LEUCEMIE.
– Leucemia linfatica cronica. Patogenesi. Prognosi e decorso clinico. Terapia. Leucemia mieloide cronica. Patogenesi. Diagnosi. Terapia e prognosi. Leucemia linfoide acuta. Prognosi. Terapia. Sottogruppi specifici. Leucemia mieloide acuta. Prognosi. Terapia. Sottogruppi specifici. Bibliografia
Poche patologie hanno vissuto una trasformazione così importante nella conoscenza delle basi molecolari e nelle ripercussioni cliniche come le leucemie. Il termine indica la trasformazione neoplastica di una cellula del sistema ematopoietico nel midollo osseo. Le cellule staminali emopoietiche generano due tipi di progenitori: mieloidi, da cui originano i globuli rossi, i granulociti, i monociti e le piastrine; linfoidi, da cui originano i linfociti di tipo B, di tipo T e natural killer (NK). A seconda della cellula di origine e del suo grado maturativo, si parla di leucemia linfatica cronica (LLC), leucemia mieloide cronica (LMC), leucemia linfoide acuta (LLA) e leucemia mieloide acuta (LMA).
Per la diagnosi di l. è fondamentale l’esame citomorfologico del sangue venoso periferico e/o midollare, l’immunofenotipo, che valuta gli antigeni espressi dalle cellule leucemiche, e l’identificazione di anomalie genetiche specifiche e ricorrenti in ciascuna forma di leucemia.
Leucemia linfatica cronica. – È caratterizzata da proliferazione e progressivo accumulo di linfociti B maturi clonali, che determinano un aumento del numero dei globuli bianchi nel sangue (leucocitosi con linfocitosi assoluta) e delle dimensioni delle strutture linfatiche (linfoadenomegalie, splenomegalia) e, negli stadi avanzati, anemia e piastrinopenia. Nel mondo occidentale è la forma più comune di l. dell’adulto, rappresentando il 25-30% di tutte le l., con un’incidenza di 5 nuovi casi/100.000 individui/anno; è rara in Asia. L’età mediana alla diagnosi è di circa 70 anni. Non si riscontra mai in età pediatrica. È riconosciuta una predisposizione familiare.
Patogenesi. – Non sono conosciuti gli agenti eziologici né le alterazioni genetiche responsabili dell’insorgenza della LLC, ma sono noti marcatori genetico-molecolari che ne condizionano l’evoluzione. La LLC è sostenuta da un difetto intrinseco nei meccanismi che regolano la morte programmata (apoptosi) e la proliferazione delle cellule; il mancato equilibrio tra i due fenomeni determina l’andamento stabile o progressivo della malattia. Inoltre, si ipotizza che un numero ristretto di antigeni/autoantigeni, ancora non noti, promuova la proliferazione dei linfociti leucemici attraverso il legame con il recettore B linfocitario.
Prognosi e decorso clinico. – Sono estremamente eterogenei: alcuni pazienti hanno una malattia stabile nel tempo, non richiedono terapia anche per decenni e hanno una sopravvivenza simile alla popolazione di pari età, mentre altri necessitano di trattamento precoce e hanno breve sopravvivenza. I sistemi di stadiazione clinica sviluppati da Kanti Rai (1975) e da Jacques-Louis Binet (1981), basati su emocromo ed esame fisico del paziente, hanno rappresentato la pietra miliare nella classificazione prognostica, identificando pazienti con una sopravvivenza che varia da meno di 2 a più di 10 anni dalla diagnosi. Negli ultimi vent’anni sono stati identificati numerosi marcatori prognostici che permettono di stratificare meglio i pazienti. Tra questi marcatori, si ricordano quelli: 1) immunofenotipici (CD38, CD49d, ZAP-70) che identificano casi a prognosi più sfavorevole; 2) citogenetici, quali la delezione del cromosoma 13q14, a prognosi favorevole, la trisomia del cromosoma 12, a prognosi intermedia, la delezione 11q22-23 (gene ATM, Ataxia-Telangiectasia Mutated), tipica dei pazienti giovani con importanti adenopatie e prognosi relativamente sfavorevole, e la delezione 17p13 (gene TP53, Tumor protein P53) associata a chemiorefrattarietà e breve sopravvivenza; 3) molecolari: geni della porzione variabile delle catene pesanti delle immunoglobuline (IGHV, ImmunoGlobulin Heavy Chain) non mutati o germline – con poche (meno del 2%) o nessuna mutazione rispetto alla sequenza nucleotidica germinale – identificano pazienti con una sopravvivenza più breve rispetto a quella dei pazienti con geni per IGHV ipermutati; mutazioni dei geni TP53 e ATM, che regolano i meccanismi di riparo del danno al DNA (DeoxyriboNucleic Acid) e dell’apoptosi, hanno significato prognostico sfavorevole.
Infine, le recenti tecnologie di sequenziamento dell’intero genoma hanno identificato lesioni molecolari precedentemente sconosciute nella LLC: SF3B1 e BIRC3 sono più frequentemente mutati nei casi chemiorefrattari, mentre le mutazioni di NOTCH1 identificano casi con un più alto rischio di sviluppare la sindrome di Richter, che rappresenta l’evoluzione in un linfoma aggressivo.
Terapia. – Al 2015, data l’impossibilità di eradicare il clone leucemico, il trattamento si effettua solo in pazienti con malattia attiva e/o progressiva. La scelta del trattamento tiene conto di età, condizioni generali e comorbidità del paziente, e delle caratteristiche biologiche della cellula leucemica. Il clorambucile è stato a lungo il trattamento di scelta, ben tollerato ma capace di indurre delle risposte solitamente parziali. Dal 2000 è largamente impiegata la fludarabina, soprattutto in combinazione con la ciclofosfamide e l’anticorpo monoclonale anti-CD20 rituximab (FCR). Più recentemente, la bendamustina ha dimostrato un’ottima attività terapeutica, specialmente se associata al rituximab. Gli anticorpi monoclonali più impiegati nella LLC sono gli anti-CD20 (rituximab, ofatumumab, obinutuzumab) diretti contro i linfociti B. Studi in corso valutano l’attività di farmaci non chemioterapici che interferiscono con la sopravvivenza e la crescita delle cellule leucemiche, tra cui la lenalidomide, un agente immunomodulante. Molecole di grande potenzialità terapeutica, che probabilmente modificheranno in modo profondo la terapia della LLC, sono gli inibitori delle chinasi coinvolte nelle vie di trasduzione del recettore linfocitario B (ibrutinib, idelalisib) o gli inibitori della proteina antiapoptotica BCL2 (ABT199). Attualmente, l’unico approccio terapeutico capace di eradicare la LLC rimane il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche. Questa procedura, associata a elevata mortalità e morbilità da complicazioni, trova indicazione nei pazienti più giovani, in buone condizioni cliniche, e con prognosi più sfavorevole.
Leucemia mieloide cronica. – Deriva dalla trasformazione neoplastica di una cellula staminale pluripotente e dalla proliferazione clonale dei progenitori emopoietici nel midollo, che determinano un aumento dei leucociti nel sangue (granulociti e monociti) e delle dimensioni della milza. Rappresenta il 15% di tutte le l., con un’incidenza di 1-1,5 nuovi casi/100.000 individui/anno. L’età mediana alla diagnosi è di 60-65 anni; circa il 10% dei casi è diagnosticato in età pediatrica, dove rappresenta il 3% di tutte le leucemie.
Patogenesi. – La causa della LMC è la traslocazione reciproca tra il cromosoma 9 e il cromosoma 22, ossia t(9;22). Tale traslocazione genera un cromosoma 22 accorciato chiamato Philadelphia (Ph). Scoperto nel 1960, il cromosoma Ph rappresenta la prima anomalia cromosomica nota associata a una neoplasia: produce il gene di fusione BCR/ABL1, codificante per una proteina chimerica che conserva l’attività tirosinochinasica della proteina ABL (ABelson murine Leukemia) normale, ma in modo incontrollato e permanente, e determina lo stimolo alla proliferazione cellulare e l’inibizione dell’apoptosi.
Diagnosi. – Si basa sulla rilevazione della traslocazione t (9;22) mediante esame del cariotipo o ibridazione fluorescente in situ (FISH, Fluorescent In Situ Hybridization). La biologia molecolare evidenzia la presenza del gene di fusione BCR/ABL1 mediante reazione polimerasica a catena (PCR, Polymerase Chain Reaction). Quest’ultima metodica è dotata di alta sensibilità, identificando la presenza di 1 cellula su 100.000, e viene pertanto impiegata per lo studio della malattia minima residua (MMR, termine che indica il livello di malattia al di sotto del limite di sensibilità dell’indagine morfologica e citogenetica) nei pazienti in trattamento. Storicamente, la LMC era caratterizzata dall’evoluzione spontanea entro 2-3 anni dalla diagnosi in una fase accelerata e/o crisi blastica (leucemia acuta).
Terapia e prognosi. – Nel corso del 20° sec. la terapia è radicalmente cambiata, passando dalla radioterapia sistemica o splenica, impiegata per controllare la malattia, alla chemioterapia con agenti alchilanti orali, introdotta per ridurre il numero di leucociti e la splenomegalia. Dagli anni Ottanta e per molto tempo l’interferone alfa (IFN) è stato la terapia di scelta, con normalizzazione dell’emocromo (risposta ematologica completa) nel 50-70% dei pazienti e, per la prima volta, riduzione o scomparsa del cromosoma Ph (risposta citogenetica) nel 10-20% dei casi. Tale terapia era in grado di ritardare l’evoluzione della malattia, ma al prezzo di rilevanti effetti collaterali. Il trapianto allogenico di cellule staminali ha rappresentato a lungo l’unico approccio curativo. Alla fine degli anni Novanta è stato prodotto l’imatinib, farmaco che si lega specificamente alla proteina BCR/ABL1 bloccandone l’attività enzimatica e inducendo un blocco proliferativo e la morte delle cellule leucemiche; viene assunto per via orale, con pochi effetti collaterali. L’imatinib ha rivoluzionato la terapia della LMC, cambiando il modo di concepire i nuovi farmaci in oncologia e in ematologia. La maggior parte dei pazienti trattati, infatti, presenta una risposta ematologica entro 24 settimane e fino all’85% dei casi ottiene una risposta citogenetica, generalmente completa. L’imatinib rappresenta quindi l’attuale terapia di scelta, con risposte durature e ridotto rischio di evoluzione. L’aspettativa di vita dei pazienti con LMC è ora simile a quella della popolazione normale di pari età. Tuttavia, pur congelando la fase cronica della LMC, l’imatinib non ne determina l’eradicazione. Infatti, metodiche di monitoraggio della MMR (Q-PCR, Quantitative-PCR) permettono di rilevare cellule leucemiche residue anche in pazienti in remissione citogenetica completa, da qui la necessità di continuare la terapia. Nei pazienti che ottengono una negatività stabile in Q-PCR, si può ipotizzare che la malattia sia virtualmente eradicata.
L’insorgenza della resistenza a imatinib (dovuta all’amplificazione genica o a mutazioni di BCR/ABL1) costituisce un problema per circa il 10-15% dei pazienti trattati alla diagnosi in fase cronica e per i pazienti trattati in fase accelerata/crisi blastica. Per il trattamento della resistenza alla malattia sono stati sviluppati i cosiddetti inibitori di seconda e terza generazione: dasatinib, nilotinib, bosutinib, ponatinib. Tali molecole sono 30-300 volte più potenti di imatinib, sebbene siano gravate da effetti collaterali più importanti.
Leucemia linfoide acuta. – È una malattia eterogenea, caratterizzata dalla proliferazione e dall’accumulo di cellule immature della linea linfoide (linfoblasti di tipo B o T) nel midollo osseo, nel sangue periferico, nei tessuti linfoidi e non. Si tratta della neoplasia più frequente nel bambino (25% di tutti i tumori pediatrici), mentre è più rara nell’adulto, con una media di 1,4 nuovi casi/100.000 individui/anno. Il quadro clinico è caratterizzato, come nella LMA, da astenia, pallore e tachicardia legati all’anemia, infezioni ed emorragie. Altri sintomi aspecifici sono febbre, sudorazione, calo ponderale e dolori ossei. Nella LLA può esservi il coinvolgimento del sistema nervoso centrale (SNC) e una localizzazione testicolare.
Prognosi. – Nel bambino la guarigione si attesta intorno all’80% dei casi, mentre nell’adulto non supera il 40%; nel passato, l’adolescente e il giovane adulto avevano una prognosi intermedia, ma l’introduzione di regimi chemioterapici intensivi (pediatric-like) ha migliorato l’andamento clinico di questi pazienti. Oltre ai fattori prognostici convenzionali (età, numero di globuli bianchi e coinvolgimento d’organi), svolgono un ruolo importante: 1) un fenotipo a derivazione T (ossia derivato dai linfociti T); 2) la presenza del gene BCR/ABL1 e dei riarrangiamenti del gene MLL, considerati tradizionalmente fattori prognostici sfavorevoli. La prognosi delle LLA-T e delle LLA BCR/ABL1+ è nettamente migliorata grazie all’intensificazione dei regimi chemioterapici e all’introduzione di terapie mirate. I pazienti con LLA MLL+ sono ad alto rischio di recidiva e devono essere trattati intensivamente, includendo, quando possibile, il trapianto allogenico di cellule staminali; 3) la presenza di MMR (valutabile mediante immunofenotipo e/o biologia molecolare) alla fine dell’induzione (fase della chemioterapia finalizzata a eliminare le cellule tumorali da sangue e midollo osseo per raggiungere la remissione completa) o durante le fasi terapeutiche successive, rappresenta un indice prognostico sfavorevole e determinante nel programmare un approccio terapeutico più intensivo; 4) nuovi sottogruppi a prognosi sfavorevole, tra cui i cosiddetti BCR-ABL1-like e i casi ETP (Early-T Precursor): anche in questi sottogruppi il ruolo della MMR è fondamentale e studi recenti dimostrano che, laddove i pazienti ottengono una negativizzazione della MMR, non vi è svantaggio prognostico.
Terapia. – La terapia si basa su quattro fasi: induzione, consolidamento (che rafforza i risultati ottenuti nell’induzione), reinduzione e mantenimento (con trattamento farmacologico prolungato nel tempo), per una durata di 24-36 mesi; durante l’iter terapeutico viene eseguita una profilassi del SNC, tramite rachicentesi medicate o, in casi particolari, radioterapia craniale. Nei casi ad alto rischio (LLA MLL+, BCR/ABL1+ e/o con MMR positiva) è previsto l’impiego del trapianto allogenico di cellule staminali. Tra i nuovi approcci terapeutici non chemioterapici, mirati alle lesioni molecolari specifiche o a molecole espresse dalle cellule leucemiche, è doveroso menzionare gli inibitori delle tirosinchinasi (TKI, Tyrosine Kinase Inhibitors) che, oltre ad avere un ruolo nella LLA BCR/ABL1+ e nella LMC, potrebbero trovare un utilizzo terapeutico anche nei casi BCR-ABL1-like. Gli anticorpi monoclonali più utilizzati sono il rituximab e, in protocolli sperimentali, l’inotuzumab ozogamicin (anti-CD22) e l’anticorpo bi-specifico anti-CD19-CD3 blinatumomab.
Sottogruppi specifici. – La LLA Ph+, come la LMC, è caratterizzata dalla traslocazione t(9;22) e dal riarrangiamento BCR-ABL1. Rara nei bambini, la sua incidenza aumenta con l’età ed è presente nel 50% circa dei pazienti con oltre 50 anni, rappresentando la più frequente alterazione genetica nell’adulto. Storicamente questo gruppo era associato a prognosi altamente sfavorevole e l’unica possibilità terapeutica era rappresentata dal trapianto allogenico di cellule staminali. Negli ultimi anni, grazie all’uso di TKI di prima (imatinib), seconda (dasatinib e nilotinib) e terza (ponatinib e bosutinib) generazione, la gestione dei pazienti è drasticamente cambiata. I TKI sono somministrati sin dall’induzione, in associazione o meno alla chemioterapia, con risposte complete (RC) nel 97-100% dei casi e sopravvivenza nettamente migliorata. Tuttavia il trapianto rimane ancor oggi la migliore opzione terapeutica. Problematiche aperte sono la resistenza agli inibitori e la recidiva.
La LLA a cellule B mature è un’entità rara (1-5% delle LLA). L’infezione da EBV (Epstein-Barr Virus) svolge un ruolo patogenetico. La morfologia e l’immunofenotipo sono tipici di linfociti B maturi; frequente è il riscontro della traslocazione t(8;14), con iperespressione del gene CMYC. Sono spesso presenti importanti masse tumorali ecoinvolgimento del SNC. È caratteristico un alto tasso di proliferazione cellulare, che rende le cellule leucemiche sensibili a cicli di chemioterapia intensiva, agli inizi del 21° sec. combinati con il rituximab e con la profilassi intratecale. La sopravvivenza si avvicina così all’80% dei casi.
Leucemia mieloide acuta. – È caratterizzata da un’alterata capacità differenziativa della cellula staminale emopoietica, con espansione di precursori emopoietici immaturi (mieloblasti). Può insorgere de novo o in seguito a una sindrome mielodisplastica o a una malattia mieloproliferativa cronica. Ha un’incidenza di 3-4 casi/100.000 individui/anno, che aumenta con l’età e supera i 10 casi/100.000 individui/anno nella popolazione con oltre 65 anni. È rara nel bambino. Nel quadro clinico, oltre ai sintomi già descritti per la LLA, possono riscontrarsi noduli cutanei e ipertrofia gengivale.
Prognosi. – Nei giovani adulti una guarigione si ottiene nel 40-45% dei pazienti. L’età avanzata rappresenta il fattore prognostico sfavorevole più importante. Le alterazioni citogenetico-molecolari hanno implicazioni rilevanti, che possono essere favorevoli o sfavorevoli e che determinano gradi diversi di gravità prognostica. Inoltre è stato identificato un ampio numero di mutazioni, molte delle quali coinvolte in meccanismi di acetilazione e metilazione del DNA, il cui significato va ancora chiarito.
Terapia. – Consta di due fasi: l’induzione, volta a ottenere la RC, e il consolidamento, fondamentale per evitare la ripresa della malattia. Il trapianto allogenico di cellule staminali è indicato nei pazienti con alterazioni genetico-molecolari sfavorevoli. Il trapianto autologo di cellule staminali (ossia provenienti dal paziente stesso) può essere impiegato dopo il consolidamento: incoraggianti i dati nei pazienti con MMR negativa. Nell’anziano, o nel paziente non eleggibile a terapie intensive, la terapia è soltanto di supporto, sebbene vi siano studi volti a definire il beneficio di altre strategie terapeutiche.
Diversi sono i farmaci innovativi. Tra gli anticorpi monoclonali, il gemtuzumab ozogamicin (anti-CD33) ha dimostrato attività clinica, mentre sono attivamente studiati diversi inibitori diretti contro FLT3, l’unica mutazione che può rappresentare un bersaglio farmacologico. Gli agenti ipometilanti (azacitidina e decitabina), che ripristinano i normali livelli di metilazione del DNA e la riespressione di alcuni geni oncosoppressori, sono clinicamente attivi nella LMA.
Sottogruppi specifici. – Nella l. acuta promielocitica (LAP) i pazienti presentano un quadro di leucopenia (leucocitosi nella forma variante) e una tipica coagulopatia da consumo (CID, Coagulazione Intravascolare Disseminata, grave sindrome dovuta al consumo dei fattori di coagulazione del sangue, con conseguente rischio emorragico), che rappresenta un’emergenza: la diagnosi deve essere posta immediatamente e la terapia prontamente impostata, anche nel solo sospetto di LAP. L’esame morfologico del sangue periferico e/o del midollo osseo evidenzia promielociti anomali e i cosiddetti corpi di Auer. La citogeneti ca mostra la traslocazione t(15;17), con riarrangiamento PML/RARa, che induce un blocco della maturazione e l’accumulo di promielociti neoplastici. La terapia d’induzione si basa sulla combinazione di chemioterapia e acido trans-retinoico (ATRA, All-Trans Retinoic Acid): la somministrazione di dosi farmacologiche di ATRA ripristina infatti la normale differenziazione emopoietica e migliora la coagulopatia. Anche il triossido di arsenico (ATO, Arsenic TriOxide) si è dimostrato efficace: uno studio italiano ha documentato che l’impiego di ATRA e ATO, senza chemioterapia, induce percentuali di sopravvivenza a 2 anni del 97% in pazienti a rischio basso o intermedio.
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