Kulešov, Lev Vladimirovič
Regista cinematografico, scenografo e teorico russo, nato a Tambov il 13 gennaio 1899 e morto a Mosca il 29 marzo 1970. Considerato sin dal 1929 il 'padre' del cinema sovietico, inaugurò la lunga tradizione dei registi-pedagoghi, abbandonando quasi completamente il cinema nel 1944 per dedicarsi a tempo pieno all'insegnamento e alla direzione del VGIK. "Non avevamo un cinema, oggi l'abbiamo. Noi facciamo film, Kulešov ha fatto il cinema", così nel 1929 Vsevolod I. Pudovkin tesseva gli elogi di colui che era stato suo maestro e quello dell'intera generazione dei cineasti sovietici degli anni Venti, nella prefazione al testo di K. Iskusstvo Kino (L'arte del cinema). Inseparabilmente educatore e artista, K. nei suoi primi film venne fortemente influenzato dal cinema americano; tra i primi in Russia, assimilò pienamente la lezione di David W. Griffith avviando così un personale percorso di ricerca teorica che ne avrebbe fatto uno dei più eminenti sperimentatori del montaggio cinematografico. Autore di numerosi scritti teorici, al suo nome resta legata l'intuizione del cosiddetto 'effetto Kulešov', che rivelò ai neofiti della settima arte potenzialità espressive fino ad allora inesplorate: accostando al volto di Ivan I. Mozžuchin tre diverse inquadrature, la prima con una tavola imbandita, la seconda con la bara di una donna, la terza con una bambina, la medesima immagine del volto dell'attore sembrava esprimere fame, dolore o gioia (v. montaggio). Girò il suo primo film, Proekt inženera Prajta (1918, Il progetto dell'ingegner Pright), in piena rivoluzione d'ottobre: fu il primo dei lavori che K. realizzò con intenti di sperimentazione e ricerca, e che gli valsero un posto d'onore nel pantheon dei grandi registi russi.
Iniziò a lavorare come aiuto regista, decoratore e scenografo nello studio cinematografico di Aleksandr A. Chanžonkov, nel 1917, mentre era ancora studente all'Istituto di pittura, scultura e architettura di Mosca. Dopo aver collaborato alle scenografie di diversi lungometraggi, l'anno successivo realizzò grazie a finanziamenti privati il suo primo film, Proekt inženera Prajta, nel quale intendeva mostrare le possibilità del montaggio attraverso la scelta di un soggetto poliziesco molto semplice: una storia di controspionaggio industriale in cui il protagonista, per sfuggire agli inseguitori che vorrebbero sottrargli il progetto, riesce a mettersi in salvo dopo una serie di inseguimenti rocamboleschi. La novità fu anzitutto l'inedita utilizzazione di spezzoni di documentari all'interno di un film di fiction. Tutti i suoi film più importanti sarebbero poi stati caratterizzati da una tendenza alla contaminazione dei generi (poliziesco, fantascientifico, western, commedia) e dalla "esibizione dei processi metadiscorsivi del film che si propongono quali elementi espliciti di una costruzione cinematografica riflessiva" (Montani 1988, p. 377). A partire dal 1917, K. iniziò a pubblicare saggi sul montaggio, inteso come principio costruttivo del linguaggio e del ritmo cinematografici, che sancirono la sua autorevolezza come teorico. La sua concezione del montaggio influenzò notevolmente tutta la riflessione successiva. "Credo ‒ spiegava ‒ che la realtà si possa percepire in molti modi, per esempio tramite la musica o la pittura o la scultura, e sono convinto che anche il montaggio sia una facoltà per comprendere la realtà" (in Labarthe 1988, p. 254).
Dopo queste prime prove, durante i terribili anni della guerra civile, K. si recò sul fronte occidentale come operatore dell'Armata rossa per documentare il conflitto. Fino alla fine della sua vita avrebbe ricordato quell'esperienza fondamentale per la sua formazione di regista, che portò, nel 1920, alla realizzazione dell'agitka ("film di propaganda") Na krasnom fronte (1920, Sul fronte rosso), realizzato in collaborazione con i suoi fedelissimi allievi, l'attrice Aleksandra S. Chochlova (che sarebbe diventata sua moglie nel 1956) e Leonid L. Obolenskij. Il film, come spesso accadeva in quegli anni, venne ceduto agli Stati Uniti in cambio di pellicola ed è oramai introvabile. Il soggetto era molto breve, ma svolto con estrema efficacia: raccontava di un soldato dell'Armata rossa in missione speciale con documenti segreti. Il nemico riusciva a sottrargli le carte e a ferirlo dando così inizio a un inseguimento in automobile e in treno al termine del quale il soldato riusciva ad avere la meglio. K. fu anche un appassionato documentarista: tra il 1919 e il 1920, durante la guerra civile, realizzò un ciclo di cinegiornali raccolti sotto il titolo di Chroniki (Cronache); successivamente girò anche alcuni film commerciali che ebbero un discreto successo di pubblico. Nel 1920, K. iniziò anche a lavorare al VGIK. Tra i suoi allievi, oltre ai già ricordati Chochlova e Obolenskij, figurano nomi illustri del cinema sovietico, come Vsevolod I. Pudovkin, Sergej P. Komarov, Boris V. Barnet e, in qualità di studenti esterni, Sergej M. Ejzenštejn e Grigorij V. Aleksandrov. Nel 1922 K. organizzò, all'interno del VGIK, un Laboratorio sperimentale di formazione degli attori cinematografici, realizzando così una delle prime scuole drammatiche di cinema del mondo. Gli attori, definiti naturščiki ("modelli viventi") con un termine coniato da Vladimir R. Gardin ma rimasto legato al nome di K. che lo fece suo, venivano sottoposti a un corso intensivo di allenamento fisico per raffinare tecniche del corpo, mimica e gestualità adeguate alle esigenze del mezzo cinematografico. Ispirato inizialmente ai principi della ritmica di É.-J. Dalcroze e all'insegnamento di F. Delsarte, molto popolari in Russia negli anni Dieci, il suo metodo assorbì negli anni Venti suggestioni provenienti dal campo teatrale: la biomeccanica di Vsevolod E. Mejerchol′d e gli esperimenti metroritmici di Boris A. Ferdinandov. Insieme agli allievi del Laboratorio, K., in mancanza di pellicola, sperimentò e realizzò diversi spettacoli-studi, veri e propri 'film senza pellicola' costruiti come successione di sequenze secondo i principi del montaggio, che dovevano far emergere l'alta qualità espressiva dei suoi attori e la loro perfetta padronanza delle tecniche di movimento. La teoria del naturščik costituì il primo tentativo russo di dare autonomia e riconoscibilità all'interprete cinematografico e farne un professionista.
Nel 1924 K. realizzò insieme agli allievi del Laboratorio uno dei suoi capolavori, Neobyčajnye priključenija Mistera Vesta v strane bol′ševikov (Le straordinarie avventure di Mr West nel paese dei bolscevichi). Con questa straordinaria commedia il regista intendeva mettere a frutto il lavoro e le sperimentazioni del Laboratorio; il film era una cinecaricatura, una parodia dei film western ambientata nella Mosca postrivoluzionaria, in cui un gruppo di malviventi raggirava un ingenuo americano per estorcergli soldi; ma anche qui la vicenda si concludeva bene, tra inseguimenti e sparatorie spettacolari.
Due anni più tardi, con Luč smerti (1925; Il raggio della morte) K. volle uscire dalla routine per dimostrare che il suo collettivo era ormai in grado di risolvere qualsiasi problema tecnico, all'altezza dei film d'azione americani. Del film rimane soltanto una versione mutila di tre rulli che sono però sufficienti a comprendere come il regista fosse riuscito a girare un film 'sperimentale', che al tempo stesso doveva essere volutamente 'commerciale'. Questo film, nelle intenzioni di K., doveva rappresentare un catalogo-prontuario delle possibili performances di un attore: zuffe, inseguimenti, salti, corse in scenari impervi. L'intrigo assai complesso e le grandi scene di massa ne fanno un'opera viva e spettacolare, inconsapevole caposaldo di un cinema fantasociale spesso abusato e compromesso. Tuttavia il film, che narra la storia di un operaio rivoluzionario che fugge in Russia per impadronirsi del raggio della morte in grado di garantire la vittoria della rivoluzione, fu considerato eccessivamente ingenuo e non piacque al pubblico.
L'insuccesso di Luč smerti fu presto dimenticato; l'anno successivo infatti K. scrisse, in collaborazione con il formalista Viktor B. Šklovskij, lo scenario di Po zakonu (1926, Secondo la legge), noto anche come Dura lex, ispirandosi a un racconto di J. London. Il film era molto insolito: un unico ambiente e tre soli attori che comparivano dopo alcuni minuti dall'inizio. La storia, anche qui molto semplice, narra di cinque cercatori d'oro del Klondyke (una donna e quattro uomini) che vivono un'esperienza tragica; uno di loro, in un momento di furore, uccide due dei suoi compagni; i due superstiti (la donna e suo marito), legato e reso inoffensivo l'assassino, lo terranno prigioniero per l'intero inverno, per poi giudicarlo loro stessi e condannarlo a morte. Non si trattava questa volta di un film d'avventura, ma di un dramma psicologico dal montaggio e dal bianco e nero esemplari, pensato da K. come un'opera a bassissimo costo. Il risultato superò ogni più rosea aspettativa, e il successo fu enorme. Con questo film si concluse l'esperienza del Laboratorio sperimentale.In quegli anni K. girò per lo più film commerciali (oramai introvabili, come Vesëlaja kanarejka, 1929, La canarina allegra), tra i quali meritano di essere ricordati Dva-Bul′di-dva (1930, Due Bul′di due), girato in collaborazione con Nina F. Agadžanova-Šutko, e soprattutto Gorizont (1930, Orizzonte), uno dei primi film russi sono-ri, e iniziò a pubblicare i suoi scritti teorici sull'arte del cinema (Iskusstvo Kino, 1929) e sulla regia cinematografica (Osnovy Kino režissury, 1941). Durante questo intenso periodo di lavoro teorico girò quello che egli stesso ritenne essere il suo assoluto capolavoro, Velikij utešitel′ (1933, Il grande consolatore). Il film si proponeva di affrontare il complesso problema del rapporto tra arte e vita, e aveva pertanto un contenuto per certi versi autobiografico. Ispirandosi ancora una volta alla letteratura americana, in particolare alla vita e a due novelle di O. Henry, K. realizzò un film dall'intrigo complesso, organizzato su tre piani narrativi, che intrecciava la vita quotidiana del carcere dov'era detenuto lo scrittore Bill Porter (vero nome di O. Henry) alle vicende del racconto che questi stava scrivendo, e alla storia tragica di una commessa, July, introdotta quale tipica rappresentante delle lettrici di quella 'letteratura consolatoria' che con Velikij utešitel′ K. intendeva contestare duramente.
Durante il secondo conflitto mondiale K., insieme ad A.S. Chochlova, tornò per un breve periodo alla sua giovanile passione per il documentario, realizzando una serie di filmati sulla lotta antifascista del popolo russo, attraverso le azioni di alcuni giovani militanti, come per es. Kljatva Timura (1942, Il giuramento di Timur), My s Urala (1944, Noi siamo degli Urali). Nel 1987 è stato pubblicato Sobranie sočinenij v trëch tomach (Opere scelte in tre volumi).
G. Buttafava, Il cinema di Lev Kulešov, Porretta Terme 1977 (catalogo della mostra).
E. Gromov, L. V. Kulešov, Moskva 1984.
"Filmcritica", 1988, 387, nr. monografico: Speciale Kulesov (cfr. in partic. R. Rossetti, Il 'rimosso' Kulešov; A. Labarthe, Conversazione con Kulešov; P. Montani, Il viaggio interminabile della rappresentazione dell'altro).
S. Mariniello, Lev Kulešov, Firenze 1989.
M. Jampol′skij, Eksperimenty Kulešova i novaja antropologija aktëra (Gli esperimenti di Kulešov e la nuova antropologia dell'attore), in Noosfera i chudožestvennoe tvorčestvo (La noosfera e la creazione artistica), Moskva 1991.
G. Buttafava, Il cinema russo e sovietico, Roma 2000, pp. 33-34, 51-52, 203-06.