Milestone, Lewis (forma anglicizzata di Milstein, Lev)
Regista cinematografico, naturalizzato statunitense, nato a Kišinëv (oggi Chişinău) il 30 settembre 1895 e morto a Los Angeles il 25 settembre 1980. Considerato un certosino dell'inquadratura e un grande direttore d'attori, M., pur essendo dotato di un senso dell'immagine scabro e potente, andò stemperando nel corso degli anni la sua carica inventiva in melodrammi o prodotti di genere, dalla commedia al film esotico-avventuroso, e alla luce di questa versatilità anche i suoi film più intensi e originali come The front page (1931; Prima pagina), A walk in the Sun (1945; Salerno, ora X), Pork chop hill (1959; 38° parallelo: missione compiuta) vennero sotto certi aspetti sottovalutati dalla critica. Il suo prestigio derivò soprattutto dalla predilezione per il film di guerra, genere cui diede un contributo notevole, guadagnandosi la fama di maestro del cinema di denuncia antimilitarista. In particolare, All quiet on the western front (1930; All'Ovest niente di nuovo), vincitore di due premi Oscar per il miglior film e per la miglior regia, costituì il suo perentorio manifesto pacifista.
Figlio di un ricco commerciante ebreo, M. si trasferì negli Stati Uniti nel 1913 dove svolse svariati mestieri: richiamato alle armi partecipò alla Prima guerra mondiale, ottenendo al congedo la cittadinanza statunitense. Trasferitosi a Hollywood, dove lavorò come assistente al montaggio e soggettista-sceneggiatore, fu notato da Jack Warner ed esordì come regista con Seven sinners (1925; La parata dei peccatori) per poi vincere un Oscar, nel 1929, per la categoria (in seguito abolita) della miglior regia di film brillante con Two Arabian knights (1927; Una notte in Arabia). Il suo primo film sonoro fu New York nights (1929; Notti di New York), ma la svolta arrivò con l'adattamento per lo schermo del romanzo di E.M. Remarque All quiet on the western front. Vietato sotto il fascismo e uscito in Italia solo negli anni Cinquanta (anche se in un'edizione tagliata), il film racconta con accanita verosimiglianza la brutalità e l'orrore della guerra di trincea sul fronte francese attraverso gli occhi di giovani reclute tedesche, arruolatesi sulla spinta dei discorsi guerrafondai del loro insegnante. A dispetto di una certa teatralità d'impianto, resta uno spettacolo toccante per l'impatto delle crude e violente scene di battaglia, spesso riprese con fluide carrellate laterali strategicamente interrotte da fulminei tagli di montaggio.Il momento magico proseguì con i successivi The front page e Rain (1932; Pioggia). Il primo è una versione geniale (ancor più di quella di Billy Wilder del 1974) della commedia scritta dal duo Ben Hecht e Charles MacArthur ambientata nel mondo del giornalismo, un indiavolato tourbillon di riprese che si fondono con il crepitante sarcasmo dei dialoghi. Il secondo, la più intelligente rielaborazione del racconto di W.S. Maugham (grazie anche alla sceneggiatura di Maxwell Anderson), vanta un perfetto controllo dei tempi scenici. Stranamente M. perse già negli anni Trenta lo smalto da 'inventore' d'immagini e spesso accettò di firmare film di routine, incappando in numerose disavventure produttive. Si rivelarono di imprevedibile debolezza di stile e convinzione The North star (1943; Fuoco a Oriente), nonostante il copione firmato da Lillian Hellman, The purple heart (1944; Prigionieri di Satana), che pure scolpisce sequenze semi-documentarie d'innegabile tensione, e in seguito Halls of Montezuma (1951; Okinawa), salvato solo dalla grinta di attori come Richard Widmark e Jack Palance. L'antico vigore tornò invece a brillare nella struttura insolita di A walk in the Sun, da un romanzo di H. Brown, una sorta di riflessione polifonica sulla guerra ambientata durante la campagna d'Italia, e anni dopo nel feroce e scabro realismo di Pork chop hill, che racconta il sacrificio di un gruppo di soldati in Corea.Se anche i migliori film di guerra di M. tendevano a una suite di pezzi di bravura, di belle sequenze svincolate dalla consistenza drammaturgica, le incursioni negli altri generi propendevano a un dispersivo eclettismo: tra gli eccentrici musical Hallelujah, I'm a bum (1933) e Anything goes (1936), l'adattamento del romanzo di J. Steinbeck Of mice and men (1939; Uomini e topi) e le esili commedie The captain hates the sea (1934) e Paris in spring (1935; Una notte al castello), spicca The general died at dawn (1936; Il generale morì all'alba), un classico dell'esotismo hollywoodiano ambientato nella Cina degli anni Venti e sceneggiato da Clifford Odets. Ma è in particolare l'unico noir di M., The strange love of Martha Ivers (1946; Lo strano amore di Marta Ivers), a rivelare originali soluzioni sceniche. Il film è congegnato sul criminoso segreto che unisce la coppia protagonista (Barbara Stanwyck-Kirk Douglas) e calibrato sul senso di cupa disperazione e squallore incombente, mentre la regia scava i dettagli simbolici, moltiplica le carrellate 'rivelatrici' e immerge gli ambigui personaggi in un'allarmante penombra che attutisce il giudizio morale. Seguirono il poco plausibile melodramma Arch of Triumph (1948; Arco di Trionfo), il mediocre film d'azione Kangaroo (1952; Kangarù) e Les misérables (1952; I miserabili), produzioni magniloquenti in cui M. sembrava ormai intento a compiacersi del proprio prestigio. Fra le vittime 'minori' del maccartismo, subì un moderato ostracismo e quando gli studios cominciarono a ritenerlo poco affidabile, pensò di mettersi al servizio delle star del momento. Se il divertente Ocean's eleven (1960; Colpo grosso) rispettò lo spirito canaille del 'clan Sinatra', Mutiny on the Bounty (1962; Gli ammutinati del Bounty) pagò la spropositata ambizione di Marlon Brando, interprete del film, con un memorabile insuccesso che, insieme a gravi problemi di salute, mise fine alla carriera del regista.
J.R. Millichap, Lewis Milestone, Boston 1981; B. Tavernier, J.-P. Coursodon, 50 ans de cinéma américain, Paris 1991, pp. 691-94.