Abstract
Viene analizzato il tema della tassazione delle liberalità indirette nell’ambito dell’imposizione indiretta. Premesso un excursus sull’evoluzione normativa, viene esaminata la disciplina vigente, quale in specie risultante dalle modifiche introdotte dalla l. 21.11.2000, n. 342 ed alla luce dei più recenti orientamenti della giurisprudenza in materia.
L’imposizione delle liberalità indirette nell’ambito delle imposte sui trasferimenti è stata per molti anni trascurata dal legislatore tributario (per la nozione civilistica v. art. 809 c.c., nonché gli Autori citati nella bibliografia in calce).
Invero, ancorché l’art. 1 del d.lgs. 31.10.1990, n. 346 prevedesse l’imponibilità dei «trasferimenti di beni e diritti per donazione o altra liberalità tra vivi» (ancora più ampio era l'art. 1 del d.P.R. 26.10.1972, n. 637 che si riferiva addirittura a tutti i trasferimenti a titolo gratuito), tale fattispecie aveva scarso riscontro nella pratica, in quanto la tassazione di una liberalità, stante il disposto dell'art. 55 del d.lgs. n. 346/1990, presuppone l'applicazione dei meccanismi procedurali propri dell'imposta di registro e quindi, in specie, l'esistenza di un atto scritto.
Un decisivo impulso all’emersione di tale fattispecie anche nel settore dell’imposizione indiretta è senz’altro derivato dalla radicale riforma del tributo successorio operata dalla l. 21.11.2000, n. 342, nell’ambito della quale, sulla scorta delle sollecitazioni della più avveduta dottrina, sono state introdotte due norme, in appresso più approfonditamente esaminate, che si riferiscono e disciplinano espressamente la tassazione delle liberalità in oggetto.
Si tratta in particolare dell’art. 56 bis del d.lgs. n. 346/1990 (di seguito T.U.S.), intitolato per l’appunto «Accertamento delle liberalità indirette», norma che sembrerebbe introdurre uno specifico e peculiare meccanismo di tassazione delle stesse, nonché (e forse ancor prima) dell’art. 1, co. 4-bis, del medesimo decreto che esordisce nel primo comma con l’inciso «Ferma restando l’applicazione dell’imposta anche alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione».
Né è dubitabile che le liberalità in esame siano rimaste tassabili a seguito della reintroduzione dell’imposta sulle successioni e donazioni (“soppressa”, come è noto, nel periodo 25.10.2001 – 2.10.2006) operata dall’art. 2, co. 47, del d.l. 3.10.2006, n. 262; invero le stesse ricadono senza dubbio nell’ampia nozione di «trasferimento a titolo gratuito» che il legislatore ha in tale sede utilizzato ai fini dell’individuazione del presupposto impositivo.
Come già accennato, uno dei maggiori profili di problematicità di tassazione della fattispecie in esame nell’ambito dell’imposta sulle donazioni è costituita dal fatto che la stessa sembrerebbe in toto strutturata sullo schema di quella di registro, la quale presuppone l’esistenza di un atto scritto il cui contenuto è in linea di principio vincolante per l’ufficio. Dispone infatti l’art. 55, co. 1, T.U.S. «Gli atti di donazione sono soggetti a registrazione secondo le disposizioni del testo unico sull’imposta di registro ...».
Al contrario le liberalità indirette sono per lo più effettuate o tramite meri comportamenti materiali, o attraverso una sequenza di atti e/o fatti giuridici, ovvero utilizzando negozi giuridici a causa onerosa o neutra senza evidenziare lo spirito di liberalità che ne ha determinato la conclusione (per una più amplia esemplificazione di tale fattispecie v. Stevanato, D., Donazioni e liberalità indirette nel tributo successorio, Padova, 2000, passim).
In tali ipotesi è evidente come talora manchi addirittura l'atto da assoggettare a registrazione, indispensabile, come si è visto, nel vigente schema di applicazione del tributo al fine di tassare le liberalità indirette; talaltra, pur esistendo uno o più atti scritti, la liberalità risulta da un collegamento negoziale difficilmente apprezzabile ed individuabile dall'ufficio, ovvero nell'ambito degli atti stessi non è evidenziato il fine liberale che potrebbe determinarne l'attrazione nella sfera di operatività dell'imposta di donazione, fine che, rimanendo nella sfera psicologica delle parti, difficilmente può essere supposto dall'ufficio se non espressamente esplicitato.
Al fine di ovviare a tale problematica il legislatore del 2000, come accennato, ha introdotto nel testo unico sull’imposta sulle successioni e donazioni l’art. 56 bis, prevedendo che le liberalità indirette possano acquisire rilevanza, anche in mancanza di un atto scritto, nelle seguenti ipotesi:
a) in caso di cosiddetta “registrazione volontaria” (art. 56 bis, co. 3);
b) in caso di dichiarazione in ordine alla sussistenza della liberalità resa dall’interessato nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tale tributo (art. 56 bis, co. 1).
Con ciò il legislatore sembrerebbe dare una disciplina esaustiva della fattispecie: ove infatti la liberalità emerga dall’atto scritto la stessa sarà tassata in via ordinaria ai sensi dell’art. 55 T.U.S.; in caso di mancanza di atto scritto, la stessa potrà essere assoggettata ad imposizione solo ove ricorrano i presupposti dell’art. 56 bis.
Come peraltro meglio si vedrà in appresso, nel paragrafo dedicato alla tassazione delle cd. “liberalità informali”, la prassi, specie giurisprudenziale, è andata ben oltre questo che sembrerebbe il chiaro disposto normativo, ritenendo comunque tassabile qualsiasi liberalità (diretta o indiretta) ancorché non risultante da un atto scritto.
Per quanto concerne comunque, più specificamente, il disposto dell’art. 56 bis, si è in primo luogo posto il dubbio sulla compatibilità della norma con il nuovo impianto normativo scaturito dalla reintroduzione dell’imposta ad opera dell’art. 2, co. 47, d.l. n. 262/2006.
Invero il co. 50 del predetto art. 2 prevede che le disposizioni del d.lgs. n. 346/1990 risultino applicabili al nuovo tributo solo ove risultino “compatibili” con la disciplina introdotta dai co. da 47 a 49 e da 51 a 54 del medesimo articolo. Ed al riguardo il richiamo operato nel corpo dell’art. 56 bis alla vecchia franchigia di lire 350.000.000 ed alla previgente aliquota massima del 7% sono apparsi a taluno difficilmente compatibili con le nuove disposizioni.
È peraltro prevalsa, anche in dottrina, la tesi contraria, di recente avallata dall’amministrazione finanziaria (v. circ. 11.8.2015, n. 30/E), essendosi ritenuto che i riferimenti della norma alla previgente normativa debbano solo essere adeguati alla attuale mediante riconoscimento delle franchigie oggi vigenti ed applicazione dell’aliquota massima dell’8%. Talché sembra doversi ormai ritenersi assodata la permanente vigenza della norma (v. peraltro di recente contra C.T.R. Liguria, sez. I, 18.4.2016, n. 575, in fisconline).
Venendo pertanto all’esame della fattispecie disciplinata dall’art. 56 bis, deve dirsi come la stessa non concerna in primo luogo, come risulta dal testo della norma, le donazioni in senso proprio, nonché, come si evince dall’art. 1, co. 4-bis, sopra citato, le liberalità indirette comunque risultanti da un atto soggetto a registrazione, le quali rimangono comunque tassabili a prescindere dalle condizioni di cui all’art. 56 bis.
Inoltre la norma esclude espressamente dal proprio ambito applicativo le liberalità di cui agli artt. 742 e 783 c.c. (spese non soggette a collazione e liberalità di modico valore), in quanto in generale non tassabili ai sensi dell’art. 1, co. 4, T.U.S.; nonché quelle «risultanti da atti di donazione effettuati all’estero a favore di residenti», in quanto le stesse risultano tassabili in via ordinaria ai sensi dell’art. 55, co. 1-bis.
Non sembra invece, nel silenzio della norma, potersi aderire alla tesi, pur autorevolmente sostenuta (v. Lupi, R., I trasferimenti non formali: dalle scelte rinunciatorie del legislatore del 1973 all’imbarazzo di quello del 2000 e Stevanato, D., Le liberalità tra vivi nella riforma del tributo successorio, entrambi in L’imposta sulle successioni e donazioni tra crisi e riforme, Milano, 2001, 296-297 e 264), secondo la quale l’incremento patrimoniale tassabile ai sensi dell’art. 56 bis debba essere tuttora permanente nel patrimonio del beneficiario al momento dell’accertamento delle liberalità.
Quanto poi alla possibilità di accertamento da parte dell’amministrazione, la norma pone una duplice condizione. La prima è che l’esistenza della liberalità «risulti da dichiarazioni rese dall’interessato nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi». Trattasi dunque di una facoltà del contribuente che, volendo, può non far emergere l'attribuzione patrimoniale gratuita ricevuta ed affrontare con altri mezzi di difesa l'accertamento cui è sottoposto.
Quale esempio paradigmatico della situazione ipotizzata dal legislatore gli interpreti hanno per lo più addotto l'accertamento sintetico. La stessa norma, alla lett. b), richiama invero il concetto di «incremento patrimoniale» che è tipico di tale tipologia di accertamento ex art. 38, co. 5, d.P.R. 29.9.1973, n. 600, nella quale l'ufficio ricostruisce, in via sintetica, il reddito complessivo del contribuente sulla base di spese che hanno determinato un accrescimento del patrimonio dello stesso. È infatti in tale ipotesi che quest'ultimo potrà aver interesse ad evidenziare una liberalità indiretta che sia stata effettuata nei suoi confronti al fine di giustificare le spese effettuate e paralizzare quindi l'accertamento dell'ufficio.
Altro profilo di problematicità è quello della forma che deve assumere la dichiarazione al fine di determinare la tassazione delle liberalità. Sembra al riguardo che, stante anche la stretta correlazione della fattispecie con quella della registrazione volontaria ex art. 56 bis, co. 3, la disciplina formale debba essere la medesima, rendendosi pertanto necessaria la presentazione all'ufficio di una denuncia da parte del contribuente che faccia riferimento all'accertamento in corso ed alla liberalità indiretta di cui si richiede la tassazione.
Quanto poi alla lett. b) dell'art. 56 bis, l'unica problematica che si pone al riguardo è quella della compatibilità con la nuova disciplina dell'imposta introdotta dal d.l. n. 262/2006. Al riguardo, confermando quello che era l’orientamento prevalente degli interpreti, la recente circ. 30/E del 2015 sopra citata ha ritenuto applicabili al riguardo le nuove franchigie introdotte dall’art. 2, co. 47 ss., d.l. n. 262/2006, nonché l’attuale aliquota massima dell’8%.
Solo sotto quest’ultimo profilo l’accertamento della liberalità indiretta si distinguerà dalla registrazione volontaria della stessa, consentita, come accennato, dal co. 3 dell’art. 56 bis. Nel senso che, ove il contribuente intenda anticipare i tempi e non attenda l’accertamento, ma registri preventivamente la liberalità medesima, tramite una denuncia nelle forme dell’art. 8 del d.P.R. 26.4.1986, n. 131, potrà beneficiare delle ordinarie aliquote, fissate in base al rapporto di coniugio, parentela o affinità esistente tra donante e donatario, senza che gli venga automaticamente applicata l’aliquota massima dell’8%.
L’ultima norma che prende in considerazione il fenomeno delle liberalità indirette con riferimento al tributo successorio è l’art. 1, co. 4-bis, T.U.S., ai sensi del quale, salva la normale applicazione dell’imposta alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione, «l’imposta non si applica nei casi di donazione o di altre liberalità collegate ad atti concernenti il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende, qualora per l’atto sia prevista l’applicazione dell’imposta di registro in misura proporzionale o dell’imposta sul valore aggiunto».
La fattispecie cui la norma si riferisce è quella di liberalità (indirette e non) collegate ad atti soggetti a registrazione aventi ad oggetto trasferimento o costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende.
Al riguardo difficilmente comprensibile è la delimitazione oggettiva della fattispecie operata dal legislatore. Da un lato infatti non si comprende perché con riferimento agli immobili si faccia riferimento sia agli atti traslativi che costitutivi di diritti reali, mentre, con riferimento alle aziende, ai soli atti traslativi; ciò a meno di non imputare tale disparità di trattamento alla minore ricorrenza nella prassi negoziale degli atti costitutivi di diritti reali su aziende.
Dall'altro, ci si può domandare quale sia il motivo per il quale, unitamente al fenomeno del trasferimento di aziende non sia stato preso in considerazione quello del trasferimento di partecipazioni sociali, posto che l'acquisizione di un'attività imprenditoriale spesso si realizza proprio attraverso tale strumento.
Ma il profilo di maggiore rilevanza e problematicità della norma è senz’altro quello inerente la nozione di «collegamento» che deve sussistere tra le liberalità ed il trasferimento assoggettabile ad imposta proporzionale di registro od IVA. Tale questione deve essere affrontata da un duplice angolo visuale: da un lato, da un punto di vista sostanziale, occorre individuare quali siano i requisiti del collegamento negoziale rilevanti a tali effetti; dall'altro, da un punto di vista procedurale e temporale, si deve indagare come debba articolarsi la sequenza degli atti collegati al fine di rendere applicabile l'esclusione da imposta sancita dalla norma in questione.
Quanto al primo profilo, deve premettersi che si tratterà generalmente di quello che la dottrina civilistica definisce quale collegamento volontario, fattispecie nella quale, contrariamente all'ipotesi di collegamento necessario, il legame tra i vari negozi è fondato sull'autonomia privata.
Sotto altro aspetto il collegamento dovrà concernere sia un profilo soggettivo che un profilo oggettivo. Con riferimento al primo, dovrà di norma sussistere una quanto meno parziale coincidenza tra le parti dei due negozi, nel senso che, almeno uno dei soggetti interessati, debba partecipare ad entrambi. Si pensi al riguardo al tipico esempio di liberalità finalizzate a favorire un acquisto immobiliare da parte del donatario, nel quale è quest'ultimo ad essere presente in ciascuno dei negozi stipulati.
Peraltro, talora anche siffatta parziale coincidenza non risulterà indispensabile; ciò allorché la liberalità discenda da un atto unilaterale del disponente. Nello stesso esempio sopra riportato, potrà verificarsi che un soggetto terzo intervenga contestualmente o anche al di fuori del trasferimento immobiliare al fine di estinguere il debito di pagamento del prezzo dell'acquirente, rinunciando, anche implicitamente, all'azione di ripetizione di quanto pagato. In tale ipotesi dunque, che pur sicuramente rientra nella fattispecie dell'art. 1, co. 4-bis, non è riscontrabile neppure una parziale coincidenza soggettiva tra le parti dei due negozi, se non nel senso che uno dei contraenti del trasferimento soggetto ad imposta di registro od IVA è il beneficiario della liberalità indiretta posta in essere mediante atto unilaterale.
Da notare che, sempre sotto il profilo soggettivo, la norma non richiede, al fine della esclusione da tassazione della liberalità, alcun specifico rapporto di coniugio o parentela tra le parti, risultando al contrario sufficiente il collegamento della liberalità medesima all'atto di trasferimento immobiliare o d'azienda. Ciò al contrario di quanto si verifica, in linea generale, per il riconoscimento di franchigie impositive.
Per quanto concerne poi il profilo oggettivo del collegamento, sembra che il criterio di classificazione rilevante, nell'ambito di quelli proposti al riguardo dalla dottrina, sia quello funzionale. Nel senso che il negozio liberale «incide sullo svolgimento del rapporto che nasce dall'altro», ossia dal negozio traslativo (v. Scognamiglio, R., Collegamento negoziale, in Enc. dir., Milano, 1960, VII, 377), in quanto costituisce il necessario presupposto affinché il trasferimento dell'immobile o dell'azienda possa essere effettuato, risultando funzionale e finalizzato allo stesso.
Posti tali principi, non sembra che altri limiti possano porsi dal punto di vista sostanziale all'applicabilità della norma, nella quale il richiamo al fenomeno del collegamento negoziale è assolutamente ampio. Val quanto dire che le parti, al fine di sostenere l'intassabilità di una liberalità indiretta, potranno addurre qualsivoglia elemento che la colleghi funzionalmente, come sopra detto, al trasferimento di immobili o di aziende soggetto ad imposta proporzionale di registro o ad IVA.
Maggiori limiti hanno invece individuato i primi interpreti della disposizione in ordine ai profili procedurali e temporali, fino a giungere, secondo un’interpretazione estrema, a sostenere la necessaria contestualità dei negozi collegati e, comunque, l’assoluta evidenza del collegamento nell’ambito dell’atto soggetto a registrazione.
Tali orientamenti appaiono peraltro eccessivamente rigorosi; sembra infatti ultra legem richiedere che il collegamento con l'atto traslativo debba risultare da dati necessariamente risultanti dall’atto notarile, quali l'intervento in atto del disponente o la dichiarazione in ordine alla provenienza del corrispettivo pagato da parte dell'acquirente. In realtà, a quanto sembra, stante il silenzio della norma al riguardo, la prova del collegamento può essere data anche aliunde, adducendosi un qualsivoglia elemento che corrobori la funzionalità dell'atto liberale all'acquisto dell'immobile o dell'azienda. Ad esempio, con riferimento ad una delle ipotesi più ricorrenti nella prassi, potrà tranquillamente sostenersi che il trasferimento di fondi (tramite bonifico bancario o con qualsiasi altro mezzo) effettuato da un familiare a favore dell'acquirente in prossimità dell'atto di trasferimento costituisce prova evidente e sufficiente che trattasi di liberalità indiretta esclusa da imposta ai sensi dell'art. 1, co. 4-bis.
Si deve peraltro segnalare come di recente la giurisprudenza della Cassazione abbia smentito tali conclusioni, aderendo alla teoria più restrittiva che richiede la necessaria risultanza dall’atto di trasferimento del bene immobile o dell’azienda del collegamento richiesto dall’art. 1, co. 4-bis, ed anzi affermando che l’applicazione della norma debba essere specificamente richiesta dalle parti. Ciò sulla base del presupposto (a nostro avviso erroneo) della natura agevolativa della norma stessa, la cui applicazione richiede pertanto, come tale, una precisa invocazione da parte del contribuente (v. Cass., 24.6.2016, n. 13133, in fisconline).
Si deve comunque evidenziare che la norma che disciplina il collegamento negoziale ha una necessaria interferenza con l'art. 56 bis sopra esaminato, in tema di accertamento di liberalità indirette; ciò nel senso che ove ricorrano i presupposti dell'art. 1, co. 4-bis, non potrà farsi luogo all'accertamento e conseguente tassazione delle liberalità medesime ex art. 56 bis, co. 1, del T.U.S. in quanto l'imposizione è qui paralizzata dal disposto del suddetto co. 4-bis dell'art. 1.
Infine quanto agli effetti dell'esclusione da imposta sancita dall'art. 1, co. 4-bis, sembra che, proprio in quanto esclusione in senso proprio, la liberalità, ove rientri in tale perimetro normativo, non assuma alcuna rilevanza nell'ambito dell'imposta in esame e, pertanto, non contribuisca ad erodere la franchigia eventualmente spettante al beneficiario. Conseguentemente, la stessa non deve essere considerata successivamente alla morte del donante in sede di coacervo ex art. 8, co. 4, d.lgs. n. 346/1990, norma quest’ultima che, tra l’altro, la giurisprudenza più recente ritiene addirittura tacitamente abrogata dalla l. n. 342/2000 (cfr. Cass., sez. trib., 6.12.2016, n. 24940 e Cass., 16.12.2016, n. 26050, in fisconline).
Le liberalità non formalizzate in un atto notarile sono in realtà giuridicamente qualcosa di ben diverso dalle liberalità indirette. Si tratta infatti in realtà (si pensi alle liberalità eseguite attraverso la mera esecuzione di un bonifico bancario) di vere e proprie donazioni che peraltro, se di valore non modico, risultano civilisticamente nulle per violazione del disposto degli artt. 782 e 783 c.c. (per tale ricostruzione v. nitidamente, da ultimo, Cass., S.U., 27.7.2017, n. 18725, in fisconline).
La nullità civilistica peraltro, come è noto, non comporta necessariamente l’intassabilità (v. ad esempio, con riferimento all’imposta di registro, l’art. 38 del d.P.R. n. 131/1986). Talché la giurisprudenza della Cassazione è consolidata nel ritenere comunque imponibili le liberalità informali sulla base della seguente massima: «Il presupposto per l'applicabilità dell'imposta sulle donazioni va individuato, giusto quanto previsto dal d.lgs. n. 346 del 1990, art. 1, nel trasferimento per scopo di liberalità di un diritto o della titolarità di un bene senza che abbia rilevanza alcuna l'inosservanza della forma dell'atto pubblico, richiesta a pena di nullità dell'art. 782 c.c., per l'atto di donazione e la sua accettazione« (Cass., 18.1.2012, n. 634, in Rass. trib., 2012, 764, nella quale si richiama espressamente la precedente decisione 29.10.2010, n. 22118, in fisconline).
L’argomentazione principale a sostegno di tale assunto si fonda su un’interpretazione “adeguatrice” dell’art. 55 T.U.S., norma che se, come sembrerebbe la lettera della stessa, dovesse disciplinare e tassare le sole donazioni formalizzate in atti scritti, risulterebbe come tale in contrasto con l’art. 53 Cost. e pertanto illegittima. Ciò in quanto due fattispecie che manifestano la medesima capacità contributiva sarebbero dal legislatore disciplinate in maniera difforme.
A prescindere da ogni rilievo in ordine alla fondatezza di tale orientamento, si deve peraltro ricordare come il legislatore abbia inteso, nell’ambito della l. n. 342/2000, prendere espressamente in considerazione tale fenomeno, attraverso l’introduzione dell’art. 56 bis T.U.S., sopra commentato. Tale disposizione, invero, appare disciplinare qualsiasi fattispecie di liberalità non risultante da atti soggetti a registrazioni e, pertanto, sia le liberalità indirette che quelle informali; queste ultime risultano pertanto tassabili solo se ed in quanto “accertate” ai sensi del predetto art. 56 bis e, pertanto, con le limitazioni ivi previste.
Il contrario assunto della Suprema Corte, a parte ogni altro possibile rilievo, viene sostanzialmente a svuotare di gran parte del suo contenuto applicativo il suddetto art. 56 bis, norma che invece sembra aver avuto precipuamente lo scopo di unificare in un medesimo schema di tassazione ogni tipo di liberalità (sia indiretta che informale) non espressamente risultante da un atto soggetto a registrazione.
Fonti normative
Art. 809 c.c.; artt. 1, 55, 56 bis d.lgs. 31.11.1990, n. 346; art. 2, co. 47-54, d.l. 2.10.2006, n. 262.
Bibliografia essenziale
AA.VV., L’imposta sulle successioni e donazioni tra crisi e riforme, Milano, 2001; Fedele, A., Il regime fiscale di successioni e liberalità, in Trattato breve sulle successioni e donazioni, II ed., Padova, 2010, II, 575 ss.; Gaffuri, G., L’imposta sulle successioni e donazioni, Padova, 2008; Ghinassi, S., Le liberalità indirette nel nuovo tributo successorio, in Rass. trib. 2010, 394 ss.; Lupi, R., Successioni e donazioni, crisi e prospettive di un’imposta con due anime, in Boll. trib. 1996, 933; Stevanato, D., Donazioni e liberalità indirette nel tributo successorio, Padova, 2000.