LIBANO.
– Demografia e geografia economica. Storia. Letteratura. Bibliografia
Demografia e geografia economica di Matteo Marconi. – Stato dell’Asia occidentale. L’ultimo censimento risale al 1970, poi mai più ripetuto per via degli equilibri politici interni al Paese, che si regolano sulla forza demografica relativa di ciascuna delle comunità che costituiscono il patto nazionale. Tutti i dati disponibili sulla dinamica demografica libanese sono stime, a cominciare dai 4.965.914 ab. del 2014, secondo una stima UNDESA (United Nations Department of Economic and Social Affairs), nei quali vanno però considerati i profughi, dato che ai palestinesi presenti in L. da lungo tempo – circa 450.000 secondo le statistiche del luglio 2014 – si sono aggiunti quasi 500.000 siriani in fuga dalla guerra civile. Tra le comunità c’è una prevalenza dei musulmani (54%) sui cristiani (40,5%) con, rispettivamente, il 27% di sunniti, il 27% di sciiti, il 21% di cristiani maroniti, l’8% di greco ortodossi, più la comunità drusa (5,6%). I dati sull’accesso all’acqua, le cure sanitarie e la speranza di vita sono sorprendentemente positive rispetto alla situazione generale del Paese, con uno standard di vita simile a quello dei Paesi occidentali.
Tanto dal punto di vista politico che economico il L. ha sempre risentito negativamente dell’instabilità interna e dei Paesi vicini. Per garantire servizi adeguati alla popolazione il governo si è fortemente indebitato, con un pesante passivo di bilancio (−9,4% nel 2013) e un debito pubblico altissimo (120%). Il settore terziario, tradizionalmente forte nei servizi bancari e turistici, risente negativamente della situazione politica incerta, che non richiama gli investimenti esteri, anche se dà lavoro a una larga maggioranza della popolazione (72,7%). La prolungata guerra civile ha spopolato le campagne, ridotto troppo velocemente l’importanza del settore primario e determinato una forte urbanizzazione (87%). Da segnalare la crescente rilevanza di alcune coltivazioni illegali, soprattutto cannabis, nella valle della Beka’a. La debolezza industriale del Paese comporta una bilancia commerciale nettamente negativa, con le importazioni che pesano quattro volte le esportazioni, sebbene calmierata dalle rimesse degli emigrati e dagli aiuti internazionali. Nonostante questo, il L. ha dimostrato capacità reattive notevoli nei momenti di pace.
Storia di Silvia Moretti. – Terreno di scontro tra le maggiori potenze della regione, il L. dei primi decenni del 21° sec. risentiva pericolosamente della situazione di grave crisi che caratterizzava tutto il Medio Oriente. Alcuni elementi in particolare minacciavano la vita democratica del Paese: il conflitto di lunga data con Israele, i difficili rapporti con la Siria e la congenita fragilità dell’assetto istituzionale, fondato sul rigido criterio delle quote attribuite alle diverse confessioni religiose presenti nel Paese (cristiani e musulmani sunniti e sciiti). Da ultimo, la presenza ingombrante del partito-Stato sciita di Ḥezbollāh che grazie al suo arsenale militare, finanziato dall’Irān e dalla Siria, minacciava la sicurezza interna e la pace regionale.
Nel 2014 permanevano ancora alla frontiera con Israele e in tutta la zona meridionale del Paese i segni evidenti delle distruzioni provocate dal conflitto del 2006 tra lo Stato israeliano e le milizie di Ḥezbollāh. Il contingente di pace delle Nazioni Unite, UNIFIL (United Nations Interim Force in Lebanon), stanziato nella zona di confine tra i due Paesi dal 1978, e potenziato dopo la crisi del 2006, non aveva strumenti per scongiurare nuove tensioni che, dopo anni di relativa calma, conoscevano un improvviso, e apparentemente rientrato, deterioramento nel gennaio 2015. All’interno, la ricordata spartizione delle cariche istituzionali e dei seggi parlamentari su base comunitaria e confessionale garantiva un precario equilibrio tra le forze in campo come dimostrarono tra il 2007 e il 2008 i diciotto mesi di crisi politica durante i quali il parlamento non riuscì a eleggere il nuovo presidente della Repubblica. La crisi culminò nello scontro militare tra l’opposizione sciita, con Ḥezbollāh in testa, e le forze dello schieramento antisiriano vicine al premier sunnita Fouad Siniora (Fu᾽ād al-Sanyūra), scontro che rischiava di far precipitare di nuovo il L. nella guerra civile. A scatenare il conflitto (maggio 2008), che vedeva Ḥezbollāh conquistare militarmente la zona occidentale di Beirut, il tentativo delle forze governative di ridurre il potere militare e di intelligence del potente partito sciita, incardinato in molti posti chiave del Paese. Il pericolo di una destabilizzazione, tuttavia, veniva scongiurato grazie alla mediazione internazionale e della Lega araba, sotto l’egida del Qaṭar, con la firma di un accordo di normalizzazione a Doha (21 maggio 2008) che indicava nel generale Michel Suleiman (Mīšāl Sulaymān) il nuovo presidente.
Tra il 2011 e il 2013 il radicalizzarsi della crisi siriana alimentava le divisioni tra gli schieramenti politico-confessionali, e nel marzo 2013 il governo del primo ministro Najib Mikati (Nağīb Mīqātī) si dimetteva per il ritiro di Ḥezbollāh dalla maggioranza. Sotto il fuoco dei veti incrociati, e mentre cresceva il rischio di attentati a Beirut ovest, a Tripoli e nella valle della Bekaa, saltava l’appuntamento delle elezioni legislative previsto per il giugno 2013 rinviato prima di diciassette mesi e poi fino al giugno 2017.
Nel maggio 2014, dopo le dimissioni di Suleiman, il nuovo primo ministro Tammām Salām assumeva ad interim anche l’incarico di presidente della Repubblica. Un’ulteriore minaccia alla sicurezza interna era la presenza nel Paese di oltre un milione di profughi siriani in fuga dalla guerra civile (1.172.753 al 6 luglio 2015, secondo le stime dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati). Un peso economico insostenibile e un potenziale rischio demografico in un Paese di circa 4 milioni di abitanti che ospita da decenni anche 450.000 rifugiati palestinesi.
Letteratura di Monica Ruocco. – La sanguinosa guerra civile che ha sconvolto il L. tra il 1975 e il 1989 ha segnato profondamente diverse generazioni di autori che si sono preoccupati, nel periodo postbellico, di dare un senso, attraverso la scrittura, alla violenza distruttiva che aveva stravolto vite, comunità, città e la natura stessa del Paese. All’indomani della fine della guerra civile si è affermata un’avanguardia artistica e letteraria che non ha subito battute d’arresto neppure in seguito ad altri avvenimenti che hanno poi scosso il Paese, dall’assassinio di Rafīq al-Ḥarīrī nel 2005 e la conseguente rivoluzione dei Cedri, all’offensiva militare israeliana del 2006.
L’impegno degli intellettuali libanesi nella lotta per la fine della tutela della Siria – di cui sostengono la necessità di un processo di democratizzazione – e per la causa palestinese ha visto coinvolto in prima linea Samīr Qaṣīr (Samir Kassir, 1960-2005). Storico e attivista, figura di spicco dell’intellighenzia della nazione, Qaṣīr è autore di testi fondamentali per la storia culturale del L., come Histoire de Beyrouth (2003; trad. it. Beirut. Storia di una città, 2009) e Considérations sur le malheur arabe (2004; trad. it. L’infelicità araba, 2006). Dopo aver ricevuto minacce da parte dei servizi segreti libanesi e siriani, è stato assassinato con un’autobomba a Beirut, ma i colpevoli del suo assassinio non sono stati identificati.
La poesia libanese appare segnata da personalità come quelle di Sa῾īd ῾Aql (1911-2014), sostenitore della natura fenicia del L.; di Unsī al-Ḥāǧ (1937-2014), protagonista dell’avanguardia degli anni Sessanta; o di Etel Adnan (n. 1925), di padre siriano musulmano e madre greca cristiana, nei cui versi convivono le diverse anime del L. e le culture dei Paesi di adozione, Francia e Stati Uniti. ῾Abbās Bayḍūn (n. 1945) è, invece, la figura di spicco della sua generazio ne e uno dei maggiori autori arabi della cosiddetta poesia in prosa. Le sue raccolte, al-Mawt ya᾽ḫuḏ maqāsāta nā (2008, La morte ci prende le misure) e Biṭāqah li-šaḫṣayn (2009, Un documento per due persone), e la sua autobiografia, Marāyā Frānkištāyn (2011, Gli specchi di Frankenstein) sono percorse da un forte impegno politico e sociale. Altre importanti voci della poesia libanese sono Ṭalāl Ḥaydar (n. 1937), Wadī῾ Sa῾ādah (n. 1948) e Bassām Ḥaǧǧār (1955-2009).
Il romanzo si caratterizza per una spiccata sperimentazione, che ruota attorno ad alcuni temi chiave: la guerra e i traumi da essa derivati, le cause e gli effetti del confessionalismo e i conflitti identitari che hanno devastato il Paese, la memoria, l’esilio, l’identità libanese. Pionieri di questo movimento sono Ilyās Ḫūrī (Elias Khoury, v.) e, con lui, un folto numero di autori i quali attraverso i loro romanzi hanno colmato il vuoto delle coscienze e quella sorta di amnesia collettiva conseguenza dell’amnistia del 1991 che aveva messo una pietra definitiva sul conflitto. Tra questi Ḥasan Dāwūd (n. 1950), autore di Bināyat Mātīld (1999, Il palazzo di Matilde), Mi᾽at wa ṯamānūn ġurūban (2009, 180 tramonti), Ġinā᾽ al-biṭrīq (2011, Il canto del pinguino). L’ironia è il timbro che distingue i romanzi di Rašīd al-Ḍa῾īf (n. 1945), che ha raggiunto la notorietà con ῾Azīzī al-Sayyid Kawabata (1995; trad. it. Mio caro Kawabata, 1998) e i successivi Taṣṭafil Meryl Streep (2001; trad. it. E chi se ne frega di Meryl Streep, 2003), Ūkay ma῾a al-salāmah (2005, Ok arrivederci), Tablīṭ al-baḥr (2011, La pavimentazione del mare). Altri importanti romanzieri sono Ǧabbūr al-Duwayhī (n. 1949), autore di Maṭar ḥazīrān (2006; trad. it. Pioggia di giugno, 2010) e Šarīd almanāzil (2010; trad. it. San Giorgio guardava altrove, 2012); mentre Rabī῾ Ǧābir (n. 1972), autore di una trilogia su Beirut (2007) e del romanzo Amīrikā (2009; trad. it. Come fili di seta, 2011), ha ricevuto nel 2012 l’IPAF (International Prize for Arabic Fiction) per il romanzo Drūz Balġrād (2010, Il druso di Belgrado).
Il romanzo ha visto l’affermarsi di molte scrittrici che hanno affrontato nei loro testi temi come i conflitti familiari, le relazioni di genere, la sessualità, l’emancipazione sociale. Tra queste Ḥanān al-Šayḫ (n. 1945), il cui lavoro più recente è ῾Aḏārà Londonistan (2014, Le vergini di Londonistan), Hudà Barakāt (n. 1952), ῾Alawiyyah Ṣubḥ (n. 1955), Najwà Barakāt (n. 1966), Imān Ḥumaydān Yūnis (n. 1956).
La narrativa libanese si è inoltre arricchita di scrittori che non scrivono in arabo, come i francofoni Charif Majdalani (n. 1960) e Hyam Yared (n. 1975), l’americano-libanese Rabih Alameddine (n. 1959), il canadese-libanese Rawi Hage (n. 1964).
Bibliografia: S. Haugbolle, War and memory in Lebanon, Cambridge 2010; S. Haugbolle, The (little) militia man. Memory and militarized masculinity in Lebanon, «Journal of Middle East women’s studies», 2012, 8, 1, pp. 115-39; S. Hout, Post-war Anglophone Lebanese matter. Home matters in the diaspora, Edinburgh 2012.