Francese, letterature di lingua
Francia
All'inizio del 21° sec. la letteratura francese conferma fondamentalmente i caratteri e gli orientamenti che si erano delineati nell'ultimo ventennio del Novecento. Persiste la disaffezione per la teoria e per le posizioni programmatiche tipiche delle avanguardie, ultima fra le quali quella del gruppo Tel Quel. La problematicità dello scrittore si riversa piuttosto all'interno della pratica di scrittura, mentre l'assenza di orientamenti egemoni propizia la pluralità delle fisionomie individuali. I confini fra i generi si sono spesso sfumati, ma le delimitazioni consuete hanno in buona parte resistito. Il favore del pubblico, della critica e dell'editoria va alla narrativa. Le avvisaglie di un esaurimento del genere del romanzo si sono rivelate infondate. Alla lunga, gli interdetti degli anni Sessanta del 20° sec. sull'intreccio, sul personaggio e sull'impegno si sono mostrati insufficienti a paralizzare le generazioni successive. A partire dagli anni Ottanta in poi si è manifestato un ritorno a istanze già gravate dal sospetto, come quelle di 'racconto', di 'soggetto' e di 'reale': ormai distanti da qualunque estetica della tabula rasa, gli scrittori riconsiderano tali nozioni, pur tenendo ampio conto del loro logoramento.
Appare esemplare riguardo al recupero della fabula la traiettoria di J. Echenoz (n. 1947), che ha costruito vivaci macchine narrative, ispirate ai classici dell'avventura oppure alla paraletteratura. Tuttavia la complicazione dell'intreccio e l'esuberanza del narratore compromettono deliberatamente la credibilità del racconto. Negli ultimi anni la trama, semplificatasi, sottintende l'incombenza del vuoto e dello scacco: Je m'en vais (1999; trad. it. 2000); Au piano (2002; trad. it. 2005); Ravel (2005). Anche T. Viel (n. 1973) pratica il ricalco intertestuale di moduli paraletterari e filmici in Cinéma (1999; trad. it. 2002), L'absolue perfection du crime (2001; trad. it. 2002) e Insoupçonnable (2006). Rimangono ancorati all'esigenza di narrare anche i cosiddetti scrittori minimalisti o impassibili, i quali tendono però a cancellare i nessi causali e a rarefare l'oggetto del racconto, diluito negli eventi quotidiani più banali. Nella produzione più recente la tecnica fa emergere parossismi affettivi, sospensioni contemplative o enigmatiche concitazioni narrative, come in Faire l'amour (2002; trad. it. 2003) e Fuir (2005) del belga J.-Ph. Toussaint (n. 1957).
Ch. Oster (n. 1949) applica la dilatazione del dettaglio all'analisi dell'amore nascente (Une femme de ménage, 2001; Dans le train, 2002, trad. it. 2003) e affida l'affabulazione all'aleatorietà del fortuito (L'imprévu, 2005). Questa valorizzazione della contingenza caratterizza anche l'opera di Ch. Gailly (n. 1943: L'incident, 1996), che è ispirata all'improvvisazione jazz (Un soir au club, 2002). Più ludici, i testi a opera di É. Chevillard (n. 1964) comportano intreccio azzerato, gusto dell'incongruo, riflessione metanarrativa (Du hérisson, 2002; Le vaillant petit tailleur, 2003; Oreille rouge, 2005).
Il rinnovato approccio alla soggettività individuale si traduce in un'interrogazione che ricerca i fondamenti e lo sviluppo dell'identità, per lo più tramite una retrospezione mnemonica. Di qui la fortuna del romanzo autobiografico, dell'autobiografia e della cosiddetta autofiction, termine che esplicita la componente di immaginario insita anche nella più scrupolosa delle confessioni. Questo sguardo all'indietro può abbracciare una vita individuale, estendersi agli antenati e alla storia collettiva, accompagnarsi alla descrizione ambientale. Esemplare l'opera di P. Bergounioux (n. 1949), a lungo imperniata sull'evocazione di una genealogia familiare che in parte precede la memoria diretta dell'io narrante, nel quadro rurale di una regione restata ai margini della modernità. La scrittura di Bergounioux si fa sempre più captazione rigorosa e sottile di un rapporto con la natura e i luoghi (La ligne, 1997; Un peu de bleu dans le paysage, 2001). Partito pure da un racconto tra biografico e autobiografico come Les vies minuscules (1984), P. Michon (n. 1945) ha dedicato un'opera oscillante tra la finzione narrativa e la saggistica soprattutto a interrogare vite d'artisti reali e fittizi nel loro rapporto con la creazione e la bellezza (Trois auteurs, 1997; Corps du roi, 2002; Abbés, 2002). Forse, l'evocazione di scrittori e artisti del passato sta a suggerire l'impossibilità odierna, da parte dei 'figli', di replicare il grande romanzo e le opere esemplari dei padri. Nel suo ciclo in cinque volumi, da Les champs d'honneur (1990; trad. it. 1991) a Sur la scène comme au ciel (1999), situato in un contesto provinciale ed esteso fino alla Grande guerra, J. Rouaud (n. 1952) esplora il raccordo fra storia ufficiale e destini della gente comune, per poi legare in L'invention de l'auteur (2004) la genesi della propria attività di scrittore alla suggestione dell'immagine paterna.
Anche le narrazioni di R. Millet (n. 1953) evocano un territorio d'appartenenza, avvolgendo vicende e personaggi in un ampio respiro temporale (L'amour des trois sceurs Piale, 1997; Lauve le pur, 1999; Ma vie parmi les ombres, 2003). Fra romanzo e autobiografia, la problematica del soggetto si è tradotta nell'interrogazione rivolta da un personaggio evanescente a un passato personale e/o collettivo generalmente risalente al periodo dell'occupazione durante la Seconda guerra mondiale o agli anni del dopoguerra: è il caso di P. Modiano (n. 1945), da La Place de l'Étoile (1968) a Un pedigree (2005). Spicca nella tendenza autobiografica la scrittura femminile, in particolare quella di A. Ernaux (n. 1940), che evoca le sue modeste origini nel quadro familiare e ambientale dell'infanzia e della giovinezza. Il suo stile asciutto veicola una disamina delle discriminanti sociali (La honte, 1996; trad. it. 1999), mentre lo sguardo sull'interiorità implica quello sull'esteriorità altrui (La vie extérieure, 2000) e propria (L'usage de la photo, 2005).
Non più arroccata in un'asserita impossibilità di designare il mondo esterno, la letteratura cerca di arrivare a esso valorizzandone la componente verbale ed espressiva. È soprattutto il caso di F. Bon (n. 1953), che ha forgiato una scrittura consona all'esistenza contorta degli esclusi, talora intrecciandone le voci in chiave parateatrale (Mécanique, 2001; Daewoo, 2004). Più testo e récit che non romanzo, l'opera di Bon sperimenta modi di rappresentazione della realtà (Paysage fer, 1999). Concorrono a questo scopo il prelievo e l'assemblaggio di testimonianze inerenti alla vita sociale e individuale, fra le quali spicca il fatto di cronaca, assunto come nucleo di narrazione e d'indagine psicologica anche da E. Carrère (n. 1957) in L'adversaire (1999; trad. it. 2000). La narrativa tematizza i luoghi dell'emarginazione ed esplora le periferie nei testi di J. Rolin (n. 1949: La clôture, 2001; Terminal frigo, 2005) o in quelli di D. Daeninckx (n. 1949: Cités perdues, 2005). Emergono interrogativi sociali e politici, filtrati di frequente da uno sguardo sulla storia francese, soprattutto del Novecento. Il noir e il poliziesco assumono spesso valenze di denuncia, anche perché l'indagine criminale si prolunga in direzione dei trascorsi scabrosi del passato nazionale. È il caso per eccellenza dello stesso Daeninckx, di F. Fajardie (n. 1947), di T. Jonquet (n. 1954). D. Pennac (n. 1944) ha innestato sulle sue trame blandamente poliziesche spunti di difesa degli emarginati e di ritrattistica pittoresca delle periferie, sbizzarrendosi poi in fantasie corrosive di portata più generale come Merci (2004; trad. it. 2004), scritto per il teatro, e Le dictateur et le hamac (2003; trad. it. Ecco la storia, 2003). Numerosi sono stati negli ultimi anni i romanzi sulla Prima guerra mondiale e, in misura minore, sulla Seconda guerra mondiale e sulla guerra d'Algeria, mentre la narrativa torna sul Sessantotto, rievocato da Tigre en papier (2002) di O. Rolin (n. 1947). Ma si va più indietro, come mostra L'imitation du bonheur (2005) di Rouaud sulle vicende della Comune di Parigi. L'intreccio realizzato da Rolin in Méroé (1998; trad. it. 2002) fra una storia d'amore d'oggi e uno scavo archeologico in Sudan è un esempio della regressione del racconto verso un passato anche remoto, di cui testimoniano i romanzi di A. Nadaud (n. 1948), che evocano varie epoche attraverso il montaggio di documenti fittizi o l'indagine archeologica (fra gli altri: Auguste fulminant, 1997; La fonte des glaces, 2000; Le vacillement du monde, 2006). Il testo diventa palinsesto e ipertesto, la scrittura attraversa lo spessore temporale delle civiltà pregresse. In tal modo, C. Louis-Combet (n. 1932) estrae dall'immaginario pagano e cristiano i temi della spiritualità, della sensualità e della trasgressione, sviluppandoli nello schema delle biografie o dell'agiografia (L'âge de Rose, 1997; Les errances Druon, 2005). Il dialogo con artisti, studiosi e personaggi di rilievo nei secoli oscilla fra il récit, il poema in prosa, il saggio. Raffinato poligrafo, P. Quignard (n. 1948) ha sviluppato spunti riflessivi e narrativi sulle civiltà e le arti del passato occidentale e orientale fino a sfociare in una forma di scrittura intensa e inclassificabile (Vie secrète, 1997, trad. it. 2001; Dernier royaume, 5 voll., 2002-2004), che coesiste peraltro con la pratica del romanzo (Villa Amalia, 2006).
Una diagnosi della contemporaneità propiziata dal filtro dell'insolito affiora dai testi della scrittrice M. Ndiaye (n. 1967): caratterizzati da fratture di consequenzialità e di senso, essi suscitano un malessere di cui la dimensione familiare è vittima e responsabile (Rosie Carpe, 2001, trad. it. 2005; Tous mes amis, 2003, trad. it. 2005; Autoportrait en vert, 2005). Anche nei romanzi di un'altra scrittrice, M. Darrieussecq (n. 1969), la 'normalità' del mondo s'incrina. La stranezza degli eventi slitta in straniamento della scrittura mentre il livello tematico ruota attorno al nucleo familiare e alla filiazione (Le bébé, 2002; White, 2003; Le pays, 2005). Altre crepe della vita quotidiana possono minare la coerenza del soggetto e dei suoi riferimenti, come in L'adversaire di Carrère; oppure all'aridità dell'Occidente si oppongono civiltà armonizzate ai ritmi della natura, anche utopiche, alle quali J.-M.G. Le Clézio (n. 1940) ha dedicato nel tempo diverse opere, fino a Révolutions (2003), L'Africain (2004), Ourania (2006). La crisi del mondo contemporaneo trova un riscontro in autori poco classificabili. A. Volodine (n. 1950) proietta in un futuro postapocalittico i fantasmi totalitari e concentrazionari del Novecento (Nuit blanche en Balkhyrie, 1997; Des anges mineurs, 1999; Dondog, 2002). Originalità e varietà di spunti, toni e tecniche narrative caratterizzano l'opera della belga A. Nothomb (n. 1967) che, dagli esordi fino ai recenti Cosmétique de l'ennemi (2001; trad. it. 2003), Antéchrista (2003; trad. it. 2004), Biographie de la faim (2004; trad. it. 2005), affronta l'ossessione della giovinezza, la problematica del corpo, il conflitto intersoggettivo. La diagnosi più cruda proviene da M. Houellebecq (n. 1958) che, in Les particules élémentaires (1998; trad. it. 1999), Plateforme (2001; trad. it. 2001), La possibilité d'une île (2005; trad. it. 2005), stigmatizza in panoramiche globali le ossessioni occidentali dell'invecchiamento e del sesso. La scrittrice S. Germain (n. 1954) infonde al romanzo un respiro mitico e mistico, elevando microcosmi rurali a esemplarità epica, senza schivare i drammi della storia reale (Magnus, 2005). Già ispiratore dell'avanguardia di Tel Quel, Ph. Sollers (n. 1936) è passato da opere non figurative a un tipo di romanzo libero nell'euforia verbale e nella critica della cultura contemporanea, ricco di spregiudicato edonismo (L'étoile des amants, 2002; Une vie divine, 2005). Fra i nouveaux romanciers, A. Robbe-Grillet (n. 1922) è tornato al romanzo con La reprise (2001; trad. it. 2001).
L'attività poetica appare ricca e articolata, senza che nessuna scuola o gruppo la monopolizzi. Alcune grandi voci del Novecento fungono ancora da raccordo. Un percorso verso la dimensione dell'abitare ispira l'opera di Y. Bonnefoy (n. 1923), la cui scrittura ricerca la presenza nell'incarnazione (Les planches courbes, 2001). La poesia di J. Dupin (n. 1927) vorrebbe radicarsi nelle cose e trasformare la parola in gesto, salvo scontare la decadenza del corpo nell'incontro con la materia (Écart, 2000; Amuse-gueule, 2003). Una convergenza fra poesia e pensiero caratterizza la scrittura di M. Deguy (n. 1930), cosciente delle difficoltà del linguaggio poetico, minacciato dall'invadenza mediatica (Spleen de Paris, 2001) con il rischio di perdere il suo fraseggio (La raison poétique, 2000; L'impair, 2000). B. Noël (n. 1930) persegue un'articolazione della parola al corpo, esplorato da uno sguardo endoscopico. Sulla necessità di colmare la distanza fra parola e mondo verte la meditazione di C. Esteban (1935-2006). Fra le generazioni successive, un possibile criterio distintivo divide i fautori di un 'lirismo critico', propugnato da J.-M. Maulpoix (n. 1952), da quanti prediligono una poesia grammaticale e testuale. Riconducibile in parte alla riconsiderazione del soggetto, il nuovo lirismo non vuole essere confuso con una celebrazione dell'io, ma designa il "desiderio del soggetto di uscire da sé e dal mondo, di andarsene all'avventura nel linguaggio" (Maulpoix, Du lyrisme, 2000, p. 23). La scrittura di Maulpoix, consapevole dell'impossibilità di un canto abbondante, si accosta al mondo con discrezione e precisione (Domaine public, 1998; L'instinct de ciel, 2000). Una teorizzazione della poesia in chiave hölderliniana di abitazione del mondo è stata formulata da J.-C. Pinson (n. 1947), autore di raccolte dalla grande libertà tematica ed espressiva (Fado avec flocons et fantômes, 2001; Free jazz, 2004). La sensibilità per le piccole cose vivifica la poesia di M.-C. Bancquart (n. 1932: Voilé-dévoilé, 2000; Avec la mort, quartier d'orange entre les dents, 2005), e l'incanto di fronte al mondo sollecita un'espressione onnicomprensiva nella poesia di P. Oster (n. 1933). J. Sacré (n. 1939) sfuma il confine prosa/verso per avvolgere la realtà di uno sguardo dettagliato e partecipe. Un'altra impostazione concepisce la poesia come processo linguistico, che assembla materiali interrogando i codici di rappresentazione. E. Hocquard (n. 1940) in Ma haie (2001) affastella note di diario, spunti di racconto, poesie, titoli, liste. Propugnatore della poesia letterale è soprattutto J.-M. Gleize (n. 1946), che mira a una 'post-poesia' demusicalizzata, capace di denudare l'ossatura della realtà (Néon, actes et légendes, 2004). La cosiddetta meccanica lirica, insieme di operazioni combinatorie di materiali linguistici eterogenei, rappresenta l'orizzonte del lavoro poetico propugnato dalla Revue de littérature générale, in particolare da P. Alféri (n. 1963) e O. Cadiot (n. 1956). Per quello che riguarda la metrica, se ne sperimentano la persistenza, magari aggiornata, o il rifiuto, che può essere graduale e preservare quelle che Gleize chiama prose di poesia o poemi in prosa, oppure può puntare sul verso libero, o prosaico, salvo contaminazioni e ibridismo. Esiste poi una poesia che si fa performance sonora, sostenuta da apparati acustici, magnetofonici, informatici, per non parlare di sperimentazioni che sono affidate al computer, al video e, infine, al laser.
bibliografia
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B. Blanckeman, Les fictions singulières, Paris 2002.
Huit études sur la poésie contemporaine, éd. L. Destremau, E. Laugier, 3 voll., Paris 2002-2005.
Écritures contemporaines 7: effractions de la poésie, éd. É. Cardonne-Arlyck, D. Viart, Paris-Caen 2003.
D. Viart, B. Vercier, La littérature française au présent, Paris 2005.
Paesi francofoni
Con il termine francofoni ci si riferisce tanto a Paesi esterni alla Francia la cui lingua corrente è parzialmente o totalmente il francese, quanto a nazioni nella quali il francese, con la colonizzazione, si è affiancato alle lingue locali. Cresce, anche se in modo diseguale, la fortuna delle relative letterature presso il pubblico, l'editoria nonché la critica. Per di più, alla fase della rivendicazione autonomista sono subentrate problematiche peculiari di ogni area.
In ambito belga, l'attenuazione della questione identitaria si è accompagnato a una creatività multiforme. Il romanzo, o comunque la narrativa, resta il genere letterario maggiormente praticato. P. Mertens (n. 1939) in Une paix royale (1995) e Perasma (2001) manipola liberamente procedimenti narrativi e verbali. Anche F. Weyergans (n. 1941) moltiplica le modalità espressive, soprattutto nel senso del meta-romanzo (Trois jours chez ma mère, 2005). J.-P. Otte (n. 1949) imbastisce cicli cosmogonici sulla passione delle origini (Le feu sacré, 2002) e su un'osservazione trasfiguratrice della natura (La sexualité domestique, 2004; Amours en vol, 2005). Una scrittura femminile d'intensa impronta affettiva è quella di J. Harpman (n. 1929), che sonda i rapporti fra gli individui, le pieghe della psiche, le angosce della deperibilità umana. Fra le generazioni seguenti, risalta J.-C. Bologne (n. 1956), autore di affabulazioni metaculturali ambientate in varie epoche (Requiem pour un ange tombé du nid, 2001; L'homme-fougère, 2003). Tra coloro che dispongono di una ricezione francese importante vi è E. Savitzkaya (n. 1955), dalla sbrigliata fantasia verbale. L'attività poetica si mantiene vivace. L'irregolarità e la manipolazione linguistica caratterizzano tra gli altri J.-P. Verheggen (n. 1942) il quale in un impasto espressivo pluridiomatico, improntato al ritmo di un'oralità pressoché fisica, mescola parola del corpo e corpo della parola. Nell'ambito di una maggior disciplina formale, la poesia di W. Cliff (n. 1940) appare disillusa, talvolta triviale. G. Goffette (n. 1947) recupera un potere di denominazione e di emozione di fronte al quotidiano.
Nella Svizzera romanda, l'esigenza d'interiorità e l'ascolto della natura contrassegnano la tradizione e caratterizzano anche la principale figura poetica, quella di Ph. Jaccottet (n. 1925), in equilibrio fra soggetto lirico e attenzione al mondo (Après beaucoup d'années, 1994). Fra le altre voci si ricordano, J.-F. Tappy (n. 1954), F. Debluë (n. 1950), P.-A. Tâche (n. 1940). Nel genere del romanzo, l'autore più importante rimane J. Chessex (n. 1934), la cui scrittura include erotismo e misticismo, cupezza e humour (L'éternel sentit une odeur agréable, 2004; Avant le matin, 2006); É. Barilier (n. 1947) elabora un'affabulazione fra estetizzante e fantastica (Ma seule étoile est morte, 2006); B. Comment (n. 1960) affronta con il tema degli uomini-tronco una critica della società (Le colloque des bustes, 2000; trad. it. 2002) e, al contempo, intesse un contrappunto di personaggi in Un poisson hors de l'eau (2004). Fra le scrittrici, S. Roche (n. 1949: L'italienne: histoire d'une vie, 1998, scritto in collaborazione con M.-R. De Donno; L'amour et autres contes, 2002) e A.-L. Grobéty (n. 1949: Amour mode majeur, 2003; Du mal à une mouche, 2004) ritraggono vite quotidiane di donne.
Nel Québec, le istanze nazionalistiche risultano attenuate e si delinea una propensione a esprimere l'interiorità, a trattare problematiche meno localistiche rispetto al passato. Nella narrativa, J. Godbout (n. 1933) ha manifestato una vena anticlericale nel fantastorico Opération Rimbaud (1999). Un'arte dell'insolito caratterizza i recenti romanzi di J. Poulin (n. 1937), come Chat sauvage (1998). R. Lalonde (n. 1947) si sofferma sugli stati d'animo dell'adolescenza in Que vais-je devenir jusqu'à ce que je meure? (2005), dopo aver coltivato riflessioni autobiografiche in Iotékha' (2004). Si conferma il pessimismo di R. Ducharme (n. 1941), autore che ritrae personaggi marginali in testi di grande creatività verbale (Gros mots, 1999). Nel suo Les émois d'un marchand de café (1999) Y. Beauchemin (n. 1941) disegna esseri pittoreschi e generosi. Pietà umana, humour e vivacità linguistica si rilevano in Quarante-quatre minutes, quarante-quatre secondes (1997), come pure in Un objet de beauté (1997) di M. Tremblay (n. 1942), autore di una trilogia sui marginali e sui diversi (Le cahier noir, … rouge, … bleu, 2003-2005). V.-L. Beaulieu (n. 1945) stigmatizza la società canadese in Je m'ennuie de Michèle Viroly (2005); G. Soucy (n. 1958) pubblica La petite fille qui aimait trop les allumettes (1998; trad. it. 2003), romanzo-incubo straordinario, e Music-hall! (2002; trad. it. 2004), sguardo di un ragazzo sull'America degli anni Venti del Novecento. Numerose sono le narratrici, fin dalla stagione del femminismo degli anni Settanta: M.-C. Blais (n. 1939) ha dedicato una trilogia al Novecento con Soifs (1995), Dans la foudre et la lumière (2001) e Augustino et le chceur de la destruction (2005), risolta in un'immensa frase permeata d'indignazione e pietà per le sofferenze dei deboli; N. Brossard (n. 1943) in Baroque d'aube (1995) intreccia metaromanzo e tematica lesbica, mentre Y. Villemaire (n. 1949) in La déferlante d'Amsterdam (2003) traccia un itinerario di salvezza. Stimolanti gli autori immigrati, fra cui R. Robin (n. 1939), D. Laferrière (n. 1953), M. Latif-Ghattas (n. 1946), N. Ltaif (n. 1961), Y. Chen (n. 1951). In poesia, lontane le posizioni programmatiche e politiche di un tempo, restano voci pensose della condizione umana, della sfera soggettiva, della problematica metafisica, delle sorti del pianeta: P.-M. Lapointe (n. 1929), F. Charron (n. 1952) J. Brault (n. 1933), P. Chamberland (n. 1939). Anche la poesia femminile passa a un lirismo interiorizzante, come mostra Brossard, già impegnata in senso formalista e femminista. H. Dorion (n. 1958) fronteggia l'ubiquità dell'assenza e L. Warren (n. 1956) si sofferma su un quotidiano cui conferisce profondità.
Fra i libanesi, rimane fertile la vena narrativa di A. Maalouf (n. 1949) che stigmatizza l'intolleranza contemporanea in Les identités meurtrières (1998; trad. it. L'identità, 1999) e torna alla retrospezione storica con Le périple de Baldassarre (2000; trad. it. 2000) e Origines (2004; trad. it. 2004). La poesia di A. Chédid (n. 1920) manifesta un'aspirazione a riunire i contrari che include le civiltà, la vita interiore, l'itinerario umano.
Nel Maghreb, difficili situazioni ambientali hanno propiziato la tendenza di molti scrittori a stabilirsi in Francia. Né va sottovalutata una certa soggezione esercitata negli anni Sessanta e Settanta del 20° sec. dalle mode letterarie francesi su questi autori, inclini a una sofisticazione formale per lo più poco accattivante per il loro pubblico. L'attività poetica conosce un apprezzabile sviluppo. In Algeria, delusioni politiche e insofferenza del bigottismo religioso si sono tradotte alla lunga in problematiche più universalizzanti. L'opera di D. Imaziten (n. 1950) eleva un canto memore della grande lirica araba. Va ricordata anche la voce di J.-E. Bencheikh (1930-2005), traduttore delle Mille e una notte in francese. In ambito tunisino, fiorisce una poesia femminile di ampio e pacato respiro, che caratterizza i versi di A. Saïd (n. 1953) e di S. el Goulli (n. 1931). La nostalgia del rapporto con una terra propria ricorre assai di frequente, salvo fare i conti con lo sradicamento e l'esilio, a cui risponde un afflato cosmico, come quello di Ch. Nadir (pseudonimo di M. Aziza, n. 1940). La complessità del mondo d'oggi è spunto di apertura per H. Bouraoui (n. 1932), stabilitosi in Canada, cultore di una poetica della transculturalità che è espressa dalle nozioni di émigressence e créaculture. Quanto alla poesia marocchina, dopo gli accenti di rivolta espressiva ed esistenziale da parte dei poeti vicini alla rivista Souffles, fondata nel 1966, i toni si sono attenuati. La ricerca identitaria si circoscrive nell'autoriflessione dell'io, come mostrano A. Laâbi (n. 1942) e M. Khaïr-Eddine (1941-1995). Nel romanzo, a partire dall'Algeria, perdura il successo di R. Boudjedra (n. 1941) con Fascination (2000), dove un'epopea dell'erranza diffrange la linearità del testo, e Les funérailles (2003; trad. it. Cerimoniale, 2004). La scrittrice A. Djebar (n. 1936) affronta i drammi dell'Algeria contemporanea, con riferimento alla condizione della donna, inquadrata anche in prospettiva storica (La femme sans sépulture, 2002; trad. it. 2002), e alle vittime d'ogni violenza (La disparition de la langue française, 2003). Pure attenta alle sorti dell'identità femminile è M. Bey (n. 1950: Sous le jasmin la nuit, 2004; Surtout ne te retourne pas, 2005). A. Djemaï (n. 1948) racconta l'involuzione di un paese, la nostalgia dell'esule, la difficoltà del dialogo in Camping (2002; trad. it. 2003) e Le nez sur la vitre (2004). Fra i tunisini, A. Meddeb (n. 1946) si cimenta con l'alterità in L'exil occidental (2005).
Nell'opera di Bouraoui il raffronto interculturale e interetnico si estende alle soggettività (La composée, 2001; La femme d'entre les lignes, 2002). In area marocchina Laâbi ha innovato il romanzo autobiografico con l'originalità del tono e l'incontro tra francese e arabo (Le fond de la jarre, 2002). A. Khatibi (n. 1938), sensibile al confronto interculturale, pubblica Pèlerinage d'un artiste amoureux (2002) sulla conquista francese e Féerie d'un mutant (2005), romanzo planetario tenue e fantasioso. D. Chraïbi (n. 1926) utilizza il poliziesco per un ritratto ironico del mondo attuale (L'homme qui venait du passé, 2004) e prosegue la sua autobiografia con Le monde à côté (2001). T. Ben Jelloun (n. 1944), sensibile ai rapporti umani (Le dernier ami, 2004; trad. it. 2004), racconta vicende di oppressione e di reazione (Cette aveuglante absence de lumière, 2001, trad. it. Il libro del buio, 2001; Partir, 2006), anche con riferimento al mondo mediterraneo (L'auberge des pauvres, 1999; trad. it. 1999).
La tradizione rituale e corale dell'Africa subsahariana immette un vigore secolare nelle forme espressive francesi. Ma il disincanto degli scrittori dopo le indipendenze ha propiziato una forte diaspora. La narrativa procede a una cruda disamina della società attuale, cui può contrapporsi un'età dell'innocenza. L'ivoriano A. Kourouma (1927-2003) ricostruisce l'itinerario di un bambino-soldato in Allah n'est pas obligé (2000; trad. it. 2004) e Quand on refuse on dit non (post., 2004). Dal canto suo, H. Lopes (n. 1937), congolese, esalta il meticciato culturale (Le lys et le flamboyant, 1997) e tratta in Dossier classé (2002) il tema del ritorno in patria. In Arc-en-ciel sur l'Afrique (2001) il guineano A. Fantouré (n. 1938) rievoca le lotte per l'indipendenza. T. Monénembo (n. 1947), anch'egli guineano, rappresenta i massacri del Rwanda in L'aîné des orphelins (2000; trad. it. Il grande orfano, 2003), mentre in Peuls (2004) narra le peripezie di un popolo precoloniale. Ancora gli stermini del Rwanda ispirano Murambi, le livre des ossements (2000; trad. it. 2004) del senegalese B.B. Diop (n. 1946), che in L'impossible innocence (2005) indaga il tema della colpevolezza. Il malessere si esprime anche con la trasgressione dei tradizionali codici formali. A. Waberi (n. 1965), originario di Gibuti, tematizza l'esilio e l'erranza in Rift, routes, rails (2000) e compie un viaggio nell'orrore in Moisson de crânes: textes pour le Rwanda (2000; trad. it. 2001). In La fabrique des cérémonies (2001; trad. it. 2006) di K. Efoui (n. 1962), originario del Togo, il ritorno diviene un incubo grottesco. Il congolese A. Mabanckou (n. 1966) manifesta spiccata ironia in African psycho (2003; vicenda di un maldestro serial-killer) e fantasia linguistica, tematica e intertestuale in Verre cassé (2005). Fra le scrittrici, C. Beyala (n. 1961), camerunese, denuncia mali sociali e rassegnazione femminile (Femme nue femme noire, 2003; La plantation, 2005), mentre Werewere-Liking (n. 1950), anch'essa camerunese, in La mémoire amputée (2004) racconta la frammentazione dell'identità di un popolo.
Viene dalle Antille, in modo particolare dai dipartimenti francesi d'Oltremare di Martinica e di Guadalupa, una poetica di 'creolizzazione' che non è soltanto impasto di lingua locale e francese, orale e scritta, ma apertura dinamica alla pluralità del mondo. Questa posizione, teorizzata da É. Glissant (n. 1928) in Traité du tout-monde (1997), ha alimentato romanzi ricchi di libertà compositiva e linguistica (Sartorius, le roman des Batoutos, 1999; Ormérod, 2003). La riflessione di Glissant è stata sviluppata da P. Chamoiseau (n. 1953) e da R. Confiant (n. 1951). Di questo respiro testimoniano le opere di Chamoiseau, Biblique des derniers gestes (2001) e l'autobiografia À bout d'enfance (2005), la cui creatività stilistica si raccorda all'oralità popolare. Confiant punta tanto sulla mescolanza tonale quanto sulla memoria storica (La lessive du diable, 2003; La panse du chacal, 2004; Adèle et la pacotilleuse, 2005). E. Pépin (n. 1950) evoca una suggestione lesbica (Le chant des tourterelles, 2004) e demistifica un facile esotismo caribico (L'envers du décor, 2006). In Chair piment (2002) e Fleur de Barbarie (2005) della scrittrice G. Pineau (n. 1956), il ritorno alle radici mira alla conquista dell'identità e dell'equilibrio. La più anziana M. Condé (n. 1937) raffigura un antieroe disincantato (La belle créole, 2001) e l'erranza di una donna (Histoire de la femme cannibale, 2003). D. Maximin (n. 1947) interroga nell'autobiografia Tu, c'est l'enfance (2004) la prospettiva dell'adulto e quella del bambino, più ricettivo dei cicli naturali.
Sugli scrittori haitiani, spesso esuli, pesano drammi politici e civili. Risalta R. Depestre (n. 1926), il cui nomadismo ricco di esperienze si esprime in opere multiformi (Comment appeler ma solitude, 1999; Encore une mer à traverser, 2005). Il movimento spiralista (il quale propugna una teoria sull'arte globale che fonde i generi letterari del romanzo, del teatro e della poesia) traduce sul piano espressivo la condizione caotica del Paese, come appare dagli scritti di Frankétienne (n. 1936: H'éros-chimères, 2002; Miraculeuse, miraculeuse, 2003). Sulla scia spiralista sono G. Victor (n. 1958), L. Trouillot (n. 1956), Y. Labens (n. 1953). La poesia di J. Des Rosiers (n. 1951) verte sull'identità molteplice e sull'erranza, confluenti in un ritorno simbolico in patria.
bibliografia
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