del Novecento questi due atteggiamenti si sono alternati, più spesso hanno convissuto nello stesso periodo e anche nelle stesse opere, si sono prevaricati vicendevolmente (basti pensare alla letteratura promossa durante i regimi totalitari della prima metà del secolo), tuttora coesistono. Si può però dire, con una certa sicurezza, che a partire dagli anni Sessanta e Settanta ha cominciato a imporsi una visione della letteratura per l’infanzia meno didascalica, più attenta alla qualità dei testi, all’originalità dei temi e degli stili. Non che non esista più un’attenzione pedagogica negli autori per ragazzi (anzi certe pesanti e insospettate eredità si sentono anche in successi come La gabbianella e il gatto di Luis Sepúlveda), ma da un libro per bambini ci si aspetta oggi prima di tutto una qualità estetica e il piacere che ne deriva, piuttosto che la chiarezza e l’impositività di un insegnamento.
La seconda considerazione riguarda il rapporto strettissimo tra la letteratura per l’infanzia e il più ampio sistema delle comunicazioni di massa. Legati fin dalle origini alla letteratura popolare e ai suoi mezzi di produzione e circolazione (giornali, fogli volanti, pubblicazioni a basso costo, periodici), i libri per bambini sono sempre stati al centro dello sviluppo dell’industria culturale esplosa nell’Ottocento e nel Novecento, offrendosi spesso anche a quella ibridazione multimediale che caratterizza il nostro presente (l’illustrazione, il fumetto, il cinema d’animazione). Negli ultimi due decenni del Novecento (prima negli Stati Uniti, poi in Europa, in Italia a metà degli anni Novanta), tale tradizione ha portato anche la letteratura per ragazzi a subire la trasformazione che sta dominando tutta l’industria culturale e che vede nel risultato economico il dato più significativo. In altre parole il libro per bambini da libro educativo o “lettura amena” si sta sempre più trasformando in prodotto, come afferma Jack Zipes in Oltre il giardino, con esiti poco condivisibili sul piano qualitativo e su quello delle politiche editoriali.
L’ultima considerazione concerne invece la considerazione culturale che nel corso del Novecento la letteratura per l’infanzia si è conquistata, con notevoli progressi soprattutto a partire dagli anni Settanta, ma senza raggiungere ancora esiti soddisfacenti. Nonostante fossero già usciti nel secolo precedente alcuni capolavori letterari riconosciuti (da Alice nel paese della meraviglie a L’isola del tesoro, da Le avventure di Tom Sawyer al nostro Pinocchio), i libri per bambini non hanno goduto né godono oggi della medesima considerazione critica dei testi per adulti. È così ancora valida la definizione di “grande esclusa”, con cui la chiama Francelia Butler quando fonda nel 1972 negli Stati Uniti una rivista che rinnova gli studi nel settore e favorisce uno sviluppo della disciplina anche in campo universitario. Questa affermazione progressiva in territorio anglosassone ha avuto in Italia molto meno peso, anche per il giudizio lapidario di Benedetto Croce che ne La letteratura della nuova Italia (1915), esclude a priori la possibilità per questo tipo di letteratura di raggiungere il risultato di “arte vera”.
I classici della prima metà del secolo
Eppure proprio l’inizio del Novecento, negli anni prima della Grande Guerra, vede il fiorire di una serie di titoli rilevanti sul piano letterario che si imporranno come veri e propri classici. Una buona parte di essi possono essere accomunati per la accentuata problematizzazione del rapporto tra bambini e adulti, per la considerazione di quella che Alberto Savinio avrebbe chiamato nel 1945 Tragedia dell’infanzia.
Il Giornalino di Gian Burrasca di Vamba, apparso nel “Giornalino della Domenica” a partire dal febbraio 1907 e raccolto in volume nel 1920, ne è il massimo esponente italiano. Sotto la forma di diario, “ricco di una apparente malagrazia vernacola e infarcito di toscanismi, ma, in realtà, saldamente costruito, chiaro, borghesemente elegante”, come lo descrive Faeti, in Guardare le figure, è la storia della difficile vita di Giannino Stoppani, ragazzino che si scontra contro l’ipocrisia borghese dei grandi, non ne comprende l’ottica e ne svela le finzioni, mettendo in fila una serie di monellerie non prive anche di una segreta natura politica, di quel fastidio verso l’immobilismo dell’età giolittiana che porterà alla reazione fascista. Giannino ha più di un compagno di malefatte: ricordiamo Sussi e Biribissi (1902) di Collodi Nipote, le Pìstole d’Omero (dal 1906 al 1911 sul “Giornalino della Domenica” e raccolte in volume nel 1917) di Padre Ermenegildo Pistelli, i personaggi di Antonio Rubino, prima fra tutti Viperetta (1919). Ma la figura del monello va oltre i nostri confini, è incarnata anche nei primi fumetti americani con i personaggi dei Katzenjammer Kids (1897; da noi Bibì e Bibò) di Rudolph Dirks e poi Harold Knerr e di Buster Brown (1902) di Richard Felton Outcault, comparsi da noi nel “Corriere dei Piccoli”; dai ragazzini de La guerra dei bottoni (1912) di Louis Pergaud, perennemente divisi tra la banda di Longverne e quella di Velrans, destinati a essere le ultime vere incarnazioni di uno spirito “gallico, epico, e rabelaisiano”, eroico perché sfrondato “dalle ipocrisie della famiglia e della scuola”, in contrasto con adulti dei quali si riesce solo a dire: “E dire, che quando saremo grandi, saremo magari scemi come loro!”. I ragazzi di via Pál (1907) dell’ungherese Ferenc Molnár mettono in scena una simile rivalità tra bande, rivelando però che i veri nemici sono gli adulti, che non conoscono più il valore del coraggio e della lealtà e subdolamente confischeranno il loro campo di giochi per costruire nuovi palazzi, ignari che per quel luogo il piccolo Nemecsek ha dato addirittura la vita. Di tono diverso, ma ugualmente radicali nel significato, sono alcune opere inglesi, a partire da Peter Pan di James Matthew Barrie, comparso come lavoro teatrale nel 1904 e poi in due racconti rispettivamente del 1906 (Peter Pan nei giardini di Kensington) e del 1911 (Peter Pan e Wendy), icona massima di un rifiuto dell’adultità che si esprime nella dichiarata volontà di non crescere e nella fuga in un altrove fantastico. Anche Il giardino segreto (1911) di Frances Hodgson Burnett oppone i piccoli ai grandi, mettendo in contrasto la vitalità della bambina Mary Lennox contro l’asfissia di un sistema adulto che non sa far altro che imporre divieti e claustrofobie, e nascondere giardini che si riveleranno salvifici. Non si possono dimenticare anche alcuni bambini viandanti, che testimoniano con il loro nomadismo un insopprimibile desiderio di autonomia: Kim (1901) di Rudyard Kipling si mette in viaggio con un vecchio lama tibetano, e percorre l’India sospeso tra il desiderio di immergersi per sempre nelle sue strade brulicanti o di entrare nel Grande Gioco dello spionaggio britannico; Dorothy de Il mago di Oz (1900) di Frank Baum, diretta verso un Ovest che ha connotati fantastici, è emblema dello spirito di iniziativa femminile americano, coraggiosa e pragmatica (simile in questo a Pollyanna di Eleanor Hodgman Porter del 1913 e di Anna di Green Gables di Lucy Maud Montgomery del 1908), tanto da far ottusamente denunciare il libro come populista, anarchico, in odore di marxismo; Il viaggio meraviglioso di Nils Holgersson (1907) del premio Nobel svedese Selma Lagerlöf racconta di un volo in groppa a un’oca, in seguito a una miniaturizzazione subita da un troll, che permetterà al protagonista di scoprire il proprio Paese e di vivere avventure di ascendenza fiabesca.
Citiamo soltanto: Il grande Meaulnes (1913) di Alain Fournier, romanzo di formazione sospeso tra il sogno e la realtà; una serie di testi che hanno gli animali come protagonisti: La storia di Peter Coniglio (1902) di Beatrix Potter, Il vento nei salici (1908) di Kenneth Grahame, i duri romanzi di Jack London, Il richiamo della foresta (1903) e Zanna Bianca (1906), Le avventure dell’ape Maia (1912) di Waldemar Bonsels.
Il periodo tra le due guerre è meno fertile, complici i regimi totalitari presenti in mezza Europa che condizionano pesantemente la produzione per l’infanzia, trasformandola in mero strumento propagandistico. In Italia ricordiamo Il piccolo alpino (1926) di Salvator Gotta, in cui le imprese di Giacomino al fronte sono celebrate con evidenza retorica e bellicista, e autori apertamente aderenti al fascismo come Pina Ballario e Olga Visentini. Più variegata e sfumata nelle sue diverse fasi è l’opera di Laura Orvieto, con i miti classici de La storia delle storie del mondo (1911) e la rievocazione storica in Beppe racconta la guerra (1925), e di Giuseppe Fanciulli che si muove tra l’atmosfera fiabesca de L’omino turchino (1912), l’aperta adesione al regime, l’introspezione psicologica di Lisa-Betta (1932). Figura la cui importanza è tutta da rivalutare per la cultura del secolo, è Sergio Tofano, grande attore e regista teatrale, raffinato illustratore e scrittore, autore del celebre Signor Bonaventura (dal 1917 sul “Corriere dei Piccoli”), e di libri come Storie di cantastorie (1919-1920), Cavoli a merenda (1920), Il romanzo delle mie delusioni (1925). Nell’universo narrativo di Tofano regnano il paradosso, l’invenzione fantastica, il gioco linguistico, il mondo combinatorio delle maschere; un universo assai lontano dalle rigidità precettistiche del fascismo.
In Germania è eclatante il caso dei libri di Erich Kästner (Emilio e i detectives, 1929; Antonio e Virgoletta, 1930; La classe volante, 1930) che conoscono un immediato successo prima dell’accusa di immoralità e del rogo nazista, e che sono tradotti negli anni Trenta con grande seguito anche in Italia, nonostante i contenuti siano ben lontani dall’ideologia del regime, con il contrasto tra l’onestà e il rigore morale dei giovani protagonisti e i comportamenti molto meno limpidi degli adulti.
In Danimarca va segnalata invece la comparsa di Bibi, protagonista di sei volumi dal 1929 al 1939, ragazzina intraprendente e sempre in viaggio grazie al lavoro del padre capostazione. I libri vengono bruciati come sovversivi e in effetti riflettono l’impegno dell’autrice, Karin Michaëlis, fervente antinazista e rifugio per molti esiliati (tra cui la famiglia di Brecht, Benjamin, Einstein, Kokoshka). Ma non si deve pensare a testi propagandistici, per quanto contro il regime: le storie di Bibi vivono prima di tutto della sua vitalità, dello spirito di autonomia, del desiderio di esplorazione, ed è proprio qui che si nasconde la loro carica rivoluzionaria, non compresa dal fascismo, che non si oppose alla traduzione di questi libri.
In Inghilterra vanno ricordati almeno due libri destinati a divenire dei classici: Winnie the Pooh (1926) di Alan Alexander Milne, avventure quotidiane di alcuni pupazzi di peluche e del loro padroncino in carne e ossa; Mary Poppins di Pamela Lyndon Travers, protagonista di quattro volumi in tutto (dal 1934 al 1952), bambinaia capace di reggere le redini della famiglia Banks con la sua autorità ma anche i suoi poteri magici.
In Francia fa la sua apparizione Il piccolo principe (1943) di Antoine de Saint-Exupéry. Romanzo stratificato nei suoi significati e spesso banalizzato nella sua interpretazione, racconta dell’amicizia tra un bambino proveniente da un piccolo pianeta e un pilota precipitato nel deserto per un’avaria. Ma il rapporto tra il piccolo e il grande si ribalta ed è l’infanzia a farsi depositaria dei più importanti insegnamenti.
Il fantasy e il richiamo alle tradizioni popolari
Il periodo tra la fine della guerra e gli anni Settanta pone le basi per un importante rinnovamento. Proprio nel 1945 lo annuncia a gran voce Pippi Calzelunghe della svedese Astrid Lindgren, autrice di altri futuri classici (Rasmus il vagabondo, 1956; Emil, 1963; Vacanze nell’isola dei gabbiani, 1964), che eredita lo spirito di libertà e autonomia di Bibi e lo trasforma in una carica eversiva che non conosce ostacoli e abbatte qualsiasi rigido ordine adulto, grazie a un’ottica anarchica e nuova, capace di vivere di uno stupore sempre rinnovato per il mondo. Dalla tradizione fantastica nordica nascono invece i Mumin, protagonisti di strisce a fumetti e poi di alcuni romanzi (Magia di mezz’estate, 1954; Magia d’inverno, 1961) che faranno della sua autrice, Tove Jansson, una vera gloria nazionale in Finlandia.
In Inghilterra si afferma una vena fantastica che trova nella costruzione di mondi alternativi la sua caratteristica più evidente. John Ronald Reuel Tolkien, con Il signore degli anelli (1954-1955), riprende la saga iniziata con Lo Hobbit nel 1936 e pone insieme all’amico Clive Staples Lewis, autore della serie delle Cronache di Narnia (dal 1950 al 1956), le basi del genere fantasy. Pur immerse in un altrove meraviglioso, ora costruito sul recupero dell’epica medievale ora su materiale mitologico e fiabesco, queste avventure sono anche l’espressione della visione nostalgica dei due autori per i valori di un’Inghilterra che non riconoscono più. Anche Mary Norton si diverte a costruire un mondo parallelo ma più vicino a noi: con Sotto il pavimento (1952) infatti inizia la saga degli Sgraffignoli, comunità di esseri minuscoli, eredi di una tradizione popolare che attribuiva all’esistenza di piccoli folletti la sparizione di oggetti domestici.
Anche in Italia si fanno evidenti le tensioni verso un rinnovamento, che si sente necessario anche per liberarsi dall’ideologismo imperante durante il fascismo. Annunciata dall’uscita nel 1945 de L’invasione degli orsi in Sicilia di Dino Buzzati, la nuova letteratura per ragazzi italiana si muove in più di una direzione, ora recuperando le radici popolari e il nostro patrimonio fiabesco (la raccolta de Le fiabe italiane di Italo Calvino nel 1956), ora rielaborando questo stesso patrimonio (come in certe opere di Pinin Carpi e di Beatrice Solinas Donghi); ora recuperando e rinnovando il genere avventuroso (Mino Milani), ora aprendosi alla rapida trasformazione sociale in atto con il dopoguerra e il miracolo economico (Marcovaldo di Calvino del 1960, i romanzi di Giana Anguissola, quelli di Marcello Argilli) ora, infine e più tardivamente, rivisitando la storia più recente con particolare attenzione alla Resistenza (Le mille e una Italia di Giovanni Arpino del 1960; Il corvo di Mario Lodi del 1971). Figura cardine di questo periodo rimane Gianni Rodari, sempre al servizio dell’infanzia, sia attraverso la scrittura, sia attraverso un rapporto costante e diretto con la scuola e i bambini. L’opera rodariana ha avuto ne La grammatica della fantasia (1973) la massima dichiarazione di poetica, tutta tesa all’elaborazione di una “Fantastica” che, attraverso un’educazione alla libera creazione linguistica e narrativa, possa contribuire a costruire adulti futuri con un pensiero proprio, senza il condizionamento di ideologie o stereotipi. Su questi principi si basano tutti i suoi libri più famosi: dalle Filastrocche in cielo e in terra (1960), alle Favole al telefono (1962), fino al tardo C’era due volte il barone Lamberto (1978), forse il suo capolavoro.
L’ultimo quarto di secolo vede un’ulteriore trasformazione, che compare per prima, al solito, in area anglosassone, per affermarsi via via anche da noi a partire dalla metà degli anni Ottanta. Tra i nuovi classici destinati a rimanere, ci saranno certamente i libri di Roald Dahl, scrittore inglese già attivo dagli anni Sessanta (La fabbrica di cioccolato 1964), ma che ha realizzato i suoi capolavori negli anni Ottanta (Il GGG, 1982; Le Streghe, 1983; Matilde, 1988). Su una struttura che rivela profonde radici fiabesche, Dahl mette in scena la necessità da parte dei bambini di combattere per la propria sopravvivenza, messa a repentaglio da creature fantastiche o realistiche, sempre però espressione di una società di adulti sadici, ipocriti, meschini. Il gusto per il grottesco e il fantastico, per l’invenzione paradossale che spesso si esprime anche in una dimensione corporale, unito a quello per lo stravolgimento linguistico, fanno amare questi libri incondizionatamente. Ma al di là del divertimento, c’è da parte dei bambini il riconoscimento di un autore che parla loro con assoluta franchezza, senza nascondere la fatica, la sofferenza, la necessità di coraggio per vivere.
La voce di Dahl non è isolata: la letteratura inglese si è arricchita in questi ultimi 25 anni di numerose voci nuove, importanti e diversificate per temi e poetica. Mi limito a citare Robert Westall, Penelope Lively, Philip Ridley, Aidan Chambers, Melvin Burgess, Philip Pullman, Anne Fine, David Almond ai quali vanno accostati, per la comune anglofonia, almeno gli americani Robert Cormier, Gary Paulsen, Jerry Spinelli e la neozelandese Margaret Mahy.
In Italia sono le scrittrici a farsi responsabili della piena affermazione di una nuova letteratura per ragazzi: la prima figura cardine è indubbiamente Donatella Ziliotto, instancabile nella sua attività di consulente editoriale e curatrice di collane, traduttrice, rivelatrice di talenti stranieri più o meno recenti ma ancora sconosciuti in Italia (da Lindgren a Ende, da Jansson a Dahl) o di nuove voci italiane, autrice originale essa stessa, sospesa tra la trasfigurazione fantastica (Trollina e Perla, 1984; Io, nano 1989) e incursioni autobiografiche (Tea patata 1968, Un chilo di piume, un chilo di piombo 1992). La seconda figura è Bianca Pitzorno, che divide la sua produzione tra l’amore per la storia (La bambina col falcone, 1982), irridenti parodie fiabesche (L’incredibile storia di Lavinia, 1985), storie di formazione con protagoniste bambine o preadolescenti (Speciale Violante, 1988; Ascolta il mio cuore, 1990) alle prese con amicizie, amori, scontri con gli adulti, ma sempre intraprendenti e lucide, capaci di riconoscere tutta la complessità del mondo senza banalizzazioni e rifiutando gli stereotipi, consapevoli della difficoltà ma anche dell’avventura di crescere.
Ricordiamo ancora la vena fantastica di Silvana Gandolfi, la grande ricerca stilistica di Angela Nanetti, la resa psicologica dei personaggi di Beatrice Masini. Fa eccezione in un contesto prevalentemente femminile l’opera di Roberto Piumini, che si distingue per la ricerca linguistica, l’esplorazione del mondo della fiaba e il coraggio di affrontare temi difficili come la morte (Lo stralisco, 1987).
Altri nomi si potrebbero fare (come quelli di Christine Nöstlinger, Michael Ende, Brigitte Smadja, senza dimenticare le incursioni dalla produzione per adulti di Daniel Pennac e Ian McEwan), ma penso sia meglio concludere con una breve considerazione sulla natura del rinnovamento di questa ultima produzione. Essa ha portato in primo luogo un ampliamento delle tematiche presenti nei libri per ragazzi, una visione il più possibile sfaccettata del mondo, senza censure anche di fronte a problematiche gravi, siano esse collettive come la guerra, la questione ecologica, o individuali come la malattia, la trasformazione dell’assetto familiare e la proliferazione dei divorzi, la droga, la violenza sessuale. In secondo luogo è evidente l’affermazione di un nuovo ritratto dell’infanzia e dell’adolescenza. Se è sempre riconoscibile un percorso di formazione, i protagonisti di questi libri sono psicologicamente più complessi, sfumati, contraddittori, e tutti accomunati dal desiderio di capire la realtà che hanno di fronte, di riconoscere la direzione verso cui andare, e di combattere contro il senso di solitudine e di smarrimento che cresce di fronte ad adulti sempre più invisibili e a una società sempre più difficile da comprendere.
Non si può concludere senza citare l’uscita nel 1997 del primo romanzo di Harry Potter. Le storie del giovane mago, oramai conclusesi, sono diventate un fenomeno mondiale, con la vendita di una quantità inedita di copie in tutto il mondo a un pubblico sia di bambini sia di adulti. I romanzi di Joanne Kathleen Rowling non passeranno alla storia per la loro originalità, ma con il loro enorme successo hanno condizionato le strategie editoriali di tutto il mondo, nel tentativo poco sensato di provare a indovinare quale sarà il prossimo colpo così fortunato. La letteratura per l’infanzia è entrata così nel “grande gioco” del mercato culturale come mai era stato prima, rischiando di diventare più che altro prodotto, prima ancora che proposta culturale.