LETTONIA
(XX, p. 988; App. I, p. 788; II, II, p. 189; v. URSS, App. III, II, p. 1043; IV, II, p. 754)
Già una delle repubbliche socialiste sovietiche, dal 1991 costituisce uno stato indipendente nell'ambito della Comunità di stati indipendenti formatasi in seguito alla dissoluzione dell'URSS. Ha una superficie di 64.589 km2 e una popolazione di 2.680.029 ab. (censimento 1989). Di questi, il 51,8% sono Lettoni, il 33,8% Russi, il 4,5% Bielorussi, il 3,5% Ucraini e il 2,3% Polacchi. La capitale, Riga, contava 917.000 ab. nel 1990. Lingua ufficiale è il lettone (dal 1988), in luogo del russo. Religione dominante è la luterana con minoranze cattoliche, ortodosse ed ebraiche.
L'economia della L. è di dimensioni molto modeste in rapporto a quella della collettività sovietica di cui ha fatto parte integrante (nel 1989 i tre stati baltici hanno dato un apporto complessivo di appena il 3,1% alla formazione del prodotto materiale netto dell'URSS) e da cui dipendeva in misura tale che nel 1989 oltre il 60% della produzione interna era stato ''esportato'' nelle altre repubbliche sovietiche. La crisi del sistema sovietico ha perciò messo in gravi difficoltà l'economia della L. che, priva di fonti energetiche interne (a eccezione di giacimenti di torba), non può più contare su forniture a buon mercato di idrocarburi di provenienza russa.
La L., al pari delle altre repubbliche baltiche, sta tentando affannosamente di diversificare da un lato le proprie fonti di approvvigionamento di energia e di materie prime, e dall'altro i mercati di sbocco delle sue produzioni, compito non facile, dopo quarant'anni d'integrazione nell'economia sovietica. Gli effetti della recessione conseguente alle pur necessarie riforme economiche si sono manifestati con un progressivo aumento dei livelli di disoccupazione e con un forte calo della produttività industriale. L'apparato industriale, che nel 1990 aveva prodotto tra l'altro 499.000 t di acciaio, 681.000 t di semilavorati di metalli ferrosi, 169.000 t di fertilizzanti chimici, 31.300 t di materiali plastici e 99.000 t di carta, ha in seguito lavorato al di sotto delle proprie capacità. In flessione anche la produzione delle tradizionali colture cerealicole (1,4 milioni di t nel 1989) e il settore dell'allevamento. Nel 1990 la produzione di energia elettrica è stata di 5,9 miliardi di kWh.
Storia. - Dopo la riannessione all'URSS avvenuta nel luglio 1945, per un quarantennio le istanze indipendentistiche si espressero soprattutto in azioni isolate di gruppi clandestini o in forme di dissenso non organizzato che furono represse molto duramente. La russificazione, avviata dal dominio sovietico, fu condotta inizialmente anche con estese deportazioni. Nel 1970 il 56% della popolazione apparteneva al gruppo lettone (che raggiungeva il 73% negli anni Trenta). Alla metà degli anni Ottanta l'opposizione riuscì a organizzarsi e sorsero numerosi gruppi spesso legati a tematiche ambientaliste. Tra questi, particolare importanza ebbe Helsinki 86 che aveva l'obiettivo di controllare il rispetto degli accordi della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa (CSCE) firmati dall'URSS nel 1975. L'attività di queste nuove formazioni fu incoraggiata dalle scelte politiche di Gorbačëv, per quanto il locale Partito comunista, guidato dal 1984 da B. Pugo, fosse assai poco sensibile alla perestrojka. Nel corso del 1988 le forze di opposizione accrebbero la loro capacità di mobilitazione e chiesero radicali mutamenti politici ed economici. Nel settembre Pugo fu richiamato a Mosca e sostituito da J. Virgus, mentre in ottobre i gruppi nazionalisti davano vita al Fronte popolare di L. (Latvijas Tautas Fronte, LTF) che poteva contare su 250.000 iscritti, e riuscirono, almeno in questa fase, a condizionarne le scelte politiche. Infatti, già nel settembre il lettone era divenuto la lingua ufficiale dello stato. Questo provvedimento fu considerato il primo passo verso la piena indipendenza. Nelle elezioni del 25 marzo 1989 per il Congresso pansovietico dei deputati del popolo i candidati del Fronte conquistarono 26 dei 34 seggi. Il 28 luglio, sulla scorta di quanto era già avvenuto in Lituania ed Estonia, il Soviet supremo fece una dichiarazione di sovranità e d'indipendenza economica e nel gennaio 1990 abolì le norme costituzionali che assicuravano al Partito comunista il monopolio del potere politico, aprendo così la via al multipartitismo. Nelle elezioni per il Soviet supremo, svoltesi nel marzo, i candidati del Fronte, presenti in numerose formazioni politiche, conquistarono 131 dei 201 seggi, mentre in aprile, nel congresso straordinario del Partito comunista, si verificò una scissione che portò alla costituzione del Partito comunista indipendente di Lettonia. Il nuovo Soviet supremo cambiò il proprio nome in Consiglio supremo (maggio) e adottò una risoluzione che dichiarava illegale l'annessione della L. all'URSS e annunciava l'inizio della transizione verso la piena indipendenza. Contemporaneamente si costituì un governo guidato da I. Godmanis, vice-presidente del Fronte. Le decisioni adottate dal Consiglio supremo portarono a un drastico peggioramento dei rapporti con l'URSS, e il 14 maggio Gorbačëv emanò un decreto che annullava la dichiarazione d'indipendenza. Nei mesi successivi la situazione si andò progressivamente radicalizzando per precipitare nel gennaio 1991, quando unità speciali del ministero degli Interni sovietico occuparono il palazzo della stampa e un comitato di salute pubblica, di stretta osservanza sovietica, tentò di costituire un governo alternativo. In un clima di tensione e d'imponente mobilitazione di massa si tenne il 3 marzo un referendum per l'indipendenza, che coinvolse l'86,7% della popolazione (il 73,7% si dichiarò favorevole) in contrapposizione a quello indetto per il 17 marzo in tutti gli stati dell'URSS sul futuro dell'Unione. Nei mesi seguenti il governo riacquistò il pieno controllo della situazione e il 21 agosto, anche in risposta al tentativo di colpo di stato a Mosca, il Consiglio supremo dichiarò la piena indipendenza della L., mentre il 23 agosto mise al bando il Partito comunista filo-sovietico. Molti paesi occidentali riconobbero immediatamente la nuova repubblica e così fece anche il Consiglio di stato sovietico il 6 settembre. Il 17 settembre la L. entrò a far parte delle Nazioni Unite e nello stesso mese stipulò un accordo di cooperazione economica con gli stati baltici. Accese polemiche suscitò una nuova legge, approvata in ottobre, che prevedeva il riconoscimento automatico della cittadinanza solo a coloro che risiedevano in L. da prima del 1940 e ai loro diretti discendenti, mentre gli altri potevano far richiesta di naturalizzazione alla condizione di avere almeno 16 anni di residenza e di possedere una buona conoscenza del lettone. Il 5 maggio 1992 il Consiglio supremo introdusse l'esame di lingua lettone per gli impiegati dei settori privato e pubblico.
Bibl.: St. L. Burg, The European republics of the Soviet Union, in Current History, 1990, pp. 8 ss.; L. Genon, Roads to Baltic indipendence, in The World today, 1991, pp. 135-38; The Baltic States: a reference book, Tallin-Riga-Vilnius 1991; P. U. Dini, L'anello baltico. Profilo delle nazioni baltiche: Lituania, Lettonia, Estonia, Genova 1991; M. Ignatieff, In the new Republics, in The New York Review of Books, 21 novembre 1991; H.J. Uibopuu, Dealing with the minorities. A Baltic perspective, in The world today, 1992, pp. 108-12.
Letteratura. - Nel secondo dopoguerra ebbero poco spazio i temi frequenti all'epoca dell'indipendenza (1918-40), orientati verso l'identità nazionale e il destino dell'individuo. Fra gli autori che continuarono la loro attività creativa nell'epoca sovietica (1940-41, 1944-90) si ricorda E. Birznieks-Upītis (1871-1960) che, nella scia di R. Blaumanis (1863-1908), sviluppò forme e temi del realismo nelle sue opere narrative Pelēka akmens stāsti ("I racconti della pietra grigia", 1897-1907) e nella vasta autobiografia Pastariņa dienasagrāmata ("Ultimo diario", 1922-24).
Fra i poeti spiccano J. Sudrabkalns (1894-1975), autore di Brāļu saimē ("Nella famiglia dei fratelli", 1947); V. Lukss (1905-1985), di cui si ricordano raccolte d'impianto epico come Augsim ("Cresceremo", 1948), Pavasaris ("Primavera", 1954) e più tardi Asins raudze ("Marchio di sangue", 1970); A. Grigulis (1906-1990), poeta e narratore, noto per la raccolta Uz Kuru ostu? ("Verso quale porto?", 1945); A. Balodis (1908-1987) che scrisse Dzīvības sējēji ("Seminatori di vita", 1948). Di A. Čaks (1901-1950), già famoso cantore dei ''fucilieri lettoni'' in Mūžības skartie ("Sfiorati dall'eterno", 1938), molte opere (per es. Debesu dāvana, "Dono dei cieli", 1980) videro la luce postume.
Quella del ''realismo critico'' fu in L. l'unica tradizione letteraria che sopravvisse all'avvento della dominazione sovietica, confluendo in seguito nel ''realismo socialista''. Durante gli anni Cinquanta godettero spesso notevole fama scrittori che non avevano avuto particolare notorietà nei due decenni dell'indipendenza nazionale. È il caso di S. Edžus (1860-1941), del saggista R. Pelše (1880-1955), del romanziere V. Lācis (1904-1966) già autore della trilogia Putni bez spārniem ("Uccelli senza ali", 1931-32) e dei romanzi Zvejnieka dēls ("Il figlio del pescatore", 1933-34), Vētra ("Bufera", 1946-48), Uz jauno krastu ("Verso nuova sponda", 1952) dove trasfuse la sua personale esperienza della guerra. Tuttavia la figura più rappresentativa di questi anni fu A. Upīts (1877-1970), critico, pubblicista e prolifico narratore: a lui si devono fra l'altro l'ampia saga familiare, collocata a cavallo dei due secoli, Robežnieki ("I Robežnieki"), e, dopo la guerra e l'esilio a Kirov, i romanzi Zaļā zeme ("La verde terra", 1945) che gli valse il premio Stalin e Plaisa mākoņos ("Una schiarita fra le nubi", 1951) centrato sulla descrizione del proletariato di Riga. Molti altri autori in questi anni produssero opere variamente ispirate al ''realismo socialista''. La scrittrice A. Sakse (1905-1981) acquistò notorietà per i romanzi Darba cilts ("La razza del lavoro", 1941), Pret kalnu ("Verso il monte", 1948) e Dzirksteles naktī ("Scintille nella notte", 1951). Di J. Grants (1909-1970) si ricordano le raccolte di racconti ispirati dalla seconda guerra mondiale come Mazās upes sākums ("Alle fonti del ruscello", 1945), Aiz mums Maskava ("Dietro a noi sta Mosca", 1954). Ž. Grīva (1910-1982) pubblicò novelle sulla sua esperienza nella guerra di Spagna raccolte in Viņpus Pirenejiem ("Al di là dei Pirenei", 1949), e successivamente il romanzo Mīlestība un naids ("Amore e odio", 1963). Fra i poeti che godettero di notorietà in questi anni si menziona M. Rudzits (1910-1966) autore del poema Nāves vilciens ("Il treno della morte", 1944) e della raccolta Rīga, es mīlēju tevi ("Riga, io ti ho amato", 1968); P. Vilips (1901-1979) che, dopo aver lodato la bonifica delle steppe, passò a temi intimistici nei romanzi Lapas ugunskurā ("Foglie sul falò", 1960) e Avota lāses ("Gocce di fonte", 1966).
Il ''disgelo'' seguito alla morte di Stalin, benché di breve durata, favorì l'emergere di nuove tematiche e produsse un tenace e vitale germogliare soprattutto di poeti così che gli anni Sessanta segnarono un'ulteriore fase di crescita nella letteratura lettone; molti autori che esordirono in questi anni furono operosi anche nei successivi anni Settanta e lo sono tuttora. Un esempio significativo è la lirica, ricca di motivazioni etiche, della poetessa M. Ķempe (1907-1974) autrice delle raccolte Rīta vējš ("Il vento del mattino", 1946), Mieram un dzīvībai ("Alla pace e alla vita", 1951) e Mirkļu mūžība ("Eternità di attimi", 1964). Ma più rappresentativi esponenti sono tre poeti nati negli anni Trenta: O. Vācietis (1933-1983) autore di liriche di denso spessore filosofico come Elpa ("Respiro", 1966), Antracīts ("Antracite", 1978), Si minors ("Si minore", 1982) e la postuma Nolemtība ("Risolutezza", 1985); la poetessa V. Belševica (n. 1931), in attività dal 1947, che ha costituito una voce in controcanto durante i difficili anni della russificazione della lingua e della cultura lettone, di lei si ricordano le sue ultime raccolte Kamola tinēja ("Il fuso del gomitolo", 1981) e Dzeltu laiks ("Tempo di decadenza", 1987); I. Ziedonis (n. 1933) la cui poesia e i cui poemi si caratterizzano, oltre che per i motivi nazionali, per propensione all'analisi introspettiva, per es. Es ieeju sevī ("Entro in me", 1968), Re, kā ("Guarda, come", 1981). Si ricorda inoltre I. Auziņš (n. 1937), poeta che attinge spesso a motivi storici e folclorici in Skumjais optimisms ("L'ottimismo triste", 1968), Nomodā ("Nella veglia", 1975) e Atskārsme ("Comprendimento", 1986). Anche l'opera di J. Peters (n. 1939) deve molto ai motivi storico-epici nelle raccolte Dzirnakmens ("La mola", 1968), Ceturtā grāmata ("Libro quarto", 1975), Tautas skaitīšana ("Il censimento", 1984). Durante gli anni Sessanta e Settanta anche nella narrativa emergono alcuni nomi di rilievo. Con R. Ezera (n. 1930) si rafforza la tendenza all'analisi psicologica come nei romanzi Aka ("Pozzo", 1972), Varmācība ("Violenza", 1982), Nodevība ("Tradimento", 1984). Z. Skujiņš (n. 1926) è autore di racconti come Lielā zivs ("Il grande pesce", 1979) e dei romanzi Vīrietis labākajos gados ("L'uomo negli anni migliori", 1975) e Gulta ar zelta kāju ("Il letto col gambo d'oro", 1984). A. Bels (n. 1938) pubblica romanzi storici sul passato lettone come Saucēja balss ("La voce del predicatore", 1973) e Cilvēki laivās ("Uomini su battelli", 1987). Sempre come narratori si segnalano ancora M. Zariņš (n. 1910), I. Indrane (n. 1927); e per la satira A. Jakubāns (n. 1941); per la novellistica M. Birze (n. 1921), E. Vilks (1923-1976) e della generazione successiva, J. Zvirgzdiņš (n. 1941), A. Puriņš (n. 1950), e V. Spāre (n. 1953).
La letteratura lettone della diaspora si è diversamente sviluppata in Svezia e negli Stati Uniti dove si sono venute ora fondendo e ora contrapponendo le opposte esigenze di continuità con la tradizione letteraria lettone e di acquisizione di nuove esperienze, soprattutto di provenienza anglosassone. Gli autori più significativi dell'emigrazione scandinava sono i poeti V. Strēlerte (n. 1912), A. Eglītis (n. 1912), A. Irbe (n. 1924) e il drammaturgo M. Zīverts (1903-1990). Negli Stati Uniti si è contraddistinto il gruppo Elles ķēķis, ("Cucina dell'inferno") ricco di motivi ripresi da A. Čaks; principali animatori di questo gruppo sono G. Saliņš (n. 1924) cui si deve Miglas krogs ("Osteria nebulosa", 1957), Melnā saule ("Sole nero", 1967), Satikšanās ("Negli incontri", 1979) e L. Tauns (1922-1963) autore delle raccolte Mūžigais mākonis ("Nubi eterne", 1958) e Laulības ar pilsētu ("Matrimonio con la città", 1964). In Germania ha vissuto e operato a lungo Z. Mauriņa (1897-1978), scrittrice e fine saggista.
Negli anni Ottanta matura una nuova generazione di poeti molto apprezzati anche fuori della L., come testimoniano le traduzioni delle loro opere in più lingue. K. Skujenieks (n. 1936) è autore di Lirika un balsis ("Lirica e voce") e di Sēklas sniegā ("Il seme nella neve", 1990); dalle pagine critiche e pubblicistiche di Paša austs krekls ("La camicia tessuta da sé", 1987) traspare con più evidenza l'importanza da lui assunta come punto di riferimento culturale, una cui riprova è il gulag sovietico durante gli anni Settanta. U. Berziņš (n. 1944), poeta e traduttore, attento alle letterature orientali e alle acquisizioni della linguistica, ha pubblicato Poētisms baltkrievs ("Poeticismo in bielorusso", 1984), Nenotikušie atentāti ("Attentati inaccaduti", 1990) e il poema storico Krišjānis Barons (1978). Inoltre si distinguono i poeti e saggisti L. Briedis (n. 1949), M. Čaklais (n. 1940) e, fra i poeti della generazione più giovane, P. Brūveris (n. 1957), E. Aivars (n. 1956); tra gli immigrati, A. Kraujiete (n. 1952). Negli ultimi anni Ottanta salgono alla ribalta molti autori nuovi. L'intero mondo culturale lettone ha preso parte attiva nella crescente protesta nazionalistica e spesso con personaggi di primo piano come V. Avotiņš (n. 1947), poeta e pubblicista, autore della raccolta Lēzēna mūžība ("Piatta eternità", 1986) e attuale presidente dell'Associazione degli scrittori lettoni. Le riviste letterarie più importanti sono ancora quelle sorte in epoca sovietica: Karogs ("Bandiera", 1940), Literatura un māksla ("Letteratura e arte", 1945), ma si assiste a una pletora di pubblicazioni periodiche, spesso di dubbio valore. La ritrovata libertà di stampa però ha permesso anche la pubblicazione o la riedizione di moltissime opere a lungo censurate, o conosciute soltanto nella clandestinità, o di autori della diaspora.
Bibl.: J. Silenieks, The humanization of the recent Soviet-Latvian short story, in Lituanus xvi, 2 (1970); J. Andrups, La literatura letona, in G. von Wilpert, I. Ivask, Literatura mundial moderna, Madrid 1977, pp. 813-20; V. Vecgrāvis, Ieskats trimdas latviesu dzeja 1945-1955. g. ("Panorama della poesia lettone dell'esilio, 1945-1955"), in Karogs, 9 (1989); Erotika. Lirica e grafica dalla Lettonia, a cura di P. U. Dini, Viareggio 1990; F. Scholz, Die Literaturen des Baltikums: Ihre Entstehung und Entwicklung, Wiesbaden 1990; P.U. Dini, L'anello baltico. Profilo delle nazioni baltiche, Genova 1991; AA.VV., Materiāli latviešu literatūras vēsturei ("Materiali per la storia della letteratura lettone"), Riga 1992.