Libano
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geografia umana ed economica
di Anna Bordoni
Stato dell'Asia occidentale. La popolazione, che a una stima del 2005 era risultata pari a 3.577.000 ab. (l'ultimo rilevamento statistico ufficiale risaliva al 1970), è cresciuta a un ritmo modesto (1% nel periodo 2000-2005) con un sensibile contenimento rispetto al passato. All'inizio del 2005 nel Paese erano presenti circa 400.000 rifugiati palestinesi. Nello stesso anno, per quanto riguarda la religione, la ripartizione risultava la seguente: 59,7% musulmani (divisi in sciiti, sunniti, drusi ecc.), 39% cristiani (cattolici, maroniti, greco-ortodossi ecc.), 1,3% altri.
Dopo essere stata la principale piazza finanziaria del Medio Oriente, in seguito a numerosi anni di grave crisi economica il L. sta tentando di ridefinire un proprio ruolo in una regione instabile. Una discreta ripresa economica si è cominciata a delineare nel 2003, confermandosi nel 2004 (+6%). Legata in parte al nuovo flusso di capitali proveniente dai Paesi del Golfo, che in seguito agli attentati dell'11 settembre 2001 a New York e Washington avevano disertato le piazze occidentali per riconcentrarsi in Medio Oriente, tale ripresa ha interessato diversi settori: in particolare, ne hanno beneficiato le attività bancarie, i cui depositi rappresentano l'equivalente di oltre tre volte il PIL nazionale, il turismo, che nel 2004 ha raggiunto il suo record di ingressi con 1,3 milioni di visitatori (provenienti in gran parte dai Paesi del Golfo), e il settore immobiliare. In corso di riduzione il deficit pubblico, che nel novembre 2002 ha potuto essere ristrutturato grazie soprattutto alla mobilitazione della comunità internazionale guidata dalla Francia, ma che tuttavia continua a pesare sull'economia (nel 2004 rappresentava quasi il 160% del PIL). Di conseguenza, anche se la fiducia degli investitori è tornata e la lira libanese continua a essere ancorata al dollaro, per consolidare il rilancio economico il governo dovrà compiere le riforme strutturali previste in accordo con gli organismi internazionali.
Storia
di Silvia Moretti
La struttura istituzionale dello Stato libanese, fondata sul rigido sistema delle quote attribuite alle diverse fedi religiose presenti in Parlamento, costituì un ostacolo alle spinte alla demo-cratizzazione e alla laicizzazione del Paese da poco uscito dalla guerra civile (1975-1990). Fortemente condizionato dalla forte ingerenza della Siria, che manteneva in L. un numeroso contingente militare, e dalla presenza dell'esercito israeliano a Sud, nella cosiddetta fascia di sicurezza, tra la fine del 20° e l'inizio del 21° sec. il Paese vide crescere la valenza politica e militare del partito filoiraniano Ḥezbollāh (il Partito di Dio). Nata con gli auspici di Damasco all'inizio degli anni Ottanta allo scopo di estromettere Israele dal territorio del L., la più grande organizzazione fondamentalista sciita libanese era decisa a farsi protagonista in difesa della causa palestinese per raccogliere così sempre maggiori consensi tra la popolazione. Per il corso del 1999 numerosi episodi di violenza si susseguirono nella fascia di sicurezza: alle azioni terroristiche di Ḥezbollāh gli israeliani risposero con numerosi raid aerei nel Sud del Paese e occupando nuovi villaggi. I primi mesi del 2000 fecero registrare ancora un'escalation di violenze, anche dopo l'annuncio israeliano del ritiro unilaterale delle proprie truppe dalla fascia di sicurezza: formalizzato nel mese di aprile, il piano di ritiro si concluse il 24 maggio, dopo un'occupazione durata oltre vent'anni.
Sempre nel 2000, nel corso dei mesi di agosto-settembre, si svolsero importanti elezioni legislative che registrarono la secca sconfitta dei candidati governativi e la vittoria schiacciante a Beirut dell'ex primo ministro R. al-Ḥarīrī, acerrimo nemico del presidente della Repubblica, il generale E. Lahad, sostenuto dai siriani. Al Nord riportarono la vittoria gli alleati di al-Ḥarīrī, primo fra tutti il leader druso W. Jumblatt. Al Sud e nella valle di al-Biqa si aggiudicarono la vittoria Ḥezbollāh e il movimento sciita Amal. All'indomani delle elezioni, e dopo la no-mina di al-Ḥarīrī a capo del governo, alcuni esponenti della coalizione vincente espressero la volontà di riequilibrare i rapporti con la Siria cercando così di attenuare l'influenza di Damasco, che al momento manteneva circa 30.000 soldati in territorio libanese.
Un primo ridispiegamento delle truppe siriane fu effettuato nel giugno 2001 e circa 6000 soldati varcarono i confini libanesi. Ma l'egemonia siriana nel Paese, aldilà della funzione strategico-politica dei militari e, soprattutto, dei servizi di sicurezza, si fondava sulla tutela degli interessi economico-finanziari di Damasco nella regione, in gran parte traffici illeciti legati alla telefonia mobile e internazionale, al racket del petrolio e del gas e alle tasse d'importazione per le merci in arrivo in Libano.
Nel Sud, intanto, Ḥezbollāh aveva preso il controllo del territorio sul campo, rappresentando per Israele una presenza sempre più minacciosa, fomentata dal regime iraniano e dall'accentuarsi della crisi palestinese (scoppio della seconda intifāḍa, settembre 2000, e ripetuti e massicci interventi dell'esercito israeliano a Gaza e in Cisgiordania tra il 2001 e il 2002). Una prima escalation nel conflitto si registrò tra il 2001 e il 2002. Nel corso del 2004 il frequente ricorso ad armamenti di fabbricazione iraniana dimostrò l'avvenuto potenziamento della forza militare di Ḥezbollāh e insieme il suo disegno politico: sperare nella legittimazione politica e popolare grazie al suo ruolo di unico difensore dell'integrità territoriale libanese contro gli israeliani e, ancora più ambiziosamente, ridurre il potere delle diverse comunità religiose nel Paese per 'islamizzare' i costumi e la vita politica nazionale.
Sul fronte interno andavano palesandosi gli immensi costi della ricostruzione, che condannavano il L. a un fortissimo debito e alla sempre più capillare diffusione della corruzione e del clientelismo che vedeva complici molti settori della nomenclatura libanese e siriana. Le elezioni amministrative del 2004 videro ancora il successo di Ḥezbollāh al Sud, nella valle di al-Biqa e nei villaggi sciiti al confine meridionale dove si votava per la prima volta dopo il ritiro israeliano, mentre si registrava la secca sconfitta nella regione di Beirut della coalizione del primo ministro al- Ḥarīrī. Ma le sorti del Paese sem-brarono maggiormente segnate dalle ricadute della risoluzione 1599 del Consiglio di sicurezza dell'ONU, approvata su pressione di Francia e Stati Uniti nel mese di settembre, che stabiliva il ritiro delle truppe siriane dal L., lo svolgimento di giuste e 'libere' elezioni presidenziali - sulle quali la Siria, invece, voleva imporre le sue scelte - e, infine, il disarmo e lo scioglimento delle milizie di Ḥezbollāh. L'ordine siriano di prolungare di tre anni, fino al 2007, il mandato del presidente Lahad, già approvato dal Consiglio dei ministri alla fine di agosto, provocò una pericolosa crisi istituzionale che culminò nelle dimissioni di al-Ḥarīrī, schieratosi con l'opposizione nel denunciare le troppe ingerenze siriane. Mentre cresceva la protesta contro Damasco, il 14 febbraio 2005 lo stesso al-Ḥarīrī moriva vittima di un attentato. Nei giorni successivi le forze all'opposizione chiesero l'immediato ritiro delle truppe e dei servizi siriani e le piazze di Beirut furono teatro di gran-di manifestazioni di massa (la cosiddetta rivoluzione dei cedri), prontamente sostenute dalla comunità internazionale. Di segno opposto la scelta di Ḥezbollāh, protagonista a Beirut di un'imponente mani-festazione favorevole alla Siria, che, però, costretta dalle pressioni libanesi e internazionali, avviò in marzo il suo ritiro. Nel mese di aprile, mentre gli ultimi soldati siriani lasciavano il Paese, si insediava la commissione internazionale deputata a indagare sull'assassinio di al-Ḥarīrī, il cui primo rapporto, rilasciato dopo pochi mesi, denunciava la scarsa collaborazione di Damasco e il coinvolgimento nell'attentato di alcuni alti ufficiali siriani.
Mentre il Paese era scosso da numerosi attentati, il 29 maggio si svolgeva il primo turno delle elezioni legislative; scontato il successo di Ḥezbollāh nel L. meridionale, più inaspettato il buon risultato ottenuto dall'ex comandante dell'esercito libanese M. Aoun, rientrato in patria dopo un lunghissimo esilio e artefice di una svolta favorevole alla Siria. La maggioranza dei seggi in Parlamento fu comunque attribuita alla coalizione di forze antisiriane (Tayar al-Mustaqbal) guidata dal figlio dell'ex primo ministro ucciso, alleato dei drusi di Jumblatt (72 seggi). Nell'esecutivo formato dal nuovo premier, il sunnita F. Siniora (dello schieramento antisiriano), entrò a far parte per la prima volta anche Ḥezbollāh; il governo appariva, però, diviso fin dal suo esordio tra le forze vicine a Damasco, responsabili dei maggiori dicasteri (difesa, giustizia, esteri) e le forze promotrici della piena indipendenza libanese.
Nell'estate 2006 si riaccendeva la guerra al confine con Israele. Le provocazioni di Ḥezbollāh, culminate nel rapimento di due soldati israeliani (12 luglio) e nel ripetuto lancio di missili, scatenavano l'offensiva aerea israeliana nel Sud del L. e a Beirut. La guerra, durata poco più di un mese, mise in luce la capacità di resistenza di Ḥezbollāh, del suo leader indiscusso H. Nasrallah e la consistenza del suo arsenale missilistico. La popolazione libanese fu la principale vittima dei bombardamenti israeliani (tra 600 e 1100 morti); ingenti i danni alle infrastrutture e ai centri abitati. Pochi giorni prima del cessate il fuoco congiunto (14 agosto), il Consiglio di sicurezza dell'ONU, con la risoluzione 1701, sanciva l'invio in L. di un contingente di pace, a potenziare la missione già presente nel Paese dal 1978, l'UNIFIL (United Nations Interim Force in Lebanon). L'Italia, che era stata promotrice del summit di Roma sul L. (fine luglio) per imporre ai belligeranti un immediato cessate il fuoco, partecipò alla missione con un numeroso contingente militare (circa 2500 uomini).
Nel novembre 2006 la situazione interna appariva nuovamente instabile: il Paese era in preda ai disordini dopo il nuovo attentato costato la vita al ministro dell'Industria P. Yumayyil, leader cristiano-maronita del fronte antisiriano.
bibliografia
A. N. Hamzeh, In the path of Hizbullah, Syracuse, N.Y. 2004.
L. Trombetta, Un Libano fuori dalla Siria, in Limes, 2005, 3, pp. 155-165.
S. Mackey, Lebanon: a house divided, New York 2006.