libello
Termine preso di pieno dal latino, classico e cristiano (libellus), quindi non formato per suffisso alterativo (v. in Appendice la trattazione sulle strutture del volgare di D., nel capitolo dedicato alla formazione delle parole); è usato, nel senso di " volumetto ", " opera non lunga " in Vn I questo libello, cioè la Vita Nuova (e così ancora XII 17, XXV 9, XXVIII 2, Cv II II 2); o genericamente " libro ": Cv I V 10 uno libello ch'io intendo di fare, Dio concedente, di Volgare Eloquenza; II VIII 9 quello libello de la Vegliezza, cioè il De Senectute di Cicerone. Così nella Commedia, ove designa, in rima, le Summulae logicales di Pietro di Giuliano da Lisbona (Giovanni XXIV): Pd XII 135 Pietro Spano, / lo qual giù luce in dodici libelli, cioè, secondo i commentatori più antichi, " libricciuoli " (Ottimo), " libellis " (Benvenuto), secondo i moderni, " libri ": " libelli - nota il Chimenz - non ha valore diminutivo ".
Libellus è d'impiego vastissimo nel diritto e in special modo nel campo del processo dove indica l'atto scritto in genere addotto dalle parti - allegato - e in particolare il libellus che dà inizio alla causa (petitio). È anche usato come titolo di opere, ma per lo più da giuristi; si ricordi per es. Iacopo Baldovino Libellus instructionis advocatorum; Roffredo Beneventano Libelli de iure canonico et civili (del primo anche Cavillationes sive libellus, dove libellus è nel significato processuale); Libellus de verbis legalibus di anonimo francese; ma la locuzione ‛ allegare libello ' è di sapore specificamente giuridico-processuale.