LIBANO
(XXI, p. 30; App. II, II, p. 192; III, I, p. 988; IV, II, p. 330)
Dati attendibili sulla popolazione libanese erano difficilmente reperibili già prima della guerra civile (che ha causato circa centomila morti tra il 1975 e il 1982): il censimento del 1932 non è, infatti, mai stato ripetuto per evitare che gli equilibri politici venissero messi in discussione dall'eventuale constatazione di un mutato rapporto numerico tra cristiani e musulmani, accertato allora nella misura di 6 a 5. Tale rapporto si è in realtà modificato nel mezzo secolo successivo a danno dei cristiani, caratterizzati da una maggiore propensione all'emigrazione e da una minore natalità rispetto ai musulmani, che si ritiene costituiscano (1990) il 60% della popolazione. Una stima del 1970, basata su un campionamento statistico, dava una popolazione complessiva di 2.126.000 ab. (esclusi 187.529 profughi palestinesi, divenuti 302.000 nel 1990). Altre stime propongono la cifra di 3,1 milioni nel 1974, di cui 1,95 musulmani (sunniti e sciiti) e 1,15 cristiani (maroniti e greco-ortodossi), mentre le valutazioni delle Nazioni Unite (1990) registrano circa 2.701.000 abitanti.
L'agricoltura è stata duramente colpita dalla crescente concorrenza siriana, dalla guerra civile e dall'invasione israeliana del 1982, che hanno determinato uno spopolamento delle campagne malgrado i tentativi di rilanciare il settore attuati dopo il 1973, con finanziamenti forniti dalla FAO e dall'Arabia Saudita. I raccolti, tranne quello dell'uva (2,1 milioni di q annui), sono soggetti a forti oscillazioni (frumento 300.000 q nel 1984, 520.000 nel 1990; mele 900.000 q nel 1978, 1.990.000 nel 1990). Il deteriorarsi dell'ordine pubblico ha invece favorito un'enorme diffusione della Cannabis sativa, che viene trasformata in hashish e − in misura minore − del papavero da oppio destinato alla produzione di eroina.
Si calcola che le ostilità abbiano distrutto il 50% circa del capitale investito nell'industria; non ha invece sofferto troppo il settore bancario, anche se la tradizionale funzione del L. quale centro finanziario e commerciale del Vicino Oriente è progressivamente venuta meno, anche per la concorrenza mossa da altre piazze.
Il commercio estero segna un deficit crescente, che era tradizionalmente coperto dalle rimesse degli emigrati, in declino dai primi anni Ottanta a causa della recessione economica in atto nei paesi produttori di petrolio. Assai arduo stimare il reddito pro capite: la Banca mondiale, per il 1991, ha valutato un'oscillazione fra i 1500 e i 3500 dollari.
Bibl.: T. Petran, The struggle over Lebanon, New York 1987; N. H. Saidi, Economic consequences of the war in Lebanon, Oxford 1987.
Storia. - L'invasione israeliana del L. meridionale, avvenuta dal 14 marzo al 13 giugno 1978 − e che fu seguita dalla creazione, lungo il confine con Israele, di una ''fascia di sicurezza'' affidata, dopo il ritiro delle forze di Tel Aviv, a una milizia filoisraeliana guidata dal maggiore Sa'ad Ḥaddād −, confermò la condizione di tensione, instabilità e confusione che dominava il paese. Né l'installazione nel Sud di contingenti delle Nazioni Unite (UNIFIL, United Nations Interim Force in Lebanon), né la deliberazione della Lega araba per la prosecuzione delle FAD (Forze Arabe di Dissuasione), in prevalenza costituite da elementi siriani (26 ottobre), mutarono sostanzialmente la situazione, contrassegnata da un equilibrio fragile e permanentemente messo a dura prova dal contrapporsi di schieramenti ormai tra loro incompatibili.
Continuava infatti a esistere un governo legale, formato secondo i criteri del Patto nazionale del 1943, che sotto la guida di personalità islamiche moderate (Šafīq al-Wazzān, Rašīd Karāmī − assassinato nel giugno 1987 −, Salīm al-Ḥuṣṣ) reiteratamente, quanto inanemente, tentò di richiamare le forze in contrasto al confronto democratico. Ma l'estrema destra del Partito nazionale liberale e della Falange (divenuta egemonica con l'azione di forza del 6-10 luglio 1980 contro il Partito nazionale liberale) s'indirizzò a rifiutare i vecchi assetti e, grazie all'appoggio israeliano (avviato sin dalla metà degli anni Settanta dai governi laburisti e divenuto massiccio con l'avvento di Begin al potere nel 1977, soprattutto dopo la sua seconda vittoria elettorale nel 1981), operò sempre più esplicitamente per un diverso ordinamento politico o quanto meno per assumere il potere su un cantone cristiano. Di fronte al dinamismo falangista, anche i partiti di centro e di sinistra (per es. il Partito socialista progressista del druso W. Ǧumblāṭṭ e i comunisti) diedero vita a proprie strutture militari. Con l'impulso impresso a tutto il mondo islamico dalla rivoluzione iraniana, in particolare nella componente sciita, anche questo settore della società libanese − il più povero sotto il profilo economico − si mise in movimento, dando vita a proprie organizzazioni politico-militari (per es. il Partito sciita moderato Amal, guidato da Nabīh Barrī, e il Partito sciita estremista Ḥizb Allāh). Infine, per completare il quadro sommario della frantumazione che caratterizzava il L. all'inizio degli anni Ottanta, vanno segnalati i guerriglieri palestinesi dell'OLP, attestati in particolare nel Sud e nella capitale.
In questo clima, riferendosi alle rivendicazioni sul L. che risalivano ancora agli anni Cinquanta, lo stato d'Israele giudicò possibile, con una nuova invasione (l'operazione ''Pace in Galilea''), conseguire più risultati: l'eliminazione dei guerriglieri palestinesi e la scomparsa politica dell'OLP; il ridimensionamento della Siria con la fine della sua egemonia sull'area libanese; l'instaurazione d'un regime amico nel paese sotto la direzione falangista, che avrebbe permesso la stipulazione di un'alleanza e di una normalizzazione in qualche modo analoga alle intese di Camp David con l'Egitto. Il L., comunque, fu messo a ferro e fuoco per tre anni, dal giugno 1982 al maggio 1985, allorché gli Israeliani ripiegarono nella fascia di sicurezza, dove era attestata la milizia da loro finanziata, guidata, dopo la morte di Ḥaddād nel dicembre 1983, dal maggiore A. Laḥad.
Discutibili furono i risultati conseguiti in tale periodo dalla presenza a Beirut dei militari statunitensi, italiani, francesi e inglesi della Forza multinazionale. Inconsistenti gli esiti delle conferenze di Ginevra (31 ottobre-4 novembre 1983) e Losanna (12-20 marzo 1984) per cercare di ristabilire tra i partiti libanesi una prospettiva di lavoro comune. Effimeri, tutto sommato, i vantaggi per Israele dell'aver imposto la nomina a presidente della Repubblica, appena conquistata Beirut, prima di B. Bašīr al-Ǧumayyil (Gemayel), capo della Falange, e poi, dopo la morte di questi in un attentato, del fratello Amīn: il 6 marzo 1984 il governo libanese abrogò il trattato di pace con Israele che A. Ǧumayyil aveva firmato il 17 maggio 1983.
Va tuttavia sottolineato che sul L., lacerato e diviso, continuavano a premere molteplici forze esterne: i Palestinesi dell'OLP (sui quali la Siria tentava reiteratamente d'imporsi), che per mantenere le residue posizioni spregiudicatamente ondeggiavano tra i vari campi; la stessa Siria, a cui molti gruppi libanesi guardavano come all'unica forza in grado di garantire una qualche prospettiva d'indipendenza e che ormai era profondamente coinvolta nelle sorti del L.; gli Israeliani che, non intendendo rinunciare alle posizioni acquisite, proseguivano nel fornire aiuti e sostegno alle destre; altri stati arabi che, per rivalità con Damasco, cercavano d'interferire nelle vicende locali (῾Irāq).
Alla scadenza del mandato presidenziale di al-Ǧumayyil, il 23 settembre 1988, di fronte all'esigenza di scegliere il suo successore, si riproposero tutte le divergenze interne e ingerenze esterne. Al-Ǧumayyil, poco prima della fine dell'incarico, nominò inopinatamente capo del governo il gen. M. ῾Awn (Aoun), pur continuando a sussistere il governo legale. ῾Awn si asserragliò nei quartieri di Beirut e in alcuni porti vicini tentando di fatto di creare un'entità indipendente. Si riaprì così lo scontro tra le destre da un lato, e i gruppi moderati e di sinistra appoggiati dalla Siria dall'altro, scontro che inutilmente si cercò di risolvere con reciproci e reiterati bombardamenti di artiglierie. Anche il vertice della Lega araba, tenutosi a Casablanca nel maggio 1989, si dimostrò incapace di porre fine ai combattimenti e di avviare il L. fuori dal caos e verso la pace.
A questo punto una serie di sollecitazioni e ripensamenti interni e di spinte esterne indusse a convocare a Ṭā'if, in Arabia Saudita, nel settembre-ottobre 1989, quanto restava del Parlamento eletto nel 1972, per elaborare un progetto di rinascita nazionale. Concorsero infatti a tale riunione (alla quale parteciparono 63 dei 73 deputati superstiti dei 99 originari), accanto a gran parte dei partiti libanesi, la maggioranza della Lega araba (in particolare la Siria e l'Arabia Saudita), il governo di Teherān, il patriarca maronita Naṣr Allāh Ṣfayr con il nunzio apostolico P. Fuente, e l'amministrazione degli Stati Uniti. Le intese di Ṭā᾽if, che tendevano a superare le strettoie e gli anacronismi del Patto nazionale del 1943 avviando incisive riforme costituzionali in senso laico-liberale, permisero l'elezione del nuovo presidente della Repubblica (5 novembre) nella persona di R. Mu'waḍ, che però dopo pochi giorni rimase ucciso in un attentato. Il 26 novembre fu eletto presidente della Repubblica E. Hrawi.
Inaspettatamente, poi, una pressione per la risoluzione della crisi interna libanese giunse dalla grave tensione determinatasi nel Golfo Arabico con l'occupazione irachena del Kuwait e il successivo intervento contro l'῾Irāq da parte di Washington e dei suoi alleati, tra i quali spiccava la Siria: emerse, cioè, l'esigenza della coalizione antiirachena di eliminare al più presto l'enclave controllata da ῾Awn con l'appoggio, tra l'altro, di Baghdād. Il 13 ottobre 1990 un'azione militare congiunta siro-libanese liquidava rapidamente ogni resistenza spazzando via il disegno separatista: ῾Awn, rifugiatosi nell'Ambasciata francese, si trasferiva poi in Francia.
Rimasto, nel complesso, ai margini della guerra del Golfo, il L. poté impegnarsi nella normalizzazione con un programma a lunga scadenza: riapertura tra i settori cristiani e musulmani della capitale, smobilitazione delle varie milizie, ricostituzione dell'esercito regolare, reinsediamento dei profughi nei luoghi d'origine, avvio della ricostruzione. Il 19 dicembre 1990, O. Karāmī, figlio del defunto leader, ottenne l'incarico di primo ministro che mantenne sino al maggio 1992, allorché fu costretto alle dimissioni per le agitazioni a causa della crisi economica. Fu sostituito da Rašīd al-Ṣulḥ, cui toccò guidare il paese nella difficile prova della consultazione elettorale dell'agosto-ottobre 1992. Nonostante il boicottaggio di taluni gruppi cristiani, il nuovo Parlamento (aumentato a 128 seggi) riuscì a costituirsi: anche tre donne furono elette. Il 31 ottobre Rafīq al-Ḥarīrī, autorevole uomo d'affari, fu nominato presidente del Consiglio d'un governo di 30 membri, impegnandosi in primo luogo per la liberazione del Sud dalla presenza israeliana e per il rilancio economico.
Un atteggiamento di fermezza assunse in effetti il nuovo governo di Beirut di fronte all'espulsione nel dicembre 1992 di oltre quattrocento Palestinesi da parte di Israele, che intendeva trasferirli nel L.: il loro ingresso nel paese fu impedito e i deportati rimasero accampati nella ''terra di nessuno'' tra la fascia di sicurezza e l'area controllata dall'esercito libanese. L'espulsione dei Palestinesi, cui fu successivamente consentito di rientrare a scaglioni, bloccò temporaneamente il processo negoziale in corso dall'ottobre 1991 fra Israele, il L., la Siria, la Giordania e una rappresentanza palestinese dei territori occupati nel 1967. Fondato essenzialmente su trattative bilaterali fra Tel Aviv e i singoli interlocutori arabi, tale processo riprese nell'aprile 1993, subendo una svolta in settembre con il riconoscimento reciproco fra Israele e l'OLP. A riguardo dei negoziati fra Israele e il L., il problema principale restava l'occupazione israeliana della fascia di sicurezza; essa alimentava un endemico conflitto con forze guerrigliere libanesi e palestinesi, contro le cui basi Tel Aviv lanciava frequenti attacchi nel L. meridionale: particolarmente violenti furono quelli del luglio 1993, i più estesi dall'invasione del 1982.
Bibl.: S. Ribet, Il nodo del conflitto libanese, Torino 1977; K. Joumblatt, Pour le Liban, Parigi 1978; B. Marolo, Nell'inferno Libano, Milano 1986; A. Gemayel, L'offense et le pardon, Parigi 1988; D. Gilmour, Libano un paese in frammenti, Firenze 1989; K. Salibi, A house of many mansions: the history of Lebanon reconsidered, Berkeley 1989; J.S. Makdisi, Beirut fragments: a war memoir, New York 1990; Ch. Glass, Tribes with flags: a journey curtailed, Londra 1990; AA.VV., Il Libano tra guerra e pace, Lecce 1991.
Letteratura. - Letterati libanesi, emigrati in Egitto e in America all'inizio del secolo, diedero un grande impulso allo sviluppo della narrativa e della poesia araba contemporanea. Il libanese Ǧurǧī Zaydān (1861-1914) fu uno dei più significativi esponenti della cultura egiziana, portando la voga del romanzo storico nel mondo arabo; mentre un altro emigrato in Egitto, H̱alīl Muṭrān (1872-1940), fu uno degli artefici della nuova poesia araba. L'emigrazione libanese verso gli Stati Uniti e il Brasile favorì il contatto tra letterati arabi e mondo occidentale. Nacque così la scuola del mahǧar ("dell'emigrazione") che raggiunse la massima espressione con Ǧubrān H̱alīl Ǧubrān (1883-1931), scrittore e poeta in arabo e in inglese, autore del famoso The profet (1923), e fondatore a New York (1920) del circolo culturale al-Rābiṭa al-Qalamiyya. Tra i fondatori di questo circolo vanno ricordati ancora Amīn al-Rīḥānī (1876-1940) e Mīẖā᾽īl Nu῾aymah (1889-1988).
Per la narrativa data importante è il 1939, quando il giornalista e diplomatico Tawfīq Yūsuf ῾Awwād (1911-1989) pubblicò al-Raġīf ("La pagnotta"), che viene normalmente considerato il primo romanzo libanese di un certo rilievo. Scrittore fecondo, ῾Awwād ci ha lasciato diverse raccolte di racconti, tra cui Qamīṣ al-ṣūf ("La camicia di lana") del 1937, e il romanzo Ṭawāḥīn Bayrūt (1972, "I mulini di Beirut") sulle conseguenze della guerra del 1967 in Libano. Nel 1953 lo scrittore Suhayl Idrīs (n. 1923), autore del romanzo ambientato a Parigi al-Ḥayy al-lātīnī ("Il Quartiere Latino"), fonda la prestigiosa rivista letteraria al-Ādāb, che raccoglie le opere dei migliori prosatori e poeti di tutto il mondo arabo, dal Marocco all'῾Irāq.
Il conflitto arabo-israeliano del 1967, la guerra civile libanese, l'occupazione israeliana del Sud del L. saranno temi ricorrenti nelle opere di molti scrittori libanesi, come Ḥalīm Barakāt, siriano di nascita, autore di un romanzo dal profetico titolo Sittat Ayyām (1961, "Sei giorni") e ῾Awdat al-Ṭā'ir ilà al-baḥr (1969, "Il ritorno dell'uccello al mare"). Tra le scrittrici spiccano i nomi di Amīlī Naṣr Allāh (n. 1931), che ha scritto un romanzo sul problema dell'emigrazione libanese in Canada, Ṭuyūr aylūl (1962, "Uccelli di settembre"), e Tilka al-ḏikrayāt (1980, "Quei ricordi"), in cui descrive il rapimento del marito durante la guerra civile; di Ḥanān al-Šayḥ (n. 1945), che ha ambientato il romanzo Zahra (1980) e la raccolta di racconti Ward al-Ṣaḥrā' (1982, "La rosa del deserto") fra gli sciiti del L. meridionale; e Laylā Ba῾albakkī (n. 1938) che giovanissima s'impose all'attenzione per un suo romanzo sulla donna, Anā Aḥyā (1961, "Io sono viva").
Nel campo della poesia contemporanea spicca il nome di Adonis (Adūnīs), pseudonimo di ῾Alī Aḥmad Sa῾īd (n. 1930), siriano di nascita, dal 1956 naturalizzato libanese: autore di numerose raccolte di liriche − alcune tradotte in diverse lingue −, è sicuramente tra i maggiori artefici del rinnovamento della poesia araba; ha collaborato nel 1957 con Yūsuf al-H̱āl alla fondazione della rivista Ši῾r ("Poesia"), e nel 1969 ha fondato la rivista Mawāqif.
Bibl.: F. Gabrieli, Storia della letteratura araba, Milano 19623; R. Allen, The Arabic novel. An historical and critical introduction, Manchester 1982; P. Martinez Montaves, Introducción a la literatura árabe moderna, Madrid 19852; M. Cooke, War's other voices, women writers on the Lebanese civil war, Cambridge 1988.
Archeologia. - Le vicende politiche di questi ultimi anni hanno inciso profondamente sull'archeologia libanese. Da un lato, infatti, permane la scarsità di dati sulla fase centrale delle città-stato (1200-555 a.C.), dall'altro l'attività dei clandestini e di un onnipresente mercato antiquario hanno causato una continua emorragia, che spinge spesso i ricercatori a reperire dati utili in cataloghi di aste di vendita. È proprio grazie a quest'ultima attenzione che è possibile recuperare notizie non solo su reperti, ma anche su località e contesti di rinvenimenti. Località come H̱alada e Bīblūs (Biblo) continuano a interessare l'archeologia con segnalazioni di diversi oggetti di artigianato, mentre serie di terracotte votive rinvenute presso la costa della Fenicia meridionale entrano a far parte di collezioni pubbliche e private. Sconfortanti, ma tuttavia utili come segnalazione di problematiche storiche altrimenti ignorate, sono anche le notizie di particolari depredamenti, come quelle dei corredi di una necropoli rupestre fenicia a sud-est di Tiro, in località Burǧ Šamālī.
In tale situazione, notevole importanza rivestono gli scavi condotti in centri minori o comunque geograficamente periferici, come a Sarepta, pochi chilometri a sud di Sidone. Il sito costiero, individuato nei pressi del villaggio moderno di Ṣarafand, documenta la prima occupazione alla fine del Bronzo Medio con il più antico impianto urbano attorno al 1600 a.C. Il centro, che continua senza interruzioni sino all'ellenismo, fu pienamente inserito nei commerci dell'intera area con un ruolo fra i più significativi nel settore meridionale della Fenicia. Officine industriali e strutture abitative ne caratterizzano l'insediamento: fra le prime si riconoscono stabilimenti per la porpora, oltre a quelli per la lavorazione dei metalli e per il trattamento delle olive. Significative sono, per il 14° e il 13° secolo a.C., le analogie con la produzione metallurgica di Cipro e la presenza di importazioni micenee, mentre per i secoli successivi Saribtā (Sarepta) ospita una qualificata attività di ceramisti, volta in particolare alla produzione di grandi contenitori da trasporto per derrate alimentari. Vedi tav. f.t.
Bibl.: J.B. Pritchard, Recovering Sarepta, a Phoenician city, Princeton 1978; J.-F. Salles, La nécropole ''K'' de Byblos, Parigi 1980; J.W. Betlyon, The coinage and mints of Phoenicia. The pre-Alexandrine period, Chico (California) 1982; Redt Tyrus I: Histoire Phénicienne, a cura di E. Gubel, E. Lipiński, B. Servais-Soyes, Lovanio 1983; M. Chéhab, Découvertes phéniciennes au Liban, in Atti del I Congresso internazionale di Studi fenici e punici, i, Roma 1983, pp. 165-72; P. Bordreuil, E. Gubel, Bulletin d'antiquités archéologiques du Levant inédites ou méconnues, in Syria, 1983-88; M. Saghieh, Byblos in the third millennium, Warminster 1984; R.A. Stuchy, Tribune d'Echmoun, Basilea 1984; M. Dunad, N. Saliby, Le temple d'Amrith dans la pérée d'Aradus, Parigi 1985; Phoenicia and its neighbours, a cura di E. Gubel, E. Lipiński, Lovanio 1985; B. Koehl, Sarepta-III, Beirut 1985; H. Seeden, Lebanon's past today, in Berytus, 35 (1987), pp. 5-12; A. Ciasca, Fenicia, in I Fenici, Milano 1988, pp. 140-51; W.P. Anderson, Sarepta-I, Beirut 1988; I.A. Khalifeh, Sarepta-II, ivi 1988; N. Jidejan, Lebanon and the Greek world (333 to 64 B.C.), ivi 1988; R. Hachmann et al., Kāmid el-Loz (1963-1981). German excavations in Lebanon, in Berytus, 37 (1989), pp. 9-187; N. Liphshitz, G. Biger, Cedar of Lebanon (Cedrus Libani) in Israel during Antiquity, in Israel Exploration Journal, 41 (1991), pp. 167-75.
Architettura. - Con il forte sviluppo urbanistico del paese, avvenuto tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, si afferma nell'architettura del L. in modo consistente e preponderante il linguaggio internazionale. Tale sviluppo si manifesta soprattutto con la creazione di nuovi quartieri e centri residenziali al di fuori dei vecchi nuclei urbani, e investe in particolar modo le città costiere (Sidone, Biblo, Tripoli) e la capitale Beirut. Ciò è da mettere in relazione con la crescita economica del paese, legata agli scambi e alle relazioni fra Occidente e Medio Oriente, per la stessa posizione geografica del L. e la sua vicenda storica di ex colonia francese.
La prospettiva internazionale acquista così via via rilevanza, evidenziandosi in particolar modo nella zona ovest di Beirut, nel campo dell'edilizia pubblica. La città diventa sede di enti internazionali con la realizzazione dei palazzi dell'UNESCO, della FAO e dell'UNRRA, e si qualifica con numerosi edifici a carattere amministrativo, con banche (Banca di Beirut per il Commercio, arch. Saqr Faẖrī; Arab Bank, ing. Nazīh Ṭālib), alberghi (Hotel le Vendôme, ing. H̱atīb e ῾Alāmih, danneggiato dalla guerra e in seguito riattivato; Hotel Biarritz) e centri commerciali (Centro Sausalito al-Ašrafiyya, arch. Fāhī Afādīsiyān, R. Micaelian, 1974-78). Altri interventi da ricordare sono ancora il centro scolastico Amliè (arch. Ḥuǧayl, 1957); il Collegio protestante (arch. M. Ecochard, C. Lecoeur, 1957); il complesso ospedaliero dell'università americana di Beirut (ing. Dār al-Handasa Nazīh Ṭālib, 1970-74), fornito di una notevole biblioteca; le quattro sedi del collegio per la Congregazione del Sacro Cuore (arch. J. Liger Belair, J.-P. Megharbané, 1974-77); e l'ammodernamento del porto e dell'aeroporto di H̱alada.
Legato a questo forte impulso è il fenomeno delle scuole d'architettura, che, dopo l'Académie Libanaise des Beaux-Arts (ALBA) fondata nel 1943 da A. Boutros, sorgono intorno agli anni Sessanta, legate alla Beirut Arab University (1962) e alla American University of Beirut (1963); la più recente e importante è quella dell'Université Saint Esprit di al-Kaslik, 1974. Queste scuole contribuiscono a formare un nutrito numero di architetti locali con un'impostazione internazionale, secondo orientamenti di tipo sia francese che angloamericano, oltre a favorire la comparsa dei primi studi professionali pluridisciplinari su modello statunitense, come quelli Dār al-Handasa, ACE, Ḥatīb e ῾Alāmih. A questo proposito è da citare in particolar modo lo studio Pierre Neema e Associati che inizia la propria attività negli anni Sessanta, operando con un gran numero di progetti, sia in altri paesi arabi e in Nord Africa che in patria, dove realizza la Casa dell'Artigianato libanese e il Centro Verdum a Beirut (1967), e l'ospedale Haykal di Tripoli (1966), oltre a numerosi complessi residenziali. In anni recenti lo stesso studio porta a compimento grandi interventi quali il Centro Sofil (1984) e l'ospedale Rizk (1986) a Beirut.
La guerra civile del 1975-76 e la distruzione del centro di Beirut creano la necessità di interventi di carattere globale, che tendano alla riorganizzazione della città moderna, pur nella ricerca della sua identità storica. Tuttavia la zona più danneggiata dagli eventi bellici (centro storico e zona degli alberghi) corrisponde alla cosiddetta ''linea verde'': una frattura che divide la città in Beirut Est (cristiana) e Beirut Ovest (musulmana) impedendo così qualsiasi intervento di riorganizzazione. La ricostruzione avviene infatti a nord della città, con uno sviluppo tale da estendersi fino alla zona est e più in là, inglobando, per oltre 20 km, centri minori verso Biblo; tra questi la cittadina di Ǧuniyya, che pur con la sua indipendenza municipale è oggi una delle più importanti zone della Beirut cristiana.
Negli anni recenti numerosi sono gli interventi di edilizia pubblica in questa parte della città: la Banca della Siria e del Libano (arch. R. Geammal); la Società generale Libano-Europa delle banche (arch. P. Neema); l'albergo De Faqrā (arch. M. Bonfils); il Centro al-Amwāǧ a Ǧuniyya; il Centro Alta Vista a Ǧuniyya (arch. G. A. Sfeir); il Centro Būlus ad al-Ḥāzmiyya (arch. S. Kfoury, A. Joseph, 1983) e la chiesa S. Elie (arch. R. Achi, ing. N. Zaknour). Nella Beirut Ovest si è solo in parte ristrutturato e ricostruito. In essa sono da citare il Centro Broadway-Hamra (arch. M. Baldoukian, 1980); il Centro commerciale Riyāḍ (arch. H̱atīb e ῾Alāmih, 1982); e la Moschea (arch. N. Tabbara, A.M. Daouk). Per quanto concerne il centro storico cittadino, fin dagli inizi degli anni Ottanta la fondazione saudita Società Oger Liban si è segnalata per il suo impegno nel restauro degli edifici danneggiati dalla guerra, realizzando una particolare opera di ripristino della vecchia Beirut. Oltre a ciò, la stessa Società ha portato a termine numerosi altri interventi nel paese, come l'ospedale al-Ḥarīrī a Kfarfalous realizzato in associazione con l'ospedale dell'università americana di Beirut; e il Centro di studi universitari, entrambi a Sidone.
È infine da segnalare l'attuale forte sviluppo, legato a fattori di ordine economico, dell'edilizia residenziale privata che ha investito la fascia costiera libanese (Centro balneare di Rimāl a nord di Beirut, arch. N. Farhat; Centro balneare Bīblūs Mārīnā a Biblo, arch. T. Kordahi; Centro balneare Acquamarina 2 a Ǧuniyya, arch. Fadi Joseph Ph. Karam).
Bibl.: J.-L. Belair, L'habitation au Liban, Beirut 1965; Dizionario di Architettura e Urbanistica, 1968; Enciclopedia Universale dell'Arte, 8, Novara 1982; G.M. Yacoub, Architectures au Liban, Beirut 1985 e 1987.
Cinema. - La cinematografia libanese fu segnata fin dagli esordi da enormi difficoltà. Infatti soltanto nel 1931 una società di produzione, la Lumnar film, si affacciò all'orizzonte, riuscendo a produrre il primo lungometraggio, Muġāmarāt Abū ῾Ubayd ("Le avventure di Abu Ubayd"), peraltro realizzato da un cineasta di origine italiana, G. Pidutti. Per molto tempo cineasti e tecnici stranieri hanno costituito l'ossatura della cinematografia libanese, aiutando lo sviluppo della nascente arte e contribuendo a innalzare il livello tecnico degli studi. È a partire dagli anni Cinquanta che la cinematografia acquista un proprio carattere nazionale, riflettendo talvolta le diverse fazioni culturali e politiche del paese. La maggior parte della produzione è comunque direttamente ispirata ai melodrammi e ai film cantati prodotti nel vicino Egitto. Ne sono prova le pellicole di Salmān, autore tra l'altro della commedia musicale al-Lahn al-Awwal ("La prima melodia", 1957). Gli anni Sessanta e Settanta vedono il fiorire dell'industria soprattutto dal punto di vista delle tecnologie, tanto che gli studi di Beirut sono utilizzati dai registi egiziani, siriani e giordani. Gli avvenimenti politici dei primi anni Ottanta hanno impedito l'emergere di nuovi talenti, ma fra i documentaristi libanesi che hanno lasciato qualche segno si contano Burhān ῾Alawiyya (Kafr Qāsim, 1974, sul massacro di un villaggio arabo da parte degli Israeliani) e Mārūn Baġdādī (al-Ḥurūb al-ṣaġīra, "Piccole guerre", 1983). Quest'ultimo si è fatto notare anche per al-Raǧul al-maḥǧūb ("L'uomo velato", 1987, su un medico francese coinvolto nella violenza fratricida di Beirut), e per Hors la vie (La vita sospesa, 1991, premiato al festival di Cannes, ispirato anch'esso a un episodio della guerra civile).
Bibl.: Cinéma et cultures arabes, Centre interarabe du cinéma et de la télévision, Beirut 1965; G. Sadoul, Les cinémas des pays arabes, ivi 1966; AA.VV., Cinema dei paesi arabi, Pesaro 1976; S. Farid, Arabe Cinema Guide, Il Cairo 1979; A. Qabus, Es-Sinéma el Arabiyya '84, Tunisi 1984; L. Malkmus, Lebanon, in International film guide 1987, a cura di P. Cowie, Londra 1986.