LETTO (κλίνη, lectus)
Nel mondo antico il l. ricevette spesso varie decorazioni nelle gambe, nella spalliera, nelle traverse, divenendo un oggetto d'arte e come tale è qui soprattutto preso in esame.
Egitto. - Per i l. egiziani la tipologia ci è perfettamente nota dal grande numero degli esemplari rimasti, raccolti nei vari musei del mondo: quello solo del Cairo ne possiede più di 15, tutti in perfetto stato di conservazione, provenienti da tombe di epoche e luoghi diversi. Il materiale usato costantemente per 1. di ogni tipo è il legno: ebano e altri legni pregiati, oppure legni più semplici dipinti o ricoperti di stucco dorato. Spesso a rendere il mobile più prezioso si aggiungono incrostazioni o intarsi di oro, avorio e faïence. La forma è di solito molto semplice: il piano, sostenuto da quattro gambe terminanti quasi sempre in piedi di felino, è talvolta leggermente rialzato dalla parte della testata. Non esiste spalliera, ma non è raro che all'estremita inferiore si erga un pannello verticale, ora semplice, ora riccamente decorato: per esempio quello di un l. proveniente dalla tomba di Tutankhamon (XVIII dinastia) è diviso in tre compartimenti: in ciascuno di essi, mediante un lavoro di traforo, è rappresentato, tra due leoni, il dio Bes, il quale aveva il compito di tener lontani dal dormiente gli spiriti del male.
Esiste un altro tipo di l., piuttosto strano: il piano è sostenuto da due animali, completamente scolpiti, dai corpi estremamente assottigliati e allungati, a costituire la cornice anteriore e posteriore del letto. I quattro angoli del piano vengono perciò ad essere adornati dalle due teste e dalle due code, che sono per lo più sollevate in alto a voluta. Gli animali rappresentati sono: vacche (che simboleggiano la dea Ḥatḥōr), leoni, pantere, o anche animali fantastici (come quelli di un l. della tomba di Tutankhamon, con gambe di felino e teste che ricordano nello stesso tempo l'ippopotamo e il coccodrillo). Il contrasto dei colori e le frequenti aggiunte in materiali come avorio e lapislazzuli contribuiscono ad aumentare l'effetto decorativo, che però risulta ai nostri occhi straordinariamente pesante e barocco. I l. di questo tipo non erano certo di uso comune; una loro particolare funzione si può dedurre da alcune pitture (come per esempio quella della tomba di Sennadjem a Deir el-Medīneh, XX dinastia) dove l. a forma di animali (nell'esempio citato leoni) sembrano limitati ad usi funerarîi, come l'imbalsamazione della mummia. Ma non si può affermare che i l. per le cerimonie funebri fossero esclusivamente di questo tipo, poiché le pitture ne mostrano spesso a questo uso anche di molto più semplici.
Oriente. - La nostra conoscenza dei l. di altri popoli orientali è quanto mai scarsa; mancano allo scopo ritrovamenti archeologici di una certa entità e, nelle rappresentazioni figurate, il l. è pressoché inesistente. Da Tell el-Far῾ah, in Palestina, proviene l'armatura metallica di un letto assai semplice, del periodo persiano; modellini fittili di l., sui quali è visibile il reticolato del fondo, sono conservati in varî musei. Della ricca decorazione dei l. dei sovrani danno testimonianza i pannelli in avorio trovati ad Arslan TaŞ, che appartenevano al l. di un re di Damasco.
Particolare interesse presenta un rilievo assiro (ora al British Museum), proveniente dal palazzo di Assurbanipal (VII sec. a. C.): vi è rappresentato il re, adagiato a banchetto, su un l. probabilmente bronzeo, molto ornato, con bassorilievi (forse d'avorio) sulla traversa che collega in basso le gambe e sulle gambe stesse, modellate in una forma molto complessa, con l'inserzione di sculture a tutto tondo (leoni accovacciati). I piedi del l. sono a forma di pigna, come quelli di molti altri mobili orientali. Si può riconoscere anche la presenza di una specie di spalliera, o meglio di sostegno ricurvo, per poggiare il gomito.
Grecia, Etruria, Roma. - Nel mondo classico il l. ha avuto funzioni molto più ampie che ai tempi nostri: oltre che per dormire è usato per adagiarvisi a banchetto; sostituisce in gran parte le sedie per scrivere o leggere, compare in numerose cerimonie pubbliche come il lettisternio e le Teossenie; serve per tutte le cerimonie funebri, dall'esposizione del defunto (pròthesis), ai funerali veri e proprî (ekphorà). Inoltre su un reale l. è spesso deposto il morto nella tomba; tale usanza (che manca in epoca classica nella Grecia continentale), determinata in parte dall'assimilazione dell'idea della morte a quella del sonno, ha grande importanza dal punto di vista archeologico, poiché spesso questi l. riproducono in materiali più durevoli, come pietra o marmo, tipi e forme effettivamente in uso: il che si constata in tombe macedoni del IV sec. a. C., in tombe euboiche, in tutte le necropoli alessandrine e soprattutto in tombe etrusche (arcaiche e tarde). Il materiale più diffuso per il l. comune era il legno. Ne esiste conservato un solo esemplare greco, ora al museo di Berlino forse della fine del V sec. a. C., proveniente dall'Egitto (Tebe). I reperti archeologici si fanno invece più numerosi quando, in epoca ellenistica e romana, diventano molto più frequenti i l. metallici, che non sono sconosciuti neppure in epoca arcaica (klìne bronzea trovata nella Tomba Regolini-Galassi, di Caere, ora al Museo Gregoriano Etrusco) e quelli di osso e avorio. Talvolta il l. è interamente di questi materiali (l. bronzei: ellenistici da Priene, romani da Ercolano, Pompei, Boscoreale; l. d'avorio e d'osso da Norcia, Ancona, Orvieto); talvolta l'intelaiatura è lignea e solo alcune parti, come i piedi e gli ornamenti delle spalliere, sono di bronzo o avorio: da ciò è derivato lo stato quanto mai frammentario dei ritrovamenti, che ha portato spesso a errati restauri; per esempio molti dei cosiddetti bisellia non sono altro che l. per cui si è fraintesa la funzione delle testate o di altri pezzi di decorazione.
I resti monumentali, come si vede assai limitati, sarebbero del tutto insufficienti, soprattutto per l'epoca greca, a stabilire la forma e l'evoluzione del l. nel tempo e nello spazio, se non avessimo l'ausilio diretto delle fonti letterarie: fondamentale a questo proposito è il passo di Polluce (x, 32 ss.), ma per lo più si tratta di notizie dateci casualmente da scrittori di genere diversissimo: per esempio Omero (Od., xxiii, v. 190 ss.) ci fornisce la descrizione dettagliata della costruzione del l. di Ulisse. Di gran lunga più importanti sono le rappresentazioni figurate: tutta la ceramica greca, i rilievi funerarî greci, etruschi e romani, gli specchi e le pitture etrusche e romane costituiscono la base delle nostre conoscenze, anche se nuoce spesso alla comprensione esatta della struttura del mobile la mancanza o l'applicazione imprecisa della prospettiva e l'approssimazione stessa della rappresentazione.
Accanto alle fonti monumentali e a quelle figurate stanno le piccole riproduzioni in terracotta di l., come quelle etrusche arcaiche (da Caere) al Louvre e al British Museum, e quelle di numerosi gruppi greci e ellenistici raccolti in gran parte dal Winter (Typen der fig. Terrac., passim).
Inoltre possono essere presi in considerazione tutti i sarcofagi a forma di klìne: sulla loro evoluzione, in rapporto alle modificazioni del l., trattò l'Altmann.
La forma base del l. non presenta nulla di eccezionale e corrisponde sostanzialmente a quella attuale. L'interesse artistico si accentra quasi unicamente sulle gambe e sulle spalliere, mentre un campo del tutto secondario di decorazione è costituito qualche volta dalla trave anteriore di intelaiatura del l., quando essa ha una certa altezza, il che si verifica piuttosto sporadicamente. Nei l. attici, in generale, la trave è molto bassa e priva di ornamenti, ma su quella di una kotỳle del V sec., ora a Vienna, sono rappresentati un leone e un toro. Una decorazione complessa presenta eccezionalmente anche la cornice, altissima, della piccola klìne di terracotta, etrusca arcaica, del Louvre: alla parte superiore liscia si oppone quella inferiore con un gruppo a rilievo di due leoni che attaccano un toro, gruppo fiancheggiato da due figure adagiate. Nei l. ellenistici e romani compaiono abbastanza frequentemente opere di intarsio con motivi semplicissimi come scacchi o meandri; o, raramente, con elaborata ornamentazione come il bellissimo esempio del Metropolitan Museum di New York dove una ghirlanda di lauro, circondata da una spirale (l'una e l'altra in agemina d'argento) è posta entro una cornice modellata.
Le gambe e le spalliere, offrendo il campo alla maggiore decorazione, sono soggette a variazioni di un certo rilievo, per le quali merita di tracciare un quadro generale. Le gambe si possono raggruppare in tre tipi fondamentali: 1) gambe a forma di zampa di animale; 2) gambe a sezione rettangolare, di solito decorate a intaglio sul lato anteriore; 3) gambe a sezione circolare, lavorate al tornio. Il primo tipo, di uso comune in Egitto, si trova rarissimamente nei l. greci (v. per esempio una kỳlix attica a figure nere al Museo di Villa Giulia), e manca completamente in quelli etruschi e romani, pur essendo dovunque impiegato per tavole e sgabelli. La seconda forma, i cui singoli elementi decorativi si possono far risalire all'arte assira, è generalmente considerata, come originaria della Ionia, di cui risulta effettivamente tipica in epoca classica (cfr., per esempio, le lastre fittili di Larissa con scene di banchetto). In Grecia l. con gambe intarsiate appaiono alla metà del VI sec., dapprima sulla ceramica corinzia (bellissimo esempio è quello sull'hydrìa del Louvre con il compianto funebre di Achille); e sono molto diffusi quasi fino alla metà del V sec., come ci mostra soprattutto la ceramica attica a figure nere e rosse. Nello stesso periodo questo tipo di sostegni si trova frequentemente anche in Etruria, in particolare su opere, come le urnette e i sarcofagi ceretani, dove predomini l'influsso ionico. La decorazione (di solito a intaglio, solo raramente dipinta), è costituita essenzialmente da due specie di volute, nella parte centrale del pilastro, al di sopra e al disotto delle quali si dipartono due palmette; in alto sono spesso intarsiate delle rosette. Le varianti consistono in una maggiore o minore leggerezza del pilastro, determinata dalla sua ampiezza e dalla maggiore o minore profondità degli intagli. Quasi sempre la gamba della testata è rialzata da un capitello, molto simile a quello eolico, ornato di due volute divergenti, con una palmetta al centro; in alcuni casi (come l'urnetta ceretana del Louvre) i due pilastri sono ugualmente sporgenti al di sopra della cornice per la presenza di un identico capitello anche all'estremità inferiore del letto.
Sia in Grecia, sia in Etruria, dalla seconda metà del V sec. a. C. in poi, le gambe intarsiate diventano sempre meno diffuse e sono per lo più limitate a l. funebri (klìnai trovate in tombe ellenistiche di Napoli e di Taranto) e a l. di parata per cerimonie cultuali. Inoltre sparisce di solito l'eleganza primitiva della decorazione, in un affastellarsi di ornamenti, come mostrano alcuni vasi àpuli del IV e III sec. a. C. Talvolta ci sono poi delle effettive aggiunte, come le sculture alla base delle gambe di un l. marmoreo di una tomba macedone del IV sec., che presenta però ancora una decorazione sobria e di buon gusto. Il modello di l. in terracotta dipinta da Tanagra (ora al Louvre) deriva dallo stesso tipo generale, ma con un numero rilevante di modificazioni (il disegno delle palmette ha una collocazione diversa dal solito, e il posto del capitello a volute è preso dalle placche rettangolari con rappresentazioni a rilievo di figure correnti). L. con gambe semplicemente rettangolari, prive di ogni decorazione, ricorrono in tutte le epoche, dai vasi geometrici in poi, ma sono prive di ogni interesse artistico.
Il terzo tipo (gambe a sezione circolare), presente già in Egitto, è il più diffuso nel mondo greco, etrusco e in quello romano dove ha eliminato altre forme. L. con gambe all'incirca cilindriche compaiono già sui vasi del Dipylon. Nel VI sec., come mostrano vasi corinzî, calcidesi, attici (v. per esempio il cratere di Eurytios al Louvre, la coppa di Fineo a Würzburg) il modello è piuttosto complesso (numerosi incavi e sporgenze, aggiunta di membri a lorma di campana, ecc.). Del V sec. sono invece caratteristiche forme quanto mai semplici e lineari. È impossibile indicare tutti i disegni, la cui diversità dipende dal gusto del singolo artefice; ma il tipo fondamentale, che si ritrova dominante nella stessa epoca anche in Etruria (v. tombe tarquiniesi, urnette chiusine, ecc.), è quello che presenta un solo ingrossamento nella parte centrale della gamba. Normalmente le gambe della testata sporgono al di sopra della cornice del l. mediante un abaco o una specie di capitello di varie forme. In epoca seguente, dal IV sec. in poi, troviamo in questo tipo di sostegni la stessa degenerazione notata per i l. con sostegni intarsiati; la composizione si complica e va persa la bellezza delle curve più antiche, come mostra chiaramente un frammento di vaso àpulo al Metropolitan Museum, con Achille e Priamo. Nell'ellenismo molto spesso la linea della gamba è appesantita dall'introduzione di sculture a tutto tondo, inserite ad una certa altezza: tipici sono i cosiddetti sfingipodi, di cui parla la tradizione letteraria (Ateneo), che riconosciamo, per esempio, nei l. di terracotta da Myrina (Asia Minore). Il motivo compare anche su tarde urne etrusche (a forma di klìne) e su alcuni monumenti romani, come l'urnetta già del Museo Kircheriano. Ma le gambe tornite dei l. romani si ricollegano generalmente (anche se la impoveriscono e la appesantiscono alquanto) a quella seconda corrente ellenistica che reagì a questa baroccheggiante con modelli nuovamente semplici ed eleganti (esemplari di tale forma, databili alla fine del III e al II sec., vengono da Priene e da tombe della Russia meridionale).
Le spalliere (klintèria, fulcra) si uniscono quasi esclusivamente a gambe appartenenti al terzo tipo, poiché si crea una naturale armonizzazione di curve che non esisterebbe con i sostegni a sezione rettangolare. Sporadicamente la spalliera comincia ad apparire poco prima della metà del V sec.; le più antiche sono molto semplici e vi predominano le linee diritte (v. per esempio la coppa di Epiktetos al British Museum), talvolta sono molto basse e non differiscono gran che, ai nostri occhi almeno, dai più comuni elementi ornamentali usati per rialzare il pilastro (come quelle su alcuni l. dipinti da Douris) della testata. Anche le prime spalliere ricurve (ricavate in un pezzo unico con la gamba) non hanno alcuna decorazione particolare: viste di profilo, dal lato anteriore del l., sono molto sottili e terminano semplicemente in una voluta, come quelle del l. (o forse lettiga) di un vaso all'Ermitage. Ma a poco a poco queste spalliere (che spesso adornano ambedue le estremità del l., che prende così il nome di amphikèphalos, cioè a due testate) si modificano, divenendo la parte più importante del mobile; acquistano maggiore altezza e spessore; è necessario che siano lavorate separatamente e per sostenersi devono appoggiare l'ampia base sul piano del l.; si arricchiscono di decorazioni e sculture che ne fanno talvolta delle vere opere d'arte. Ne possiamo avere un'idea abbastanza chiara dalla notevole quantità dei frammenti conservati (di bronzo e di osso) che fanno naturalmente in questo periodo passare in seconda linea le rappresentazioni figurate. Il criterio di decorazione applicato quasi costantemente dal III sec. a. C. al II d. C., consiste nel far terminare la curva della spalliera in alto con una protome animalesca, in basso con un medaglione: alcuni esemplari più antichi, come quello (III sec. a. C.) proveniente dalla Russia meridionale, presentano un medaglione anche in alto, ma l'introduzione della protome costituisce senza dubbio una migliore soluzione artistica, poiché la linea curva della spalliera trova nel collo dell'animale il suo naturale proseguimento, conferendo all'insieme un notevole senso ritmico che mancherebbe altrimenti: infatti non è una scelta felice neppure il busto umano con cui termina, eccezionalmente, la spalliera di un l. pompeiano. Le teste di animale usate con maggiore frequenza sembra che siano quelle di cavallo e di mulo; poi di leoni e pantere; ma non ne mancano anche di altri, come cani e tori. Interessante per l'eccezionalità del soggetto e la notevole qualità artistica è la protome bronzea di elefante della Collezione Loeb, databile alla prima epoca imperiale romana: sono caratterizzate con molta cura le diversità della struttura della pelle, dalla proboscide alle grandi orecchie; le zanne e le pupille, ora mancanti, erano aggiunte in argento, come pure sono d'argento le corregge che tengono legata al collo la corazza squamata, tradizionalmente portata dagli elefanti da guerra. I colli di cigni, oche e simili volatili, che conosciamo da numerosissimi esemplari, erano riservati per lo più alla spalliera dell'estremità inferiore del l., o, soprattutto, agli angoli del lato posteriore, meno visibile, per controbilanciare, con la loro semplicità, la complessità e la ricchezza decorativa delle altre teste animali. I medaglioni sono ornati talvolta solamente di una rosetta quasi sempre di un busto o di una testa umana (molto rare le teste animali), più o meno aggettante: di negretti, di Eros, ma soprattutto di Ercole, di Dioniso, di satiri e menadi (caratterizzati dalla nebride sulle spalle). Sembra dunque che gli elementi preferiti siano quelli della cerchia dionisiaca. Fra gli animali oltre la pantera e il leone anche il mulo, coronato quasi sempre di edera, è stato riferito a Dioniso; tale scelta è stata spesso interpretata come voluta, in rapporto con la probabile destinazione tricliniare di molti di questi letti. Intarsi e agemine di argento per i pezzi bronzei, in pasta vitrea colorata o pietre dure per quelli in osso e avorio, adornano spesso, oltre le protomi e i medaglioni, anche la superlicie piana fra le due estremità della spalliera. In questa zona la decorazione è per lo più limitata a semplici niotivi floreali (rami di mirto per esempio), ma in alcuni casi vi sono intarsiate vere e proprie scene; il cosiddetto bisellium capitolino (I sec. d. C.), raffinata opera di indubbia derivazione ellenistica, presenta satiri e menadi in un boschetto dionisiaco. Un gruppo a sé costituiscono alcuni fulcra dove mancano completamente le appliques alle estremità e tutta la superficie laterale piana è lavorata a rilievo plastico: un interessante fulcrum tarentino (III sec. a. C.) mostra un gruppo di Polifemo ebbro, Odisseo e la ninfa Etna. Va però notato che il tipo di l. amphikèphalos, con spalliere terminanti a protomi animali, compare in Italia nell'ambito dell'orientalizzante settentrionale: sullo specchio di Castelvetro, datato finora al V sec. a. C., è graffito un l. con fulcra a collo di volatile. Sulla terza fascia della situla della Certosa (negli studî più recenti datata all'inizio del V sec. a. C.) due figure sono rappresentate sedute su di un l. o divano, il cui aspetto risulta del tutto fuori del comune: motivi ed elementi diversi, desunti in parte dal repertorio villanoviano e orientalizzante, sono accostati quasi senza un preciso criterio logico, così da creare un insieme assolutamente fantastico. Di notevole lunghezza, il l. è sostenuto da tre basse gambe cilindriche modellate; direttamente al di sopra delle due estreme, senza soluzione di continuità, cominciano le spalliere, costituite da robuste protomi di leone; dalle fauci della fiera sinistra pende il corpo semidivorato di un uomo, dalle fauci di quella destra un coniglio o una lepre. Inoltre sulle teste dei leoni stanno in piedi due figurette di satiri nudi, simmetricamente affrontati e protesi in avanti, con un braccio steso. È difficile spiegare esattamente la funzione di tali figure, ma comunque è verisimile si tratti di statuette, di elementi cioè che costituiscano un tutto unico con il complesso del mobile. La fascia, a riquadri metopali ornati di anitrelle, che congiunge le due spalliere, deve essere intesa come una specie di schienale, e non come la trave di intelaiatura del l.: si dà infatti la massima evidenza al fatto che due personaggi siedono davanti a tale fascia, e non al di sopra, come sarebbe logico se si trattasse della consueta sponda decorata di una klìne.
Per quello che concerne la tipologia comune, non è assolutamente possibile distinguere delle scuole o delle correnti diverse; gli stessi tipi e gli stessi soggetti sembrano uniformemente diffusi in tutte le regioni dei mondo ellenistico e romano; Spagna, Francia, Italia, Grecia, Siria hanno dato frammenti straordinariamente simili, se non identici. Differenze sostanziali non esistono neppure su un piano cronologico fra le forme ellenistiche e quelle romane (almeno fino a tutto il I sec. d. C.), per le quali si nota solo quel certo appesantimento già osservato per i modelli delle gambe. Ma dal II sec. ha inizio un progressivo impoverimento di forme: i fulcra, pur terminando ancora in teste animali, divengono più alti e più rigidi (riavvicinandosi in certo modo alle prime spalliere curve del IV sec. a. C.); perciò da ora comincia ad essere molto amato un motivo che permette tale stilizzazione: il delfino, rappresentato per lo più con la testa poggiata sul piano del l. e il corpo sollevato in alto a voluta (numerosi esemplari di delfini bronzei sono al British Museum, al Cabinet des Médailles e altrove). Questi graduali cambiamenti preparano la via all'introduzione dello schienale, che costituisce la maggiore novità dei Romani: si crea una forma di l. che ha molti punti di contatto con i nostri divani. Tali l. sono rappresentati su numerosi sarcofagi romani con scena di banchetto funerario (v. per esempio sarcofago tardo al Laterano). Una volta entrata nell'uso l'idea dello schienale, ne appaiono naturalmente vari modelli: ora è altissimo e rigidamente verticale (come quello della pietra sepolcrale di Paro), ora è costituito di sbarre incrociate, ora si unisce alle spalliere e forma con esse un unico appoggio semicircolare. Ma ormai il l. ha perso ogni valore artistico.
Vi sono inoltre gli accessorî di rivestimento dei l. (materassi, coperte, cuscini); le notizie si possono dedurre ovviamente solo dalle fonti letterarie e dalle rappresentazioni figurate. In epoca greca l'uso del materasso non sembra costante; il l. della già citata hydrìa del Louvre (con il compianto di Achille) ne presenta due di spessore diverso; ma nella maggior parte dei l. dei vasi attici con scene di banchetto è completamente mancante, sostituito solo da qualche cuscino. I l. etruschi invece sono forniti di solito di materassi piuttosto alti.
I cuscini, costantemente usati nei banchetti come appoggi per il gomito dei convitati semiadagiati, sono di forme molto varie (rettangolari, ovali, rotondi, ecc.). La presenza di cuscini all'estremità inferiore del l. (cominciano ad apparire nel IV sec. a. C.) non è legata necessariamente al tipo amphikèphalos, in quanto sappiamo che spesso erano usati per tenere sollevati i piedi dei giacenti. Le stoffe dei materassi e dei cuscini sono decorate con crocette, righe, fiori, meandri; ugualmente quelle delle coperte. Riguardo alla tipologia di queste ultime è possibile stabilire alcuni punti fissi: sui crateri corinzi con scene di banchetto, e generalmente nella ceramica calcidese, la coperta è disposta in modo da coprire l'intelaiatura e le gambe del l. fino a metà altezza; lo stesso avviene in altri esempî sporadici, come il fregio di GölbaŞi-Trysa e alcuni vasi beotici. In Attica la coperta, se' è presente, sporge assai limitatamente al di fuori della cornice. In Etruria invece è disposta in modo particolare, così da ricadere in due lembi piuttosto lunghi alle due estremità del l., girando al di sopra dei pilastri, che restano perciò visibili in tutta la loro altezza così come l'intelaiatura.
A Roma, soprattutto in epoca tarda, i varî drappi di copertura assumono una particolare importanza perché spesso arrivano fino a terra, coprendo interamente il mobile, la cui preziosità è così tutta nella ricchezza delle stoffe. È questo il caso, per esempio, di quei l. tricliniari, che compaiono anche in alcune pitture pompeiane, chiamati sigma, per la loro forma semicircolare, simile appunto al sigma lunato greco; si tratta di una specie di divano unico che, ad un certo punto, viene a sostituire nei triclinî i tre l. separati. L'uso del sigma si ritrova fino a tarda epoca cristiana, come attestano, per esempio, miniature dei codici di Virgilio al Vaticano o dell'Iliade all'Ambrosiana.
Monumenti considerati. - L. della tomba di Tutankhamon: H. Carter-A. C. Mace, The Tomb of Tutankhamen, Londra 1923, tavv. xlix e xxvii; Musée du Caire, Description sommaire des principaux monuments, n. 20 e 221. Pitture della tomba di Sennadjem: A. Lhote-L. Vandier, Les chefs d'øuvre de la peinture égyptienne, Parigi 1954, tav. ii. (Per ulteriori esempî di l. egiziani vedi le opere citate). Rilievo assiro con il banchetto di Assurbanipal: H. Frankfort, Art a. Archit. Anc. Orient, Harmondsworth 1954, tav. 114. L. di Tell el-Far῾ah: J. B. Pritchard, The Ancient Near East in Pictures, Princeton 1954, n. 140. Per il periodo della antichità classica (Grecia, Etruria, Roma) quasi tutti i monumenti citati sono riprodotti nelle opere della Bibl. generale (soprattutto nel volume della Richter). Situla della Certosa: Mostra dell'Etruria padana e della città di Spina, Bologna 1960, vol. i, p. 190, n. 642 (con tutta la bibl. prec.). Specchio di Castelvetro: op. cit., p. 417, n. 1290, tav. cxlvi (con bibl. prec.).
Bibl.: P. Girard, in Dict. Ant., s. v. Lectus; C. Ransom, Studies in Ancient Furniture, Couches and Beds of Greeks, Etruscans and Romans, Chicago 1905; G. Rodenwaldt, in Pauly-Wissowa, XI, 1922, c. 846 ss., s. v. Kline; G. M. A. Richter, Ancient Furniture, Oxford 1927; G. Libertini, in Enc. Ital., XX, p. 985, s. v. Per ulteriori esempî di l. nelle rappresentazioni figurate cfr. H. Payne, Necrocorinthia, Oxford 1927; J. C. Hoppin, Red-fig.; E. Pfuhl, Mal. u. Zeichn., Monaco 1923; C. V. A., passim per tutta la ceramica greca. Per i monumenti etruschi: G. Q. Giglioli, Arte etrusca, passim. Della questione delle klìnai funebri e dei sarcofagi a forma di l., hanno trattato: L. Heuzey-H. Daumet, Mission Archéologique de Macedoine, Parigi 1876, p. 250 ss.; G. K. Vollmoeller, Ueber zwei euböische Kammergräber, in Ath. Mitt., XXVI, 1901, p. 332; W. Altmann, Architektur und Ornamentik der antiken Sarkophage, Berlino 1902, p. 32 ss. Su singoli l. e frammenti di l. (soprattutto fulcra) conservati: A. Pasqui, Di un antico letto di osso scoperto in una tomba presso Norcia, in Mon. Ant., I, 1890, p. 234; P. Paris, L'âne de Silène, Ornament de bisellium trouvé en Espagne, in Revue Ét. Anc., I, 1899, p. 245, tav. 3; E. Pernice, Bronzen aus Boscoreale, in Arch. Anz., XV, 1900, p. 178 ss.; W. Amelung, Das capitolinische Bisellium, in Röm. Mitt., XVII, 1902, p. 263 ss.; E. Brizio, Ancona. Tomba dell'epoca romana, in Not. Sc., 1902, p. 445; H. Graeven, Antike Schnitzereien aus Elfenbein und Knochen, Hannover 1903, passim; Th. Wiegand-H. Schrader, Priene, Berlino 1904; A. Pasqui, Tomba di età romana scoperta presso l'antica città di Amiternum, in Not. Sc., 1907, p. 145 ss.; C. Ransom, Reste griechischer Holzmöbel in Berlin, in Jahrbuch, XVII, 1911, p. 125 ss.; G. Sieveking, Sammlung Loeb, Bronzen, Terracotten, Vasen, Monaco 1907, p. 7, tav. 9 (protome di elefante); R. Thouvenot, Ornaments de klines, in Publications du Service des Antiquités du Maroc, fasc. 11, 1954, p. 68; un elenco quasi completo di tutti i frammenti conservati (con bibliogr. generale e particolare) in A. Greifenhagen, Bronzekline im Pariser Kunsthandel, in Röm. Mitt., XLV, 1930, p. 137.
(S. De Marinis)